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"Quando non hai niente, non hai niente da perdere." Così diceva Jack Dawson in Titanic. Ma io pur non avendo niente, sento di avere tutto da perdere e la paura è uno di quei sentimenti che non posso spiegare a nessuno perché nessuno capirebbe come ci si sente ad essere persi e bloccati da qualche parte e non avere il coraggio e la forza di rialzarsi. Nessuno attualmente capirebbe quello che mi fa stare più male di ogni altra cosa. E non ho paura di morire. Ho paura di non lasciare un ricordo felice di me. Ho paura di non esistere dentro nessun cuore. Ho paura di svanire nell'aria come nuvola di condensa.
Ma in momenti bui come questo non c'è altro da fare se non mantenere la calma e lasciare che la mente e il corpo si abituino all'oscurità che ti circonda. Magari qualcuno arriverà ad accendere la luce, mi dico trovando un po' di conforto nella speranza.
E mentre aspetto in attesa di decidere la cosa più giusta da fare, il tempo continua a scorrere lo stesso. Tutto ciò che si perde diventa ricordo in questo presente insidioso. E ad ogni scoccare dei secondi, le possibilità diventano sottili come carta mentre i rimpianti si ingigantiscono come montagne le cui vette sono irraggiungibili.
Prendo un respiro profondo, mi concentro. Le dita ferme sulla tastiera.
Mi do la spinta che mi serve per chiudere con questa storia.

Bambi: "Ciao Dan. Sono Bambi. Zia Marin si è svegliata e ha chiesto di te. Puoi raggiungerci?"

Non attendo tanto prima della risposta. E quando mi arriva la notifica trattengo aria nei polmoni gonfiando il petto.

Dan: "Ciao Bambi. Sono qui vicino, arrivo."

Faccio un cenno all'infermiera dietro il bancone. Tutti i dipendenti sono stati avvisati e nel giro di qualche minuto sono arrivati anche i poliziotti che, travestendosi chi da infermiere, chi da medico, chi da inserviente, mi circondano.
Mi sento agitata ma allo stesso tempo so di doverlo fare per liberarmi da un peso. Non voglio più essere schiacciata dalla paura. Voglio davvero tornare a vivere serenamente, non avere più problemi. Anche se quelli so già che ci saranno sempre.

Dan: "Dove sei?"

Bambi: "Fuori dalla stanza."

Dan: "Puoi venire un momento fuori per parlare? Non voglio battibeccare proprio davanti a lei. Sai che ci resta sempre male."

Furbo, ma non abbastanza, anche se questo adesso complica le cose e il piano che abbiamo messo su in pochi minuti subirà delle variazioni, mi dico alzandomi e uscendo fuori. Spero vivamente di essere seguita da qualcuno mentre mi allontano.
Guardo intorno cercandolo più che nervosa e lui si trova nel vicolo a poca distanza dalla clinica e forse a troppa dalle guardie che potrebbero ammanettarlo o bloccarlo immediatamente accusandolo di tentato omicidio e tanto altro che non oso neanche immaginare.
Può il tuo migliore amico rivelarsi un potenziale pericolo per la tua vita?
Ci sono legami tossici. Tutti ne viviamo almeno uno nella vita. Bisogna però avere il coraggio di strappare quel filo che ci lega al male. Io, forse questa notte riuscirò a tagliare il mio. Forse strapperò quel filo che per anni mi ha tenuta legata ad una persona simile ad una nube pericolosa.
Non mi faccio prendere dal panico mentre mi avvicino pensando a come riuscire ad allontanarmi da lui in caso di pericolo.
Dan cammina avanti e indietro tenendo in mano qualcosa di spesso di colore grigio.
Indossa il suo cappotto marrone, jeans aderenti neri e un maglione a collo alto abbastanza pesante. I suoi capelli chiari sono scompigliati. Sembra averli tirati e sporcati dal nervoso.
Questo mi suggerisce che deve avere riflettuto parecchio su questo e che il mio messaggio sia stato un segno per lui.
Quando mi vede arrivare mi fa un cenno di fermarmi a debita distanza da lui. È come se sapesse. Per questa ragione arresto la mia camminata sentendo una fitta al cuore quando mi accorgo che quella che ha in mano è una pistola.
«Ciao Dan.»
«Adesso mi parli?»
Sta tremando e non si regge neanche bene in piedi. Mi fa pena per come si è ridotto. È proprio lontano dall'immagine del ragazzino che ho tra i miei ricordi. Era spensierato, sempre positivo. Adesso sembra proprio un tossico disperato.
Tutti i ricordi positivi, quelli dell'infanzia, dell'adolescenza, della mia vita intera sono distrutti da questo cambiamento. Mi domando se riuscirò ad accantonarli e a non piangere quando mi ritorneranno alla mente proprio quelli in cui siamo stati bene.
«In realtà è stata zia Marin a chiedere di te quando si è svegliata. Io ho solo accontentato la sua volontà pur non essendo d'accordo. Insomma, non le manca poco prima che si addormenti per sempre e io non voglio darle un altro dispiacere. Non voglio negarle qualcosa che al contrario le allevia un po' di quel dolore che porta dentro.»
Passa il dorso sotto il naso tirando su come se si stesse facendo una striscia. La punta è rossa a causa del freddo, un po' come le sue sottili labbra, lievemente screpolate.
«Come sta?»
Osa chiedere fingendosi interessato.
Infilo i pugni dentro le tasche. «Bene. A quanto pare al momento si riprenderà. Dopo quello che ha fatto è positivo che sia sveglia e vigile e che non abbia i sensi di colpa. Invece è stato traumatico per me scoprirlo.»
Cammina avanti e indietro ascoltando la mia risposta attentamente. «Ricorda qualcosa?»
Inarco un sopracciglio mantenendo la mia parte. È questo che gli preme sapere? Non gli importa che sia rimasta viva dopo quello che le ha fatto? Non si sente minimamente in colpa?
«Dovrebbe? Sa quello che ha fatto quindi credo di sì. Ma le hanno somministrato troppi farmaci e non ha ancora detto come sia riuscita a spostarsi in un altro bagno dopo che ne aveva già fatto uno nel suo.»
Sa il suo errore. Ci riflette su proprio adesso. Muta espressione contraendo i lineamenti del viso. Nega impercettibilmente.
«Non so, magari potrebbe toglierti dal tormento dicendoti come ha fatto.»
Adesso sta usando la tecnica del vago. Inizia a sentirsi sotto accusa perché sa esattamente che sono arrivata alla conclusione prima che lui riuscisse a terminare il suo compito. Era qui nei paraggi. In questa settimana penso mi abbia seguita proprio per vedere quando e con quale espressione uscivo dalla clinica.
«Si, al momento ho evitato. Insomma, appare stanca e deve recuperare le forze. Glielo chiederò di nuovo come ha fatto a tagliarsi i polsi pur non avendone l'energia», replico un po' più acida.
Inizia a non piacermi questo gioco. Inoltre nei paraggi non vedo nessuno. Forse stanno ascoltando standosene ben nascosti, ma ne dubito fortemente vista la distanza dal vicolo alla clinica che qualcuno mi abbia seguita.
Sono sola attualmente. Non ho neanche avvertito l'infermiera e adesso dovrò cavarmela con le mie sole forze.
Il silenzio diventa musica per le mie orecchie e meno per il mio cuore che trema quando mi accorgo che Dan ha appena stretto il pugno, smesso di tremare e mi sta fissando con rabbia. Come un assassino fissa la sua vittima prima di colpirla alle spalle.
Ma siamo faccia a faccia. Io non sono di spalle. Posso scansarmi, forse.
«Che cosa sai?»
Metto subito le mani avanti. Così, per istinto. E questa mia reazione lo fa quasi eccitare proprio come un predatore, al pensiero di potermi mettere paura, di potermi sconvolgere.
«Io? Niente. Te l'ho detto che non so come abbia fatto a spostarsi tanto in fretta senza che nessuno la vedesse in un altro bagno e con un coltello in mano quando non riusciva nemmeno a tirarsi su», rispondo con nonchalance.
Inarca un sopracciglio, così decido di continuare. «Senti, non volevo neanche chiamarti quando me lo ha chiesto. Ha insistito tanto quindi le ho fatto un piccolo favore. Se ti va valla a trovare. Passa dell'altro tempo con lei. Adesso me ne vado e ti lascio alle tue cose.»
Mi muovo lentamente aspettandomi proprio una brusca reazione da parte sua. Con uno scatto, infatti, mi afferra per il braccio trascinandomi contro il muro, nella penombra, lontano da occhi indiscreti.
Mi punta la pistola alla tempia guardandomi con occhi spiritati. Il contatto metallico sulla pelle mi provoca un lungo brivido che rischia di farmi urlare.
«Se solo provi a muoverti o a fare un altro passo ti ammazzo Bi. Non farmi incazzare.»
Trattengo il fiato per non sentire il suo che puzza schifosamente d'alcol stantio. Un odore acre che si sprigiona fuori ma che rimane incagliato sulla pelle.
«Ok», rispondo calma con il voltastomaco.
Preme maggiormente la presa. In qualche modo la mia risposta è come benzina sul fuoco che divampa dentro di lui alimentando la rabbia che prova nei miei confronti dopo essere stato rifiutato per anni e allontanato anche adesso.
Ma non puoi vivere intrappolato in una storia che non vuoi. Non puoi amare semplicemente schiacciando un tasto. Non puoi sentire certi sentimenti per tutti. Puoi solo provarne altri più leggeri o passeggeri. E a volte puoi averne persino paura.
«Non sto scherzando», alza il tono sempre più minaccioso e irrigidito.
È come se stesse lottando contro se stesso per far prevalere solo un lato della sua personalità.
«Lo so», sussurro.
«Sai anche che ti amo da una vita ma non hai mai cercato di ricambiare. Perché?» Sbotta inevitabilmente.
Tutto si riduce a questo. La nostra amicizia è stata un falso. Come quei quadri venduti oltre il vicolo per pochi spicci ma che riempiono le case di tutti, vengono attaccati alle pareti centrali e nessuno le giudica perché false ma le ammira perché belle lo stesso. La nostra amicizia si è basata su un affetto sbagliato che adesso rischia di farci del male.
«Perché meriti qualcuno che...»
Mi molla uno schiaffo abbastanza forte e sonoro lasciando la presa ed io boccheggio incredula portando le dita sulla ferita che si apre sul labbro lasciando colare fuori il sangue.
Mi coglie alla sprovvista questa sua reazione. Mi fa capire che non abbiamo più nessuna possibilità. Nessuna via d'uscita. Certe persone non sono buone. Sono solo nascoste dietro una maschera a covare rancore e cattiveria per anni fino al punto di crollare.
«Sta zitta!» urla facendo avanti e indietro.
Sussulto pur rimanendo composta. «Mi hai chiesto tu di dirti il perché. Non volevo offenderti.»
Mi fissa in cagnesco. «Sei solo una stronza che crede di potere tenere in pugno chiunque, ma guardati: sei una piccola, insulsa...» si blocca chiudendo gli occhi, ricacciando dentro tutto.
«Che cosa?» urlo. «Continua Dan. Dimmi che cosa sono per te!» alzo il tono affrontandolo. «Dimmi davvero quello che pensi di me e smettila di nasconderti dietro la facciata del bravo ragazzo!»
«Sta zitta!» mi colpisce un'altra volta facendomi cadere sul suolo umido.
Mi rialzo come una molla per impedirgli di approfittare del momento facendomi più male, pulendomi il labbro con la manica. «Non sai affrontare l'argomento perché sei piccolo. Sei un bastardo che crede di poterla fare franca. Ma ti sbagli. Ci sono arrivata io alla verità e ci arriveranno tutti gli altri. Come hai potuto farlo? Ti abbiamo accolto nella nostra casa, in famiglia. Ti abbiamo offerto il nostro affetto, il nostro tempo, i nostri spazi e tu... tu hai rovinato tutto.»
Mi si avvicina a passo spedito. Indietreggio pur affrontandolo con lo sguardo che continua ad evitare. Preme ancora l'arma sulla mia tempia. La sua mano trema.
«Ci metto un secondo a farti fuori», minaccia a pochi centimetri dalle mie labbra per farmi smettere di parlare e confondergli i pensieri.
Stringo i pugni in vita. «Fallo», sussurro girando lievemente la testa. Ormai ho capito che dentro di lui non c'è più del buono.
«Il tuo cervello salterà in un soffio», minaccia ulteriormente per mettermi paura.
«Stai ancora riflettendo se farlo? Mi vuoi morta quindi perché pensarci su così tanto? Con zia Marin è stato facile in fondo. Perché con me no? Hai detto che non mi avrebbe avuto più nessuno. Allora fallo!» la voce non si inclina, non diventa stridula. C'è solo l'affanno causato dalla scarica di adrenalina che mi investe e che tengo a freno insieme alla paura. Lo spingo persino di proposito per stuzzicarlo.
«Ahhh», ride scuotendo la testa. «Stai cercando di fottermi il cervello, lo so. Lo fai sempre», mi sussurra allontanandosi. «Ci riesci sempre piccola Bi...»
Riprendo a respirare. «Io non ho mai cercato di manipolarti. Ti ho sempre voluto bene come un fratello e sai benissimo che avrei fatto qualsiasi cosa per te, pur di proteggerti. Infatti mi sono beccata una pugnalata. Non è una dimostrazione questa? Perché devi sempre chiedere di più quando hai già tutto? Perché preferisci distruggere ciò che di buono abbiamo costruito...»
«Una sola cosa ti ho chiesto...» inizia con un tono di voce basso, robotico, tenendo gli occhi al suolo bagnato da una lieve pioggerella.
«Solo una!» alza in tono e l'indice.
Adesso sussulto visibilmente ma non mi manca il coraggio per contrastare il suo attacco.
«Dan, non puoi obbligare una persona ad amarti quando prova solo un affetto fraterno verso di te. Non è così che funziona.»
Stringe le labbra. «Però posso fare in modo che non sia di nessuno.»
«Vuoi davvero questo? Ammazzarmi perché nessuno possa amarmi a parte te? Sai che è una bugia che stai rifilando a te stesso per non soffrire, per non andare avanti, Dan. Sai benissimo che ci sarà sempre qualcuno ad amarmi e che io sto amando. Non puoi...»
Sputo un enorme quantitativo di sangue a terra dopo avere ricevuto un forte colpo al viso.
«Sta zitta! Zitta lurida stronza!» picchia il calcio della pistola lievemente sulla fronte come se stesse riflettendo o tentando di raccapezzarsi. Come se il suo piano iniziale avesse appena preso una piega diversa da quella immaginata o organizzata nella sua mente confusa e distorta dal senso di impotenza che si mescola alla delusione, alla rabbia, al disprezzo.
«Come devo fare con te? Ti sei intrufolata dentro e non... non te ne vai. Forse solo così riuscirò a farti sparire. Uccidendoti te ne andrai. Già, finalmente andrai via», mi punta la pistola in direzione della fronte.
Ancora a terra alzo le mani. «Va bene, Dan. Fallo. Fallo e fai soffrire a zia Marin. La donna che ti ha cresciuto insieme a me come un figlio. Fallo e perdi pure la tua amica. L'unica che ti abbia mai voluto bene. Fallo e...» mi molla un calcio dietro l'altro facendomi rotolare al suolo per non permettermi di parlare.
Tossisco sentendo un dolore abbastanza forte diramarsi dall'addome al ventre. Lo proteggo con il braccio guardandolo con rabbia. Con un solo occhio aperto per trattenere dentro il bruciore e l'inferno che sto cercando di domare.
«Sei davvero un mostro Dan», le lacrime iniziano a scorrere dal mio viso. «Una persona spregevole.»
Ecco come si tramuta un'amicizia, un amore, in odio e rancore quando si spezza. Ecco come diventa una persona ferita e ossessionata.
Mi rialzo malamente, non sento le gambe ma riesco chissà come a reggermi ancora in piedi e lui allontanandosi di qualche passo continua a camminare avanti e indietro più agitato di prima.
Sembra non importargli di me.
«Avrebbe dovuto funzionare», parla da solo. «Lei sarebbe dovuta morire e tu... distrutta...» scuote la testa ripercorrendo gli ultimi giorni, l'ultimo periodo.
«Ma ti sei sposata. Forse avrei dovuto farlo fuori quando ne ho avuto l'occasione e adesso saresti solo mia.»
Inumidisco le labbra avvertendo un'altra fitta di dolore che mi fa piegare e piangere silenziosamente. Ingobbita lo tengo d'occhio.
«Come avrei dovuto fare sparire Nic ma a quanto pare ci ha pensato il destino a farlo fuori. Quel lurido rifiuto umano è sempre riuscito ad allontanarti da me.»
«Dan, hai bisogno di aiuto. Possiamo...»
«NO!» urla di un'ottava. «Io non sono pazzo. Io sono innamorato di te e non sopporto tutto questo. Credimi. Io non voglio farti del male ma mi costringi tu... mi costringi.»
Singhiozzo. «Ma io non lo sono di te e devi accettarlo. Devi accettare il fatto che amo un'altra persona.»
Nega continuamente. Il suo viso cambia ancora espressione diventando livido. Appare come una bestia. Le vene sul collo gli si evidenziano nettamente e i muscoli gli si contraggono.
«Sei un problema, Bi. E i problemi si risolvono.»
Si avvicina colpendomi selvaggiamente senza neanche darmi il modo di difendermi. Mi rannicchio sentendo male dappertutto mentre continua a sfogare su di me la sua rabbia. Ma non mi ha ancora sparato, mi dico. Quindi ho ancora una possibilità di uscirne. Posso ancora strappare via il filo e liberarmi definitivamente di lui.
«Dan... mi stai facendo male», provo a parlare ma lamento dolori abbastanza forti da non riuscire neanche più a tenere gli occhi aperti.
«Lasciala andare!» Tuona una voce.
Drizzo le spalle mentre Dan guarda verso la strada dalla quale compare una figura. I pugni stretti, il giubbotto di pelle, i capelli bagnati dalla pioggerella che continua ad arrivare ad intermittenza.
Dan sembra avere appena visto un fantasma quando Nic avanzando rabbioso verso di lui lo sbatte contro il muro tenendolo fermo per i lembi del cappotto aperto e macchiato di sangue. Solo così mi libero dalla sua forza distruttiva tornando per qualche istante a respirare dopo avere trattenuto il fiato per interi minuti in cui credevo di non potere più resistere.
«Ciao piccolo Dan, da quanto tempo. Ti sono mancato?»
Senza dargli tempo gli molla una ginocchiata facendolo piegare in due. Continua con un pugno abbastanza forte in faccia, sul naso, da stordirlo per qualche attimo.
«Toccala di nuovo in quel modo e ti ammazzo!» Minaccia prima di correre da me.
«Ehi?» Prova a toccarti il viso. Dalla sua espressione capisco di essere messa male.
Scanso le sue mani infastidita e impaurita. Mi lamento e lui si muove per prendermi in braccio per portarmi in clinica.
I miei occhi si spostano alle sue spalle dove Dan sta per colpirlo con una spranga di ferro recuperata da chissà dove.
«Attento!» Urlo coprendomi.
Sento il rumore del metallo quando cade al suolo, i loro pugni fendere l'aria, rompere le ossa, fare male.
Mi trascino con un dolore insopportabile contro la parete di mattoni del palazzo sputando ancora sangue. La vista va e viene così come i sensi. Vedo tutto ad intermittenza. Come le luci stroboscopiche mi si para davanti la loro lotta.
«Tu... tu eri morto», balbetta Dan spingendolo quando Nic tenta invano di disarmarlo quando riprende in mano la pistola.
«Sono sempre stato dietro di te e non te ne sei accorto», sgrana lievemente gli occhi per mettergli paura. «Hai fatto una cosa che non dovevi.»
Dan barcolla indietro cadendo su una piccola pozzanghera. Non se ne cura. Dubito persino che se ne sia accorto.
«No, no, no. Sto solo avendo una brutta allucinazione.»
Nic ghigna in modo sghembo più che divertito avvicinandosi a lui come farebbe un leopardo. «No, non stai avendo un'allucinazione, Dan. È tutto vero e sono qui per riscuotere. Sono qui per spezzarti le ossa una ad una dopo quello che le hai fatto.»
Dan sgrana gli occhi puntandogli la pistola contro. «È colpa tua!» inizia tremando. «È tutta colpa tua se mi sono ridotto in questo stato. Se ho iniziato a fare uso di quella merda.»
Nic lo guarda come un falco non distogliendo mai i suoi occhi scuri da lui, facendogli sentire addosso la paura.
«Ma io non ho fatto niente. Chi potrebbe mai credere a questa storia, eh?» gli si avvicina. «Tu invece hai tagliato le vene ad una donna anziana, picchiato una ragazza dopo averla trascinata in un vicolo quando lei ha rifiutato le tue avance e ultimo, non per ordine di importanza, hai lavorato in un giro pericoloso facendo affari con gente poco raccomandabile, vedendo sostanze non consentite. Non avevi anche il tuo laboratorio sotto al locale?»
Ecco perché nessuno aveva la chiave del seminterrato, mi dico.
Dan indietreggia come un animale riuscendo infine ad alzarsi.
«Non sono andate così le cose. Tutti. Ci crederanno tutti che hai fatto affari con dei trafficanti. Sapranno tutti che non sei chi dici di essere. D'altronde, non sei neanche morto per davvero. Chi ti crede più?» ride tornando in sé.
Assisto a questa discussione sentendomi al centro del vortice. La pancia continua a farmi male così come la faccia. Non riesco ad alzarmi. C'è qualcosa che non va.
«Tutti. Mi credono tutti. Tu sei solo un tossico piccolo Dan. Un parassita che ha appena fatto del male ad una ragazza per ossessione.»
Dan ancora una volta assume la postura da animale pronto all'attacco.
«Ho sempre pensato che avevi qualcosa che non andava. Non mi sbagliavo. Sei un bastardo!»
Nic sorride più che divertito. «Non mi hai detto la stessa cosa quando ti ho portato in ospedale o quando ho pagato per farti ripulire o ancora quando ti ho trovato quel lavoro. Non mi hai detto la stessa cosa quando ti ho lasciato la lettera e la possibilità di stare con lei.»
È come se il passato si fosse improvvisamente riversato sul presente riempiendolo di vecchi rancori, rabbia e delusione, soprattutto vendetta. Se ne percepisce la puzza. L'aria si è caricata ormai da diversi minuti. Ci troviamo su un filo teso. Siamo funamboli in pericolo. Una sola mossa sbagliata e cadremo.
Qui nel vicolo inoltre c'è puzza di piscio, di cane bagnato e cibo umido ormai prossimo a diventare pasto per i vermi. Arriva anche la puzza di fumo di qualche ragazzo che per scaldarsi ha acceso un fuoco dentro un bidone.
Nic aveva organizzato tutto perché sapeva di non potere più rimanere qui a New York a lungo. Ecco perché è sparito senza lasciare traccia.
«Mi hai solo portato in ospedale perché è stata Bambi a pregarti con le lacrime agli occhi, non perché volevi farlo. A te avrebbe solo fatto comodo vedermi morto, visto che sapevo tutto di te. Sono sempre stato una persona scomoda. Invece quella stupida, piccola, insignificante ragazzina è riuscita a piegarti al suo volere», mi indica ridendo come un matto.
«Dimmi un po', come ci si sente ad essere morto e a trovarla con un uomo che voleva salvarti il culo? Come ci si sente nel vederla pendere dalle sue labbra? Come ci si sente nel non essere più ricambiato come prima? Eh?» lo spinge. «Come ci si sente nel saperla a letto con uno che non sei tu?»
Nic lo guarda furente avventandoglisi addosso provando a togliergli la pistola dalle mani e ci riesce perché questa scivola verso di me.
«Come ti sei sentito tu ogni anno della tua inutile vita. Almeno io ho avuto l'occasione di stare con lei ma tu...» lo schernisce mettendo il finto broncio facendo il gesto con la mano di stropicciarsi l'occhio.
«Il piccolo Dan non ricambiato dalla sua amica. Si può essere tanto patetici?»
Dan ringhia abbastanza forte attaccandolo e tra i due nasce una forte colluttazione.
«Sei solo un piccolo parassita», gli urla Nic fomentando la sua ira.
Dan non si trattiene di certo. Ormai è scoppiato lasciando uscire fuori la sua vera natura, quella tenuta stretta, legata per troppo tempo.
«E tu un bastardo che crede di farla franca. Ti sbagli. Ti stanno cercando. E uno ad uno ti troveranno e ti faranno assaggiare la loro vendetta perché sei nella merda. Non hai più nessun amico dalla tua parte!»
Corrugo la fronte. Di che diavolo sta parlando?
«Non mi troverà nessuno perché li ho fatti fuori uno ad uno.»
Dan sbianca fermandosi. «Che cosa?»
Ride. In risposta lo sbatte contro il muro. «Li ho cercati uno ad uno e li ho fatti fuori. Davvero credevi di esserne uscito così pulito? No, no. Non funziona così. Sei rimasto da solo piccolo Dan. E adesso che ti ho davanti, terminerò il mio compito e tutto andrà liscio come l'olio. Diranno che è stato un incidente.»
Estrae dalla tasca una lama che fa scattare dal manico. Risplende all'ombra e alla luce del lampione. È sottile, argentata, pericolosamente vicina al suo addome.
Spalanco la bocca provando ad urlare. Eppure non ci riesco. Continuo solo a guardare quei due così vicini da uccidersi provando un senso di impotenza indescrivibile. Doloroso.
Dan ride. «Dimentichi un piccolo dettaglio», replica indicandomi. «Di lei che ne farai?» lecca le labbra passando il dorso della mano sotto le narici imbrattate. «È una testimone.»
Nic mi guarda solamente adesso e Dan ne approfitta per disarmarlo. I due lottano a terra per recuperare l'arma scivolata a qualche metro di distanza.
Non vedo altra soluzione, mi dico. Con un fazzoletto che pesco dalla tasca per non lasciare le mie impronte e uno sforzo immane per alzarmi, prendo la pistola impugnandola meglio che posso.
«Fermi», urlo avvertendo una continua fitta allo stomaco in seguito alle innumerevoli pedate ricevute.
I due si bloccano. Nic afferra il pugnale ma Dan riesce chissà come a ferirlo alla spalla piegandogli il polso. Allora questi ricambia pugnalandolo sotto le costole.
«Ho detto fermi!»
Punto in alto la pistola notando che è già pronta, senza sicura e sparo.
Attorno non vola più una mosca in seguito al boato.
Dan ride. «Avrei dovuto farla fuori prima che arrivassi. Così adesso mi occuperei di te senza problemi», non attende non si distrae. Semplicemente colpisce selvaggiamente con un pugno in faccia Nic stordendolo.
Premendo la mano sulla ferita grondante di sangue, si avvicina come un lupo. «Abbassa la pistola Bi», ringhia ammonendomi.
Gliela punto addosso. «Un altro passo e ti faccio esplodere il cervello.»
Ride. «Ti credi così furba?»
Con una mossa agile mi disarma sbattendomi contro il muro, tenendomi ferma. «Non ti è bastato quello che ti ha fatto Patrick, eh?» sibila sulle mie labbra.
Alzo il viso chiudendo gli occhi per non sentire dolore quando mi sbatte ancora contro il muro. «Non ti è bastata la pugnalata o l'essere finita in ospedale per la mancanza di ossigeno?» stringe la presa sulla mia gola.
Inizio ad agitarmi. Non riesco a muovermi con il suo corpo a farmi da barriera. Provo allora con le braccia e le mani ad allontanarlo. Gli graffio persino il viso e solo allora emettendo un forte urlo mi lascia andare.
Cado a terra toccandomi il collo mentre annaspo in cerca di aria.
Dan mi solleva tirandomi per i capelli e ancora una volta sono contro la parete. Mi sento proprio come una bambola di pezza.
«Sei sempre stata così bella. Ma le ragazze come te portano solo problemi», sussurra all'orecchio. «Avresti potuto avere il massimo ma non ti è bastato.»
Mi si rizzano i peli sulla nuca. «Dan devi calmarti, ok? Lo so che non vuoi farmi davvero del male. Lo so che tra poco ci rimuginerai su e ti sentirai in colpa per quello che mi stai facendo.»
Sto prendendo del tempo per raccogliere un briciolo di forza.
Ha le pupille dilatate, le orbite arrossate, i denti in mostra e solamente adesso mi rendo conto che non è solo ubriaco.
Con la coda dell'occhio scorgo dei movimenti in lontananza. Non cedo all'istinto di mettermi a urlare forte, così tanto da sembrare una pazza che rischia di essere sgozzata come un animale per strada, in un vicolo maleodorante, lo stesso in cui mi sono beccata la pugnalata da Patrick. Rimango immobile, trattengo il dolore.
«Lo so che non vuoi farmi ancora del male e lo so che non sei così cattivo», sussurro.
Forse ho attirato gli agenti con lo sparo o erano già qui ad ascoltare tutto, dentro di me lo spero vivamente perché non c'è più tempo.
«Ma io te ne voglio fare così tanto che non immagini», stringe il viso tenendomi forte per il mento. Sento le sue unghie solcarmi la carne e vorrei urlare, ma non gli do la soddisfazione.
Gli accarezzo invece il viso. «No, non vuoi. Non hai mai voluto.»
Calde lacrime scivolano giù prive di controllo. Sono vere. Sono dovute a tutto quello che sento dentro e che lentamente mi sta uccidendo.
Dan accorgendosene le asciuga assaggiandone persino una. Abbassa il viso. «Sai che non ci casco più?»
Gli mollo allora una ginocchiata sperando di portare a segno il colpo. «Sai che ho imparato a difendermi dai bastardi come te?» gli ringhio addosso colpendolo con un altro calcio.
Ride tossendo rotolandosi al suolo poi mi fa cadere schiacciandomi sotto il suo peso.
Non respiro, le ossa mi fanno male.
Lottiamo fino a quando non gli mordo il braccio riuscendo chissà come ad alzarmi in piedi.
«Non ti avrà mai nessuno. Nessuno», sussurra come un clown.
Scuoto la testa. «Io non sono un oggetto, Dan. E tu sei solo un ragazzo che ha bisogno di una clinica psichiatrica.»
Indietreggio fuori dal vicolo come segnale.
Dan si avvicina ma viene attaccato alle spalle da Nic ritornato in sé e più che furibondo.
«Avrei dovuto ammazzarti anni fa ma posso ancora rimediare», ringhia.
Mi allontano ulteriormente quando nel vicolo arrivano le forze armate che hanno appena deciso di terminare questo stupido alterco tra i due che sembrano dei ragazzini.
Era ora, penso appoggiandomi ad un palo, scivolando stanca al suolo.
Dalla clinica, chiamati da un agente, corrono verso di me due infermieri portandomi dentro. Mi somministrano qualcosa per il dolore e in breve mi sento leggera. Tutto si allontana.
Dopo la lastra in cui mi dicono di avere le costole inclinate e una lieve commozione, mi fanno stendere un momento chiedendomi di rimanere sveglia e per fare ciò mi riempiono di domande.
«Possiamo contattare qualcuno? I suoi genitori?»
L'infermiera tira la tendina.
Trattengo le lacrime. Ogni volta che mi chiedono questa cosa mi sento morire. «No, non ho nessuno.»
«Un'amica?»
«È tardi potrei spaventarla. Posso rimanere ancora un po' qui?»
Il dottore che ci ha appena raggiunte mi fa cenno di sì. «Si riposi tutto il tempo che vuole.»
Dopo qualche ora torno a casa, nel mio piccolo alloggio con un sacchetto pieno di antidolorifici e bustine di te' prese in un negozio nelle vicinanze dove la proprietaria, un'adorabile vecchietta non ha fatto domande sul mio aspetto.
Poso la busta di plastica sul ripiano iniziando anche se malamente a pulire il soggiorno e la cucina dagli avanzi della cena organizzata con le mie amiche due giorni fa.
Mi guardo intorno sentendomi improvvisamente spaesata. La testa mi gira pericolosamente. Vedo la stanza, le pareti stringersi sempre di più.
Mi ritrovo in un angolo, al buio, da sola. Mi ritrovo avvolta nel silenzio della notte. Scavo dentro chiedendomi come sia potuto succedere. Subentra forte la tristezza. Mi sento sporca dentro, imperfetta per un mondo così corrotto e pieno di errori che irrimediabilmente si fanno quando perdi il controllo del tuo mondo. Mi sento fatta a pezzi. Ogni scheggia di questo cuore è così affilata da ferirmi il petto, da farlo bruciare terribilmente.
Mi ritrovo in un angolo, al buio, da sola. Le gambe malamente portate al petto. Gli occhi stanchi. Inizio a chiedermi se è questa la vita che desidero. Così difficile. Così terribilmente spenta.
Il nodo alla gola inizia a serrarsi, a stringere forte proprio come i pugni che tengo sulle ginocchia continuando a fissare il muro davanti a me.
Mi ritrovo in un angolo, al buio, completamente sola. Mi rendo conto di non avere resistito e di essermi persa. Mi accorgo di non riuscire a respirare bene.
Di avere vissuto quasi sempre in apnea, sul bordo del precipizio, sul filo del rasoio e che, sono caduta. Sono caduta tanto in basso da non riuscire più a rialzarmi, a tornare in superficie, a riemergere.
Mi ritrovo in un angolo, al buio, da sola. Sono in lacrime.
Sento bussare alla porta. Asciugo in fretta le lacrime andando ad aprire arrancando verso l'entrata come una ubriaca.
Tiro la cordicella senza neanche guardare dallo spioncino. Ormai non credo di avere ancora qualcosa da perdere.
La vita mi ha sottratto tutto. Ho giocato d'azzardo con il destino e adesso si è preso ogni cosa. Ma non chiederò la rivincita. Mi farò bastare le macerie in cui mi ha sotterrata. Ci costruirò una casa, la mia fortezza. Sarà qui dove abiterò da adesso.
«Dio mio, Bambi che diavolo è successo? Qualcuno ti ha aggredita?»
Appoggiata con la testa allo stipite della porta, singhiozzo silenziosamente davanti alla mia amica che, con il suo cappotto beige morbido, la borsetta firmata tenuta ferma sul braccio piegato e i tacchi alti mi guarda spaventata.
Senza esitare facendo un passo avanti mi abbraccia. Ha capito subito. Non abbiamo bisogno di parole io e lei.
Mi lascio stringere delicatamente dalla sua presa. La mano mi sfiora la schiena. «Io li ammazzo a quei due», minaccia staccandosi. «Sarò il tuo avvocato. Non la passeranno liscia e non se la vedranno tanto bene dove li spedirò.»
La lascio passare. «Vuoi un po' di te' o hai un appuntamento e sei solo passata per vedere se ero tornata a casa sana e salva?» Chiedo rimanendo con la mano sulla maniglia.
Emerson pesca il telefono dalla borsetta. «Si, hai quello buono ai frutti di bosco?»
Digita in fretta qualcosa sullo schermo.
«Emi, non devi necessariamente farmi compagnia. Ho solo subito una lieve commozione cerebrale e ho le costole inclinate per un paio di calci che meritavo di ricevere», le lacrime scorrono inarrestabili. Me ne vergogno e le nascondo.
«Ero con Brian ad una cena e gli ho chiesto di passare per vedere come stavi. Non immaginavo di trovarti pestata a sangue. Chiudi la porta e prepara le coperte perché adesso ci penso io a te.»
Provo a ribattere. Non mi piace che rinunci ad una serata con il suo futuro marito per stare insieme a me. «Non sarò di compagnia.»
Toglie il cappotto, i tacchi emettendo un verso provocante e legandosi i capelli in una crocchia bassa si sposta in cucina.
Ormai non giudica più questa catapecchia. Conosce bene ogni angolo e mi ha anche aiutata a sistemarla al meglio. Adesso è più vivibile.
Chiudo la porta avvicinandomi a lei. «Lascia, faccio io.»
Mi guarda male poi rinuncia. «In effetti sei più brava di me in cucina.»
Fruga tra i farmaci. «Questi non prenderli», mi avvisa agitando il flacone arancione con il tappo bianco. «Ti metteranno sonnolenza, appetito e assuefazione.»
Verso l'acqua calda dentro le tazze scegliendo i nostri te' preferiti. «Ricevuto. Ma attualmente mi serv...» mi rimangio subito tutto notandola contrariata.
Ci sediamo sul divano. «Hai detto che cosa è successo a Travis?»
Nego. «No, non posso. Darebbe di matto e... non mi va di farmi vedere in questo stato. Gli ho già causato abbastanza problemi. È meglio stargli alla larga per un po'.»
Emerson si alza andando a prendere il contenitore con i suoi biscotti e cioccolatini preferiti. Ormai sa che ne tengo sempre una scorta nascosta da qualche parte per lei.
Me ne passa uno e lo scarto cacciandolo in bocca, facendolo sciogliere lentamente visto che non riesco a masticare. Bevo un sorso di te' e mi rilasso o almeno ci provo, perché il dolore che sento praticamente ovunque è inarrestabile, continuo.
«Lo verrà a sapere.»
Sospiro amaramente appoggiando la testa sul bracciolo del divano. «Lo so.»
Emerson soffia sul te'. «E darà di matto.»
«Lo so», ripeto.
Rimane con la tazza sospesa. «Posso parlarci io?»
Alzo lievemente le spalle. «Fa quello che senti ma non dirgli dove mi trovo. È la cosa giusta da fare. Io creo solo problemi e lui è buono, generoso, altruista. Non merita tutto questo. Merita di vivere serenamente e non costantemente sommerso dai miei guai.»
Asciugo le lacrime tirando sopra il mento la coperta.
Emerson guarda fuori dalla finestra. «Ne sei sicura?»
Nego. «Voglio che sia libero e felice e soprattutto in grado di uscire da solo allo scoperto. Magari un giorno io e lui ci rincontreremo e...»
La mia amica finisce la sua tazza di te'. «Lo aspetterai?»
«La vera domanda è: lui aspetterà me?»
Si mette comoda. «Non ti senti pronta.»
Confermo con un cenno della testa. «Ho creato molti casini e lui deve risolvere anche i suoi. Magari un giorno riusciresti a stare insieme senza drammi.»
Riflette un momento. «Potrei invitarlo al matrimonio.»
Arriccio il naso. «Sarebbe come giocare di nuovo con il destino e contro la tua amica.»
Mi spinge lievemente prima di abbracciarmi. «E tu adori le sfide quindi... vedrò di organizzare bene le cose.»
«Devi solo pensare a sposarti. Devo ricordarti che non hai ancora scelto la carta degli inviti?»
Fa una smorfia. «Merda!»
Mi concedo un sorriso. «Ce la farai.»
«Anche tu, Bi.»
Arriccia il naso. «Però prima devi farti una bella doccia perché puzzi di pattumiera.»
Ci guardiamo per un lungo istante scoppiando a ridere.
Mi alzo tenendo tra i denti un verso di dolore. «Arrivo subito. C'è dell'insalata in frigo.»
I suoi occhi si illuminano. «Mandorle, semi e salmone?»
«C'è anche il riso», replico avviandomi verso il bagno.
«Siii», urla con un ampio sorriso alzandosi. «Ti voglio bene. Sei la migliore!»
Chiusa la porta del bagno, ho bisogno di un momento per riprendermi.
Dopo una lunga doccia mi guardo allo specchio sentendomi la persona peggiore del mondo. Fatico ad osservare i segni dell'odio di Dan sul mio viso per cui esco dal bagno trovando Emerson comodamente addormentata sul divano. Spengo la tv sedendomi sul letto nella mia piccola stanza. Mi guardo intorno e non mi trovo. Non ci sono più.

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