Prologo

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Questa è un'opera di fantasia. Ogni riferimento a personaggi o luoghi reali è completamente fittizio. Nomi, personaggi, luoghi e vicende, sono il frutto dell'immaginazione dell'autore. Qualunque somiglianza con fatti luoghi o persone reali, viventi o defunte, è del tutto casuale.

*******

"A tutti gli eroi senza mantello
che ogni giorno
ci regalano un sorriso."

PROLOGO

Cinque anni prima...

«A tutte le unità mi sentite?»
Passo il palmo sudato e insanguinato sulla fronte piena di sporco riprovando ancora una volta a contattare qualcuno per farmi guidare.
Continuo a camminare alla cieca ormai da diversi minuti.
La ricetrasmittente non prende quasi più nessuna frequenza. Quando premo il tasto nella parte opposta alla piccola antenna, emette un rumore di carta strappata prima del fischio che raggiunge le mie orecchie in una sorta di suono fastidioso. Questo mi costringe a rilasciare il dito per farlo cessare.
«A tutte le unità, mi sentite?» rilascio il dito, attendo, riprovo.
«Will?»
Il rumore della carta strappata. Il silenzio. «Murphy?»
Non riesco ad interagire neanche con i miei amici usando quella che si trova in dotazione dentro il casco.
Entrambe si saranno rotte dopo la caduta o quando ho lottato contro il nemico andando a sbattere erroneamente su un masso.
Mantengo il controllo proprio per come mi è stato impartito sin dalla nascita e avanzando, riprovo ancora.
Se non posso contare sul loro aiuto, procederò lentamente, mi dico facendo attenzione a dove metto i piedi.
«Mi sentite?»
«Avanzate!»
È tutto ciò che rimbomba dalla ricetrasmittente arrivando alle mie orecchie in modo distorto.
Finalmente sento l'ordine del Generale, ma per me non è un sollievo.
«Fateli fuori!», continua alta la voce di uno degli esponenti presenti al tavolo delle forze armate.
Sarà il Presidente? Sarà il Colonnello?
Non so dirlo.
«Riducete in frantumi quel posto», aggiunge con una nota acida e l'agitazione di chi non può più essere al servizio dello Stato, perché ormai vecchio e prossimo alla pensione.
Sta solo giocando la sua partita muovendo le sue pedine, noi, verso la morte. Questo, per liberare un piccolo villaggio dai terroristi.
Ma a quale prezzo?
Ci troviamo in una scacchiera dove non ci sono regole. Non c'è il più forte. Non esiste il più adatto a situazioni di pericolo. Solo il più furbo, il più fortunato, si salva.
In sottofondo: spari, urla, schianti, esplosioni. Il mio fiato che si spezza a causa della lunga corsa fatta per raggiungere la mia meta dopo metri di deserto e zone impervie.
Supero due dei miei compagni morti sentendomi strano nell'osservare i loro corpi inermi, straziati.
Ai miei piedi, nel medesimo istante, arrivano i pezzi di qualcuno dilaniato da una bomba appena esplosa. Dita umane di una persona, perché è di questo che si tratta, che prima stava respirando la mia stessa aria; quella della guerra.
Sto partecipando e non posso tirarmi più indietro. Ho accettato questo massacro, consapevole del fatto che potrei perdere io stesso la vita.
Si tratta di un'operazione rischiosa, certo, ma so già che una volta finito potrò finalmente occuparmi di altro. Avrò concluso con onore il mio ultimo servizio. Anche se avrò sempre davanti agli occhi ogni singola scena straziante alla quale ho assistito negli ultimi cinque anni.
Punto il fucile davanti a me quando tra i tunnel pieni di fango, polvere e sangue, scorgo dei movimenti e, individuati i miei avversari premo immediatamente il grilletto senza dargli scampo.
Non ho esitazione alcuna nel farlo. Sono stato addestrato per questo. Ho un compito ben preciso.
Questo è ciò che continuo a ripetermi ormai da ore mentre la stanchezza inizia a farsi sentire.
Svolto a sinistra. La voce dei miei superiori e dei membri che stanno seguendo da lontano questa operazione, mi accompagna, seppur distorta e a singhiozzi, nel mio viaggio verso la libertà. O forse è solo una bugia che mi sto raccontando per non morire, per non desistere; principalmente quando tutto sembra avere preso una piega inaspettata.
Loro non stanno vivendo niente. Stanno solo attendendo impazienti l'esito di una nuova giornata di guerra.
Ciò che vogliono è solo il sangue.
I nemici trovati sul campo, sono forti, spietati, addestrati per uccidere, per terrorizzare le masse, per torturare gli eroi di guerra come me. Anche i più temerari. Quelli temprati da esperienze e anni sul campo di battaglia.
Non avevo ancora visto niente del genere.
«Continua verso destra per un paio di metri, li troverai il tuo avversario. Sgancia subito due colpi. È immobile. Sta aspettando qualcosa, possibilmente un segnale.»
Finalmente la radio dentro il casco riprende a funzionare correttamente. Sento la voce di Simon raggiungermi e mi rincuoro. Ma, questo solo per pochi istanti, perché so già che quell'idiota che sto per affrontare, ha tra le mani una bomba. Questo non mi stupisce.
Penso, non parlo. Sono stato plasmato per non aprire bocca, per eseguire ogni comando come una marionetta mentre mi trovo in un posto insidioso.
Non sono sempre stato così. I miei sogni, credo come ogni altro ragazzo, erano altri. E neanche come quelli di mio fratello. Purtroppo uno dei due doveva assolutamente prendere le orme del padre, di una generazione di eroi.
E chi se non il piccolo ribelle di casa?
In questo momento invidio proprio quel coglione. Raphael non è mai stato tanto sveglio. Più grande di cinque anni, non hai mai assaporato l'ebbrezza del brivido della violenza. Non sa cosa significa allenarsi, svegliarsi presto, fare volontariato e proteggere il paese.
Sa solo cosa significa divertimento, soldi, ricchezza, donne.
Starà sicuramente sguazzando in una vasca con vista mare in compagnia della sua amante, una delle tante, mentre la moglie e i suoi due bambini saranno da qualche parte a divertirsi, del tutto ignari della cosa.
Non ci parliamo ormai da qualche anno per futili motivi.
Questo, solo con lui. Troppo geloso e avido per adattarsi ad uno come me, tirato su da solo, dai sacrifici, dalle rinunce.
Jesse, sua moglie, al contrario sa cosa significa rispetto. Per questa ragione ci sentiamo spesso. Lo facciamo per tenerci in contatto. In realtà non ho mai smesso di mandare dei regali ai miei due nipoti a cui tengo tanto e voglio bene; incontrandoli di tanto in tanto durante qualche cena o riunione di famiglia. Loro sono il reale motivo, la colla che mi tiene ancora legato a tutta la famiglia.
Stringo la presa sul calcio e la canna del fucile pulendomi ancora la fronte e gli occhi appannati dalla sporcizia, dal fumo che cerco di non inalare alzando la bandana fin sopra il naso.
Prendo fiato e mettendo un passo dietro l'altro, mi ritrovo nel punto in cui Simon mi ha indirizzato per fare fuori il mio obbiettivo. L'ennesimo di questa lunga giornata di lavoro.
Quando arrivo però, non trovo nessuno.
Mi volto lentamente e alle mie spalle vedo solo polvere, ragazzi della mia squadra impegnati ad accumulare corpi, a bruciarli per sfregio e altri, pronti ad acchiappare i terroristi per trascinarli dentro, nelle basi, dove verranno torturati per ottenere informazioni che, con ogni probabilità, non daranno mai. Preferiscono quasi sempre la morte ad una vita di torture e miseria.
È tutto così assurdo. Così ingiusto, da farmi dubitare sul senso del mio operato svolto in tutti questi anni.
Ho anch'io una morale?
So che uccidere è sbagliato, allora perché continuo a farlo senza esitare?
Non ci siamo solo noi. A poca distanza ci sono alcuni ragazzi impegnati ad aiutare le famiglie sopravvissute. Caricano loro in grossi furgoni allontanandosi velocemente senza degnarmi di uno sguardo, senza rassicurarli, ma solo perché è stato ordinato loro di fare così.
Dovrei essere lì con loro. Ma, il mio compito è ben diverso.
Lascio uscire il fiato ritornando al presente.
Tra i rumori assordanti mi ritrovo quasi addosso un ragazzo. Ha la mia età. L'unica cosa diversa è la sua divisa. Il colore del mio nemico. Del nemico dell'America.
Non l'ho sentito arrivare. Mi sono distratto. Un grosso errore il mio.
Il suo viso pieno di fango mi rivela due occhi spiritati come il grano sotto il sole. La carnagione scura a causa della fuliggine, una ferita vecchia sopra l'occhio, una fresca sotto lo zigomo e l'affanno di chi si trova davanti alla morte.
Un turbante sporco a nascondere i suoi capelli. Una barba curata anche se adesso piena di sangue e polvere; così come i suoi indumenti.
Gli punto addosso il fucile, pronto a premere il grilletto, a trascinarlo all'inferno; ma non lo è forse anche questo?
Anziché attaccarmi come fanno di solito, si abbassa lentamente senza mai togliermi gli occhi di dosso. Lo fa piegandosi malamente di lato mostrando una smorfia di dolore, fino a lasciare al suolo la sua arma. Un pugnale piegato, pieno di chiazze rosse.
Dopo di ciò, alza le braccia in segno di resa.
Mordo l'interno della guancia guardandomi ovunque, nel tentativo di prendere una decisione immediata.
Si è arreso. Non posso ucciderlo. Non posso comportarmi da mostro. È la prassi.
Ci troviamo dentro una recinzione costellata da travi e sacche. Una vera trincea. Siamo soli al momento in questo spazio ristretto.
«Come ti chiami?», chiedo su due piedi non riconoscendo neanche più la mia voce.
Lo faccio perché conosco i nomi di tutti coloro che ho ucciso. Li ho impressi nella mente per ricordarmi di loro quando la notte tornano sempre nei miei peggiori incubi.
Non se ne andranno mai, ormai lo so. Mi terranno compagnia ricordandomi di essere sempre stato dalla parte sbagliata.
«Non sono qui per uccidere quelle famiglie. Mi sono solo difeso quando mi hanno attaccato senza una ragione», dice più che agitato.
«Le stavo aiutando. Stavo svolgendo il mio lavoro quando è scoppiato il pandemonio!» fatica a parlare.
Appare stanco e in preda al panico, come se avesse altri pensieri per la testa. Come se avesse bisogno di tornare indietro, forse a casa, dove qualcuno lo sta aspettando; magari una ragazza o una moglie.
Continuo a mirare al suo cuore. «Allora perché sei vestito da terrorista?»
Lecca le labbra aride. «Sono qui come infiltrato. Potrei mostrarti il mio tesserino ma so già che mi spareresti se solo provassi a muovermi per cercalo dentro la tasca interna. Fidati sulla parola. Non avrei forse aperto già da un pezzo il fuoco? Avevo solo un pugnale rubato ad uno dei terroristi. Non sono neanche armato adesso.»
Cerco di non farmi abbindolare tanto facilmente. A volte usano strane tecniche per scappare o peggio: per sferrarti un colpo mortale. Eppure c'è qualcosa di diverso nel suo tono, nel suo accento.
«Per chi lavori?»
Passa una mano sulla fronte imperlata di sporco e sudore. «Il Governo, un'agenzia segreta creata per... per questo», indica tutto. «Io... io non lo so neanche più. I tuoi superiori non te ne hanno mai parlato?»
Soffio dalle narici. «Mi prendi in giro? Ti senti così furbo?»
Spalanca ancora gli occhi. Conosco quell'espressione. È la stessa di tutti coloro che conoscono già la loro fine.
Stringo la presa sul calcio del fucile.
Una goccia di sudore scende lenta. Non me ne curo.
«Stai pensando che io sia un terrorista e mi va bene, ma non dubitare del mio onore. Come te ho una patria e la mia è l'America», lo dice con una sincerità disarmante.
Non prova a muoversi. Non fa gesti avventati. Questo mi fa capire che conosce bene la prassi. Il modo in cui agiamo.
«Come ti chiami?»
«Per te non sono nessuno. Per i miei amici che avete fatto massacrare invece sono l'agente infiltrato 00335...»
Veniamo interrotti da una bomba. La terra trema e le schegge volano ovunque.
Il ragazzo si muove impercettibilmente senza mai allontanarsi dal mio fucile puntato.
All'improvviso urla piegandosi in due dal dolore tenendo il palmo stretto sulla gamba, dove inizia ad uscire un fiotto consistente di sangue che si mescola alla terra. Stringe i denti lamentandosi come un cucciolo ferito.
Guardo prima a destra poi a sinistra e vedendo arrivare quell'idiota di Wilbur mi irrigidisco.
Mastica sempre quella dannata gomma alla fragola come se questo potesse trasformare la puzza nell'aria in una macchina per lo zucchero filato e, sorride con la sua tipica spavalderia ostentando una sicurezza che generalmente non ha.
Non è molto alto e i suoi occhi allungati sono simili a quelli di un demone. Neri come la pece. Oscuri come un pozzo senza fine.
Non mi è mai piaciuto averlo tra i piedi. Purtroppo devo ancora collaborare con lui prima di lasciare tutto.
«Perché non lo hai già fatto fuori?» chiede avvicinandosi. «Ti sei forse rammollito?»
Dietro di lui i suoi tre amici. I visi tarchiati, le stature simili con qualche dettaglio sostanziale sull'aspetto che li contraddistingue l'uno dall'altro.
«Ha delle informazioni importanti. Lo stavo interrogando», mento.
In realtà stavo solo dubitando di me stesso. Non so, c'è qualcosa che mi spinge a credere a questo tizio sin da quando ha aperto la bocca comportandosi come uno di noi e non come uno di quei terroristi.
Purtroppo porta un turbante anziché una divisa militare. È questa la differenza che non tollero. Non siamo poi così diversi se ammazziamo. Non siamo diversi se litighiamo per un pezzo di terra con i vicini. Non siamo diversi. Siamo sotto lo stesso cielo pieno di avidità e razzismo. Mentalità chiuse e ottenebrate dall'ignoranza.
«Sai come interroghiamo i terroristi?» si rivolge direttamente al ragazzo prendendo il comando. Sorride persino avvicinandosi senza alcun timore a lui.
Wilbur ha sempre sfidato la morte. Non ha mai perso una battaglia. In compenso, ha solo ricevuto elogi per non avere indugiato, ma per questo non ha mai fatto davvero carriera.
Tutti lo conoscono. Tutti sanno del suo temperamento. Tutti sono a conoscenza del suo unico punto debole: oltre alle gomme da masticare, c'è il liquore.
Si comporta sempre come un bambino alle prese con un gioco di guerra.
«Non dovresti occuparti dell'accampamento?» lo interrompo più che irritato.
Mi guarda male. «Mi stai dando un ordine, Falco?» mi stuzzica sprezzante.
Falco è il nomignolo che mi ha attribuito dopo i primi giorni passati ad allenarci nello stesso gruppo come cecchini.
Vorrei tanto premere il grilletto mirando alla sua testa ma non posso, non sarebbe onorevole e non mi arrecherebbe soddisfazione alcuna. Sarebbe solo facile eliminarlo.
«No, ho solo fatto una domanda», guardo il ragazzo che continua a lamentarsi in parte chiedendomi di aiutarlo, di credergli.
Uno di loro gli molla un calcio sull'addome mentre è piegato, facendolo rotolare lungo il terreno.
«Perché non ci dici per chi lavori, figlio di puttana», lo schernisce un paio di volte continuando a colpirlo rabbiosamente.
Tipico, penso osservando la scena con disgusto e un certo distacco.
Wilbur e i suoi amici non hanno mai seguito le regole. Hanno sempre agito come animali per puro diletto.
Stringo la presa sul fucile. Mi stanno facendo perdere del tempo prezioso e principalmente la pazienza.
Loro giocano come dei ragazzini. Io al contrario svolgo il lavoro sporco, visto che tolgo dal mondo la feccia per permettere a qualcuno di dormire sogni tranquilli.
«Già, perché non ci dici quello che avete in mente», continua l'altro.
Wilbur mi guarda. «Che cosa hai scoperto?»
«Lo comunicherò a chi di dovere quando tornerò all'accampamento o in centrale», replico avvicinandomi ai due spingendoli a terra.
Sollevo il ragazzo seguendo un copione ben preciso. «A te adesso ci penso io», ringhio.
«Che cazzo fai?» mi urla Wilbur.
Indico il ragazzo. «È uno dei nostri. Ci hanno ordinato di distruggere questo schifo di posto e di eliminarli per nascondere qualcosa. Voglio sapere il perché. Non appena lo scoprirò farò conoscere la verità al mondo intero!»
Sgranano gli occhi guardandomi come un pazzo poi scoppiano a ridere.
«Ti sei fottuto il cervello, amico? Questo è un terrorista e merita di morire come tutti gli altri: scannato come un agnello!» continuano a ridere.
Tengo sollevato il ragazzo. «Adesso io e te facciamo quattro chiacchiere», dico ignorando gli altri portandolo a distanza. «Hai due minuti», lo avviso tenendo tutto sotto controllo, abbasso persino l'arma.
«Te l'ho detto: il governo ci sta fottendo tutti quanti! Non so perché ci state ammazzando dopo avere lavorato per anni mescolandoci tra la gente del posto senza mai destare sospetti, riferendo tutto. Non so perché mi stai giudicando. Non so nemmeno perché non mi credi. Sono come te», ringhia.
Sento come una folata di vento, un sibilo, poi il ragazzo indietreggia abbassando gli occhi verso il suo petto. Sul lungo abito si sta allargando una macchia rossa e dalla sua bocca fuoriesce uno spruzzo di sangue che lo costringe ad accasciarsi dapprima in ginocchio poi a terra.
Impiego pochi istanti a capire.
«Muori bastardo!» urla Wilbur spostandosi verso est.
Il ragazzo rantola soffocando nel suo stesso sangue. Mi abbasso velocemente valutando i danni ma sappiamo entrambi che non c'è più niente da fare.
Prova a dirmi qualcosa. Mi avvicino al suo viso per sentirlo.
«Sono... sono come te», aspira aria affannato. Il suo petto si scuote. «Diglielo. Dillo a tutti che... che io... io... sono... come...», i suoi occhi rimangono spalancati, la sua vita si spegne.
Mi alzo indietreggiando con le mani sporche di sangue. Quello di un innocente che quei bastardi senza onore hanno fatto fuori intenzionalmente.
Mi tremano così tanto le dita da stringerle a pugno lasciando uscire un urlo che si perde tra i boati simili a tuoni, che si susseguono uno dietro l'altro ormai ovunque.
Continuo a fissare quegli occhi spalancati, il terrore puro sul volto ormai spento.
Scuoto la testa prendendo sempre più consapevolezza della verità.
Quei bastardi hanno sempre saputo la ragione di questa missione. Ecco perché si stanno divertendo ad ammazzare chiunque.
Mi sento preso in giro. Usato per commettere un crimine che non ha perdono.
«Troverai giustizia», sussurro come un mantra dentro la mia testa togliendogli il turbante. «Tutti sapranno».
Sotto l'abito macchiato di sangue scorgo una divisa nera.
Barcollo indietro.
«Nemico alle spalle», mi riporta al presente Simon rimasto a lungo in silenzio.
Mi volto ma non vedo nessuno. Solo fumo, fiamme alte e corpi.
Le urla di chi sopravvive seppur ferito, senza una gamba o un braccio sono così forti da costringermi a strizzare le palpebre, a togliermi l'elmetto.
Guardo ancora il ragazzo inerme. «Otterrò giustizia».
Girando sui tacchi mi precipito da Wilbur alle prese con un vero terrorista, ignorando la voce che continua ad urlarmi dentro di non farlo, di non agire impulsivamente, di non giocare a fare l'eroe. Ma sono stanco.
Senza attendere o esitare sparo sei colpi a raffica al terrorista lasciando Wilbur a bocca aperta.
«Che cazzo fai?» urla pulendosi il sangue dal viso con una smorfia di disgusto.
«Lui era un terrorista!» sbotto adirato.
Wilbur avanza minaccioso pronto a lottare. Purtroppo fa un grosso errore mettendo il piede su una bomba.
Conto i secondi a disposizione prima dell'esplosione dandomi uno slancio per allontanarmi quanto più possibile.
Non c'è tempo. Nessuno può fermarlo. Nessuno può evitare questo momento. È come una risposta sensata dal karma. Una vita per una vita.
In tutto questo, nella fase di volo prima dell'impatto con il terreno, le mie orecchie iniziano a fischiare.
Ho solo il tempo di voltarmi. Vedo i tre terrorizzati, immobili come statue di cera. Wilbur, finalmente consapevole e spaventato dal destino che ha stuzzicato troppo a lungo.
Cinque, mi dico.
Cinque: sono i secondi prima dell'esplosione.
Un conto alla rovescia pericoloso. Un momento in cui ti si para tutto davanti, in un susseguirsi di flash e immagini del passato che si mescolano al presente velocemente.
Quattro: le urla si intensificano, il frastuono diventa irritante, insopportabile, insostenibile; gli avvertimenti ormai vani; gli ordini del tutto inutili.
Tre: arrivano le preghiere. Anche da chi non è credente. "Ti prego salvami". "Ti prego fa che non sia doloroso". "Ti prego evita questo supplizio".
Due: la paura, il terrore vero negli occhi dei presenti si mescola alla consapevolezza. Stai per raggiungere la morte. Lo sai.
Uno: sento il mio cuore fermarsi.

N/a:
~ Benvenuti o Bentornati miei cari lettori. Come state?
Ecco a voi il primo capitolo di questa nuova avventura romantica.
Vi anticipo già che sarà un po' sopra le righe, qualcosa di insolito e che magari vi piacerà. (Lo spero davvero). Per scoprirlo, non vi resta che andare avanti.
Prima di augurarvi buona lettura, volevo chiedervi di inserire questa storia nei vostri elenchi di lettura per ricevere gli aggiornamenti. Seguirmi (anche sui social se vi va), mettere una stellina e un commento per darmi un vostro parere costruttivo. (Per alcune persone non sarà importante ma per me che scrivo lo è. Soprattutto vedere se la storia viene seguita e se suscita interesse). Quindi, sbizzarritevi pure e non lasciatemi sola.
Detto questo, non mi dilungo più di tanto. Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto. Mi scuso come sempre se troverete degli errori. (Non sono una scrittrice, sono umana. Non siamo qui per fare i professori ma per leggere gratis).
Grazie a chi rimarrà al mio fianco dall'inizio alla fine di questa mia ultima avventura su questo sito. (A meno che non arrivi qualche altra idea).
Buona lettura.
Un abbraccio,
Giorgina_Snow

Come proiettile nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora