Non riesco a contenere il sorriso che esce spontaneamente dalle mie labbra. Lo mostro come se fosse proprio l'ultimo della mia vita. Una sola medaglia da sfoggiare con orgoglio per qualche breve istante.
Non avevo mai sentito un bisogno così impellente di essere felice. Di sentirmi così tanto tra le nuvole, da toccare persino il cielo con un dito.
Tutto questo solo per una dimostrazione spontanea, per un gesto inatteso ma ben accetto. Uno dei pochi ricevuti dopo tanti anni passati a scappare via dai ricordi del passato.
Tengo il bicchiere di caffè tra le mani riscaldandole mentre una lieve folata di vento freddo mi scompiglia i capelli. Dalla bocca fuoriesce un po' di condensa che raggiunge la coltre di nuvole sulla mia testa, dalla quale, di tanto in tanto, spunta il sole giocando a nascondino con la terra.
Il quartiere è lo stesso di sempre. Niente nei miei venticinque anni sembra essere cambiato. L'ho sempre trovato pittoresco. Per anni ho scattato foto fermandomi allo stesso punto per avere un ricordo, ma l'immagine che vedo è sempre la stessa. Come quella da copertina, immutabile e storica. Persino l'odore che aleggia di zucche, prati bagnati dall'umidità e legno non è mai cambiato. A differenza della città questo, sembra proprio un piccolo spazio incontaminato tagliato da qualche altra parte e incollato in una posizione diversa. Come un tassello incastrato male in un puzzle sul punto di essere completato.
Imbocco il vialetto superando il cancello che cigola quando lo spingo distratta dall'euforia che continuo a provare.
Alzo il viso e mi fermo. Il sorriso si trasforma in una lieve smorfia. I miei pensieri prendono una piega diversa. Mi sento come se qualcuno avesse appena spento la musica.
«Dan», esclamo un po' troppo ad alta voce, trovando il mio amico seduto sul portico, infreddolito e in attesa da chissà quanto tempo.
Oggi indossa un trench color caramello con il cappuccio imbottito da un tessuto morbido. Un berretto nero a lasciare uscire dei ciuffi di capelli di colore chiaro.
Le sue guance sono rosee e le labbra sottili rosse, più marcate e in evidenza del solito.
Mi volto indietro e non c'è ancora nessuno per strada, neanche la sua auto. Ecco perché non ci ho fatto caso. Di solito la posteggia proprio qui davanti al cancello. C'è un silenzio direi assordante. Sono tutti addormentati o in procinto di svegliarsi e godersi questa giornata di ottobre. Una domenica come tante.
«Dove sei stata?» alzandosi mi raggiunge quasi sollevato di vedermi.
Mi sento colta di sorpresa dalla sua reazione e in parte anche dalla sua presenza. Su due piedi invento una scusa. Mi guardo persino per accertarmi di non essere intrappolata in qualche sogno. «A prendere un caffè. Era da tanto che non uscivo di domenica», rispondo aprendo la porta.
«Di solito lo fai in casa, all'alba non esci mai così presto. E ieri sera invece?»
«Ero casa», dico lasciandolo entrare.
Assottiglia gli occhi. «Ho bussato alla porta un paio di volte. Era tutto buio.»
«Quando? Se sei venuto qui di notte ero nel mondo dei sogni. Avresti potuto usare la chiave di riserva per controllare. Sai dove la teniamo.»
Gratta la fronte forse pensando solo adesso a questo. «In effetti era tardi. Ma di solito ti svegli in fretta quando senti dei rumori», appare sempre più guardingo.
«Ero troppo stanca. Sto lavorando come una matta», e sto passando il tempo con un ragazzo sorprendente che non mi fa dormire la notte, vorrei aggiungere. Ma questo non lo dico, non posso. Dan darebbe di matto. Non è ancora pronto a vedermi con qualcun altro. E io non voglio ferirlo.
Si siede sullo sgabello infreddolito, strofinando i palmi prima di soffiarci sopra per riscaldarli. «Cosi tanto da non avere il tempo di andare a trovare tua zia?» usa un tono di rimprovero. «Cazzo, qui dentro si gela. Non hai neanche avuto il tempo di accendere il camino? Di solito è la prima cosa che fai quando ti svegli.»
Dimentico quanto Dan mi conosca. Ma una persona, non può cambiare abitudini?
Purtroppo per lui sono un libro aperto, conosce ogni mio spostamento. Potrebbe persino prevedere le mie mosse.
Dovrò fare anche due chiacchiere con zia Marin, mi dico. Lei non può e non deve manovrarlo. Dan è un ragazzo meraviglioso, a volte o quasi sempre ingenuo e lei non può fare leva sul sentimento che prova nei miei confronti per spingerlo a tenermi d'occhio o a farmi sentire asfissiata. Perché così facendo rischia di rovinare tutto.
Mi sposto in camera pestando i piedi sul pavimento consumato dai miei passi, dalle mie corse, dai miei balli.
Lui, come sempre, seguendomi, si siede sulla sedia girevole giocando con il funko pop di Freddie Mercury ancora dentro la confezione. Un regalo che mi ha fatto conoscendo la mia collezione segreta dentro l'armadio.
«Sai che ultimamente zia Marin esagera ed esaspera ogni situazione. Sono i farmaci...» scelgo degli indumenti puliti rimproverandomi per non avere ancora acquistato qualcosa di nuovo per il lavoro in web.
Dan guarda il portatile spento e le due rose sfiorandone una. «Non dare la colpa ai farmaci se sei tu a darle buca con delle scuse. Sai che le basta poco per allarmarsi.»
Ecco dove vuole andare a parare, mi dico controllando le sue dita che potrei spezzare se continuerà a sfiorare le mie rose. Zia Marin deve avergli chiamato subito dopo avere parlato con me. In qualche modo le mie scuse devono averla preoccupata o insospettita.
«Non le ho dato buca. Ho avuto un imprevisto al lavoro e non sono riuscita a fare in tempo a raggiungerla. Non è un delitto. C'eravamo viste il giorno prima e non che sia cambiato qualcosa nella mia vita in quel lasso di tempo.»
«Ma...» apre la bocca pronto a replicare.
«Non posso più avere un attimo di respiro in questa cazzo di vita che mi ritrovo? Sono una persona anch'io. Non sono una fottuta macchina per i casi umani. Non sono un centro sociale. Sono una persona e in quanto tale e ho dei sentimenti, delle esigenze e una vita anch'io!» urlo. «Mi dispiace tanto se non sono andata ad una fottuta visita perché ho avuto da fare. Mi dispiace se sto cercando di andare avanti facendo quadrare ogni singola e minuscola cosa. Mi dispiace persino che lei si sia presa la briga di chiamarti quando le avevo chiesto di lasciarti in pace.»
Dan rimane spiazzato dal mio sfogo improvviso. Si avvicina facendo un passo dietro l'altro, sicuro di riuscire a confortarmi. «Mi dispiace per quello che stai passando. Davvero. Ma lei c'è stata per te.» Mi abbraccia. «E me lo ha detto che gli hai proibito di chiamarmi. Ma lei è zia Marin. Nota quando qualcosa non torna perché ti ha cresciuta. Tu non ritardi mai, non inventi mai scuse per non stare con lei...»
Sento improvvisamente estraneo il suo tocco. Mi allontano senza una ragione ricomponendomi. Gli occhi pizzicano terribilmente ma ricaccio nel profondo il senso di rabbia reprimendolo all'angolo, dove spero di tenerlo ancora per un po' prima di esplodere e fare danni.
«Devo fare una doccia e poi andare da lei.»
Dan drizza impercettibilmente la schiena sentendosi colpito dalla mia innaturale freddezza. «Ti lascio sola. Chiama quando ti sarai calmata!»
«Dan...»
«No, Bi. Hai qualcosa di strano. Posso anche capire che ti senti sotto pressione per il debito con l'ospedale, per gli esami, la laurea e tutto il resto. Ma... non ti accorgi che a poco a poco ti stai allontanando dalla tua famiglia! Tutto questo perché sei stanca.»
Scrollo la testa tenendo a freno il tremore, i battiti scostanti. «Non sono stanca di voi. Non potrei mai esserlo. Ho solo bisogno di un po' di tempo per me stessa. Non chiedo poi così tanto. E il vostro continuo tenermi d'occhio, mi fa sentire insicura. In questi anni mi sono occupata costantemente di tutto facendo troppe cose per tenerci a galla. Sono cresciuta prima di ogni altra adolescente e non per mia scelta. Adesso chiedo solo un attimo per me. Io... ok, ascoltami...» afferro le sue mani circondandogli le braccia intorno al collo, guardandolo dritto negli occhi perché l'ho sempre fatto e, perché in questo modo mi sentirà sincera. «Mi farò perdonare per le mancanze che ho fatto. Ma ora come ora, dovete fidarvi di me. Sto facendo il possibile per essere serena. Tra i debiti, le cure, le spese e tutto il resto non chiedo poi così tanto. Solo un'ora, un giorno di libertà. Mi dispiace se sembro strana, ma l'ultima cosa che voglio è essere controllata. E tu più di ogni altra persona sai cosa succede quando non riesco più a trattenermi.»
Mi stringe a sé. «Ti conosco e so che c'è qualcosa che mi nascondi. Quando ti sentirai pronta, io ci sarò. Come ci sarà zia Marin. Siamo la tua famiglia. Ma non permetterò che tu ti metta nei guai.»
«So a cosa stai pensando e non è successo. Puoi rilassarti. Nessuno mi ha messo le mani addosso appropriandosi o approfittandosi di ciò che è mio.»
Abbassa di poco le spalle. Lascio che mi baci le guance e capisco di averlo rassicurato. Perché in fondo lui sta mantenendo il segreto. Sta reggendo insieme a me il peso di quello che ho deciso di fare per salvare la famiglia, la casa, la dignità di entrambe per non cadere a picco.
«La famiglia prima di tutto», sussurro.
«Si, la famiglia prima di tutto», scioglie l'abbraccio. «Adesso mi tolgo dai piedi. Ti amo», stacca del tutto la presa avviandosi alla porta.
Mi sento in colpa per le parole sprezzanti e la rabbia mostrata e lo seguo. «Non mi hai ancora detto come va al locale».
Si ferma sulla soglia infilando i guanti e il berretto. «Senza di te è un mortorio. Pensa che Pat non guadagna più come prima. Sta iniziando a rendersi conto di avere perso la sua unica fonte di guadagno e fortuna. Io ne sarei soddisfatto», mi strizza l'occhio tornando il mio amico di sempre.
Dovrei essere felice della notizia, ma nel sentire il nome di Patrick, mi irrigidisco. Ripenso alle sue mani addosso e provo ribrezzo.
«Chiama quando arrivi.»
Sorride ignaro della bufera che si sta abbattendo dentro la mia testa. «Uno squillo, oggi sarà un casino», saluta con la mano.
Chiudo la porta appoggiandomi contro la superficie, lasciando uscire un lungo sospiro.
Ritornando nella mia stanza recupero gli indumenti scelti prima e lasciati sul letto.
Lo schermo del telefono si illumina. Lo porto in bagno riempendo nel frattempo la vasca.
Ho bisogno di passare un paio di minuti nel mio angolino.
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...