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«Forse non sono tagliata per essere felice.» Sto riflettendo da un paio di minuti giungendo a questa conclusione. Lo dico ad alta voce, in un dialogo con me stessa.
«Potremmo essere infelici ma insieme, che ne dici?» piega la testa di lato prima di avvicinarsi pericolosamente. Mi sfiora la guancia con le labbra e sento la pelle formicolare laddove la barba ha sfregato pungendomi. Le sue mani si spostano dai miei fianchi verso le costole, con molta attenzione alle zone colpite che lui ha visto e sa che sono ancora in fase di guarigione.
Blocco il suo gesto. «Non possiamo risolvere i problemi in questo modo», dico con rimprovero. In parte anche frustrata.
Sbuffa affondando il viso sotto il mio mento. «Sicura di non avere il ciclo? Sei nervosetta in questi giorni, troppo. Non voglio risolvere con un bacio i problemi che abbiamo. Voglio risolvere i problemi dopo avere fatto pace che è diverso, cara mia Miss brontolo sempre in fase mestruo», esclama.
Stringo le labbra ma alla fine sorrido. La sua battuta mi ha regalato un momento di allegria. Allo stesso tempo prendo consapevolezza del fatto di essere sempre stata un po' troppo sulle mie con lui. «Scusami, è solo che ne ho passate davvero tante nell'ultimo periodo e... la situazione mi sta sfuggendo di mano. Il ciclo mi è passato o non avrei fatto il bagno insieme a te», lo guardo complice. Sulle sue guance si deposita subito un alone di rossore. Intuisce a cosa mi sto riferendo e sorride baciandomi la guancia. «Bene, facciamo pace? Voglio affrontare ogni cosa come un adulto.»
«Mi stai dicendo che mi sto comportando da bambina? Grazie tante!»
Non risponde guardandomi e suggerendomi che è proprio così. Istintivamente lo spingo senza forza e mi regala un altro sorriso. «Ok, devo essere sincero. Un po' si. Ma hai avuto una reazione, non ti sei chiusa troppo e l'accetto. Adesso però smettiamola. Noi due non possiamo dividerci in questo modo», afferma con tenerezza guardandomi speranzoso.
Gratto la fronte prendendo un lungo respiro. Avvertendo una fitta alle costole mi sposto sul divano mettendomi comoda. Travis accorgendosi della smorfia che ho appena accennato si avvicina e allarmato sistema dietro le mie spalle i cuscini per permettermi di stare meglio, a mio agio. Mi prende poi per mano e sedendosi sistema le mie gambe sulle sue ginocchia. Adesso siamo vicini. Sporge il viso e il suo fiato pizzica le mie labbra che fremono dalla voglia di ricevere un suo bacio. Mi sto trattenendo per non compromettere lo stato naturale delle cose. Abbiamo avuto una discussione proprio perché non mi ha reso partecipe della sua vita, di quel passato dalla quale sta scappando fingendosi senza memoria. Ma se c'è una cosa che ho bene imparato è che prima o poi tutto torna. Non importa con quante pietre copri un buco. Alla fine il terreno frana e queste rotolano lasciando di nuovo uno spazio vuoto.
Travis gioca con le mie dita rilassandosi un momento. Sembra così normale come momento che per un attimo dimentico la ragione di ogni mia fuga.
Perché lo so che sono fatta sbagliata. Quando le cose iniziano ad andare male, per istinto scappo. Non lo faccio per mancanza di coraggio. Lo faccio per non sentire troppo e forte il peso della delusione.
Guarda il tetto, l'enorme divano su cui siamo seduti. Il camino a poca distanza. Si concentra poi sulla vetrata priva di tende. Ammira il panorama, il cielo minaccioso. Ma non si sente a casa. Non si sente al sicuro. Si volta a guardarmi come se avesse intuito i miei pensieri su di lui.
«Mi manchi», sussurra e abbassandosi mi dà un bacio vicinissimo alle labbra.
La mia mano trattiene il suo viso. Il gesto lo coglie impreparato. Noto infatti le sue pupille dilatarsi anche se in un tempo diverso. Sfioro la cicatrice a forma di stella, la carne rosea, i solchi sul viso chiaro. «Mi ripeti quello che hai provato?»
Guarda le mie labbra. «Quando stai per morire non provi terrore o meglio, lo provi ma solo all'inizio, poi lasci spazio a molte altre sensazioni. Io, ho accantonato la paura per mettermi in salvo pur sapendo che poteva essere tardi. Ma l'ho fatto. Forse perché in quella frazione di secondo ho avuto il pensiero di non volere morire o perché ho sentito che non poteva essere davvero giunta la mia ora. In parte quel giorno credo di avere sfidato il destino.»
Gioco con la barba intorno alle labbra. Non è molta ma la sento lo stesso sotto i polpastrelli che, curiosi continuano a toccarlo. Lui non sembra infastidito dai miei gesti. All'inizio lo era, poi ha capito che la mia non è pietà. «Hai avuto paura?»
Increspa le labbra. «No, solo un mucchio di rimpianti. Ma credo sia normale, forse un po' scontato.»
Segue ogni mio movimento. Il pollice sfiora le sue labbra, il contorno definito soffermandosi su quello inferiore, carnoso al tatto, un po' secco a causa forse dei morsi dati nel tentativo di non dire la cosa sbagliata. «A cosa hai pensato?»
«Che ad aspettarmi non ci sarebbe stato nessuno», gratta la tempia distogliendo lo sguardo oscurato da un pensiero insostenibile, direi quasi inaccettabile.
Corrugo lievemente la fronte. Con il palmo sulla sua guancia lo costringo a guardarmi. «Non intendi la tua famiglia.»
«No», sussurra battendo piano le palpebre. «Mi sono sentito solo, Bi.»
Il mio cuore riceve come una scossa iniziando a battere frenetico. La tenerezza con cui lo dice mi destabilizza.
Brutta bestia la solitudine. È come veleno, ti uccide lentamente.
«Quando terminava ogni missione, ognuno dei miei compagni tornava sempre da qualcuno. Dovevi vederli come erano entusiasti. Al contrario, ero l'unico che non tornava a casa, che accettava senza aspettare un nuovo incarico. Lo facevo perché non volevo rendermi conto di non avere nessuno pronto ad aspettarmi.»
Mi si stringe il cuore per lui. Deve essere stato difficile vivere nella solitudine facendo finta di essere a proprio agio con quel vuoto costante addosso, intorno.
Le sue dita sfiorano ancora le mie giocandoci. «Non ti fermavi mai da qualche parte per svagarti?» Chiedo ascoltando attentamente ogni cosa.
Fa una smorfia. «Dopo ogni missione, ritenendomi fortunato per non essere ancora morto, tornavo a casa ma andavo a trovare i miei nipoti e il giorno dopo ripartivo senza indugio. Nessuno mi vedeva per più di due o tre ore. A volte non facevo neanche tutte quelle ore di aereo per tornare indietro con il cuore colmo di solitudine. Mi rifiutavo. Ero come una macchina: programmato male.»
Accarezzo la sua guancia e si avvicina. Ogni mio muscolo, fibra, cellula si tende. Lo sento ovunque. Lui è ovunque ormai. «Non uscivi con nessuno, non so... magari per una birra o...»
«Solo con i colleghi. Le colleghe avrebbero tanto voluto la mia compagnia ma non facevano per me. Troppo competitive tra loro e pronte a lanciarsi sul primo scapolo con cui farci un figlio o due subito e poi lamentarsi del matrimonio fallito. Erano tante quelle che piangevano per questo standosene sedute al bar ubriache.»
Mordo il labbro. Si accorge della mia esitazione. «Chiedi pure», incurva il labbro facendomi arrossire. Ha sempre avuto quel modo strano di capirmi al volo. Come se recepisse all'istante ogni mio fugace pensiero. Come se le nostre menti, i nostri pensieri fossero in qualche modo connessi.
«Hai... sei mai andato a letto con una di loro?»
Inumidisce le labbra. «Le tentazioni sono tante quando sei uno che non riesce a trattenerlo dentro i pantaloni. Ma io avevo altri obbiettivi», mi guarda complice. L'altra mano mi massaggia la gamba alleviando il dolore che sento irradiarsi dalla caviglia. «Quindi per rispondere alla tua domanda: no, non sono andato a letto con nessuno in quel periodo.»
«E come hai fatto ad aspettare?»
Alza le spalle. «Ne vale la pena, fidati.»
«Oh, ne so qualcosa.»
Si avvicina ancora. Le mie dita sfiorano le sue labbra. Chiudo gli occhi. «Posso rispondere a qualche altra domanda se vuoi», sussurra.
Scivolo un po' per allontanarmi e concentrarmi. «Ad oggi pensi che aspettare sia stata la cosa giusta? Ti sentivi solo ma non hai mai cercato di conoscere qualcuno... perché?»
La sua mano si ferma sulla mia coscia. La mia domanda sembra proprio averlo colpito da qualche parte, in un posto profondo. «Ad oggi si. Ma in quegli anni non avevo alcuna certezza. Non sapevo se sarei sopravvissuto, per questo non cercavo nessuno. Inoltre, non avevo ancora incontrato una persona che mi interessasse a tal punto da mandare a puttane ogni cosa. Ho fatto bene a sfidare la sorte quel giorno, in fondo.»
Sorrido e si rilassa. «È la dichiarazione più bella del mondo questa, lo sai?» gioco con il solco sull'occhio, quello a tagliargli il sopracciglio. Allontana la mia mano abbassandosi. Scivolo ancora fino a stendermi e lui non si ferma. Il palmo sulla coscia risale sul fianco, sulla spalla, sfiora la gola, affonda tra i capelli. La mia pelle brucia al passaggio delle sue dita calde e morbide.
Ansima lievemente. «Per te manderei ancora a puttane tutto.»
Guardo le sue labbra. Ancora una volta mi sento in bilico. C'è una parte di me che desidera un bacio ad alleviare tutto, quella orgogliosa al contrario mi frena, mi chiede di fare attenzione. Di non essere così stupida a cedere. «A cosa pensavi prima di addormentarti?»
Riflette sulla domanda, in parte ripensando a quei momenti apparentemente lontani ma che hanno fatto parte della sua vita. «A volte non dormivo neanche. Non era per i rumori o per l'ansia di subire un attacco. Mi piaceva uscire quando il cielo era così buio da oscurare tutto intorno e fissavo per ore le stelle. A volte avevo come il timore di perdermi dopo averlo fatto a lungo. Avevo paura di guardarmi intorno e rendermi conto di non essere andato lontano ma di essermi illuso. Quando invece potevo dormire perché non correvo alcun rischio, mi stendevo e immaginavo una vita diversa.»
Si sdraia su un fianco. «So cosa stai per chiedere e immaginavo sempre di non essere nato in una posizione avvantaggiata. Di non trovarmi più in una zona di guerra. Magari di svegliarmi, passare la mano sull'altro lato del letto e non trovarlo vuoto. Di avere una casa e una famiglia tutta mia.»
«E adesso?»
La domanda in qualche modo sembra coglierlo alla sprovvista. Mi guarda come se non avesse più alcuna certezza. «Adesso non dormo.»
«Questo lo so. Ma puoi ancora immaginare. È cambiato qualcosa?»
Annuisce. «Si», mormora appoggiando la testa sulla mia spalla. «Che cosa?»
«Che ci sei tu ad aspettarmi fuori dalla porta», mugugna.
Mi volto e lui mi guarda intensamente. «Io... da sola?»
Sorride negando. Lo vedo imbarazzato. Un dettaglio che non mostra spesso ma che quando lo fa mi incuriosisce, mi regala un brivido, una sensazione piacevole dentro. «Non voglio andare oltre per non spaventarti», esclama.
«Voglio saperlo lo stesso.»
Circonda il mio ventre con un braccio valutando attentamente. «Posso essere sincero e smielato?»
Stringo le labbra per non sorridere. «Si.»
«Tu e il nostro bambino in braccio. C'è anche un cane, per esagerare», sorride sulla mia pelle. «Mi sto sentendo un coglione!» Trattiene il fiato.
«Potrebbe essere anche una bambina», lo stuzzico.
Alza il viso sorridendo. «Se proprio devo immaginarla, ha i tuoi occhi e per me va più che bene ma... ne sarei geloso fino ad asfissiarla.»
Rido. Mi bacia il collo. «Facciamo pace?»
«Pensavo stessi per chiedermi di fare un bambino», rido asciugando le lacrime agli angoli degli occhi.
È serio anche se nasconde il divertimento. «Credo sia presto, ma possiamo lavorarci. Facciamo pace?»
«Abbiamo già fatto pace», sussurro chiudendo gli occhi.
«Quando?»
Sbircio e mi sta scrutando più che concentrato, con un sopracciglio alzato. «Quando mi hai detto ti amo.»
Mi bacia senza trattenersi oltre alleviando finalmente il bruciore che sento nello stomaco, dentro le viscere. Morde le mie labbra tirandole a sé. «Voglio fare davvero pace con te. Da adesso saremo sinceri e non ci spaventeremo, promettilo?»
Lo guardo con sospetto. «Nascondi qualcos'altro? Altro da dichiarare?»
Nega. «No. Ti ho detto tutto.»
Lo avvicino mettendo fine all'agonia. «Posso restare con te?»
«Si», sussurro senza pensarci. Lo voglio accanto a me. Voglio che sia presente.
«Lo so che non ti fiderai come prima ma troverò un modo per risolvere le cose.»
«Trav»
«Si?»
«Grazie per avermi salvata. E perché mi ami.»
Mi sorride sulla pelle dandomi un lungo bacio sul collo che rischia di fare qualche danno al mio cuore impazzito e sul punto di scoppiare fuori.
«Dormi piccola.»
«Non te ne vai?»
«No», risponde deciso.
Mi rilasso fino a perdermi, avvolta da una piacevole sensazione.
L'odore del caffè. Il profumo della colazione e uno strano silenzio mi risvegliano. «Trav», lo cerco assonnata immaginando di non trovarlo al mio fianco. Il cuore infatti si sta già aspettando quella fitta di dolore dovuta alla sua assenza.
«Sono qui»
Mi volto e più che dolorante mi alzo in piedi raggiungendolo in cucina. Se ne sta seduto sullo sgabello. Il sollievo iniziale si tramuta presto in apprensione. Travis ha una strana espressione. Mi passa una tazza di caffè e il giornale senza guardarmi. Abbasso gli occhi leggendo le prime righe di un articolo su di lui. Mi siedo leggendo attentamente mentre sorseggio la bevanda calda che non mi offre alcun conforto.
«Ti dipingono come un eroe. Come un ragazzo per bene. Parlano di uno sfortunato evento e della tua famiglia. Intendi davvero fingere di non ricordare niente?»
Lo conferma senza esitazione. Allora mi alzo e dopo avergli rubato un bacio zoppico in camera degli ospiti dove ho tutte le mie cose. Apro la valigia recuperando la fotocamera.
«Useremo questa», dico tornando in cucina.
Dapprima non capisce. I suoi occhi poi si sgranano. «Bambi io...»
«Ti fidi di me?» accendo la fotocamera puntando l'obbiettivo su di lui. Prima che possa fermarmi scatto a raffica e lui, anche se tristemente sorride. Approfitta della distrazione afferrandomi per i fianchi avvicinandomi a sé. «Rendimi partecipe della tua idea o del tuo piano.»
«Faremo un video in cui tu non mostrandoti in volto spieghi che non sei quello di cui tutti parlano e che non ricordi niente. Infine chiedi di essere lasciato in pace.»
Non sembra convinto. «Credi che funzionerà?»
Alzo la spalla. «Forse ci darà il tempo per pensare a qualcos'altro», lo guardo prima di scattagli un'altra foto.
Mi toglie dalle mani la macchina fotografica posandola sul ripiano a debita distanza e avvicinandomi mi bacia. Lo fa lentamente premendomi la mano sulla schiena. Gli circondo il collo con le braccia lasciandomi sollevare. Fa molta attenzione a non provocarmi dolore e succhia la pelle sul collo provocandomi un gemito. Mi agito su di lui ed ansima. «Preparati», dico staccandomi prima di perdere il controllo.
Si guarda. «Dobbiamo tornare a casa. Non sono vestito adeguatamente. Voglio che si noti la differenza.»
Guardo l'appartamento di Emerson che, in qualche modo non riesco proprio a sentire mio. Non è come lo voglio.
Lui mi stringe il mento con una mano guardando il livido con una smorfia. So che si sente ancora in colpa. Ma non è successo perché ha avuto un imprevisto al lavoro. È successo perché ho sempre difeso la persona che al contrario non ha fatto altro che mentire.
«Ti va di tornare? Scegli tu in quale dei due appartamenti.»
Ci penso sopra. «Trav...»
Si incupisce. «Ti prego!»
Lo abbraccio. «Ok, posso farcela», sussurro più a me stessa.
Mi sistema sul ripiano divaricandomi le cosce. Mi morde il mento, il labbro inferiore. Richiama così la mia attenzione notandomi altrove con la mente. «Non vederla come una costrizione.»
Sfioro il petto ascoltando i suoi battiti. «E tu non mentirmi mai più.»
Mi bacia abbastanza sensualmente da farmi eccitare. Mugolo e lui insieme a me. «Chiamo Mitch, organizziamo tutto e passiamo del tempo insieme senza più perderne di prezioso. Che ne dici?»
«Ok, ma voglio andare a trovare zia Marin. Lei mi ha chiesto di non farlo ma sono preoccupata e...»
Sta negando. «Ti riconosceranno e ti seguiranno.»
Faccio una smorfia. Avevo dimenticato questo dettaglio. «Lo dice anche lei», rispondo corrucciata.
Passa il palmo sul viso. «Ascoltami, so che ti fa stare male tutto questo ma risolverò ogni cosa.»
Lo avvicino. «Lo spero», dico guardandolo da sotto le ciglia. Ci abbracciamo.
Pronta a partire, lascio una busta con i soldi sul tavolo, avvisando Emerson del mio ennesimo trasloco. Risponde dicendomi che è felice della mia decisione e di tornare quando voglio. Ovviamente si arrabbierà quando troverà la busta. Ma non voglio avere debiti di alcun tipo.
Arrivati all'appartamento di Travis, dopo un viaggio abbastanza silenzioso e furtivo, mi ritrovo nel piccolo studio dove tutto ha avuto inizio.
Sto sistemando l'attrezzatura per il video mentre Travis prepara un breve discorso continuando a ripeterlo più che ansioso.
Quando non sopporto più la sua ansia, lo spingo fuori lavorando in silenzio.
«Finito?» Chiede sbirciando dopo un paio di minuti.
«Si, siamo pronti. Faremo delle prove poi sceglieremo il video migliore da mettere online e sarà fatta.»
Travis aggiusta la cravatta lisciando la giacca del completo poi si siede comodo sulla poltrona girevole. Schiarisce la gola facendomi cenno di avviare la registrazione.
«Buona sera, mi chiamo Travis Williams. Come molti di voi già sanno, circa quattro notti fa la mia ragazza è stata coinvolta in un bruttissimo incidente. Uno squilibrato ha tentato di ucciderla. Adesso non sta bene ma sono sicuro che presto potrà dimenticare l'accaduto tornando a vivere senza la paura di essere seguita, perseguitata o fotografata e fermata. Dopo quello che ha vissuto a causa di un bastardo, non penso sia la cosa migliore da farle. Tutta questa pressione non le fa bene. Per questa ragione oggi sono qui e voglio chiedervi di lasciarci in pace. Di non continuare ad alimentare una storia che per noi si è già conclusa negativamente», incrocia le mani sulla scrivania.
Sono spiazzata dalle sue parole. Non era questo il discorso che avevamo preparato. Lo guardo e lui guarda me, mi vede. Mi fa sentire protetta. Amata. Così tanto da averne paura.
«So cosa vi starete chiedendo. Non mi vedete in viso perché tempo fa ho subito un brutto incidente. Approfitto di questo momento per chiedervi di non parlare più di me. Volevo solo rendervi partecipi del fatto che non ricordo niente della mia vita passata o di quello che è accaduto quel giorno. Io sono Travis Williams. Non sono Travis Jones. Di quella vita io non ricordo niente. Tutto quello che ho è quello che ho trovato e costruito dopo un incidente di cui, ripeto, non ho memoria. Per questa ragione, se questa storia dovesse continuare a ledere la mia persona e a coinvolgere la mia ragazza, userò le vie legali. Per proteggermi. Per proteggere chi amo. Vi auguro buone feste e buona vita.»
Stoppo la registrazione avvicinandomi a lui che mi fa sedere sulle ginocchia. «Come sono andato?»
Premo le labbra sulle sue tappandogli la bocca. «Ti amo», sussurro lasciandolo come un ebete uscendo dallo studio per andare a montare il video.
Mi metto comoda al lavoro più che emozionata e ancora accaldata per l'impeto avuto.
Accendo il portatile attendendo il caricamento. Mi era mancato usare i programmi di editing. Dopo avere aggiustato le luci, il contrasto e tutto il resto, guardo le foto scattate poche ore prima rimanendo concentrata su quel sorriso a tratti dolce, a tratti sfacciato che mi ha cambiato la vita. Mordo il labbro.
«Che cosa guardi?» Travis si siede accanto sbirciando lo schermo del portatile dove il video è in fase di salvataggio. Apre il sacchetto di patatine sgranocchiando nervosamente.
«E quelle? Fa vedere?»
Tiro indietro la macchina fotografica rubandogli una patatina. «Non azzardarti a toccare un solo tasto di questi. È ancora collegata al portatile», ringhio minacciosa biascicando.
«Ok», mette le mani avanti leccandosi le labbra piene di sale e paprika. «Fammi vedere», dice nascondendomi l'ansia con uno sguardo sereno cacciando in bocca una manciata di patatine.
Gli passo la macchina fotografica tenendolo sotto controllo. Osserva le foto una ad una. «Ma tu non ci sei», dice arricciando il naso.
«Guarda ancora», sorrido.
«Ma...» balbetta osservando le immagini di noi abbracciati sul bancone poche ore prima. «Devi avere premuto il tasto sbagliato quando mi hai tolto la fotocamera dalle mani ed ecco a te le nostre effusioni! Siccome alcune erano tenere ho estrapolato le foto», spiego.
Sorride. Non è arrabbiato. Mi sembra strano. «Se vuoi posso eliminarle...»
Nega immediatamente. «No, sono naturali. Sono belle. Possiamo stamparle?»
Il portatile emette un trillo distraendoci. «Sei pronto?» dico.
Drizza le spalle. «Ok, procediamo», fissa le mie dita sulla tastiera e quando ho finito, chiudo velocemente il portatile alzandomi. «Ho bisogno di aria», dico sventolandomi. Non pensavo di poter provare una sensazione così strana dentro. Non è disagio ma ansia allo stato puro. Mi distrae e non poco.
Travis mi prende in braccio. «Dove andiamo?»
«Fuori», risponde con sicurezza.
Saliamo le scale, superiamo la sauna e poi eccoci, siamo sul balcone, davanti a noi la piscina quadrata. Sull'acqua si specchia il cielo. La tettoia a fare da cupola.
Travis si spoglia davanti a me non sentendo neanche freddo. Mi abbraccio. «Che fai? Si gela!»
Muove le braccia come per scaldarsi poi si tuffa in acqua. Quando riemerge urla divertito e guardandomi mi fa cenno di entrare. «Non essere timida. L'acqua è calda. Promesso!»
Ci rifletto poi mi viene in mente la sua espressione quando è riemerso dall'acqua e inizio a sciogliere la fasciatura. Mi spoglio davanti a lui che all'angolo, messo comodo, si gode lo spettacolo.
Decido allora di farlo bene, proprio come si deve. Tolgo i vestiti superiori lentamente, sensualmente.
Travis si agita. Quando ho finito sfioro con un piede l'acqua poi mi tuffo e quando riemergo urlo anch'io sorridendo a causa dell'impatto della pelle fredda con l'acqua calda. Vengo afferrata da dietro e mi volto di scatto. Tante piccole gocce sul suo viso serio. I capelli scuri sulla fronte. Gli occhi. Maledetti occhi che mi trascinano sempre da qualche parte, lontano. Ed io che provo per lui un sentimento così forte da farmi sentire leggera e stordita.
Mi avvinghio a lui. Il mento sulla superficie come il suo. Il tepore dell'acqua calda a sciogliere i muscoli tesi.
«Sono poche le volte in cui ti ho fatto un complimento. In questo momento ne ho così tanti dentro la testa da non riuscire a sceglierne uno», soffia accaldato. «Non ne trovo uno adatto. Mi sto sentendo un imbecille.»
Deglutisco. «Provaci», dico con un filo di voce.
«Se ti dico che ti amo faccio prima», mi sussurra a fior di labbra.
Sorrido mentre ci spingiamo verso il vetro a fare da inferriata. Guardiamo di sotto e rimango colpita dalla bellezza della vista. Mentre il mondo si prepara ai primi fiocchi di neve, noi siamo in intimo, in una piscina riscaldata e all'aperto a rilassarci.
«È bellissimo», alzo il viso mentre la neve scende lenta dal cielo.
«Si», mormora d'un fiato.
Mi volto e lui mi sta guardando intensamente come si guarda una cosa meravigliosa, unica. Mi aggrappo ancora a lui che prova a baciarmi ma scappo per uscire dalla piscina.
Mi ferma. «Rimani», sussurra.
Sfioro con la punta del naso il suo. «Questo significa che scenderai con me per strada a fare il pupazzo di neve più bello?»
«Ma neanche per idea!»
Lo guardo con occhi dolci. Le sue mani scendono sulle natiche in risposta. «Trav...»
«Uhm?»
Sorrido e lui rimane spiazzato. Mi solleva fuori dall'acqua baciandomi ed io rido. Sentendo freddo mi dimeno tornando con le spalle sotto la superficie, al caldo. «Scendi a fare il pupazzo con me?»
Sbuffa. «Mi sto rammollendo. E va bene!»
Rido abbracciandolo. «Mi piacerebbe rimanere qui ma devo chiamare zia Marin, lavorare... andare avanti...»
«Prenditi un giorno libero oggi», dice pensando a qualcosa.
Assottiglio gli occhi. «Che hai in mente?»
Mi solleva fuori dall'acqua poi avvolgendomi con un asciugamano mi porta al piano di sotto. Arriviamo in soggiorno dove ci sono delle scatole di varie misure che prima non c'erano.
Si muove con disinvoltura tra le sue cose. «Che ne dici di addobbare l'albero? Non l'ho mai fatto.»
Rimango spiazzata. «Tu... non hai mai fatto l'albero in questi cinque anni?»
«No. Non avevo niente da festeggiare o qualcuno con cui passarlo.»
Aggrotto le sopracciglia. «E che cosa facevi esattamente?» Mi avvicino.
«Di solito mangio una pizza, guardo la tv, una partita... cose normali. È sempre stato un giorno come gli altri.»
«Sei la persona più triste e noiosa che io abbia mai conosciuto», esclamo con sarcasmo aprendo la prima scatola dove all'interno vi sono un mucchio di palline rosse, argento e trasparenti con degli oggetti all'interno. Alcune di queste hanno le stelle, altre delle palline morbide.
Travis monta l'albero accanto al camino, di fronte la vetrata. «Non ricordo... da cosa parto?» Chiede grattandosi la tempia.
«Le luci», rispondo senza indugio e lui esegue.
Vedendomi timida con una pallina in mano, ad osservarlo, mi avvicina a sé e baciandomi la fronte mi incita ad addobbare l'albero insieme a lui. «In realtà sono anni che non lo faccio», ammetto. «Ho sempre messo qualche decorazione qua e là in casa.»
Sorride seguendo la mia sequenza di colore delle palline e in breve riempiamo l'albero. Alla fine rimane la stella e lui mi solleva per metterla sulla punta dell'albero che, profuma tantissimo di natura.
Mi lascia scivolare su di sé. «Dobbiamo festeggiare e brindare, al nostro bellissimo albero fatto insieme», dice e staccandosi va a prendere due calici e una bottiglia. Sembra in estasi. Mi piace vederlo così felice.
Beviamo un sorso poi attendo come una bambina che accenda le luci. Recupero nel frattempo la macchina fotografica e quando l'albero prende vita, immortalo il ricordo. Di nascosto gli scatto persino una foto mentre se ne sta di spalle ad ammirare la nostra opera.
Travis si volta e avvicinandosi mi abbraccia. Oscilliamo da una parte all'altra. «Sarà il nostro primo Natale insieme?» Chiede impacciato. È come se avesse paura di non trovarmi al risveglio.
Bacio le sue labbra per rassicurarlo. «Vuoi passarlo insieme a me?»
«Devo rispondere o metti dentro questa zucca dura che ti ritrovi che ormai per me sei importante? Ti voglio con tutto me stesso. Ormai sei come un tatuaggio. Sei permanente sulla pelle.»
«Spero allora di non essere uno di quei tatuaggi troppo bene in vista, perché con il tempo ci si stanca», esclamo con sarcasmo. «A proposito, come mai non ne hai uno?»
«Perché non ho mai trovato un valido motivo per farlo. Molti si tatuano le date io invece non voglio qualcosa di così banale e comune. Non mi serve un tatuaggio per ricordarmi di una persona, di quando l'ho conosciuta, non so se mi spiego.»
Sorrido e sfiora la mia bocca incurvata all'insù. «Troveremo qualcosa da farti tatuare, magari in fronte», ghigno.
Ride. «Forse serve a te un bel tatuaggio lì», esclama reggendo il gioco.
Sentiamo una voce schiarirsi. Nan ci interrompe. Sotto il suo sguardo mentre sciolgo l'abbraccio diventando rossa come un peperone sino all'attaccatura dei capelli, specie quando si sofferma sugli asciugamani che portiamo, provo a ricompormi.
«Abbiamo fatto l'albero. Travis era un po' arrugginito. A dire il vero anch'io. Che te ne pare? Siamo stati bravi?»
Nan apre e richiude la bocca forse non aspettandosi da me questa spiegazione. «Ottimo lavoro», dice con una strana espressione in faccia.
«Che succede?» Travis è già in allerta. Conosce Nan come le sue tasche.
«Mi dispiace rovinarvi il momento. Scusatemi davvero, ma dovete vedere la tv», detto ciò ci spostiamo a pochi passi.
Travis appare nervoso quando preme il tasto di accensione. Rimaniamo tutti e tre in piedi.
«Hanno ripostato in tanti il vostro video ed è diventato virale», spiega. «Ma c'è anche una cosa che devi vedere», Nan prendendo il telecomando dalle sue mani cambia canale.
Immediata la reazione di Travis che indietreggiando scuote la testa. Suo padre sta parlando in tv lasciandosi intervistare da una giovane donna dai capelli cotonati di un biondo paglierino che non si muovono neanche con il vento che sembra esserci davanti alla mastodontica villa.
Nan aumenta il volume. Non credo sia una cosa positiva da fare visto che Travis sembra sempre più cupo e taciturno. «Signor Jones, ha visto il video in cui suo figlio dice di non ricordare niente? Che cosa ne pensa?»
L'uomo finge di essere provato dalla notizia. «Temo possa essere vero. Travis potrebbe avere riportato una serie di problemi e danni in seguito all'incidente avuto sul campo di battaglia. Ma ciò non toglie che sia mio figlio», fissa la telecamera come se sapesse tutto, come se conoscesse il piano di Travis e stesse solo contrattaccando per farlo cedere. Sfrutta il mezzo per raggiungerlo. Per terrorizzarlo.
«Che cosa intendete fare adesso che avete saputo che è vivo?»
Prende un respiro. «Lo riporteremo a casa, mi sembra ovvio. È qui il posto in cui lui deve stare. Con il tempo e le dovute cure magari ricorderà qualcosa.»
Travis ha un sussulto. Stringe forte il pugno in vita trattenendosi a stento. «E se io non volessi?» Mormora.
«Deve prima chiedere un parere a suo figlio, non crede?»
«Certo», l'uomo appare a disagio.
«E della sua ragazza che mi dice? Vorrebbe conoscerla?»
Drizzo le spalle. L'uomo dai capelli bianchi tenuti ben pettinati e in ordine non cede. «Rivoglio solo indietro mio figlio. Non importa se lui sia sposato o abbia una ragazza», i suoi occhi diventano rossi. Finge proprio bene, mi dico odiandolo nel profondo.
«Voglio solo rivedere mio figlio e avere delle risposte. Per quanto riguarda la ragazza, fidanzata o moglie che sia, sarà bene accetta nella nostra famiglia», fatica a pronunciare queste parole mantenendo il controllo, gonfiando poi il petto si prepara ad una nuova domanda da parte della giornalista che non sembra più a suo agio.
Travis spegne la tv lanciando il telecomando contro la parete, per poco non perfora lo schermo. Emette un verso simile ad un basso ringhio. Borbotta qualcosa. Lo vedo teso, gira sui tacchi e sparisce dal soggiorno come una furia. Rimango spiazzata dalla sua reazione. Cerco una risposta da Nan ma lei tanto quanto me sembra preoccupata e sorpresa. «Va da lui, nel frattempo io farò aumentare la sicurezza e troverò una soluzione. Dobbiamo tenere Travis alla larga da quell'uomo», dice severa. «Vai!»
Annuisco anche se scossa e come un robot raggiungo l'ufficio di Travis.
Busso ma non sentendo risposta mi permetto di aprire e lo trovo in preda al panico, aggrappato alla sbarra della vetrata.
Mi avvicino più in fretta che posso a lui e lo abbraccio. «Ehi, guardami», dico decisa. «Guardami!» Ripeto.
Abbassa gli occhi respirando sempre più a fatica. «Io non conosco la ragione di questo tuo attacco di panico improvviso ma percepisco che tutto abbia a che fare con qualcosa che riguarda tuo padre. Adesso ci sediamo e ne parliamo, ti va? Oppure se non ti va andiamo a mangiare un po' di yogurt», propongo allontanandolo dalla finestra prima che possa anche solo colpirla. Ho notato i suoi pugni serrati così stretti da spezzarsi le ossa.
Si lascia cadere sulla sedia rimanendo in apnea. Stringo le dita sul suo viso. «Dimmi qualsiasi cosa», attendo impaziente e spaventata da quello che potrebbe urlarmi addosso.
«Ci metterà un attimo a trovarmi», ringhia. I suoi occhi finalmente mi guardano. «Dobbiamo andarcene via per qualche giorno», dice d'impulso alzandosi. Cammina da una parte all'altra dell'ufficio organizzando mentalmente qualcosa. Chiama persino qualcuno scrivendo nervosamente un messaggio.
«Sai che non posso lasciare zia Marin da sola», affronto l'argomento con cautela.
Si volta di scatto. «Non farmi questo proprio ora», alza il tono.
Mi sollevo dalla sedia raggiungendolo al centro della stanza. Tra le poltrone. Sul tappeto. «Mia zia sta morendo e io non posso lasciarla sola per chissà quanto tempo. Non posso neanche portarla con me perché è debole. Ha bisogno delle medicine, di un posto tranquillo. Lei... potrebbe non farcela...» il pensiero mi terrorizza. Travis però non sembra capire. «Bi, te lo sto chiedendo con il cuore in mano. Ti prego, vieni con me.»
Mi allontano. «Ho bisogno di un momento», dico uscendo dall'ufficio.
Trovo Nan pronta a bussare ma le lascio la porta aperta. Recupero il telefono. Salgo a rilento al piano di sopra. Raggiungo l'ultimo gradino a denti stretti. Esco sul balcone lasciandomi attraversare dall'aria fredda inspirando ed espirando lentamente, come se stessi facendo yoga. Mi siedo poi sul bordo della piscina, i piedi dentro l'acqua calda. Intorno, sopra la tettoia di vetro, si sta creando un piccolo cumulo di neve.
Digito il numero sentendomi quasi in colpa per quello che sto per fare.
«Bambi, tutto bene?»
«Davvero non mi vuoi lì con te?»
Bisbiglia a qualcuno dicendo di fare silenzio. «Che cosa è successo?»
Tiro forte una pellicina dal labbro. Il sapore del sangue in bocca mi permette di capire che sono ancora viva, che esito e che devo iniziare a fare delle scelte concrete per avere un futuro. Anche se questo mi farà male.
Guardo il palazzo di fianco. Le finestre circondate da cornici di gesso. Le luci degli alberi di Natale accesi e fuori fuoco ai miei occhi.
«Ti dispiace se parto per qualche giorno?»
Segue un rumore. «Zia, con chi sei?»
«Qui con me c'è Dan. È venuto a trovarmi», risponde con cautela. «Comunque no, va pure a divertirti. Ne hai bisogno dopo quello che hai passato. Io non sarò sola», dice.
Non riesce a rispondere perché mi sono fermata. Il mio cuore ha avuto una battuta d'arresto. Lei è con Dan. La persona che mi ha messa in pericolo. Come riesce a parlare con lui dopo...
«Bambi ci sei ancora?»
«Si. Ci terremo in contatto, ok? Non sto andando a divertirmi.»
«Lo so a cosa stai pensando», dice con un tono di voce diverso. Dan nel frattempo le sussurra di dirmi qualcosa ma lei allo stesso tempo battibecca con lui dicendogli di smettere.
Quando ci metti troppo cuore rischi di perderlo. Prima non me ne accorgevo. Ero sempre disposta a fare di tutto pur di rendere felice chi mi sta intorno.
Adesso cammino in punta di piedi proprio perché mi aspetto sempre qualcosa di brutto. Mi capita per sbaglio di metterci il cuore e mi stupisco ancora di non avere imparato la lezione del "chi troppo cuore ha, i battiti prima o poi perde".
Scuoto la testa. «Non sto pensando a niente. Adesso devo andare...» prima ancora che lei possa dire qualcosa riaggancio sentendomi una stronza. In realtà sono furiosa. Mi sento presa in giro. Mi sento usata. Mi sento una stupida. Lancio il telefono sul divano di vimini. Mi sollevo, tolgo l'accappatoio e mi tuffo in acqua raggiungendo il bordo. Fisso di sotto tenendo le braccia incrociate sulla soglia con il mento appoggiato sopra.
Osservo la strada dove si sta accumulando la neve, i negozi, le persone che si muovono veloci per non rimanere incastrate da qualche parte. Vado giù, tocco il fondo rimanendoci per qualche secondo. Quando riemergo nuoto un paio di volte prima di uscire dalla piscina.
La tensione dovuta in seguito alla chiamata e, alla presenza di Dan con zia Marin non ha ancora abbandonato il mio corpo. Come può farmi questo? Lei sa tutto. Sa come posso sentirmi. Eppure...
Strizzo i capelli abbassandomi per recuperare l'accappatoio. Mi volto e Travis se ne sta appoggiato alla vetrata. A braccia conserte, una tuta addosso e lo sguardo attento. Se nota il mio cambiamento di umore non dice niente.
Stringo il laccio in vita avvicinandomi. «Verrò con te», è tutto quello che dico uscendo dalla stanza.

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