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Siamo fragili. Siamo come chicchi di sabbia ammassati in un oceano di incertezze, vane speranze che si riducono come briciole insieme alla polvere.
Il dolore non puoi fermarlo. Non puoi trattenerlo. Non puoi prevedere quanto ne arriverà e ti travolgerà. Puoi solo incanalarlo, combatterlo e alla fine metterlo all'angolo, come cumuli di macerie taglienti e pericolose, pronte sempre a ferirti ancora e ancora.
Una fitta. Una fortissima fitta alla testa mi costringe a spalancare gli occhi, anche se questi si aprono lentamente. La luce al neon bianca e abbagliante, ferisce le mie pupille costringendomi per istinto a strizzare le palpebre per non farle lacrimare. Dalla gola secca come deserto, fuoriesce un verso carico di dolore. Stento persino a riconoscere che sia stata proprio io ad emettere un simile verso. Un lamento che si riverbera dentro le orecchie intensificando il dolore alla testa, molto simile ad un continuo battere del martello su una lastra di ferro. Provo ad alzarmi ma qualcosa sul mio fianco tira dolorosamente costringendomi a rinunciare.
Un altro lamento e non perdendomi d'animo, finalmente mi muovo. Strappo il fastidioso piccolo tubo che ho a tapparmi le narici e, a poco a poco metto a fuoco l'ambiente in cui mi trovo.
Sono sdraiata su un letto striminzito e scomodo. Una coperta bianca che odora di ammorbidente ai fiori e una morbida verde menta sopra a tenermi al caldo. Un macchinario collegato al dito. Segue la traccia del mio cuore segnando ogni cambiamento su delle linee sconnesse.
Corrugo la fronte confusa ma il gesto mi provoca così tanto dolore da avere bisogno di stendermi ancora un po'. Mi sento stanca. Come se avessi lavorato in fabbrica tutto il giorno o come se fossi stata in una stanza chiusa, appesantita dal caldo.
Dalla porta che emette un flebile cigolio, entra qualcuno. I passi incerti nel tentativo di non fare rumore. Quando lo vedo mi irrigidisco. Indossa indumenti diversi e puliti che emanano il suo tipico odore di cibo. Riempie subito la stanza andando a contrastare la puzza di alcol. Dan si accorge che sono sveglia solo quando tira vicino al letto in cui mi trovo la poltrona tenuta all'angolo di questa stanza vuota, asettica terribilmente stretta.
«Ehi», mi saluta con un sorriso incerto, in parte trattenendo il sollievo e forse anche la gioia nel constatare che non sono morta. Non fisicamente per lo meno.
Nella mia vita sono stata ferita in tanti modi. Ma, non mi sono mai abituata ad una nuova pugnalata. E lo ammetto: ci sono stati momenti in cui sono stata fragile. Non sono riuscita a perdonare me stessa per essermi sentita spezzata e per avere avuto la forza di rialzarmi in silenzio senza mai fare notare ciò che mi ha fatto stare male. Soprattutto non sono riuscita a non perdonare gli altri quando mi hanno ferita. Sono sempre stata troppo buona. Ho sempre avuto la forza di amare più degli altri e anche per gli altri. Per persone che non hanno mai saputo che anche se mi piego spezzandomi dentro, trovo sempre la forza di rialzarmi. Perché anche se non mi sento forte, lo divento per proteggermi. Mi salvo da sola. Lo faccio in silenzio.
«Ehi», rispondo tenendo ferma e sprofondata sul cuscino la testa. Nell'unica posizione che non mi provoca dolore. «Che cosa è successo esattamente?»
Intuisce a cosa mi sto riferendo. Non gli sto chiedendo se mi sono davvero avventata su quel pazzo rischiando la vita. Il mio discorso vira in tutt'altra direzione.
Dan apre e richiude la bocca agitandosi visibilmente sulla poltrona. «Devi riposare, ne parliamo quando vuoi e quando starai meglio.»
«Dan, ho bisogno di sapere», piagnucolo toccandomi la testa.
Valuta attentamente strofinando i palmi. «Quella notte, quando Patrick ti ha quasi... insomma ricordi quello che è successo, io ho visto le cose sotto un'altra prospettiva. Mi sono sentito un verme perché da circa un anno stavamo mettendo da parte un mucchio di soldi. Il tutto alle vostre spalle. Così, il giorno dopo ho messo tutto dentro le buste e le ho spedite ad ogni ragazza. A te li ho consegnati personalmente ma credimi, non erano neanche un quarto di quello che in realtà ti devo», dice provando a sfiorami le mani.
Mi rendo conto di averne una fasciata fino al polso. Muovendo le dita questo mi fa un gran male. Ritraggo comunque la mano. Non voglio essere toccata. «Sei proprio uno stronzo», dico tra i denti. «Un bastardo opportunista! Un impostore!»
«Bi, mi dispiace tanto. Ho commesso così tanti errori nell'ultimo periodo da non riuscire a contarli sulle dita. Ma fidati, non farei mai qualcosa come quella che ha fatto Patrick...»
«Che fine ha fatto?» Mi preme saperlo. Se ripenso a lui mi sale addosso solo un forte senso di nausea.
Dan fa una smorfia. «È riuscito a scappare prima che...»
La porta si spalanca. Da questa entra Travis. Appare provato e quando mi trova sveglia non sorride, non si muove. Fissa semplicemente la mano di Dan sul letto, la mia sul petto mentre con l'altra strofino la fasciatura. Vede la rabbia sul mio viso nascosta da una smorfia di dolore.
Dan si alza. Travis lo guarda male avvicinandosi a me. Preme le labbra sulla mia fronte delicatamente per salutarmi. Faccio una lieve smorfia non per il dolore ma per ciò che provo verso me stessa. «Sono ancora viva. Non ti libererai di me.»
«No, non lo farai», mi risponde sedendosi sul bordo del letto stringendomi la mano dopo averla staccata dal mio petto, il tutto dando le spalle a Dan, ignorandolo. «Vuoi un po' d'acqua?»
Annuisco. «Puoi...»
Con una smorfia e controvoglia si allontana lasciandomi sola con Dan, intuendo il mio bisogno di avere un chiarimento immediato con lui.
«Quindi Patrick è a piede libero? Davvero? Che bella notizia», lamento un dolore al fianco e all'addome e il macchinario segnala un cambiamento trillando rumorosamente. «Cazzo, fallo smettere!» mi lamento.
«Credevo di averlo messo al tappeto. Stavo fermando l'emorragia quando è scappato barcollando. Non potevo occuparmi di lui perché eri priva di sensi», passa i palmi tra i capelli tirandoli. «Stavi per morire a causa mia, cazzo!» alza il tono.
«Si, e non te lo perdonerò mai oltre a non volere ripetere l'esperienza», sbotto.
Travis torna con un bicchiere d'acqua accompagnato dal dottore.
A quanto pare mi hanno portata alla clinica perché era il luogo più vicino. Travis non sembra preoccupato del suo aspetto quanto della mia salute.
Lo vedo: è agitato dentro. È come un mare improvvisamente imprevedibile a causa del vento. I suoi occhi celano dietro una foschia, qualcosa di temibile.
«Ho un aspetto così orribile?»
Il dottore mi sorride. «Calcolando i danni che avrebbe potuto subire, la trovo in forma», esclama leggendo la cartella. «Le farà molto male la testa visto il trauma cranico. Le abbiamo anche dato dei punti. La lama avrebbe potuto causarle la rottura della milza ma ciò non è successo. Il che potrebbe definirsi un miracolo.»
«Sarebbe un miracolo se quel farabutto finisse in carcere», rispondo seccamente come una vecchietta arrabbiata, provando a sollevarmi per bere un po' d'acqua fresca. Mi sento assetata.
Il dottore mi toglie i tubi. «La terremo ancora sotto osservazione. È rimasta qui circa due giorni, qualche ora in più non le farà di certo male», per poco non sputo l'acqua. «Due giorni? E zia Marin?» mi agito.
«È viva. È stata qui. Sa tutto.» Dan abbassando il viso, risponde alle mie domande inespresse.
«È stata qui?» alzo il tono guardandolo con rimprovero. Come può averle fatto una cosa del genere?
«Si, volevo essere sincero con lei. Si è spaventata, non lo nego, ma adesso aspetta solo che tu ti riprenda del tutto.»
Il dottore chiama in disparte Travis parlando professionalmente con lui mentre io continuo a guardare con rimprovero Dan. Ultimamente sembra avere perso la lucidità. È come un bambino.
«Non guardarmi così, Bi», piagnucola.
«E come dovrei guardarti? Ho rischiato la vita per proteggerti e tu stai continuando a trafiggermi, a pugnalarmi alle spalle.»
«Mi farò perdonare», mi afferra la mano.
«Quale delle innumerevoli minacce non hai capito?» esclama rabbioso Travis afferrandogli il polso, facendolo allontanare dal letto fino a sbatterlo contro la parete con una certa rabbia che tiene a stento a freno. Averlo a poca distanza deve proprio mettere a dura prova la sua capacità di autocontrollo.
Provo ad alzarmi per intervenire ma è inutile. Mi sento stanca e il dolore alla testa non aiuta.
«Toccala un'altra volta e prima ti spezzerò una ad una le dita della mano con cui l'hai toccata e poi ti ammazzerò lentamente. Sarà l'ultima cosa che faccio ma per me sarà un piacere...»
«Trav!» urlo sconvolta.
Si volta come un animale pronto a reagire bruscamente contro chiunque. «Vuoi difenderlo adesso?»
«No, ma non serve a niente litigare con lui. Adesso smettetela entrambi di punzecchiarvi come una coppia delle superiori e lasciatemi dormire, per favore», aggiungo alla fine con un lamento prima di rannicchiarmi.
I due si staccano guardandosi in cagnesco. «Sta alla larga da me», ringhia Dan spingendolo.
Travis si avvicina di nuovo a lui e allora mi alzo troppo in fretta. Le mie gambe però non reggono. Non so neanche quello che succede perché sento freddo. Un freddo dentro le ossa che mi trapassa tutta senza darmi scampo.
«Dottore!»
Urla qualcuno. Un frastuono di voci e rumori in camera.
«Uscite immediatamente da qui!»
Il fischio fastidioso di un macchinario. Ecco cosa sento riprendendo i sensi. Poi mi accorgo che in realtà sono le mie orecchie. Fischiano come un treno. Sono di nuovo sotto le coperte ma continuo a sentire freddo dentro.
Guardo intorno frastornata. Le pareti sono di un bianco sporco. Le luci non sono accese, fatta eccezione per una piccola sopra il letto. Il monitor segna i miei battiti che, attualmente sono nella norma. Sfioro la testa e con una smorfia tento di non pensare a ciò che è accaduto, a quello che ho provato nel vedere quella lama scattare fuori dal manico e Patrick pronto a ferire Dan. Scuoto la testa strizzando le palpebre come per eliminare il ricordo. Uno dei tanti orribili che non riuscirò a nascondere dalla mia pelle.
I miei occhi vagano nella piccola stanza. Dalla finestra proviene la luce di un lampione. È buio pesto, ma non so dire che ore sono con esattezza.
Dan e Travis sono seduti su due poltrone ai poli opposti in questo spazio ristretto, a debita distanza l'uno dall'altro come se avessero creato un confine, una linea immaginaria da non oltrepassare per non invadere l'uno lo spazio dell'altro.
Mi sollevo malamente bevendo un sorso d'acqua. Travis si riscuote come quando ha un incubo. Spalanca gli occhi e accorgendosi che sono sveglia si avvicina a me in fretta, quasi scattando in avanti. Indossa una felpa con il cappuccio della Nike e pantaloni della tuta abbinati ad essa. Tutto rigorosamente nero. I capelli scompigliati leggermente più lunghi da quando lo conosco e un filo di barba che mi piace parecchio vedere sul suo viso.
«Ci hai fatti spaventare», ammette in parte arrabbiato. Non riesce proprio a nasconderlo.
Tirandolo a me lo abbraccio lasciandomi avvolgere dal suo calore. Il monitor rivela un'attività insolita da parte del mio cuore. Lui lo osserva con un lieve cambiamento d'umore.
«Non litigate, ok? Non risolverà niente questo vostro atteggiamento ostile. È capitato e non si torna indietro. La colpa è solo mia.»
Preme delicatamente la fronte sulla mia cercando un contatto, accarezzandomi le labbra. «Si, è successo perché sei stata avventata e... irrazionale! Direi quasi stupida e priva di giudizio.»
«Sei arrabbiato con me?»
Annuisce ma non serve perché lo percepisco dal suo tono di voce, dal modo in cui mi parla e mi guarda. Avrebbe da dire tante cose ma non fa uscire neanche un pensiero per non ferirmi più di quanto io non sia già. «Tanto», soffia sulle mie labbra. E mi basta come risposta.
Chiudo gli occhi ricambiando il suo bacio delicato. «Mi farò perdonare», prometto silenziosamente.
«Lo spero. Perché mi hai fatto perdere anni di vita in un solo colpo. Quando Dan mi ha chiamato ho proprio avuto una crisi...» ammette sentendosi a disagio.
Controllo subito le sue nocche. Le sfioro con i polpastrelli. «Trav, devi smetterla...»
«È l'unico modo che ho per scaricarmi...»
Stringo le dita sulla sua guancia. «Un altro modo lo abbiamo sperimentato», abbozzo un sorriso per smorzare la tensione.
Rimane però serio, facendomi capire che non è il momento per certi giochetti. «Non ti userò mai. Mai!»
Le mie labbra si incurvano mentre mi bacia. «Posso sempre offrirmi volontaria, no?»
Abbozza finalmente un sorriso sciogliendo quel lieve velo superficiale di tensione. «Non copiarmi le battute», mi spinge. «L'unico volontario sono io. Adesso riposati e non fare i capricci.»
Lo trattengo. «Come stai?»
«Finché staremo qui, sai come starò.»
Provo ad alzarmi. «No, devi riposare», mi ferma dandomi un bacio premuto sulla guancia. «Dormi anche per me, ti prego.»
Mi sdraio mentre mi tiene stretta la mano.
Adesso mentre ci guardiamo e non abbiamo bisogno di dire altro, ho come la piacevole sensazione che c'è e ci sarà per me. Nel bene e nel male. Magari in ogni momento. Magari in ogni singolo istante. Mi trasmette sicurezza, forza, fiducia e tanto di quell'amore da riempirci una foresta.
«Trav...» bisbiglio.
Si abbassa. «Dimmi.»
«Avrei dato la vita anche per te», sussurro. Non saprei dire se sorride o se rimane serio, perché mi addormento appesantita dalla stanchezza che mi piomba addosso come un peso insostenibile.
Il gesto caldo, delicato e familiare di una mano sulla mia, mi regala una piacevole sensazione di leggerezza e benessere. Alle narici mi arriva l'odore tenue e di casa di zia Marin. Quando sbircio, spaventata dalla prospettiva di essere in un sogno, lei è davvero accanto a me. Le sorrido ma ha lo sguardo serio, severo. Mi guarda proprio come chi è sul punto di esplodere. «Quale concetto di non fare cazzate non hai capito?» brontola. «Io non so da chi hai preso. Sei proprio... irresponsabile! Hai così poco rispetto per la tua vita?»
«Ciao anche a te.»
Mi guarda così male da costringermi a farmi piccola piccola. Non è mai stata severa ma sa come diventarlo. «Eh no signorina. Io e te dobbiamo affrontare un grosso ed importante discorso. Qui è evidente che abbiamo un problema.»
«Quale?»
«Ti sei quasi fatta ammazzare per Dan. Che diavolo ti suggerisce il cervello? Ti si è tappata una vena o cosa? Da quando sei così irresponsabile?»
«Era la cosa giusta da fare», dico mettendomi a sedere giocando con il bordo del lenzuolo. «Avrebbe fatto la stessa cosa al posto mio. Tu non c'eri in quel vicolo. Non hai sentito quello che ho sentito io. Non hai provato un minimo di ciò che ho provato io.»
Zia Marin non riesce proprio a nascondere il suo scontento. Da un lato so che vorrebbe tanto essere orgogliosa mentre dall'altro mi reputa priva di amor proprio. «La prossima volta che cosa farai? Davvero non capisci che a volte devi lasciare andare le cose così come sono?»
«Tu non hai visto quello che stava per fare a Dan», rispondo agitandomi. «Lo avrebbe ucciso a sangue freddo solo per un mucchio di spiccioli. Perché alla fine tutto si riduce sempre a quello, ai soldi. Ma io l'ho fatto per la sua vita, non per il denaro.»
«Hai così poca considerazione della tua vita? Quel balordo ha fatto a te quello che non ha fatto a lui e tornerà. I tipi come lui lo fanno sempre! Finiscono quello che hanno iniziato e non gli importa di nient'altro», sbotta.
Poso due dita sul naso percependo una nuova ondata di mal di testa in arrivo. Insieme ad essa mi raggiunge anche una strana nausea. «Starò attenta. Senti, mi dispiace. Sono stata impulsiva. Non ho ragionato e ho salvato la vita al mio amico. Avrebbe fatto lo stesso per me. Anzi, l'ha già fatto. Quindi adesso non parliamo più di questo. Quello che mi serve è uscire da questo posto. Ho bisogno di indossare i miei indumenti. Stare in casa mia...» mi fermo. «Dove sono quei due?»
C'è un lungo silenzio. Il mio stomaco si contorce così tanto da farmi sudare freddo. Zia Marin, accanto a me, fa la finta tonta. «Non lo so.»
«Zia, dove sono?»
Gratta la tempia. «Credo di averli sentiti discutere da qualche parte...» ride vedendomi agitata e pronta a sgusciare via dal letto. «Figlia mia, non devi spaventarti per due cazzotti in faccia. I ragazzi non sono come noi che serbiamo rancore trascinandoci dietro ogni dispetto. I ragazzi, avendo una mente semplice, litigano e poi trovano un punto di unione.»
Nego tirando la coperta. «Trattandosi di quei due ne dubito fortemente. Sono come noi donne...»
Ride di gusto tossicchiando. Mi guardo. Stacco ogni cosa prima di uscire dalla stanza poi torno indietro per fare uscire zia Marin che raggiunge il suo infermiere continuando a ridere.
Mi guardo ovunque. Cammino lungo il corridoio abbracciandomi. Quando mi sembra di non riuscire a trovarli sento le loro voci.
Apro piano la porta sbirciando all'interno. Sono lì l'uno davanti all'altro a discutere. La tensione potrebbe tagliarsi con una lama. Si mandano sguardi di fuoco in grado di appesantire i miei sensi di colpa. Perché in fondo sono proprio io la causa dei loro dissapori.
«Devi smetterla di fare leva sui suoi sentimenti per convincerla di essere solo tu l'amico perfetto», sta dicendo Travis. «L'hai quasi fatta ammazzare.» Non nasconde la sua rabbia, il disprezzo, la preoccupazione.
«Io non ho mai fatto leva sui suoi sentimenti. È mia amica. La conosco da una vita e so come comportarmi con lei. Al contrario di te che continui a renderle le giornate un inferno. Devi proprio vederla quando la fai incazzare. Comportati da adulto. Quanti anni hai... quaranta», Dan soffia dal naso scuotendo la testa.
Travis stringe un pugno. «Io mi comporto da adulto ma quando Bambi sta male a causa tua non mi va a genio. Sei un idiota. Che cosa credevi? Che lei ti lasciasse morire? Davvero non hai capito che ti vuole così bene da addossarsi tutti i tuoi problemi sulle spalle? Io, sto cercando di alleggerirle quel peso, ma non rendi le cose facili perché stai sempre tra i piedi.»
Ho sempre ammirato di nascosto le movenze di Travis quando discute. Ha quel modo pacato ma allo stesso tempo accusatorio in grado di innervosire chiunque. Sa esattamente usare le parole per fare male.
«Bambi non dà mai peso alle cose. Questo dovresti saperlo. Lei è buona e capisce...»
«Che cosa? Che sei uno stupido pieno di problemi che prima o poi la faranno fuori? Sapevi che quel bastardo ti stava cercando e l'hai portato proprio dritto da lei. Lo sapevi e ti sei andato a rifugiare nel posto in cui non avresti mai dovuto recarti. Tu non vuoi proteggerla. Tu stai solo cercando di distruggerla mentre lei continuerà sempre a tenere ad uno stolto ipocrita e opportunista come te!» alza il tono avvicinandosi a Dan quando questi fa dei passi in maniera minacciosa proprio verso di lui.
Le parole di Travis feriscono il mio amico. Perché lo sa che ha ragione. Se hai un problema così grosso non coinvolgi mai nessuno delle persone a cui tieni e che potrebbero andarci di mezzo. Piuttosto ti allontani per un po' cercando sempre di rimediare. Forse Dan non si è ancora reso conto dei danni che ha causato con le sue bugie e i suoi gesti avventati. Non ha ancora capito che Patrick ha appena iniziato la sua serie di giochi e non si fermerà fino a quando non lo farà fuori.
Rabbrividisco. Zia Marin ha ragione, sono stata fortunata, ma la prossima volta? Che cosa succederà?
Provo ad aprire la porta, la mano stretta sulla maniglia, pronta ad entrare e a sedare gli animi.
«Io non ho portato Patrick dritto da Bambi. Non lo avrei mai fatto», gli ringhia addosso. «Da quando sei spuntato come il salvatore sceso sulla terra lei non fa altro che...»
Travis non tollera la sua vicinanza e lo spinge facendolo barcollare all'indietro. «Lei è libera di fare quello che meglio crede. Ma rischiare la vita mi sembra davvero eccessivo come gesto per uno come te accecato dai sentimenti e dai sensi di colpa. Perché le nascondi ancora qualcosa, non è vero?»
Dan ha il viso rosso. «Non ho niente da nasconderle. Sono sempre stato trasparente...»
«A me non risulta visti gli ultimi eventi. Le hai mentito sui soldi che guadagnava mentre sgobbava continuando a tenerti in piedi. Lei ha fatto tanto per te, anche prendersi una pugnalata al posto tuo. Ti ha sempre dimostrato il suo affetto e non lo hai mai ricambiato perché sei troppo impegnato a cercare da lei un altro tipo di attenzione. Ma non provi un po' di vergogna verso te stesso?» gli ringhia in faccia guardandolo come uno scarafaggio.
Dan lo spinge a sua volta. «E tu non ti vergogni con il tuo aspetto a trattenerla? Vuoi davvero che rinunci a tutto pur di stare con uno sfregiato come te? Vuoi vederla appassire giorno dopo giorno perché non hai il coraggio di uscire alla luce del sole facendo vedere al mondo cosa sei? Lei si stancherà di te, dei tuoi problemi, dei tuoi segreti. Perché anche se credi di non farlo notare, è evidente che anche tu hai qualcosa da nascondere. E l'ho messa in guardia su di te e continuerò a farlo.»
Stringo maggiormente la presa sulla maniglia. Non riesco a decidermi. Mi sembra irreale come situazione, eppure stanno uscendo fuori pensieri che fanno male.
Perché Dan è così arrabbiato? Perché Travis continua ad incolparlo di tutto? Che cosa mi nascondono entrambi?
«Sarò anche uno sfregiato ma lei ha già la sua scelta. E mi dispiace per te piccolo amico che rimarrà tale...»
Dan lo spinge contro il muro ma Travis, ancora una volta, mostra le sue doti nascoste braccandolo in un tempo alquanto breve e, così forte da non riuscire a farlo muovere. Vedo Dan braccato, incapace di difendersi ma questa volta non reagisco. «Sei solo un bastardo ricco. I tipi come te vengono usati solo per i soldi. Nessuno proverà mai amore per voi perché siete solo macchine per la carta. Non sarai mai felice, mai completo. Chi passerebbe mai l'intera vita con te? Con uno pieno di segni e segreti. Potrai anche prendere in giro Bambi su questo ma io lo so che nascondi molto più di quanto vuoi fare capire. Si vede dal modo in cui ti poni, reagisci e ti muovi. Sei un cane rabbioso tenuto legato e al buio. Una volta sciolto...»
Travis lo spinge e Dan reagisce mollandogli una testata. Travis lecca il sangue che fuoriesce dal labbro. «Sei solo un moccioso che vuole giocare a fare il fratello maggiore. Bambi è adulta, più di te. Sa cosa vuole, ma non riesci ad accettarlo perché quello che vedi: il modo in cui mi guarda, mi parla, mi sorride... lo hai sempre immaginato proprio come uno sciocco per te e ti sei illuso fino a deluderti. Perché lei non ti amerà mai.»
Dan ringhia sbattendolo a terra ma Travis lo placca facendogli male al polso che tiene dietro la sua schiena schiacciandogli la guancia sul pavimento. «Sei solo un insetto per me. Ma non ti faccio fuori perché rispetto l'affetto che prova Bambi nei tuoi confronti. Non lo accetto perché non lo meriti ma lo rispetto», soffia stringendo i denti. «Sei solo una cotta passeggera», risponde Dan. «Bambi ha sempre trovato interessanti i tipi come te. Casi umani...» urla di dolore quando la presa di Travis si fa ferrea.
«Potrà anche usarmi per i soldi o perché sono un caso umano, ma tu rimarrai sempre un suo amico. Nient'altro. Perché ancora non hai capito che non ti amerà mai per come vorresti. Non la renderai mai felice. Non le regalerai mai niente di quello che vuole senza chiedere, perché porti solo problemi. Non capisco come sia legata così tanto a te e forse non lo capirò mai, ma sta certo che se la farai ancora soffrire o le causerai qualche altra ferita o la metterai in pericolo, scordati di lei. Ricordati solo il mio nome perché ti farò fuori.»
Dan si dimena dolorante. «Sei solo un bastardo borioso che crede di conoscere me e lei. Ma non la conosci affatto. Prima o poi farai un passo falso e tutto il tuo bel castello crollerà giù. Quindi promemoria: quando commenterai una cazzata imperdonabile, lei tornerà sempre da me, tra le mie braccia», ride di proposito.
Non resisto ed entro nella stanza vuota della nuova ala d'ospedale in cui ci troviamo.
I due guardano verso di me senza neanche vedermi. Travis non lascia la presa e Dan continua a ridere come un ragazzino per provocarlo. «Adesso Che cosa farai?» gli urla. «Posso provare a scommettere. Lascerai la presa e ti comporterai come ciò che non sei...»
Travis stringe ancora di più la presa guardandomi fisso negli occhi. Poi sollevandolo come una bambola di pezza gli molla un pugno così forte da stordirlo per qualche istante.
Dan si lamenta ma non lo raggiungo. Guardo entrambi scuotendo la testa. «Qui non si tratta di voi. Qui si tratta di me», inizio con voce stridula e trattenuta a stento mentre mi indico. «Siete così tanto presi e annebbiati dalla gelosia da non accorgervi davvero di me», guardo con rimprovero Dan. «Tu sei uno stupido idiota e devi crescere perché non intendo più prendermi una pugnalata per te. Mi hai riempito di bugie e non te lo perdonerò mai», guardo poi Travis. «Tu non riuscirai mai ad accettare la mia amicizia con lui perché non vuoi condividere. Ma così facendo ti abbassi solo al suo stesso livello», prendo fiato. «Io, io sono stanca... nel vero senso della parola. Non ho bisogno dei vostri soldi, della vostra presenza, dei vostri falsi tentativi di conquista per nascondere la competizione. Non sono un fottuto premio. Ho rischiato abbastanza e ho altro a cui pensare e di cui occuparmi attualmente. Quindi tornare pure ai vostri screzi da adolescenti, ma tenetemi fuori da tutto questo», dico gesticolando ampiamente.
«Adesso io me ne ritorno in camera, mi preparo e me ne vado. Voi... fate quello che più vi aggrada. Sono profondamente delusa.»
Detto ciò chiudo la porta sentendoli discutere di nuovo. Scuoto la testa e mi allontano decisa ad andare via.
Raggiungo la stanza cercando i miei indumenti puliti per togliermi di dosso questo camice simile a carta crespa sulla pelle. Trovando il borsone all'angolo, lo sollevo malamente con una smorfia. Chiudendomi in bagno, ignorando la sensazione di sconforto e fastidio, mi cambio facendo fatica a muovermi e dolorante, quando sono finalmente pronta, esco dalla stanza trovandoli entrambi in attesa.
Scattano come molle dalle poltrone. «Di comune accordo abbiamo pensato che sia meglio non lasciarti sola in casa quindi...» prende parola Dan.
«Parla per te io non sono d'accordo. Vorrei che venisse da me per un po', fino a quando non si calmeranno le acque. La decisione però spetta a te.»
Prendo un lungo respiro. «Me ne andrò a casa mia. Nessuno dei due mi seguirà. Ho bisogno di spazio.»
«Ma...» Dan apre la bocca.
Lo guardo male. «Ma un bel niente. Il problema è il tuo non il mio. Adesso io ho solo bisogno di riposare e riprendermi. Credo di avere dimostrato abbastanza a chi al contrario ha continuato a tenermi lontana dalla verità.»
Dan si incupisce. «È tutta colpa tua!» indica Travis che lo guarda in cagnesco. «Mia? Adesso che cosa c'entro io con i tuoi problemi? Non ti ho detto io di...»
«Smettetela!» urlo ma non mi ascoltano.
Scuoto la testa ed esasperata, lasciandoli lì a discutere come dei bambini per una caramella, esco dalla stanza.
Cammino lungo il corridoio raggiungendo la donna dietro la scrivania. «Vorrei firmare il foglio per le dimissioni, subito!»
Le dico il mio nome e dopo avere parlato al telefono mi lascia firmare un modulo. «Non dimentichi di prendere le medicine per l'emicrania. I punti cadranno da soli. Non li faccia bagnare», mi avverte.
«Grazie», dico allontanandomi e, anziché tornare a casa, vado da zia Marin.
La trovo dentro la sua stanza davanti la finestra aperta come se stesse fumando. Questa lascia entrare una fortissima folata di aria gelida riempendo lo spazio intorno e rendendo l'atmosfera fresca.
«Si gela qui dentro», dico avvicinandomi a lei.
Chiude la finestra. «Che ci fai qua?»
«Non volevo tornare subito a casa perché li troverei lì a mettermi pressione e a farmi innervosire», dico sincera. «Litigano come due bambini.»
Zia Marin ride offrendomi un biscotto. Solleva il coperchio di latta blu lasciando a me la scelta che ricade sul biscotto con lo zucchero di canna sopra. Mi siedo accanto a lei mettendomi comoda.
«Dove li hai reperiti?»
Ghigna. «Quando sei moribonda ogni desiderio può essere l'ultimo.»
«Spietata», dico. «Ma geniale.»
«Anche tu dovresti iniziare a vivere così», prende per sé un biscotto con le gocce di cioccolato.
«Chiedendo qualcosa come se fosse l'ultimo dei miei giorni? Non credo di essere così egoista e non ci crederebbe nessuno.»
«No, non è questione di egoismo. Si vive una volta sola ed è così che deve essere anche per il resto delle cose.»
«Mi vengono in mente le farfalle quando dici cosi», mordicchio il biscotto. «Le farfalle sono effimere eppure hanno il coraggio di uscire dal bozzolo e volare per un'ora o poco più. Per sentirsi libere, leggere, per regalare un po' della loro fragile bellezza al mondo, ai fiori.» Rifletto.
Zia Marin annuisce. «Esatto. Ed è così che dobbiamo vivere. Prendendo il meglio che ci viene offerto e ogni tanto accontentando anche qualche capriccio», mi sorride.
Inarco un sopracciglio. «Sembri su di giri. Che ti hanno dato? Lo voglio anch'io. Solo così non sentirò questo dolore alla testa e questo fastidio che sento addosso.»
«Non ho preso niente. Mi sento solo ad un piede dalla fossa», chiude gli occhi sollevando il viso inspirando l'aria. «Finalmente un giorno di questi tutto avrà fine», mi offre un altro biscotto ma rifiuto. Le sue parole mi hanno appena fatto perdere l'appetito e distolto da ogni altro problema.
Le stringo le mani. «Lo so che te ne vuoi andare. Mi ci vorrà del tempo per abituarmi alla tua assenza, lo sai.»
Annuisce. «Ed è per questo che sto cercando di non farmi fuori.»
Non appena pronuncia queste parole torna seria. «Adesso sono stanca», mi fa cenno di aiutarla a stendersi sotto la coperta.
L'aiuto. Mi ferma quando provo a lasciarla sola. «Non cercare una soluzione quando il risultato è un qualcosa di impossibile. Piuttosto goditi il tuo tempo e riprenditi. Soprattutto non azzardarti mai più a farmi preoccupare», minaccia puntandomi contro l'indice.
L'abbraccio. «Torno domani. Ti voglio bene.»
«Sta attenta, ok?»
«Sempre», replico sollevando il borsone dall'angolo in cui l'ho lasciato per caricarlo sulla spalla.
Zia Marin mi osserva fino alla porta poi chiude gli occhi trovando conforto nel riposo. Ed è in questo momento che mi rendo conto di non poterla trattenere più oltre. La vita è preziosa ma la volontà di una persona che sta male e che non vuole più soffrire lo è ancora di più. La dignità, ecco cosa vuole mantenere.
Uscita dalla clinica chiamo subito un taxi per non camminare e sentirmi in pericolo. Perché anche se faccio tutta la forte, quella che non si lascia scalfire da niente, arriva sempre quel momento in cui mi sento così fragile da non riuscire a proteggermi.
Il tassista, un uomo dalla carnagione caffellatte dagli occhi dolci e dal sorriso romantico, mi parla della sorpresa che intende fare alla moglie a turno finito. È il loro anniversario. Mi racconta persino come si sono conosciuti.
Mentre gli chiedo di fare un giro in centro, con la promessa di pagare un extra per la cortesia, chiacchiero piacevolmente con lui tenendo la mente impegnata. Se nota che qualcosa in me non va, non lo fa notare.
«Le auguro una buona giornata. Sua moglie è davvero fortunata», dico uscendo dal taxi dopo avere pagato.
«Signorina», mi chiama dal finestrino. Mi avvicino e mi porge un pacchettino piccolo. Una scatolina quadrata con una coccarda sopra. «Mi piace regalarli ai clienti che mi tengono compagnia e non mi trattano solo come un mezzo.»
Sorrido sentendomi euforica per la cortesia. «Oh grazie, non doveva. È stato già di grande aiuto quando le ho chiesto di fare un giro in centro», tengo al petto il regalo.
«È il mio lavoro ma i suoi occhi avevano qualcosa di triste e non sono riuscito a dirle di no. Inoltre ha pagato più del necessario. Le auguro il meglio.»
Lo guardo andare via poi abbasso l'attenzione sulla piccola scatolina e intorno a me dove i vicini stanno già addobbando gli esterni. Mi ricordo solo ora che tra una settima circa passerà novembre e la città sarà in fermento per il giorno di Natale e la festa di capodanno. Non ho ancora addobbato la casa come ogni anno, presa come sono stata a risolvere ogni problema. Ma silenziosamente prometto di recuperare gli addobbi. Con questo pensiero che mi regala un sorriso, entro in casa.

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