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«Bambi!»
Rimango aggrappata al suo corpo. Il viso premuto contro il suo petto coperto dal sottile strato di una camicia bianca e le braccia a circondargli la schiena massiccia.
Annaspo. Non riesco a smettere di tremare, agitata da un forte senso di tristezza che, come vento mi trascina contro gli scogli di una vita piena di alti e bassi.
Oggi c'è solo pioggia. Pioggia e lacrime. Non so bene come o cosa mi abbia spinta a raggiungerlo. Non so se sono sveglia o se sto avendo un brutto incubo. Sento solo freddo. Un freddo dentro paragonabile ad una bufera. Mi intorpidisce le ossa, la pelle. Arresta il mio respiro. Così tanto che potrei essere persino morta nel sonno, mi dico. Se solo non fosse per il sangue che continua a scorrermi nelle vene, il respiro a spezzarsi uscendo in un singhiozzo continuo e il bisogno di abbandonarmi completamente alla stanchezza.
Adesso che le sue braccia mi trattengono, non so se sto sognando ad occhi aperti. Vedo solo tutto il mio mondo confuso e spazzato via dalla consapevolezza di una nuova sconfitta alle porte.
La sua voce arriva attutita alle mie orecchie. Forse sto immaginando tutto. Forse sono ancora seduta su quel vagone in metro e tra poco un rumore o qualcuno mi sveglierà dicendomi di essere arrivata al capolinea, e lì io mi accorgerò di essermi persa per davvero.
Oggi piove. Il temporale però io lo sento dentro. Così impetuoso e forte. Oggi una parte di me si trova in quella nebbia così palpabile e fredda. Sto per svanire, lo sento.
Inspiro nel tentativo di riempire di aria buona i miei polmoni. Il suo profumo raggiunge le mie narici in fretta. Il suo odore. Ah, il suo odore è l'unica cosa a tenermi ancorata in questo presente pieno di incertezze e tanto, tanto dolore. Troppo da poter essere trattenuto o nascosto dentro.
Premo le dita sulla sua pelle attutita dal tessuto. Forse tocco quei segni che hanno dilaniato per sempre la sua vita ma, in questo momento, a lui non sembra importare. Non mi allontana. Non mi rifiuta. Mi tiene forte come se volesse proteggermi da un nemico che posso vedere solo io.
«Bambi, dimmi che cosa è successo?» L'emozione a tradirlo. Appare impreparato all'evento. Colpito alle spalle da una pugnalata troppo forte. Mi guarda allarmato, non capendo perché continuo a stringere la presa, a nascondermi, a singhiozzare disperatamente come una bambina.
«Non volevo... non volevo disturbarti», provo a parlare ma le parole escono spezzate, insicure e stridule. Stento a riconoscermi. Io che sono sempre stata così forte ed equilibrata, adesso sembro una bambina caduta da un muretto e con le ginocchia sbucciate. «Mi dispiace», piango. «Mi dispiace tanto ma... io... io non sapevo dove altro andare», sussulto, non riesco a respirare. Mi piego scivolando quasi a terra senza fiato. Le sue braccia mi sorreggono immediatamente, senza mai abbandonarmi.
«Io... non sapevo dove andare.»
Scocca un'occhiata complice a Nan. I due non hanno bisogno di parlare ad alta voce per capirsi. Infatti, lei abbassa la testa in segno di conferma. «Mi occupo io della videoconferenza rimandandola. Dopo preparo del te'», dice sparendo dentro lo studio che non avevo ancora notato. Si trova spostando un quadro nella parete di fianco alla vetrata.
Travis, tenendomi in piedi, mi porta verso il divano dove mi fa sedere sistemandosi davanti a me. Continuo ad abbracciarlo, a non lasciare andare la presa perché mi spaventa farlo. Mi spaventa vederlo lontano da me. Mi spaventa persino il pensiero di non vederlo più, anche solo per una manciata di minuti.
«Bi, qualcuno ti ha fatto del male?»
«Sono stanca», sussulto tossendo lievemente.
Strappa le mie dita dalla sua camicia che ho appena stropicciato, bagnato di lacrime e sporcato di mascara. Accorgendomi del pasticcio, mi allontano mortificata. «Scusami...» passo le dita sulla macchia che ai miei occhi ingombri sembra allargarsi e sfumarsi.
Lui guarda tutto divertito, mantenendo un certo rispetto nei miei confronti. «Non è rossetto. Così, questa sera, non mi accuserai di averti tradito, visto che dovevo indossarla per il nostro appuntamento e la stavo provando per vedere se mi faceva sentire a mio agio.»
Mi sfugge un sorriso e inginocchiandosi davanti a me asciuga le lacrime. Un gesto delicato sulla pelle.
Vergognandomi nascondo il viso ma afferra il mento con due dita tenendolo stretto. «Non sentirti stupida per avere pianto davanti a me.»
In questo immenso silenzio attorno mentre dentro di me c'è solo caos e distruzione, so che lui è reale. Con un solo gesto è in grado di spazzare via ogni paura, quel freddo dentro le ossa, quel vento inarrestabile nel cuore.
Le labbra tremano e prima ancora di sporgermi o di reagire muovendosi per primo, mi abbraccia. «Non vuoi dirmi che cosa succede?»
«Ho rovinato tutto. Ti ho disturbato. Ti ho rovinato la camicia. Io...» mi agito.
«No, no. Ehi. Guardami!»
Il suo tono autoritario mi fa riprendere. Sono subito sull'attenti.
«Mi stavo solo innervosendo davanti a degli stupidi stolti. Hai interrotto una videoconferenza urgente ma noiosa e ripetitiva. Dovrei essertene grato. In più, potrai aiutarmi a scegliere qualcosa di diverso da indossare.»
Poso le dita sulla macchia. «Non sapevo dove altro andare...» piagnucolo tremula.
Sbottona il mio cappotto senza indugio, senza imbarazzo o malizia, togliendolo dalla mia pelle umida di pioggia. «Stai tremando», mi porta vicino al camino facendomi sedere. «Vado a prendere una coperta. Arrivo subito!»
Lo fermo. «No», strillo di qualche ottava.
Sussulta guardando la mia presa. Le nocche quasi bianche dallo sforzo. «Vieni con me?»
Capisce il mio bisogno di non rimanere sola e stringendomi a sé con un braccio mi porta nella sua stanza, quella in cui abbiamo dormito, parlato e discusso.
È tutto in ordine. Pulito. C'è odore di vaniglia e cannella. Non è un profumo invadente ma abbastanza forte che arriva alle mie narici deboli a causa del pianto.
Travis apre una delle ante dell'armadio a parete. «Vuoi scegliere tu un mio maglione e una coperta?»
Non mi sta trattando come una bambina. Sta solo usando un tono dolce celando la preoccupazione. Prendo la coperta, quella blu soffice e un maglione nero dall'aspetto morbido e comodo.
«Il bagno sai dove trovar...»
Ho già tolto la maglietta più che infreddolita, infilando il suo maglione.
«Trovarlo», conclude.
Sbottono i pantaloni fermandomi. «Puoi...» gli faccio il gesto con la mano di girarsi dall'altro lato. I denti mi battono così forte da non riuscire a parlare bene.
«Hai appena tolto la maglietta davanti a me, che cosa camb...» mette le mani avanti voltandosi. «Ok!»
Tolgo i pantaloni tirando giù il suo maglione. È così enorme da sembrare un vestitino. Mi arriva infatti sulle ginocchia ed è così confortevole sulla pelle da regalarmi un breve istante di benessere.
Mi avvicino subito a lui stringendogli la spalla, scendendo verso la sua mano sentendo il bisogno di un contatto.
Si volta lentamente per abbracciarmi. Chiudo gli occhi inspirando ancora come una tossica il suo profumo. Quello che mi piacerebbe avere sulla pelle ogni giorno, sentirlo all'alba o di notte quando è tutto buio e silenzioso.
«Andiamo, devi scaldarti. Stai ancora tremando», mettendo sottobraccio la coperta mi riporta in soggiorno dove mi avvolge come un bozzolo. Lego i capelli umidi fissando le fiamme del camino davanti a me.
Travis si affianca. «Che succede Bi? Mi devo preoccupare?»
«Non voglio tornare a casa», stringo le dita sul morbido tessuto della coperta appoggiando la testa sulla sua spalla.
«Puoi rimanere qui se vuoi. Io non sarò invadente.»
Scrollo la testa. «Posso stare con te per qualche ora?»
Sotto l'occhio gli si forma una lieve ruga. Strizza la palpebra cercando di capirmi, di leggermi dentro. Di comprendere cosa mi fa stare così male.
Attendo paziente una risposta mentre il mio cuore palpita a velocità scostante.
«Certo.» Gratta la tempia guardandosi intorno. «Fammi organizzare un paio di cose e sono tutto tuo. Ok?» mi pizzica il naso. Un gesto che stupisce anche a lui. Nascondo il visto nell'incavo del suo collo. «Grazie Trev», sussurro.
Mi bacia la fronte. «Arrivo subito. Tu intanto mettiti comoda.»
Si accerta che io sia d'accordo cercando una risposta nei miei occhi e poi sparisce dentro l'ufficio dove lo sento parlare con Nan.
«Che cosa le è successo?»
«Non lo so. È così spaventata da non volere rimanere sola. Ed è così arrabbiata da non riuscire a smettere di tremare. Che cosa devo fare?»
Lo immagino camminare avanti e indietro.
«Starle vicino.»
«Tutto qua? Credi che sia utile?»
Non sento nient'altro. I rumori, i suoni, le voci, ogni cosa si attutisce. Mi sento di nuovo lontana.
Nan esce velocemente dall'ufficio girando intorno al bancone. Mi tiene d'occhio mentre continuo a fissare le fiamme non riuscendo a muovere un muscolo. Passo i palmi sul viso mordendomi il labbro così tanto da sentire il sapore del sangue in bocca. Non mi capacito ancora di come sia potuto accadere. Non sono riuscita a trattenermi. Il mio equilibrio è vacillato un solo istante e mi sono ritrovata sotto le macerie.
Nan, dopo qualche minuto, si siede accanto a me passandomi una tazza fumante. «Ti chiederei come stai ma ti si legge in faccia che stai male. Se hai bisogno di qualcosa, sono a tua completa disposizione. Non vergognarti a chiedere aiuto.»
«Grazie», rispondo scaldandomi le mani, giocando con la carta e il filo della bustina di te' verde. «Mi dispiace se ho disturbato.»
Mi sorride in modo complice. «Non è mai un disturbo vedere Travis così interessato e preoccupato per qualcuno.»
«Non lo è mai?»
Beve un sorso del suo te' nero. «No. Solo con te», mi guarda in modo rassicurante. «È una grossa novità anche per me. Ed è strano e interessante allo stesso tempo. Hai qualcosa che lui riesce a vedere chiaramente e che tu tieni nascosta e ne è attratto. Altrimenti non si sarebbe mai permesso di tenerti o stringerti tra le braccia o di ospitarti nei suoi spazi. Soprattutto non si sarebbe mai mostrato per quello che è.»
Si alza strizzandomi l'occhio quando Travis torna in soggiorno con il suo passo felpato. Bevo un altro lungo sorso di te' riscaldandomi, cercando di cogliere il messaggio cifrato nelle parole di Nan. La persona che, forse conosce Travis più di tutti.
«Per oggi puoi andare pure a casa. Tu e Mitch potete prendere un giorno libero.»
«Grazie signore, a domani. Se ha bisogno chiami.»
La accompagna alla porta poi mi raggiunge. Toglie la tazza dalle mie mani stringendole e tenendole tra le sue. Sono grandi e morbide. Il calore che irradia il suo corpo mi riscalda l'anima, acquietando il tumulto interiore che mi spinge a piangere.
«Allora, hai fame?»
«Risolvi ogni cosa con il cibo?»
Alza le spalle guardandomi come un ragazzino. «È la migliore cura a volte.»
Mi avvicino a lui e circonda con un braccio le mie spalle. Mi siedo sulle sue gambe rannicchiandomi contro il suo petto. «Non ho fame. Ti avverto già che non sarò dell'umore giusto. Direi intrattabile e insopportabile», sussurro.
«E io ti avverto che non mi lascio convincere tanto facilmente da queste minacce», sorride spingendomi la testa con la sua. «Quindi dimmi cosa ti va di mangiare per pranzo e poi scegliamo insieme il film da vedere questa sera, perché non intendo rimandare la nostra uscita quindi il nostro appuntamento.»
La sua ostinazione mi regala un sorriso. «Sei proprio convinto del tuo potenziale, eh?»
Mi solleva il viso. Il suo fiato a solleticarmi le labbra. «Te l'ho detto: so cosa voglio.»
«E cosa vuoi esattamente?»
«Da te?»
«Si.»
«Regalami uno dei tuoi sorrisi sinceri. Vederti in lacrime è stato... simile al ricevere una pugnalata.» Riflette sulle sue stesse parole. Mi stringe poi forte. «Devo ammazzare qualcuno?»
Nego. «Ho fatto un enorme casino, Trev.»
Gioco con il bordo aperto della sua camicia. Blocca il mio gesto guardandomi con attenzione. «Raccontami.»
Prendo un breve respiro. «Mi prenderai per stupida. Ho litigato pesantemente con zia Marin urlandole addosso parole che ho sempre tenuto dentro e cercato di non far uscire per non ferirla. Insomma, lei non aveva ancora capito che l'ho mandata in quella clinica per non farla sentire più sola o annoiata e non per togliermela di torno. Non aveva ancora capito che io... io so che lei presto o tardi se ne andrà. Che non le rimane ancora molto da vivere. Volevo solo che non vivesse i suoi ultimi mesi dentro una casa, tutta sola a stare male. Non volevo neanche che mi remasse contro. Io...» le mie spalle sussultano e scoppio in lacrime sentendomi tanto in colpa.
Mi stringe a sé. «Hai fatto una cosa meravigliosa per lei. In parte anche per te. Vedere morire qualcuno non è facile.»
«No. Non lo è», sussurro.
«E che cosa hai fatto? Hai urlato dopo esserti trasformata in Hulk?»
Rido spingendolo. «Riesci sempre a rendere tutto leggero. Ad ogni modo, una cosa simile quindi sta attento», lo minaccio con l'indice puntato contro.
«Non ho paura. A proposito, ho notato come hai guardato la porta del mio ufficio. Questa notte non ne abbiamo avuto il tempo, te l'avrei mostrato.»
«Hai un bunker segreto come Batman?»
Ride e la sua risata cristallina mi riempie il cuore. «Solo una porta direi. Vuoi vederlo?»
«È una proposta indecente come quella della vasca, caro MisterX?»
Arrossisce lievemente. «Può darsi», alzandosi mi conduce verso il suo ufficio. «A te l'onore», esclama divertito.
Premo il palmo sul quadro lasciandolo strisciare dentro la parete grazie alla porta scorrevole sulla quale è appeso. Sbircio dentro trovando un ufficio piccolo e grazioso, anche se buio.
Le pareti sono di un colore simile al caramello ma molto più chiaro. Il pavimento in legno lucido. Una scrivania centrale, una grande sedia girevole mogano scuro dall'aspetto comodo, una poltrona davanti dello stesso colore. Una libreria bassa dove sopra vi è una collezione di palle da baseball firmate. Sopra, un quadro con l'immagine in bianco e nero di New York, del ponte di Brooklyn. Una palma all'angolo, nell'altro una lampada. Una candela profumata riempie la piccola stanza dell'odore di cedro e sandalo.
«Qui è dove lavoro. È buia perché così la gente non riesce a vedere il mio volto interamente, quando sono in videoconferenza.»
Giro intorno alla scrivania sfiorandola con due dita. C'è un tablet, un portatile, un cofanetto con delle penne, un blocco pieno di appunti, un grosso volume con sopra una lente di ingrandimento. Una lampada e una sfera con la Statua della Libertà e la neve dentro «Quindi lavori da casa?»
Annuisce appoggiato allo stipite della porta. «Salvo situazioni particolari ma si, nel complesso lavoro da casa cercando sempre di non farmi vedere in faccia.»
Mi appoggio alla scrivania, a pochi passi dalla poltrona e lui mi si avvicina. Il mio corpo percepisce la tensione emanata dal suo. Si tende e trema. Ogni centimetro della mia epidermide formicola.
Le sue mani indugiano poi si posano sui miei fianchi sollevandomi, facendomi sedere sulla superficie liscia, fredda. Si sistema nel mezzo, tenendomi inchiodata al suo sguardo magnetico. «Non mi piace vederti così triste, Bi. Dimmi quello che posso fare», mormora.
Gonfio il petto. «Stai già facendo tanto per me e credimi, non so come ringraziarti.»
Abbassa il viso. «Diciamo che adesso siamo pari. Non pensare più a questo, ok?»
Gioco con il colletto della sua camicia e quando sollevo gli occhi, mi sento trascinare via dalla corrente. Schiudo le labbra pronta a dire qualcosa ma il tablet squilla facendo vibrare la superficie sulla quale sono seduta.
Scivolo via. Travis gira intorno alla scrivania sedendosi composto sulla sedia girevole, sistemando il tablet come è solito fare per nascondersi, rispondendo dopo avermi fatto cenno di fare silenzio.
Mi siedo con le gambe sotto il sedere sulla poltrona. Il maglione si solleva ma non me ne curo. Qui so di essere al sicuro e di poter essere me stessa, soprattutto libera di mostrarmi come voglio.
Travis mi sorride notando che sono a mio agio nel suo ambiente, rispondendo come un uomo d'affari alla videochiamata.
Dentro la piccola stanza rimbombano le voci di coloro che sono dietro lo schermo. Uomini e donne alquanto agitati. Ognuno parla sull'altro creando un frastuono di voci più che fastidioso.
Travis riesce a calmare gli animi in breve tempo, dando loro le risposte che cercano su circa dei fondi da destinare alla ristrutturazione di alcuni palazzi nel Bronx.
Lui di tanto in tanto, pur mantenendo la calma, stacca gli occhi dallo schermo guardandomi.
È sempre attento a tutto. È sempre così ospitale con me da permettermi persino di assistere ad una riunione.
Sentendomi di troppo. Mi alzo lasciandolo solo. Una volta in soggiorno, mi guardo intorno avvicinandomi alla vetrata. Fuori piove abbastanza forte da allagare tutto, creando dei fiumi d'acqua che scivolano via dalle strade piene di auto. Queste procedono a rilento. La vetrata è interamente ricoperta da piccole gocce di pioggia a rendere la vista anche se distorta, magnetica.
Stringo addosso il maglione morbido di Travis con il suo profumo che, con ogni probabilità rimarrà permanente sulla mia pelle. Mi avvicino poi alla cucina aprendo il frigo e la dispensa mettendo sul ripiano gli ingredienti per preparare due toast. Niente di complicato o troppo impegnativo da fare.
Non so con esattezza quello che siamo io e lui. So come mi fa sentire e mi basta. Mi basta perché pur non avendolo cercato, è stato lui ad arrivare da me. È stato lui a trovarmi e a mostrarmi qualcosa di nuovo.
Poso su un vassoio una bottiglia d'acqua, due bicchieri e i toast portandoli dentro l'ufficio dove li dispongo sulla scrivania.
Vedendomi tornare, Travis abbassa di poco le spalle. Sembra però nervoso per la piega che sta prendendo la riunione. «Scusate ma adesso devo andare. Fatemi sapere tramite e-mail come procede.»
Riaggancia senza neanche attendere una risposta girando lo schermo sulla scrivania. Alzandosi mi raggiunge. «Potevo ordinare qualcosa», dice appoggiandosi alla scrivania. «Fanno degli ottimi panini grigliati in quel locale oltre allo youcam. Potevo anche ordinare un dolce, magari questo avrebbe risollevato ulteriormente il tuo umore.»
Gli porgo il piatto con il toast. «Ho fatto prima io. Poi, fuori piove. Il ragazzo delle consegne non può bagnarsi o rischiare di essere tamponato per un tuo capriccio o per una confezione di dolcetti.»
Alza il labbro in un sorriso sghembo. Addenta poi il toast. «È il suo lavoro, Bi.»
Mi siedo sulla poltrona rigirando il toast tra le dita dandogli un piccolo morso inappetente. «Lo so. Ma fuori piove e non era proprio il caso perché non ho neanche fame. Sarebbe stato uno spreco.»
Posa velocemente il piatto abbassandosi sulle ginocchia. «Sei triste.»
Poso anch'io il piatto pulendo le dita. Lui afferra i miei polsi sollevandomi, tirandomi a sé. «Allora, ho un programma per oggi. Dimmi se ti piace quello che ho stilato o se vuoi cambiare qualcosa», sussurra sul mio orecchio. «Dopo pranzo, ovvero tra qualche minuto, ci accoccoliamo sul divano. Poi, facciamo un bagno con una delle saponette colorate che ho deciso anch'io di comprare e provare. Giochiamo a carte o a Monopoli per tutto il pomeriggio mangiando schifezze e poi ci prepariamo, andiamo al cinema e infine concludiamo questa giornata mangiando una mega pizza e ci sbronziamo fino a svenire sul tappeto. Che ne dici?»
Rido. «Vuoi accoccolarti sul divano», la mia non è una domanda. È strano anche per lui dire una cosa simile. Ma riesce a stupirmi quando risponde: «Si», rimanendo in attesa.
«Davvero?»
«Non sono propriamente un cubetto di ghiaccio. Te l'ho detto nelle prime e-mail. Piace anche a me trasformarmi in un gatto, ogni tanto»
Poso i palmi sul suo petto e trattiene il fiato osservando le mie dita. «Ho anch'io delle esigenze. E si, voglio accoccolarmi su un divano. Possibilmente con te.»
Sorrido come una stupita quando specifica. «Che uomo pretenzioso», lo prendo in giro.
Circonda la mia schiena con le braccia avvicinandomi sempre di più a sé fino a premermi al suo petto. Percepisco il rumore del suo cuore. Raggiunge il mio come un'onda, lasciandomi addosso la voglia di perdermi e tanta dolcezza.
«Non hai rifiutato. Lo prendo come un si con riserva?»
Gli getto le braccia al collo lasciandomi sollevare lievemente. «Prima mangia o le tue prestazioni caleranno e saranno di scarso livello, oltre che deludenti.»
Mostra i denti facendo finta di mordermi il collo. «Mangerò te!»
Scappo ridendo ma mi tiene stretta e finisco ancora contro il suo petto. Mi manca l'aria. Il mio corpo sta andando a fuoco.
«Ci accoccoliamo e tu fai il gatto, a patto che non mi fai più quella domanda.»
«Non ti chiederò come stai. Lo so già.»
Mi alzo sulle punte dei piedi. «Bene. Vediamo se acquisti punti amicizia e...» sfuggo avvicinandomi alla porta voltandomi. «E se sei bravo come dici di essere», gli faccio l'occhiolino lasciandolo di stucco.
Mi sistemo in soggiorno, nella parte in cui il divano termina ad L. La coperta sulle gambe nude e il camino a poca distanza.
Travis porta il vassoio dietro posandolo sul bancone della cucina. Sedendosi accanto, appoggia la schiena contro la testiera imbottita. Sistemo la coperta su di lui e scivola su un fianco trovandosi davanti a me, nella stessa posizione. Le sue dita mi sfiorano il viso lasciando bruciature invisibili.
Abbasso le palpebre. «Come mai non ti sei sposato?»
Per la prima volta, non si irrigidisce. Anzi, sembra lieto della domanda. «Non ho mai trovato quella giusta presumo.»
«Sei un uomo come pochi. Hai avuto tante ragazze deduco.»
«Un paio da adolescente testa di cazzo quale ero ma niente di duraturo, poi ho smesso per dedicarmi completamente al lavoro. Dopo l'incidente non ho permesso a nessuno di avvicinarsi. Anzi, mi sono tenuto a debita distanza proprio per evitare brutte situazioni imbarazzanti. Insomma non che sia come prima di aspetto.»
Evito di dire la mia su questo argomento. Ormai penso che sappia che per me non ha valore avere una bella faccia se poi non si ha un cuore.
«Credi nel matrimonio?»
«Credo nell'unione di due anime. Non in un contratto scritto per fare contenti tutti, ristoranti e parroci compresi o come simbolo di appropriazione. Credo in una connessione reciproca, forte, che si concretizza con una sola cosa: l'amore. E poi c'è la famiglia.»
Accarezzo il suo viso. «È bello quello che hai appena detto», mormoro.
«Non voglio fare la domanda sbagliata. Di te che mi dici?»
Apprezzo questa sua delicatezza. Mi capisce anche quando sono io quella a non capire me stessa. «Credo nel legame forte e reciproco tra due persone che non hanno bisogno di dirsi continuamente ti amo per amarsi. Che non hanno bisogno di parole per capirsi e di dimostrazioni finte per tenersi. Credo nel rapporto tra due che sanno esattamente di essere destinati a stare insieme con o senza litigi. Accettando e affrontando tutto, confrontandosi. Il matrimonio deve essere un qualcosa di significativo per entrambi. Non necessariamente con un contratto o le fedi al dito.»
Sorride. «Profonda.»
Mi avvicino a lui. «Se non avessi avuto l'incidente, dove saresti adesso?»
Ci riflette. Non sembra nervoso o ansioso di cambiare argomento anzi, le mie domande lo spronano a parlare. «Probabilmente sarei comunque giunto qui. Ho sempre ponderato ogni mia scelta. Tu?»
«Non ci ho mai riflettuto. Odio pensare al futuro. Preferisco vivere quello che mi regala il presente.»
Pone la sua attenzione alla mie labbra. Non perde un movimento, una parola. Ancora una volta, dentro di me scatta quell'istinto naturale di perdersi. Ma, tengo a freno il mio corpo.
«E che cosa ti ha regalato oggi il presente?»
Torno ad accarezzare la sua guancia. Mi piace percepire sotto pelle il suo calore, la morbidezza, la barba a pizzicare i polpastrelli. «Una giornata da passare da sola con te.»
Il sorriso che mi dedica non ha niente a che vedere con tutti gli altri. Sfoggia proprio la bellezza di un ragazzo, un uomo gentile e unico. «Dove sei stato fino ad ora?» sussurro.
Preme le labbra sulla mia fronte e il mio corpo si ritrova coperto dai brividi. Le scariche raggiungono i posti più impensabili. Le sue labbra sono morbide, calde e sicure. Le mie dita quando si stacca si posano su di esse.
«Lo sai che faremo il bagno tra poco?» mi stuzzica.
«Dicevi sul serio?»
Appare divertito dalla mia reazione, dal mio indugio. Le sue mani si insinuano dietro avvicinandomi a lui. La mia vita si scontra con la sua. Sulle guance sale in fretta il sangue che, depositandosi in superficie le fa bruciare. «Io sono sempre serio. Vuoi fare un bagno con me?»
Inumidisco le labbra. «È una prova?»
«Ti darò un bollino extra.»
Lo spingo e ride alzandosi dal divano. «Andiamo.»
Poso senza indugio la mano nella sua. Camminiamo verso il bagno pensando alla stessa cosa. Quel momento vissuto poche ore prima nello stesso posto.
Apre il getto della vasca sistemata a doccia con il vetro satinato, riempiendola fino a metà con del bagnoschiuma.
Osserva la soffice nuvola bianca e dal mobile prende due "bombe" da bagno azzurre. «Come hai fatto?»
«Nan è brava anche a trovare le cose più impensabili come queste. E come ti ho detto, sono curioso di vedere queste famose saponette in azione. Anche se un po' mi dispiace rovinare o far sciogliere questo pesce e la tua conchiglia.»
«Quindi è stata anche lei a comprarti quei profilattici che tieni dentro il cassetto?»
Ride divertito. «No, quelli sono stato io. Non si sa mai, potrei averne bisogno.»
Adesso appare un po' meno sicuro. Batte i palmi strofinandoli. «Pronta?»
Mi guardo intorno e ha già fatto sostituire lo specchio. «Si, tu?»
Tentenna. «Da quale iniziamo?»
Avvicinandomi premo le mani sul suo addome risalendo. Bottone dopo bottone, apro la sua camicia provocandogli uno spasmo e un sussulto dietro l'altro, soprattutto quando le mie dita fredde toccano la sua pelle. «Iniziamo da questo MisterX», alzo gli occhi guardandolo da sotto le ciglia.
Ansima. Le labbra schiuse e il petto gonfio, l'addome contratto, si concede un attimo per concentrarsi, per riprendersi. Le mie mani indugiano poi scendono lungo i suoi pettorali, l'addome e il ventre scolpito. Qui ha solo dei piccoli segni bianchi. Li sfioro delicatamente. Mi blocca i polsi. «Ok, faccio io», boccheggia schiarendosi la gola.
Sorrido. «Pensavo di...»
«Sono sempre un uomo e se continuerai a toccarmi così o a guardarmi in quel modo avrai conferma che il mio amico, per non chiamarlo con il suo vero nome, funziona bene.»
Scrollo via la sua presa. «Voglio avere la conferma, non si sa mai. Magari dovrai chiamare Nan per acquistare delle pillole blu o magari sono io a non andare ben...»
Mi tappa la bocca. «Mi stai provocando?»
Allontana la mano per permettermi di replicare. «Forse. Ti infastidisce?»
Mi si avvicina. «Direi di no. Visto che devo essere sincero con te: mi eccita parecchio! Quindi vai più che bene.»
Appoggio la fronte sul suo petto nascondendo il viso rosso. Prendo di seguito un lungo respiro. «Ok, facciamolo. Se non riesci a sopportarlo per qualsiasi ragione a me sconosciuta... mollerò la presa», dico sfidandolo.
Inumidisce le labbra. «Ok, fa pure. Ma niente sguardi sensuali o sarò costretto a lanciarti dentro la vasca o a lanciarmici io per una doccia fredda.»
Rido. «Va bene. Rilassati.»
Le mie dita scorrono di nuovo sul suo addome verso il basso. Toccare la sua pelle è una sensazione rilassante.
Sbottono i pantaloni lentamente. Tenendo a mente di non doverlo guardare in quel modo, il che è difficile visto che i miei occhi continuano a cercare i suoi. Tiro giù la cerniera e mi ferma. «Da qui continuo io.»
Indietreggio con le mani bene in vista e un sorrisetto. «Lascio a te il resto dello spettacolo», dico sedendomi sul ripiano del lavandino.
Inarca un sopracciglio. «Mi stai suggerendo di essere sensuale?»
Accavallo le gambe. «Provaci se ci riesci, caro MisterX», lo provoco.
Le sue pupille si dilatano. Sfila i pantaloni in maniera sensuale avvicinandosi come una divinità in boxer. Mi viene da strillare ma rimango composta seppur divertita.
«Adesso togliamo questo che ti sta davvero bene o ti ci sei affezionata e vuoi tenerlo?» ghigna.
Alzo le braccia. «A te l'onore.»
Non se lo fa ripetere e mi sfila via il suo maglione. «Devo ammettere che ti dona. Ed è il mio preferito. E no, non te lo regalerò per dormirci la notte.»
Lo spingo e ride. «Come fai?»
«Te l'ho detto, a volte non sei così chiusa e mi permetti di capirti. Altre sei criptica e fatico. Un po' come prima.»
Scivolo giù e lui indietreggia verso la vasca. «Pronta?» ancora una volta non sembra convinto. «Io si. E tu?»
Entra dentro la vasca guardandomi con una certa luce negli occhi mentre faccio lo stesso. Mi sento attraversare dalle sue iridi che si mescolano al colore della lussuria.
Ci sediamo l'uno di fronte all'altra a poca distanza. Lo spazio non è molto, ma essendo piccola riesco a mettermi comoda. Non mi sento neanche in imbarazzo come avevo immaginato.
Travis mi passa la saponetta. «Al mio tre. Uno, due...»
Le lanciamo in acqua e tra di noi si creano sfumature di colore bianco, azzurro e glicine. Vedo i suoi occhi catturare tutto con ammirazione e divertimento. Come un bambino curioso, sfiora la superficie spezzando il velo dell'acqua. Sollevo una nuvola di schiuma soffiandoci sopra e lui piega la testa di lato poco prima di stringere le dita sui miei polsi avvicinandomi a sé in una mossa che mi fa reagire. Mi sfugge infatti uno strillo e gemo, quando mi ritrovo a cavalcioni su di lui.
Lego i capelli con le guance in fiamme perché continua a guardarmi in quel modo intenso, forte, in grado di abbattere dentro e fuori ogni barriera. Passo i palmi sulle sue spalle scendendo sul petto massaggiandolo. «Qual è l'altra cosa che non hai ancora fatto con nessuno dopo l'incidente?»
Passa la mano tra i capelli. «Direi di essermi perso molte cose», mi sfiora le braccia.
Inarco la schiena e i nostri visi si fanno vicini. «Tipo?»
«Giocare in acqua con una ragazza, fare una passeggiata, abbracciare qualcuno...» ci pensa su. «Cose che sto facendo solo con te. Anche se non mi piace mostrarmi nudo.»
«Bene», alzo il mento.
Mi guarda curioso. «Bene?»
«Mi piace avere l'esclusiva! E per la cronaca: il tuo fisico non è niente male.»
Prova a farmi il solletico e lo abbraccio. Appoggio poi la testa sulla clavicola giocando con la sua mano coperta dal guanto che tolgo via infastidita. «Questo non serve quando sei con me», dico lanciandolo fuori dalla vasca.
Muove le dita aprendo e chiudendola a pugno. «Inizialmente non riuscivo a muoverla.»
La sfioro con l'indice. «Adesso si e c'è solo una bruciatura», giro il palmo e lui prova a nasconderla ma sono più forte. I miei occhi vedono due solchi sul polso. Sono due linee precise non casuali. Apro e richiudo la bocca mettendomi a metà busto.
Travis appare a disagio ma non si muove. Fissa un punto lontano.
Improvvisamente l'aria cambia.
«Chiedilo!»
Deglutisco a fatica. «Hai...»
Mi si avvicina. Il fiato caldo, quasi in affanno. «Chiedilo!» ringhia.
«Ti sei fatto male da solo?»
Dilata le narici uscendo in fretta dalla vasca allagando tutto. Attorciglia in vita l'asciugamano passandomi un accappatoio morbido. «Trav... non volevo essere invadente», dico sentendomi in colpa.
Passa il palmo sulla tempia asciugandosi. «Ci sono cose di cui non vado fiero. Questa è una delle tante.» Guardandosi intorno sparisce in camera.
Ne approfitto per asciugarmi indossando di nuovo il suo maglione, togliendo il reggiseno bagnato appendendolo sul gancio in alto lasciandolo asciugare. Sguscio fuori dal bagno entrando in punta di piedi nella sua stanza, dove lo trovo seduto sul bordo del letto, gli occhi fuori dalla finestra dove il cielo tempestoso continua ad abbattere la sua forza ovunque.
Mi avvicino e mi passa un paio di boxer nuovi senza guardarmi. «Mi dispiace, non ho cambi femminili.»
Li prendo staccando l'etichetta. Mi sento in colpa. Non riesco proprio a tenere a freno la lingua. «Andranno bene, grazie», dico incamminandomi verso il bagno scuotendo la testa, rimproverandomi.
Sento i suoi passi alle spalle. Non mi volto. Mi ferma sfiorandomi il gomito. Non resisto, girandomi con il busto lo guardo e appare dispiaciuto. «Non voglio che tu pensi che...»
Mi volto del tutto. Alzandomi sulle punte bacio la cicatrice sotto la maschera. «Non andrò via perché in passato hai avuto un momento buio e di debolezza e non me ne hai parlato. Sarei incoerente se dicessi di non averci pensato anch'io tante volte. Tu però hai avuto il coraggio di farlo, di andare fino in fondo. È sbagliato ma non lo era per te, in quel momento. Adesso però sei qui. Sei con me. E io mi sento fortunata ad averti conosciuto.»
Staccandomi da lui entrò in bagno. Chiudo la porta sfilando via l'intimo, indossando i suoi boxer. Sembrano culotte e sono davvero comodi. Sono neri, una striscia bianca simile ad un elastico con il marchio cucito sopra.
Mi appoggio al lavandino, lasciando uscire tutto il fiato trattenuto poi asciugo l'acqua dal pavimento usando un panno che trovo all'angolo.
Mi sento stordita e terribilmente in colpa. Perché so come ci si sente quando hai un pugnale piantato nel cuore e fingi di non provare dolore. So come ci si sente quando tutto crolla e non ha alternative. Quando vedi tutto nero. Tutto spento. Lo so. E non posso giudicarlo per quello che ha fatto a se stesso in un momento di tristezza o dolore puro ed intenso.
Quando esco dal bagno è appoggiato alla parete. Trattiene l'aria. Provo a superarlo e invece mi ritrovo aggrappata al suo abbraccio. «Sei davvero fuori dal normale», mi sussurra.
«Da che pulpito!». La mia esclamazione gli provoca un sorriso.
«Adesso che si fa?» domando attenta.
«Adesso devo modificare il progetto iniziale perché mi sono reso conto che qui non ho giochi da tavola a parte gli scacchi. Poi c'è la PlayStation ma...»
«Ottimo! Se hai un gioco di simulazione o di guerra ti faccio il culo!» mi avvio in soggiorno.
Travis rimane impalato ma non sembra sconvolto quanto piuttosto stupito. Stringe la palpebra. «Sto davvero dubitando della tua natura umana. Sicura di essere una ragazza?»
Lo guardo male accendendo la tv. «Solo perché voglio giocare alla PlayStation non significa che io non sia una ragazza come le altre o che lo sia ma fuori dal normale. Inoltre, hai visto anche tu che intimo porto e vista la trasparenza del tessuto hai notato e non negarlo, che tra le mie gambe non c'è nessun passerotto. Dovrei sentirmi offesa ma no, non lo sono. E adesso muoviti e battimi se ci riesci!»
Sorride avanzando con la sua tipica sicurezza. Mi piace anche questo di lui. Non si tira mai indietro. Non si spaventa a provocarmi o a stuzzicarmi. Non rimane arrabbiato a lungo.
Gli porgo il joystick sedendomi accanto prima di appoggiarmi comodamente con la schiena al suo petto. Il suo braccio a circondarmi la vita e il viso di fianco al mio. «Pronta, passerotto?»
Mordo il labbro trattenendo a stento la risata. «Mi è uscito dalla bocca senza controllo», mi giustifico mentre la schermata si carica.
«Lo so. Come so che intimo indossi. E per la cronaca: non è niente male.» Mi annusa. Cerco di capire la ragione del suo gesto. «La tua pelle», mi sussurra all'orecchio.
Piego lievemente la testa sollevando la spalla. Un gesto istintivo. «Che cosa ha?» mi annuso per capire.
«Ha un odore diverso.»
Guardo lo schermo. «Questo è davvero strano. Non oso chiedere che tipo di odore. Spero non sia sgradevole per te, visto che io sento solo odore di bagnoschiuma.»
Mi soffia sul collo e mi scanso lievemente. «Sei molto sensibile», dice ignorando la mia domanda.
«Parecchio», ammetto. «Certo che oggi sei strano», replico guardandolo di sottecchi.
Sta sorridendo come un bambino sotto l'effetto zuccheri assunti in abbondanza. «Pensavo di non vederti fino a stasera e invece stai passando con me l'intera giornata. E no, non mi sento in colpa per essere tanto egoista e volerti qui con me anziché chissà dove con chissà chi.»
Il suo tono calmo, misurato e caldo è in netto contrasto con le sue mani. Tengono fermo il joystick e le sue dita premono sui tasti velocemente, mentre lo schermo diviso in due fornisce una visione diversa del nostro modo di giocare.
«E per rispondere alla domanda: il tuo odore è più deciso oggi. Ma è comunque buono. Così buono che sto tenendo a freno la voglia di sniffarti di continuo la pelle.»
Rido mollandogli una lieve spallata e perde il controllo del personaggio. Si concentra nuovamente e i miei occhi assistono alla sua bravura nel gioco di azione. Mi fermo ad ammirare la precisione, la fermezza, il controllo. «Adesso spunterà qualcuno a destra e successivamente alle spalle», dice e facendo girare il suo soldato a destra preme il tasto rotondo del joystick facendo partire a raffica i colpi, stendendo uno dei cattivi e in seguito il secondo che, come aveva prestito tenta di saltargli alle spalle. «Visto?»
Metto in pausa il gioco.
Alcune persone diventano il dolore che hanno smesso di provare. È questo quello che vedo adesso. Mi colpisce. Mi apre gli occhi mostrandomi qualcosa, uno spiraglio di luce in mezzo a tutto quel buio.
«Chi sei esattamente?»
La mia domanda lo coglie impreparato. Il petto si gonfia e le narici subiscono uno spasmo dilatandosi così come le pupille. Passa le dita sotto le labbra. «Travis. Sono solo Travis.»
Nego. La mia testa oscilla. «No, tu credi di essere Travis ma dentro nascondi qualcun altro.»
Si alza in fretta spegnendo la tv, appoggiandosi al mobile che si trova sotto a questa. «Come hai fatto a capire?»
«Non è difficile. Senti, non voglio sapere quello che hai vissuto. Io voglio conoscere chi sei veramente. Non mi serve altro. Ma vedo che ancora ti trattieni perché non sai se puoi fidarti di me. Lo capisco. Ma provaci. Non allontanarmi. Perché io... io non voglio che lo fai.»
Ascolta le mie parole ma continua a rimanere nella stessa posizione. «Non ti piacerebbe conoscere la verità, fidati.»
Mi avvicino ma notando il modo in cui drizza le spalle, mi fermo. «Non voglio saperlo. Io voglio conoscerti...»
«Anche se applicherò qualche filtro?»
«Me ne parlerai quando sarai pronto ma non dovrai mai vergognarti di mostrarmi chi sei. Ti va bene così?»
Ci riflette. «Hai la straordinaria capacità di farmi sentire un coglione», passa il palmo sulla nuca.
Con le mani dietro la schiena, come una bambina, mi avvicino a lui. «Questo significa che ho ottenuto dei bonus?»
Lascia uscire un po' di fiato. «Questo significa che stai facendo tabula rasa nella mia vita. Presto o tardi raggiungerai questo cuore e allora per me sarà finita.»
Poso il palmo sul suo petto. «Provo anch'io la stessa sensazione. È assurdo ma a me sembra di conoscerti praticamente da sempre. Mi fai sentire a mio agio come pochi ci riescono e... sei intelligente, spiritoso, genuino. Sei forte, diretto, ma allo stesso tempo sei morbido dentro.»
Non sa se sorridere o rimanere serio. «Nel dubbio sono un cubetto di ghiaccio dal cuore morbido e caldo?»
Confermo rivolgendogli il mio più grande sorriso. «Si.»
Mi avvicino. Travis è come una calamita, mi attrae continuamente anche se a volte sembriamo dello stesso polo pronti a respingerci.
«Direi che è giunto il momento di prepararsi per il cinema.»
Mi guardo sentendomi un disastro. «Ritieniti fortunato», dico. «Solo a te sto permettendo di vedermi in questo stato.»
«Non lo permetti anche al tuo amico? Com'è che si chiama... Dan?»
«Ma tu non sei mio amico e Dan non mi ha mai offerto i suoi boxer nuovi da indossare?» dico alzando di poco il maglione per mostrarglieli. Rido e corro in camera sua dove trovo i miei indumenti asciutti, al contrario spostandomi in bagno constato che il reggiseno è ancora zuppo di acqua.
Travis si ferma sulla soglia ad osservarmi. «Mi preparo e ci spostiamo a casa tua? Così sei nel tuo habitat e puoi sentirti meno impresentabile, anche se non lo sei.»
Infilo i jeans asciutti lasciando addosso il suo maglione e i boxer. «Si. Vuoi un consiglio su cosa indossare?»
Annuisce portandomi in camera. Apre l'armadio indietreggiando. «A te la scelta», dice stendendosi sul letto con le braccia dietro la nuca.
Lo osservo mentre sfioro i suoi indumenti presenti in questo armadio bene organizzato e monocolore. Scelgo un maglione simile a quello che indosso ma blu scuro. Jeans e scarpe da ginnastica. «Questi andranno bene.»
«Non mi vuoi vedere vestito elegante?»
«Sarebbe come costringerti a non essere te stesso. Come dire ad un leopardo di indossare il manto zebrato. Per quanto tu sia sexy in camicia, preferisco vederti con un bel maglione e a tuo agio», rispondo arrossendo e voltandomi dopo avere parlato senza riflettere e senza filtri. «In fondo, andremo al cinema e poi mangeremo una pizza. Niente di così regale», proseguo lasciandolo solo. «Ti aspetto in soggiorno MisterX.»
Spostandomi nell'altra stanza, metto in ordine la cucina lavando tutto ciò che trovo sulla superficie. Ripiego la coperta, spengo il fuoco e quando mi volto lui mi sta osservando.
Infilo dentro la borsa l'intimo e il maglione ancora umido. Indosso il cappotto aspettando che si avvicini.
Quando indossa il suo cappotto, noto che ha già messo anche il guanto e cambiato la maschera in una meno visibile color carne dall'aspetto gommoso, non lucido. Le indossa come una seconda pelle, rifletto scendendo con lui al pian terreno senza mai distrarlo o disturbarlo dai pensieri.
In auto nessuno dei due continua a parlare. È tutto tranquillo. Tutto come deve essere. Guardo fuori dal finestrino. La pioggia sembra essere cessata. Le strade sono piene di pozze a riflettere le luci. Ma fa tanto freddo.
«A cosa pensavi prima?»
Cambia marcia entrando nel mio quartiere. «Possiamo parlarne dopo il cinema?»
Noto che inizia ad essere ansioso e annuendo scendo velocemente dall'auto entrando in casa, lasciandogli la porta aperta. Salgo in camera gettando gli indumenti umidi dentro la cesta del bucato.
Tolgo a malincuore il suo maglione indossando un tubino con delle trasparente sulle spalle e sulle braccia. Sfioro la collana che non tolgo mai e lascio sciolti i capelli che ricadono sulla schiena in morbidissime onde, mostrando dei riflessi piu chiari in contrasto con il colore cenere scuro.
Passo un po' di mascara sulle ciglia mettendo un rossetto nude sulle labbra rendendole più carnose. Dandomi un pizzicotto sulle guance, torno in camera. Indosso gli stivali con il tacco, quelli comodi, il cappotto nero e una sciarpa raggiungendo Travis.
Prima di uscire dalla stanza però, mi sento elettrizzata, strana e agitata dentro. Non mi è capitato tanto spesso di passare del tempo con un ragazzo che non fosse Dan. Prima c'era anche Nic ma con Travis è diverso. Lui mi fa sentire viva e libera.
Quando mi fermo sulla scala e lo vedo. Il mondo vacilla inclinandosi, mentre il mio cuore prende palpitare più del necessario. È così che ci si sente quando una persona riesce a toglierti il respiro e a donarti un nuovo battito?

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Come proiettile nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora