Travis si ferma all'entrata. Vede i miei bagagli e me pronta ad andare via.
Sfila il cappotto più in fretta che può, facendo prevalere la disperazione, avanzando con le mani in avanti mentre io indietreggio. «Te ne avrei parlato», dice tremando, intuendo le mie intenzioni. «Prima dovevo...»
Lo guardo male mentre Nan entra in casa avendo la sua stessa reazione alla vista delle mie poche cose in un angolo.
«No, non lo avresti fatto perché il tuo passato doveva restare tale, non è vero?» alzo il tono rabbiosa. «Perché io non faccio parte della tua vita. Perché sono solo una stupita ragazzina da proteggere, proprio come tutti quelli che hai tenuto al sicuro!» gli occhi bruciano ma non mostro alcuna lacrima. Non voglio dargli il potere e la soddisfazione di vedermi ancora spezzata. «Sei proprio come tutti gli altri», scuoto la testa e zoppicante lo supero.
Mi afferra per un polso e lo spingo. «Non toccarmi!» urlo abbracciandomi rivedendo le immagini dell'incendio, risentendo le mani di Patrick addosso. Flash che continuano a tormentarmi, a raggiungermi, a ferirmi.
Travis ha un sussulto, credo abbia capito. «Sediamoci e parliamone», dice cercando di mantenere la calma. Usa un tono sottomesso, non è proprio da lui.
«Parlarne? È da quando ci conosciamo che mi tieni nascosta la verità. Adesso non voglio neanche saperla. È tardi...»
Nan è sparita ma sulla soglia compare Emerson con il suo fidanzato, Brian. Nell'attesa le ho inviato la mia posizione. Quest'ultimo mi saluta con un cenno e prendendo le mie cose scende al piano di sotto senza fare rumore. Emerson invece guarda male Travis. «Sei proprio uno stronzo!» gli ringhia addosso come una mamma che intende difendere il proprio cucciolo di orso, circondandomi le spalle con un braccio.
«Bambi...»
«NO!» mi fermo urlando così forte da sentire le corde vocali spezzarsi. «No, Trav. Tu sai tutto di me mentre io... non ti conosco...» sussurro infine senza voce. «Non so chi sei e... non ti credo. Grazie per avermi illusa», giro sui tacchi seguendo Emerson che continua a guardare male ogni cosa.
Entriamo a rilento in ascensore a causa della mia andatura. Travis mi corre dietro senza attendere o perdere tempo, deciso a trattenermi. «Bambi, entra in casa e parliamo. Ti dirò ogni cosa. Te lo prometto. Ero fuori per risolvere proprio questo problema. Non pensavo di...»
Nego. Non voglio sentire un'altra bugia. Non voglio più ascoltarlo. Il mio cuore non reggerebbe. «Dimmi solo una cosa», lo guardo finalmente dritto negli occhi colpendolo con tutta la rabbia che mi circola dentro le vene.
Infila i pugni dentro le tasche dei jeans che indossa. «Tutto», non esita.
«Ti rendi almeno conto di avermi persa?» le porte scorrevoli si chiudono e stringo forte il pugno notando i suoi occhi spalancarsi. Emerson mi abbraccia nell'immediato vedendomi barcollare all'indietro . «L'appartamento è più che sicuro. Anche il parcheggio. Ho fatto la spesa e trovi ogni cosa in ordine perché ho fatto pulire ogni stanza da cima a fondo per farti sentire a tuo agio», mi tiene compagnia credendo che io stia per avere un crollo nervoso. In realtà vorrei, mi piacerebbe mettermi ad urlare come una pazza, dare di matto, ma non ci riesco. L'ennesimo colpo è arrivato e io ho sentito un dolore così intenso da perdermi.
Saliamo in auto e Brian accende il riscaldamento stringendole la mano. Non appena si guardano complici mi sento male, così male da sentire il bisogno di aprire il finestrino. Boccheggio cercando di eludere un pianto isterico ormai alle porte mentre l'aria fredda frusta il mio viso. E, mentre ci allontaniamo dalla zona per raggiungere l'appartamento, mi rannicchio dentro me stessa adagiandomi al buio. Perché è dove sono ripiombata in un attimo. Era troppo bello per essere vero. Una come me non sarà mai felice. Non avrà mai fortuna.
Emerson ad un certo punto del viaggio si volta. «Come va?» chiede.
«Bene», mento.
Lei fa una smorfia. Ancora una volta Brian le stringe la mano. Una fitta al petto mi toglie il respiro e attendo impaziente di arrivare a destinazione e chiudermi in una stanza. Isolarmi mi sembra l'unica soluzione al momento. Non sono di compagnia, rischio di mettermi a piangere per tutto e non sono dell'umore per parlare.
Quando finalmente arriviamo, rimasta sola dopo avere rifiutato ogni tipo di proposta da parte di Emerson e averla ringraziata, chiudo a chiave la porta. Stringo al petto il vaso con le rose e la scatolina portandola nella stanza degli ospiti dove è tutto pulito e in ordine, proprio come aveva detto in ascensore. Sistemo il vaso sul comodino, tengo la scatolina stretta e stendendomi cerco di trovare conforto nel sonno che, purtroppo non arriva.
Stanca e nervosa, raggiungo la cucina. Il mio telefono continua a squillare. Non ho ancora ascoltato i messaggi vocali della notte in cui la mia vita è stata distrutta, a cui adesso se ne aggiungono di nuovi che non riuscirò ad ascoltare perché devo prima razionalizzare. Soprattutto devo capire quello che voglio davvero nella mia vita adesso che sono rimasta senza una casa, senza una famiglia, senza un amico. Perché con Dan, lo so che è finita. Dopo avere saputo la verità dentro di me si è spezzato quel filo. E, quel legame che credevo potesse essere duraturo, forte, si è rivelato fragile e del tutto inesistente.
Tutti continuano a mentirmi. Ogni persona che ho conosciuto continua ad avere dei segreti che rischiano di trascinarmi sempre più a fondo. Perché nessuno è in grado di dire la verità.
Apro il frigo prendendo una zucchina, una patata, una carota e una confezione di tacchino tagliato a fette. Recupero anche la crema al formaggio da spalmare controllando gli ingredienti per non stare male. Accendo il fornello mettendo sopra la padella con un filo d'olio a scaldarsi poi taglio gli ingredienti mettendoli a soffriggere con della cipolla. Arrotolo le fette di tacchino con un cucchiaino di formaggio aromatizzato e quando le verdure sono pronte le aggiungo al piatto.
Mi trascino in soggiorno. Accendo la tv selezionando dalla lista uno dei miei film preferiti di sempre di Tim Burton e ceno in compagnia del mio attore preferito, emozionandomi ancora come se fosse la prima volta, per un film che so a memoria.
Affamata a causa del nervosismo, frugo in dispensa trovando una torta al cioccolato di quelle ben confezionate che si trovano dentro un contenitore rotondo di plastica con la scritta color oro sopra. Porto anche questa insieme ad un bicchiere e una bottiglia di vino in soggiorno. Mi stupisce che Emerson se ne sia ricordata, presa com'è con i preparativi per il suo matrimonio. Ovviamente le lascerò dentro una busta i soldi per il disturbo. Non voglio niente gratuitamente.
Il telefono squilla insistentemente. «Ti prego, smettila!» gli urlo riagganciando.
Ci riprova e inserisco il silenzioso godendomi la bottiglia di vino, il dolce e il film, il primo di una lunga serie per la notte che ho davanti in cui non riuscirò a chiudere occhio.
Quando controllo il telefono, tra le tante di Travis trovo una chiamata di zia Marin. Mi affretto subito a richiamarla.
«Bambi, figlia mia!»
Chiudo gli occhi abbassando il volume della tv. È proprio bello sentire la sua voce in un momento del genere.
«Come stai?» la voce mi trema ma riesco a tenere a freno ogni emozione generata dalle sue parole.
«Meglio. Non sto mentendo. Il dolore sembra essere passato per qualche ora. Forse anche grazie ai nuovi farmaci. Tu piuttosto? Ho visto ogni cosa in tv...»
Tremo dentro. «Abbiamo perso tutto», sussurro mortificata. Mi sento in colpa per non essere stata così forte da mettere subito al tappeto Patrick.
«Prima o poi sarebbe caduta quella catapecchia. Lo sai anche tu. Ma sarai così brava da ricostruirla mandando a fanculo tutti quelli che invece sperano diventi la casa degli orrori. Stanno facendo soldi a palate a spese nostre quei bastardi. Stupidi avvoltoi! E quel... porco spero marcisca all'inferno.»
Abbozzo un sorriso. «Si, quando mi riprenderò penserò anche a questo. Ma non è rimasto niente di mamma, di papà, dello zio...»
«È importante avere un oggetto fisico? Bambi, hai rischiato la vita. Ti sei salvata e dovresti solo essere grata per la fortuna che hai avuto. Da questo brutto momento, raccogli tutta la tua forza e trasformala in qualcosa di positivo. Ma adesso dimmi un po', quel Travis... è davvero il figlio di quell'uomo, l'ex capo delle forze armate?»
Alzo gli occhi al cielo. Zia Marin è il suo tentativo di fare gossip. Lo so che è curiosa ma io ne sono meno di lei. «A quanto pare si.»
«Non te ne aveva parlato, vero?» intuisce dalla mia voce che sono del tutto estranea.
«Si. Non mi ha detto niente di niente del suo passato. Originario di Washington, ragazzo per bene, figlio di papà, arruolato nell'esercito per seguire le orme del padre e del nonno. Dopo un brutto incidente è sparito nel nulla. E io l'ho incontrato... quante probabilità c'erano?» alzo la voce sentendo il vino iniziare a fare il suo effetto. Sto anche sorridendo con sarcasmo. «Potrei definirmi presa per il culo dal destino.»
«Non sai altro?»
«No, solo quello che ogni fottuta testata giornalistica, ogni programma televisivo continua a raccontare. Io... non so... chi è davvero Travis? Perché non ha avuto il coraggio di dirmi la verità. Non lo avrei giudicato. Non gli avrei mai detto di perdonare suo padre o suo fratello. Non gli avrei mai detto di farsi vivo con la sua famiglia perché non spetta a me decidere. Ma...»
«Sei arrabbiata e delusa perché non ti ha reso partecipe della sua vita come tu hai fatto con lui», conclude per me.
Sto annuendo come se potesse vedermi. Parlare con lei mi fa sempre stare meglio. Sa esattamente come farmi ragionare, come dialogare. Mi fa sentire adulta. Tracanno un altro sorso di vino. «Esatto! Mi ha solo fatto vedere il ragazzo con problemi di fiducia e quelli a causa dell'aspetto anziché mettermi davanti tutto il suo pacchetto d'oro e farmi decidere da sola se continuare una possibile relazione o altro.»
Zia Marin riflette un momento. «Magari non voleva proprio questo», inizia. «Non voleva che pensassi che fosse raccomandato, uno viziato, uno di quei soliti ragazzi ricchi con la puzza sotto il naso, boriosi. Insomma, hai visto quelle foto e lo hai conosciuto. Ti sembra come suo padre?»
Gratto la fronte massaggiandola. «No, lui non è come suo padre. Non è come quei ragazzi. Ma non ha avuto il coraggio di dirmi che nella sua vecchia vita era un soldato, il migliore a detta di tutti quelli intervistati. Non mi ha detto come ha avuto l'incidente che lo tiene sveglio la notte. Io... non volevo forzarlo ma... volevo saperlo da lui, non da terzi.»
«Doveva essere sincero. Spettava a te decidere se rimanere o meno. Inoltre avrebbe dovuto fidarsi visto che l'hai accettato senza esitare. Adesso dove sei?»
«Sono da un'amica», mi alzo e zoppicando cammino un po' avanti e indietro stringendo i denti. «Domani posso venirti a trovare...»
«No, rimani lì e non uscire. Io me ne starò a letto a dormire. Anche se mi sento bene percepisco una certa stanchezza nelle ossa. Ho le riviste, la tv e un libro. Ho ancora le tue candele. A proposito, grazie per quelle che odorano di caffè.»
«Figurati. Ma possiamo sempre...»
«Parlare al telefono. Non puoi uscire di casa o ti seguiranno. Tutti si aspettano una tua intervista. Sei diventata famosa», ride prendendomi in giro.
Non le rispondo a tono perché le voglio bene. «Famosa e senza più un ragazzo a quanto pare», dico con una smorfia fermandomi e bevendo un altro sorso di vino.
«Un ragazzo che ami e che stai facendo scappare per non affrontare le conseguenze del suo passato. Vuoi un consiglio: tieni accanto chi sa affrontare i problemi, chi ti urla addosso e ti infastidisce per chiarire. Tieni accanto chi non cerca scorciatoie, chi ti regala un sorriso, un nuovo battito. Tieni accanto chi c'è e ci sarà sempre nonostante tutto. Nonostante te. Soprattutto tieni accanto quella persona che anche se a volte sembra distante sa come tenerti vicina. Adesso però dimmi: quante chiamate?»
«Troppe, peggio di uno stalker», sbuffo come una bambina.
Ride tossendo. «E perché non gli rispondi? In fondo non lo vedi. Puoi solo parlargli, urlargli addosso e poi riagganciare.»
«Perché mi sento tradita. Ma non è per chi è veramente è per il fatto che non me lo ha detto. Lui non si è fidato di me.»
Sospira. «Magari ha avuto paura quando gli hai dimostrato che saresti rimasta.»
«Paura di cosa?»
«Paura che te ne saresti andata dopo avere saputo del suo passato. Pensaci bene: hai visto la sua faccia e hai ingoiato il rospo. Avresti fatto lo stesso quando ti avrebbe detto del peso che porta sulle spalle ogni giorno?»
«Avrebbe dovuto fidarsi di me e basta. Mi sento presa in giro. Mi sento una stupida perché...» sprofondo sul divano. «Perché tra tutti i ragazzi mi sono innamorata di lui?»
«Perché hai visto in lui qualcosa che tutti gli altri non hanno. Qual è, che cosa ti ha colpito di lui?»
«La sua delicatezza, il suo essere spontaneo e tenace...»
Sento il suo sorriso e anche il mio si fa strada sulle labbra. «Io lo odio!»
Ride. «Se continuerai a farmi ridere così mi verrà una sincope e morirò prima del previsto. Tu non lo odi. Tu lo ami e devi sbollire un po', scaricare la rabbia, affrontarlo e poi riprendere in mano la tua vita.»
«Grazie», sussurro.
«Adesso devo riagganciare», brontola. «Tra poco passano per il controllo e devo fare spaventare quel pivellino», tossisce ghignando.
«Ti voglio bene. Non fare arrabbiare chi cerca di aiutarti. Quel poverino ti guarda come se fossi sua madre», uso un tono di finto rimprovero.
«È divertente. In fondo lo sa che gli voglio bene. Buona notte e pensa a quello che ci siamo dette.»
Dopo la chiamata mi sento sfinita. Bevo l'ultimo goccio rimasto dentro il bicchiere sentendo le guance in fiamme, la mente leggera. Fisso lo schermo mentre le lancette dell'orologio proseguono senza interruzioni ingigantendo la mia ansia.
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...