Delicate

826 25 4
                                    

Sono sola, sdraiata a pancia in su sul letto, nella camera dove ho passato i primi mesi qui a Londra, i quali sono stati di lunga i peggiori.
Ero già distrutta dal fatto di aver lasciato Ethan a Penton, quando ho scoperto di essere incinta inizialmente non volevo crederci, non potevo nemmeno immaginare di partorire ,crescere un figlio, di iniziare una vita da madre.

Tutto quello che sentivo era solo un grande vuoto nel mio cuore e sapere che avrei avuto un figlio che forse non avrebbe mai visto il padre mi uccideva dentro. Tuttavia, nel momento in cui avevo sentito il suo piccolo cuore battere ad una delle prime visite dalla dottoressa tutto è svanito, c'eravamo solo lui ed io. Non avevo più paura, volevo solo tenerlo tra le mie braccia e non lasciarlo mai più andare.

Il giorno in cui l'ho perso, tutto è andato di nuovo in pezzi. Non mangiavo più, non mi alzavo più dal letto, non volevo più vivere. Ho dovuto aspettare un mese intero prima di poterlo "espellere". Quando il dottore aveva usato questo termine ero subito corsa in bagno a vomitare. Non ho voluto nemmeno fare il test per sapere di chi fosse. Non avevo intenzione nemmeno di provare a contattare sia Ethan che Brian per un eventuale dna. Non mi interessava più. Per me era figlio di Ethan.

Ogni giorno cercavo di chiamare la prigione ma non avevo nessuna sua notizia. Abbiamo trovato il numero della clinica in cui sapevamo che sarebbe stato dopo i primi mesi di carcere ma l'infermiera di turno mi rispondeva che i pazienti in cura non potevano avere contatti con l'esterno se non lo richiedevano. Ho persino urlato contro al responsabile della cura di Ethan. Non riuscivo a farmene una ragione, come non riesco adesso, ma in quel periodo ero ancora più arrabbiata di ora. Mi sentivo abbandonata da tutti, da Dio, da qualsiasi forma di protezione esistente al mondo. Volevo solo morire.

Ho provato a fantasticare su come avrei voluto togliermi la vita, ma non sono mai riuscita a  pensarci di farlo veramente.
Vedevo ogni volta il volto di Freddy che mi sorrideva. Non avrei mai potuto fare una cosa del genere. Soprattutto dopo che così tanta gente si era sacrificata affinché potessi vivere la mia vita.

"Posso entrare?"sento chiedere dalla porta. Mi alzo e vedo Clark con indosso un pigiama a righe bianche e azzurre.

"Non riesco a dormire"dico semplicemente sorridendogli. Si siede accanto a me e incrocia del gambe sul materasso.

"Non è ancora tornato...ma sono sicuro che sta bene"risponde lui all'affermazione che era rimasta nella mia mente.

"Che cosa dovevo dirgli,Clark?".

"Non sono sicuramente la persona giusta per dare questa risposta,Jennifer...solo tu devi pensare a cosa fare con Jared, devi prendere una decisione? Vuoi lasciare le cose come stanno? Vuoi lasciarlo andare? Sta a te scegliere"mi dice sorridendomi teneramente.

Ma è proprio questo il problema. Io non so cosa voglio. Se con Ethan lo sapevo perfettamente, forse fin troppo, con Jared è stato tutto automatico. Ho preso delle decisioni nel corso di questi anni seguendo non il mio istinto, non la mia mente,ma nemmeno il mio cuore perché fondamentalmente tutti e tre erano concentrati troppo su un unico pensiero, ovvero la perdita della mia vecchia vita e del sogno che avevo pensato di realizzare qui a Londra.

"Non so cosa voglio fare...so solo che non voglio ferirlo".

"Fingendo di amarlo non è che stai facendo il suo bene"mi risponde stringendo le spalle.

"Io non fingo di amarlo"lo contraddico subito. È vero quello che sento per Jared.

"Ma non credi che sia legittimo da parte sua chiederti di sposarti".

"Non lo so...credo che sia un po' improvvisato...prematuro".

"State insieme da quasi quattro anni...e vi conoscete da molti di più, forse lui pensa che quello che prova per te sia legittimo abbastanza...potresti dire la stessa cosa di me e di Lucy a dirla tutta"afferma cominciando a farmi sentire in agitazione.

I'll do betterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora