«Ha mangiato qualcosa?»
«No, dice che non ha fame o quanto meno lo fa capire ignorando il piatto. Ha vomitato parecchie volte», Travis risponde così a Nan, più che preoccupato e in parte anche stanco.
«Ha parlato o ha detto qualcosa?»
«All'inizio quando tutto era come un incubo per lei. Poi si è chiusa in se stessa. È tornata alla cruda realtà», sospira. «Non sento la sua voce da ore e mi sembra che il suo silenzio sia in grado di farmi impazzire.»
Di seguito, avverto dei passetti sul parquet. Quel ticchettio fastidioso dei tacchi sul pavimento che potrebbe rigarsi. Non mi muovo da sotto la coperta percependo una presenza in avvicinamento. Continuo solo a fissare le rose, a sentirmi male, a provare un dolore inspiegabile, inimmaginabile.
La porta della camera da letto si apre e Nan avanza riempendo la stanza del suo tenue profumo di colonia per bambini. Mi piace, non pizzica, non è forte. Ne comprerò una boccetta quando riuscirò ad alzarmi dal letto.
Forse penso a questo genere di cose perché se lascio ad altri pensieri il potere di prendere il sopravvento, per la mia mente sarà la fine.
Prende posto accanto a me. Indossa un completo con giacca e pantalone. È sempre molto elegante. La mano rimane a metà strada, insicura. Non sa se toccandomi otterrà una brusca reazione da parte mia. Poi però prova lo stesso e io non mi muovo. Non ho nessuna reazione perché non sento niente. Solo un vuoto che mi perfora il cuore.
«Ciao», mi saluta facendomi una lieve carezza. La sua voce è come quella di una mamma apprensiva. Ma che cosa ne posso sapere io? Una mamma non ce l'ho avuta. Ho solo avuto una zia con una forte tristezza e malattia che, nel suo piccolo non mi ha mai fatto mancare niente. E, adesso è da sola in una clinica.
Non mi muovo. Forse questa mia reazione fredda mette a disagio Nan che guarda intorno.
Le tende sono tenute chiuse, opprimono la visuale dalla vetrata anche questa con le tapparelle abbassate per non fare entrare niente di niente. La stanza è al buio. Il profumo delle rose aleggia intorno. «Travis mi ha detto che non hai mangiato niente ed è preoccupato. Non ha mandato me per vedere se riesco a convincerti o se sono più fortunata di lui ma... in realtà sono preoccupata anch'io per te e voglio solo sapere se magari hai voglia di qualcosa in particolare per cena o...» cerca qualcos'altro da dire.
Nego. Muovo impercettibilmente la testa. È tutto ciò che posso fare stringendomi sotto la coperta in posizione fetale, nonostante il dolore alle costole.
Nan schiude le labbra rosee. «Se ti va qualcosa me lo fai sapere?»
Confermo.
«Ok, vedo che bevi almeno qualcosa. Ti porto dell'altro succo di frutta o un te' caldo magari?»
Annuisco ancora come una bambina. Un te' caldo è sempre la soluzione a tutto per zia Marin che non vedo da circa un giorno. Ma Travis o Nan a quanto pare l'hanno già avvisata non spaventandola ma dicendole che ho avuto solo un imprevisto. Zia Marin però è furba e sa che qualcosa deve essere accaduto. Le voci circolano quando rischi la vita in un incendio o sotto la furia di un pazzo.
«Posso aggiungere anche un biscotto?»
Decido di accontentarla. Mi sono sfamata solo con bevande di ogni genere. Le uniche cose che sono riuscita a tenere dentro lo stomaco senza vomitare o sentire una continua nausea addosso.
Rincuorata esce dalla stanza e rilasso subito le spalle.
«Che ti ha detto?»
«È sotto shock. Lasciale il suo tempo. Mitch magari potrebbe parlare con lei e...»
«NO! Non userò tuo marito e la sua laurea per questo. Quando si sentirà pronta parlerà e tornerà in sé. Voglio solo vederla mangiare e uscire da quel letto», dice stanco. «E soprattutto sentire la sua voce e non vedere mai più i suoi occhi così tristi. Che cazzo deve succedere ancora?»
Stringo il bordo del piumone. Che cosa sto facendo? Perché mi sto lasciando abbattere dalla paura? Perché continuo ad allontanare tutti?
Inspiro ed espiro lentamente sentendomi asfissiata e nauseata da me stessa, da tutto ciò che ho dovuto vivere.
«Ha già accettato una tazza di tè e un biscotto. È un gran passo avanti. Non chiederle altro, non farle pressioni. Stalle accanto. Questo le servirà, fidati.»
«Grazie per quello che stai facendo. Sua zia come sta?»
«Scossa ma si sente meglio, o così dice.»
Sento il rumore delle tazze.
«Vado a controllare che non ci siano chiamate in ufficio e altri problemi. Vi lascio soli.»
«A dopo», risponde flebile Travis raggiungendomi con un vassoio.
Se solo provassi a cedere del tutto al dolore, mi sentirei in mille pezzi. Tante piccole schegge affilate pronte a ferirmi.
Sin da quando ne ho memoria, ho sempre vissuto in bilico. Ho sempre camminato sul filo del rasoio. Da tempo avevo la sensazione che qualcosa o qualcuno avrebbe distrutto tutto, spazzando via la vita che, mattone dopo mattone sto cercando di costruire. Se adesso, provassi ad abbassare le difese, andrei in frantumi. Piccoli granelli di polvere a sparpagliarsi ovunque. Non potrei più tornare indietro. Per questa ragione trovo l'ultima briciola di forza che mi resta e mi preparo a rialzarmi. Lo faccio per me stessa. Lo faccio anche per lui.
Mi sollevo a metà busto e sembra infatti rincuorarsi. La sua espressione però non cambia. Appare trattenuto. Quando mi offre la tazza con le orecchie a forma di gatto mi regala un breve sorriso che tengo dentro insieme alla gratitudine. Assaggio in fretta il liquido caldo sentendomi meglio. Annuso poi la fragranza del te' verde con zenzero e limone prima di berne un altro lungo sorso, deliziata.
Travis beve il suo caffè macchiato mangiucchiando distrattamente un biscotto con le gocce di cioccolato. Con la mano libera avvicina il piatto verso di me. Prendo il biscotto sotto il suo sguardo attento inzuppandolo. Lo mangio lentamente, un po' come fa lui.
Lecco le labbra e quando ho finito, accorgendomi che mi sta guardando seppur furtivamente, poso il palmo sulla sua guancia e facendolo girare premo le labbra sulle sue.
Chiude gli occhi rimanendo calmo, controllato, attento. Mi stacco in fretta cercando di capire. Non indossa neanche la maschera e ha tanto l'aria di uno che non riesce a dormire.
Sentendomi in colpa, poso la tazza sul vassoio sistemandolo sul comodino e tirandolo a me si sdraia nascondendo il viso tra il mio collo e la spalla. Il braccio sul mio addome. Fa però molta attenzione e io non mi lamento.
Abbasso le palpebre sentendomi in mezzo all'acqua. Rilasso le spalle mentre mi lascia piccoli baci. Accarezzo la sua testa fino a quando non si rilassa completamente. Rimango ferma e in posizione permettendogli di dormire per qualche ora, concedendomi io stessa un po' di sonno.
Mi sveglio solo quando lo sento muoversi. Lo guardo ed è sgusciato dal letto. Appare sudato, in preda al panico.
Provo ad alzarmi ma una fitta alle costole mi toglie il fiato. Annaspo tossendo, facendogli capire che sono sveglia.
Si volta e in breve mi raggiunge respirando in modo strano. Accarezzo la sua guancia. Sembra avere la febbre. «Sto bene. Torna a dormire», mi sussurra.
Stringo le mani sulla sua felpa premendo la fronte sulla sua. Sto negando. Non voglio dormire. Se solo provo a chiudere ancora gli occhi, davanti vedo fiamme alte.
Travis inspira. «Ho bisogno di sfogarmi. Arrivo subito...»
Lo trattengo con più resistenza. Con uno sforzo oltre le mie attuali possibilità mi alzo circondandogli il collo con le braccia. Cerco le sue labbra ma lui appare preoccupato. «Senti dolore, stenditi...»
Stringo la presa. Freme tremando e allora cede ricambiando il mio bacio. «Vuoi venire con me?» chiede frenandosi.
Gli rubo ancora un bacio. Annuisco e allora mi prende in braccio portandomi di sopra, in palestra. Mi metto comoda su una panca lasciandomi avvolgere da una coperta che recupera in fretta e lo vedo: scarica la sua furia.
Inizialmente dà solo qualche pugno sul sacco da boxe poi aumenta la forza. Sentendo caldo, sudando, sfila la felpa.
I muscoli guizzano lucidati dal sudore. Le vene si evidenziano. I suoi lineamenti però si induriscono sempre di più.
Mi alzo quando comprendo. Lui sta avendo un altro tipo di attacco di panico. Zoppico avvicinandomi. Smette di fendere colpi respirando a fatica. Lo colpisco con la mano sana al petto. Lui indietreggia di un passo non capendo. Lo faccio ancora.
Prova a sfiorarmi poi ci ripensa lasciandomi fare. Picchio la mano sul suo petto e lui sembra distrarsi. Quando noto che ha smesso di ringhiare o ansimare, quando sono certa che è calmo e alza gli occhi, ci guardiamo intensamente.
Possiamo anche ignorarci, non parlarci per ore o rimanere in silenzio ma quando ci guardiamo dentro e intorno a noi si crea un gran casino. Io lo so. E adesso lo sa anche lui che non puoi uscirne. Da certi occhi, da certi sguardi, non ne esci.
Scoppio inevitabilmente in lacrime. Mi lascio abbracciare percependo su di me il suo calore. Mi bacia ancora in quel modo il collo, la pelle regalandomi una breve scossa che aiuta il mio cuore ferito a non mollare. Allora mi aggrappo a lui ansimando piano. Così piano che quando mi bacia e lo sente, questo gli provoca uno spasmo.
«Va meglio, grazie», sussurra.
Asciugo le lacrime tirando su con il naso. Mi prende di nuovo in braccio per non farmi stancare a causa del dolore alla caviglia.
Entriamo nella sauna dove aziona i getti rotanti della vasca lanciando dentro l'acqua delle noci di bagnoschiuma che vanno a formare una spessa coltre di soffice schiuma bianca simile a delle nuvole galleggianti.
Sfila via i pantaloni. Guardandomi chiede il permesso. Alzo subito le braccia stringendo i denti. Rimasta in intimo lo seguo in acqua facendo attenzione a non bagnare la fascia sul polso che, dovrò cambiare lo stesso.
Travis si siede all'angolo. Mi avvicino riscaldata dal tepore e sistemandomi sulle sue gambe, lo abbraccio.
Mi scosta i capelli usciti dalla crocchia in ciuffetti disordinati. Sfioro le labbra prima di baciarle di sfuggita facendogli sentire una gran tenerezza.
«Parlami», mi supplica.
Mi spingo un po' in su quando le sue mani scivolando lungo la schiena si posano sulle natiche. Premono forte sulla pelle avvicinandomi a sé.
«Dimmi qualsiasi cosa. Possiamo parlare del bagno, del freddo, di un argomento in particolare... scegli tu.»
«Sei meraviglioso», sussurro con una voce simile a quella quando sia ha l'influenza.
Gli ho appena regalato un brivido. Ho notato la sua reazione. Strofina la punta del naso sulla mia pelle. Ansimo e mi dà un bacio sotto l'orecchio. «Dopo dovrai farmi un'altra fasciatura», dico notando che per errore ho sfiorato l'acqua.
Stringe la presa e muovo in riflesso i fianchi.
Chiude le palpebre. «Quello che vuoi», mormora.
Stringo gli angoli della sua bocca con una mano. «Voglio te», mimo labbra contro labbra.
Le sue pupille si dilatano. «Potrei anche prenderti in parola», esclama.
Senza attendere lo tempesto di piccoli baci partendo dalla guancia. Si agita. Ci guardiamo. Ci specchiamo. Occhi contro occhi. Divarico un po' le cosce muovendomi su di lui mentre gioca con le mie labbra. «Cerchi una distrazione?» Chiede affannato.
«Tu no?»
Chiude gli occhi infilando la mano dentro l'intimo strizzandomi una natica. Mi sollevo un po' sospinta dall'acqua. «Non so se mi fermerò», dice sincero. «Non credo di riuscirci...»
«Non farlo», sussurro.
«Che cosa vuoi?»
Mi approprio della sua bocca. Mugola ma non smetto. Mi fa scivolare indietro facendo bene attenzione a non farmi male e mi spinge su di sé facendomi ansimare. «Sai che non si risolve così un problema?» mi stuzzica. «Sai che in questo modo ti distrai soltanto e dopo tutto torna come prima?»
«Ci hai provato. Ma io voglio risolverlo così. Non provo niente. Aiutami. Fammi provare qualcosa!» dico disperata. «Qualsiasi cosa!»
«Applica un filtro», freme. «Fallo!»
«Non andremo oltre», dico in fretta facendolo sorridere. «Quello succederà solo se mi supplichi in ginocchio...»
Muovo i fianchi e ansima. «Abbiamo bisogno di una distrazione.»
Sgancia il reggiseno. Lo tolgo e come lui osservo il mio seno che si prepara al suo attacco riempendosi di brividi.
Eppure mi sorprese quando dopo averci lasciato un bacio, la sua mano mi tira giù il bordo dell'intimo inferiore.
Colta alla sprovvista lascio scappare un verso stridulo e lui mi bacia. «Ti va davvero di provare qualcosa?»
«Voglio sentire qualcosa. E tu?» le mie dita scivolano sul suo addome. Tiro giù l'elastico dei boxer e si tende. I suoi muscoli si contraggono. «Giochi pesante», non è contrariato ma la sua voce esce spezzata.
«Non faremo niente di quello che pensi. Non andrò oltre. Non è così che voglio...»
Sta già annuendo baciandomi. La sua mano tra le mie cosce invade il mio intimo in modo diretto, non più sopra il tessuto. Tiro indietro la testa e lui si gode la mia reazione.
Sfioro anch'io il suo intimo. Ansima baciandomi. «Se non ti piace dimmelo...»
«No, continua», sussurro con le guance sfiorate dal rossore. «È piacevole», mugolo.
Le dita si muovono lente insieme all'acqua. Stringo la presa e geme. Mi agito quando sento una forte pressione. Si ferma facendomi abituare poi torna a giocare con piccoli cerchi. Muovo i fianchi senza controllo. I nostri corpi sono tesi. Allontana la mano ed io la sua per avvicinarmi a lui guardandolo negli occhi con ardore.
«Prova», mi incita lasciandomi strofinare su di lui. Mi preme a sé facendomi provare un forte calore sul basso ventre e in mezzo alle gambe.
Gemo e non si ferma continuando a muovermi su di sé. Stringo la presa sulle sue spalle. Divarico le cosce e mi bacia sollevandosi schiacciandomi contro la parete. Geme sulla mia bocca. Trema. «Non... muoverti o...»
«Ssshh...» le mie mani scivolano sul suo sedere e lui mi si preme tra le gambe. «Uhmmm... Bi...»
«Ne hai bisogno e anch'io.»
Porto la sua mano sotto l'intimo e lui fa pressione facendomi tremare mentre io lo porto al limite. Dopo qualche attimo, si ferma appagato. Rimane come in estasi per qualche secondo guardandomi con occhi lucidi.
Abbasso il viso osservando i suoi boxer. Sorrido lievemente. Accorgendosene mi solleva il mento baciandomi.
Usciti dalla vasca mi guarda in tralice valutando la mia reazione. Ma io adesso sono calma. Era quello che ci voleva. Dovevo scaricare un po' di tensione, stare bene con lui.
Mi avvolgo con un asciugamano abbracciandolo da dietro. «Va meglio?»
Si volta. «Decisamente. Ma prima o poi non riuscirò a trattenermi come prima.»
«Faremo davvero l'amore anziché... insomma toccarci? Solo... non ora. E comunque mi è stato d'aiuto. Grazie», alzandomi su un piede, in equilibrio instabile lo bacio. «Prima che tu me lo chieda espressamente, mi è piaciuto.»
«Lo so. È stato abbastanza forte da stordirmi», ammette.
Mi concedo un sorriso e mi accarezza subito la guancia rimanendo imbambolato. «Quindi hai anche immaginato... il resto in quel momento?» lo prendo in giro.
Ghigna. «Si. Poi è ovvio, ho immaginato i modi in cui vorrei averti.»
Piego la testa. «Dimmene uno», mordo il labbro.
«Contro il muro. Sul divano. Sulla scrivania...» mi sussurra sull'orecchio facendomi avvampare.
Sorrido spingendolo. «Hai una lista?»
Usciamo dalla stanza raggiungendo il bagno dove facciamo una doccia veloce. «Una lista mi sembra la cosa giusta da fare ma la terrò solo a mente.»
Mi insapono dopo avere sciolto la fasciatura al polso. Un grande ematoma parte dal dorso della mano.
Mi avvicino nuovamente a lui abbracciandolo per la vita. Il suo petto scolpito aderisce alla mia pelle. «Mi sono rilassata tantissimo. Possiamo rifarlo?»
Sorride in modo dolce, quasi con malizia. «Magari più tardi», mi dice divertito.
L'aria piena di elettricità si scarica leggermente dopo questo momento.
Dopo il bagno torniamo a letto perché constato che è notte fonda. Travis mi fascia il polso e anche la caviglia. Sfiora poi lo zigomo ma bacio la sua mano.
Ci stendiamo sotto la coperta. Lui rimane a petto nudo mentre io indosso un suo maglione.
«Credevo fossi arrivato. Quando ho aperto la porta e l'ho visto...» scuoto la testa.
«Bi, non devi necessariamente parlarne. Non sei ancora pronta e lo capisco. Aspetterò.»
So che freme dalla voglia di sapere.
«Ho avuto paura. Dentro di me sapevo che qualcosa sarebbe andato storto. Quando mi ha attaccata io... mi sono sentita così indifesa e fragile. Poi però ho reagito. Dovevo. O questo o... lui mi... mi...» nascondo il viso lasciandomi abbracciare. Mi accarezza la schiena. «Hai fatto quello che dovevi», dice serio.
«Quando ha iniziato a lanciare ovunque quel liquido e ha acceso quel fiammifero io... ho perso la testa perché sapevo quello che sarebbe successo da lì a poco. Percepivo il terrore e la puzza di pericolo. Ho provato persino a fermarlo. Il fuoco in un attimo è divampato ovunque e lui sorrideva divertito...» singhiozzo. «È un mostro! Lui è un mostro! Non dimenticherò mai la sua espressione.»
Mi bacia la testa tenendomi a sé. «Ha bruciato via la mia casa, i miei ricordi. Tutto... io non ho niente più. Io.. sono rimasta senza un tetto... Ho solo te ma non so se mi vuoi ancora perché non ti do le risposte che meriti, non ti rendo felice...»
Mi stringe il viso. «Non dire questo perché sei la persona più importante della mia vita. Sembrerà scontato o banale ma lo sei e hai un tetto, una casa, puoi avere persino il tuo spazio. E hai anche me. Ti prometto che non ti distur...»
Mi spingo su di lui. Ci baciamo con vigore. Come due che non si vedono da una vita ma che non hanno mai smesso di amarsi o volersi.
«Non ti ho ancora ringraziato come si deve», dico tenendo tra i denti un breve urlo di dolore quando mi allungo troppo.
«Lo hai già fatto, fidati. Tu sei pazza...» guarda le rose alle mie spalle. «Mi hai detto che finché me ne sarei presa cura lo avrei fatto in automatico anche con te. Non potevo lasciarle lì.»
Mi accarezza una spalla. «Ricordi proprio tutto nei momenti meno opportuni, vero? Ti sei fatta male e potevi morire per... delle rose», scuote la testa.
Mi adagio sul suo petto. «Ma le tue non sono comunissime rose», rispondo affondando la mano sulla sua nuca.
Schiude le labbra. «No, non lo sono. Ma sei estremamente fuori di testa», dice con un filo di voce contenendo qualcosa.
«Rendimi partecipe dei tuoi pensieri», mormoro sfiorandogli la cicatrice. Mi lascia fare mettendosi comodo sotto di me. Tira sulla mia schiena la coperta. «Hai fatto un gesto davvero premuroso. Mi hai fatto sentire amato, tanto. Soprattutto quando ti ho urlato addosso e tu mi hai risposto che non potevi lasciarle», sorride lievemente.
Bacio la fossetta avvicinandomi alle labbra. Sento il suo corpo cambiare. Schiocco piccoli baci. «Ti avrei detto che quella chiave l'avrei usata davvero», sussurro a fior di labbra continuando con i miei baci anche sull'altra guancia.
«Adesso mi sembra un qualcosa di dovuto. Troverò un posto. Non invaderò il tuo spazio...»
Mi spinge sotto il suo peso rimanendo di fianco seppur vicino. «Mi piace averti in casa. Odio però vederti triste.»
Abbasso il suo viso. «Sono stata una stupida. Ho avuto paura di ammettere di avere un problema con le relazioni. Ma devo crescere quindi voglio essere sincera. Ho paura di una nuova storia ma proverò a fare funzionare le cose. Fammi solo riprendere da questa brutta vicenda...»
Mi bacia e sollevo subito un ginocchio. «Ti aspetterò», sussurra. «E se posso essere sincero: ti voglio più di prima.»
«Ho sentito il risveglio del tuo amico e vedrò come accontentarlo durante l'attesa», mi concedo una breve risata prima delle lacrime che escono lente.
Travis mi abbraccia cercando di consolarmi. Ma a niente vale una carezza, un abbraccio, un bacio quando ogni singolo ricordo ti è stato sottratto. «È bruciato tutto. In un attimo ogni cosa, ogni ricordo della mia famiglia si è... sciolto. Era tutto ciò che avevo di loro. Oggetti apparentemente inutili ma che mi ricordavano della loro esistenza, mi facevano sentire la loro presenza costante nonostante l'assenza permanente. Ogni singola cosa... è diventata cenere...» sussurro.
Travis mi ascolta con attenzione senza mai interrompermi. Non ho bisogno che apra la bocca perché riesco a sentire ogni suo pensiero. «Non voglio essere compatita. Non voglio neanche sentirmi così... distrutta. Perché non è solo bruciato tutto. Il fuoco si è portato via anche un pezzo del mio cuore.»
Sto tremando a causa dei singhiozzi. Asciugo le lacrime con rabbia. «Dio, perché hai scelto proprio me? Io... sono solo piena di guai. Non ti merito neanche. Ho rovinato tutto. Ancora una volta io... ho rovinato tutto», mi sollevo a metà busto portando le ginocchia al petto.
Travis rimane per un attimo in disparte poi la sua mano si posa sulla mia schiena. «Sei qui adesso. Puoi sempre rimediare se proprio senti l'esigenza di dimostrarmi ancora qualcosa», sussurra.
Mi volto. «Si, sento di doverti delle dimostrazioni ma non riesco neanche a capire da dove partire», gesticolo nervosamente. «Sin dal primo istante tu sei stato impeccabile nei miei confronti. Io invece ho demolito tutto e non so se riuscirò mai a farti capire che ti voglio nella mia vita così imperfetta e piena di guai.»
Sta sorridendo tenendo la testa piegata. I suoi occhi strepitosi mi osservano ma dalla sua bocca non esce niente. «Dimmi quello che pensi!»
Si solleva avvicinandosi. La coperta gli sfiora la pelle. La sua mano artigliandosi sul mio mento mi costringe a girare il viso. «Io l'ho capito. Forse devi essere tu quella a capire che è successo. Che non puoi gestire sempre tutto. Ne abbiamo già parlato. Non hai il controllo dei sentimenti perché non spetta a te decidere per chi sentire qualcosa. Una volta tanto, lasciati andare. Lascia libero il tuo cuore.»
Ascolto le sue parole guardandogli le labbra che si muovono formando lettere e frasi che vanno a colpire quella parte di me che vorrebbe tanto smettere di soffrire. Nel cuore ho così tante cicatrici da non trovare più spazio per il sangue.
«Provaci. Prova a fare qualcosa di irrazionale ma dettata dal cuore.»
«Vuoi adesso una dimostrazione di quello che vorrei?»
«Si», conferma senza indugio.
Mi sporgo premendo le labbra sulle sue. I nostri corpi si attirano l'uno con l'altro. «Il mio cuore vuole solo battere per qualcuno. Vuole che ne valga la pena.»
Deglutisce. «E per me ne vale la pena?» Chiede con voce roca.
Premo nuovamente le labbra sulle sue. Scivola sul materasso ed io lo seguo a ruota ritrovandomi su di lui. Tengo una mano sulla guancia per non smettere. «Vale ogni singolo battito», sussurro.
Il sorriso che mi rivolge potrebbe illuminare tutta New York. È così bello, elegante da farmi tremare le ginocchia. Mi sento come una ragazzina, impantanata in una storia che non può concludersi ma che riesce a fare male, a far sorridere, a fare piangere.
Mi stendo su un fianco. Lui mi abbraccia. Un gesto diventato ormai il nostro. Ed io sentendomi meno sola, protetta, mi abbandono al sonno.
Un raggio di sole mi infastidisce. Mi sollevo cercando di raccapezzarmi. È come se avessi bevuto così tanto da stordirmi. Ma in fondo, le lacrime hanno lo stesso effetto dell'alcol: ti appannano la vista, ti rendono imprevedibile e alla fine di stordiscono costringendoti ad una lunga dormita. Gratto la testa girandomi. Sul cuscino c'è un biglietto e una pralina avvolta in una carta argentata e rossa.
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...