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«Che ci fai qui?»
È l'unica frase sensata tra le tante che mettono in disordine quei pensieri che riesco a pronunciare senza balbettare.
Travis si appoggia con il braccio allo stipite della porta premendo la fronte su di esso continuando a guardarmi. I suoi occhi sono tristi, pieni di colpa e in parte anche consapevolezza.
Troppe volte ho permesso ai suoi occhi di scavarmi dentro e di sbirciare nel mio cuore fatto a pezzi dal dolore e lui, senza delicatezza si è insinuato sotto pelle sfiorando ogni mia debolezza, facendomi sentire esposta, fragile, allo stesso tempo stranamente protetta. Lui si è preso tutto di me. Si è fatto carico delle mie insicurezze, di ogni mia paura trascinandole via dalla mia mente. Ha alleviato il senso di tristezza e solitudine provato con l'amore.
«Visto che non rispondevi alle chiamate sono venuto a trovarti», dice usando un tono di voce calmo, per non farmi andare in escandescenza. Anche se allo stesso tempo è evidente il fatto che sia contrariato.
In realtà, adesso che è qui davanti a me, ad un respiro di distanza, mi sto sentendo tradita, in parte anche seguita e braccata nel mio stesso ambiente. «Come hai fatto a trovarmi?» Dopo avere pronunciato queste parole mi sento una stupida perché so già come risponderà.
Pesca infatti il telefono mostrandomelo. «Non è difficile come sembra. Ho lavorato per il governo. Ricordi?»
Faccio una smorfia. «Ti avranno insegnato a scoprire dove si trovano le persone ma non ti hanno insegnato ad accettare un rifiuto, perché sto per mandarti a quel paese poco gentilmente e per sbatterti la porta in faccia.»
Ci provo per dargliene un esempio e lui entra in casa con uno scatto degno di un ladro. È sempre molto attento. Sospiro prima di gonfiare il petto trattenendo tutta l'aria possibile per non esplodere. Per me è già una gran fatica avergli rivolto la parola.
«Possiamo parlare?»
Indico il soggiorno dove Emerson sta russando. La uso come pretesto anche se in fondo mi dispiace farlo. «Come vedi sono impegnata attualmente, quindi se non ti dispiace adesso vattene via!»
Serra la mascella indurendo lo sguardo. «Si, mi dispiace e come. Anzi, credo proprio che mi fermerò qui anch'io. Puoi sempre parlare sul pianerottolo per non disturbare la tua amica», dice risoluto. Tiene sempre tutto sotto controllo. È spietatamente sensuale, diretto, ammaliante.
Scuoto la testa per non lasciarmi abbindolare dalla sua bellezza interiore. «No, non funziona così. Tu adesso te ne vai e mi lasci in pace. Devi accettare i no come risposta. Devi accettare il fatto che hai distrutto tutto e che indietro non si torna. Mi hai voluto tu lì con te e poi mi hai ignorata per la tua amante. Adesso divertiti a giocare alla famiglia felice con lei. Anzi, mi stupisce che non sia già qui con dietro la sua scorta», uso un tono provocatorio, acido di proposito. Indico la porta attendendo che se ne vada ma non lo fa.
Mi guarda storto e mantengo il contatto visivo ricambiando, mentre dentro di me scatta quella voglia di aggrapparmi alle sue spalle e baciarlo fino a consumarmi le labbra. Perché lo amo alla follia. Perché averlo a pochi passi mette a dura prova la mia stabilità.
Emerson per fortuna decide di interromperci emettendo un lamento dietro l'altro come una che ha le doglie. Mi sposto subito da lei riprendendo a respirare. Si alza a metà busto guardando la cucina e il soggiorno adiacente come se fosse svenuta e non ricordasse niente. Conosco i postumi della sbronza. Non ha una bella cera e ad un certo punto diventa del colore tipico di un lenzuolo inamidato. Tappa la bocca e con i suoi occhi smarriti chiede silenziosamente aiuto.
«Il bagno è di là», glielo indico con l'indice.
Si alza immediatamente chiudendo la porta alle spalle. Faccio una smorfia sentendola vomitare, tossire e lamentarsi.
Travis nel frattempo sta chiudendo la porta. Non faccio in tempo a fermarlo visto che Emerson esce dal bagno bianca come un fantasma. «Mi sento come se un tremo mi avesse appena investita», brontola arricciando il naso disgustata. Il mascara le è sbavato sotto gli occhi a causa delle lacrime. I capelli biondi sembrano un nido. Credo sia la prima volta in cui la vedo in questo stato.
«Ok, ti ci vuole un bel bicchiere per smaltire il tutto e per non avere il mal di testa tra qualche ora», dico più per tenermi impegnata, ignorando la presenza di quell'uomo in casa che adesso sta avanzando osservando attentamente il mio modestissimo alloggio.
Emerson, notando che sono rigida come una bacchetta di sambuco, si volta assottigliando gli occhi. «Guarda guarda chi c'è», dice usando un tono di sfida, alzando il labbro come una iena pronta all'attacco. «L'uomo dell'anno», lo schernisce.
Preparo l'intruglio che Dan mi ha insegnato per fare passare la sbronza, tenendo quei due d'occhio. Anche se apparentemente Travis non sembra affatto interessato a Emerson che, al contrario vorrebbe proprio sfogarsi usandolo come tappetino.
«Perché non lo hai ancora buttato fuori?» Chiede indicandolo con il pollice, come se fosse un oggetto vecchio.
Le porgo il bicchiere. «Bevi», ordino. Arriccia il naso alla vista della poltiglia colorata poi assaggia come un uccellino ed emettendo un verso di apprezzamento tracanna il liquido senza troppe cerimonie.
«E per rispondere alla tua domanda: lo farò tra poco», aggiungo portando il bicchiere vuoto dentro il lavandino.
Emerson lo guarda ancora con quell'aria spavalda mista a sufficienza. «L'hai fatta davvero grossa questa volta. Non le dirò di perdonarti», ridacchia come una bambina dispettosa lasciandosi aiutare per stendersi.
Ancora una volta Travis la ignora dirigendosi in camera, nel piccolissimo sgabuzzino in cui ho sistemato il materasso e le mie poche cose che sono ancora dentro le valige. Lì dentro c'è solo lo spazio per passare, nient'altro. Ma in due non è possibile starci. Perché diventa una trappola. E in questo momento tutto mi serve tranne che ritrovarmi in camera, da sola, con lui.
«Rimettiti a dormire», le ordino affettuosamente.
Mi stringe subito un braccio. «Fagli vedere chi sei. Urlagli addosso, fallo sentire il niente e poi fatti una bella scopata. Una di quelle epiche, mi raccomando. Ne hai davvero bisogno amica mia», mi guarda concentrata, affatto dispiaciuta per ciò che mi ha appena detto. «Se non vuoi rimanere vergine a vita, mi sembra ovvio», aggiunge. «Ma con quel maschione chiuso lì dentro, ne dubito.»
Ci guardiamo per un lungo istante prima di scoppiare a ridere. La spingo poi scuotendo la testa le sistemo sopra una coperta che recupero dalla mia stanza, dove Travis se ne sta appoggiato al cassettone. Segue ogni mio movimento. Non sembra avere alcuna fretta e la cosa mi destabilizza, mi innervosisce persino.
Non so proprio come cacciarlo via di casa. Non so come allontanarlo da me perché tutto vorrei fare tranne che questo.
Provo a superare il breve corridoio per aprire la porta ma riesce ad afferrarmi il polso attorcigliando le dita che preme sulla pelle e ad attirarmi dentro lo sgabuzzino, la mia attuale stanza dove dormo, anche se il più delle volte in realtà mi stendo e fisso le macchie sul soffitto per ore e ore.
Mi schiaccio nell'unico angolo libero, quello lasciato dalla porta chiusa. Travis ne approfitta, mi si para davanti intrappolandomi. «Parliamo poi puoi anche cacciarmi via a calci, me lo merito ma...»
«Ma cosa?» alzo il tono guardandolo storto.
«Perché non hai risposto ai messaggi e alle mie chiamate?»
«Perché sei un grandissimo attore del cazzo!» lo spingo e per fortuna capisce che ho bisogno di non averlo così tanto vicino per affrontarlo e indietreggia.
Passa la mano sul viso. «E poi? Solo per questo? So che sai fare di meglio», mi provoca rimanendo serio. Nasconde il sorriso che vorrebbe mostrare usando quello sguardo da sfrontato.
Non cado nella tentazione. «Poi cosa? Vuoi sentirti dire che mi ha dato fastidio vederti con lei per aumentare il tuo fottuto ego? Ok, si! Mi ha fatto ingelosire vedere con quanta facilità lei sia riuscita a sbalordirti, a farti sorridere, a renderti felice in pochi istanti. Bene, adesso che abbiamo chiarito vattene a fanculo!»
Strofina l'indice sul labbro che lecca velocemente. «No, non abbiamo chiarito un bel niente. Dimmi che cosa posso fare per rimediare. Un modo deve esserci e lo so. Ma voglio capire se sei davvero disposta a...» non riesce a concludere la frase. Balbetta alla fine.
«A chiudere con te?» Concludo al posto suo. Annuisco. «Si, io non andrò mai bene per te. È bastato vedere lei per mettermi da parte perché io sono e sarò sempre quella di scorta. E mi dispiace, sai. Mi dispiace se non sono all'altezza. Mi dispiace. Ma, tieniti pure lei e i tuoi nipoti... a me non interessa. Voglio solo superare tutto questo e affrontare la morte di mia zia. L'unica persona che c'è stata nel bene e nel male», apro la porta tirando su con il naso. «Adesso vattene», sussurro.
Travis, rimasto zitto ad ascoltare, alza poi il viso. «Vuoi davvero rinunciare?»
Tengo a freno le lacrime. «Tu lo hai fatto, non vedo perché non possa farlo pure io.»
Soffia dal naso facendo un movimento della testa simile alla negazione. «Stiamo partendo con il piede sbagliato. Vieni con me», dice provando a prendermi la mano.
Mi scanso. «Non... toccarmi», la voce esce stridula. «E non darmi ordini. Non sei più in guerra.»
Solleva di poco il labbro. Finalmente mi guarda in quel modo assumendo la tipica postura di un uomo stronzo. «A me sembra di sì. Ok, forse sono stato rude nei modi ma sono un po' nervoso, questo puoi anche concedermelo. Ti va di uscire un momento con me? Prometto che non farai tardi e ci sarai al risveglio della tua amica che ti ha chiesto gentilmente di mandarmi a fanculo», afferma avvicinandosi ancora.
Indietreggio trovandomi con le spalle contro il muro. «Tu non esci senza maschera», gli faccio notare. Non so perché mi viene in mentre proprio questa cosa. A volte mi rendo conto di essere un po' troppo protettiva nei suoi confronti. Forse perché mi ha mostrato il suo lato più fragile fidandosi di me.
«Per una volta smettila di pensare e dimmi: vuoi o non vuoi uscire un momento con me?» alza il tono.
«Si», urlo spalancando gli occhi. Mentalmente do della traditrice alla mia stupida bocca che dovrebbe stare chiusa.
Travis si rincuora. Sembra soddisfatto. «Ok, ti aspetto all'entrata.»
Alzo gli occhi al cielo quando mi lascia sola in camera, poi scrivo un biglietto ad Emerson. Potrebbe svegliarsi prima del mio arrivo, ma ne dubito fortemente visto che dorme profondamente.
Travis mi aspetta credendo che io debba cambiarmi ma infilo sul pigiama il cappotto di due taglie più grandi. Non commenta e non sembra particolarmente contrariato di ciò che faccio. O forse non parla esprimendomi le sue idee per non litigare.
Prima di uscire lancio un ultimo sguardo a Emerson accoccolata sul divano, l'unico elemento "nuovo" della casa, poi chiudo la porta alle mie spalle sentendomi improvvisamente esposta. Mi stringo sotto lo strato del cappotto scendendo a rilento i gradini anziché prendere l'ascensore. Travis appare taciturno. Lo guardo in tralice ma non oso spezzare il silenzio. I suoi lineamenti sono gli stessi, eppure a me sembra di vedere una ruga di preoccupazione che non sparirà tanto facilmente.
Usciti dal palazzo mi apre la portiera della sua auto. Faccio una smorfia e accorgendosene chiude lo sportello premendo il telecomando per mettere le sicure facendomi cenno di seguirlo. Camminiamo lungo il marciapiede che conduce a vicoli, alcuni dei quali bui e silenziosi a stradine che portano verso il centro. Superiamo la serie di fast food, di negozi aperti in un giorno di festa e, affollati, gli incroci pieni di gente pronta a festeggiare. Ammiro i palazzi alti a schiera, le luci degli addobbi che lampeggiano. «Dove stiamo andando?»
Infila i pugni stretti dentro le tasche del cappotto. «Da quanto non mangi?»
«Risponderò alla tua domanda solo quando risponderai alla mia», alzo il mento.
«Ma è una risposta la mia», spiega facendomi arrossire.
«Mangio abbastanza», rispondo eludendo la sua domanda. «Adesso tocca a te», lo esorto.
«Tecnicamente non hai risposto. Stiamo andando a prendere qualcosa da mangiare, ti va?»
Nego fermandomi. «Trav, io non voglio mangiare qualcosa.»
«E che cosa vuoi esattamente? Io ci sto provando, Bi. Questo è il mio modo. Prova ad accettarlo!» replica frustrato passando la mano coperta dal guanto tra i capelli.
Un gruppo di ragazzini ci supera. Alcuni ci osservano come se fossimo i protagonisti di un film.
Mi abbraccio prendendo aria. «Non puoi davvero farlo per... per me. Tu non ti mostri in giro senza maschera. Rischi di andare nel panico da un momento all'altro. Lascia perdere.»
«Voglio farlo. Adesso andiamo e non discutere», replica riprendendo a camminare con disinvoltura.
Mi spaventa questa sua nuova reazione. A volte mi domando dove riesce a trovare la forza per andare avanti.
Superiamo la venticinquesima svoltiamo per un paio di stradine affollate fino a ritrovarci nel posto in cui mi ha mandato per la prima volta. Il locale in cui fanno il più buono degli yogurt.
Travis appare più a suo agio del normale. Questo atteggiamento mi destabilizza. Entra nel locale salutando l'uomo gentile che, riconoscendomi sorride indicandoci un posto a sedere, lontano da occhi indiscreti. Parla prima con Travis come se lo conoscesse da una vita chiedendogli dei lavori alla villa, di come sono andate le feste.
«Che cosa vi porto?» Attende da me una risposta. Indossa una divisa da lavoro. Un completo elegante in bianco e nero, un tovagliolo di stoffa pulito sulla manica. Un taccuino è una penna che tiene ferma sul foglio a quadretti.
«Un vasetto piccolo di yogurt alla vaniglia con scaglie, grazie», ordino per non offendere Travis che, notando il mio tentennamento per poco non prende in mano la situazione. «Per me andrà bene un caffè nero senza zucchero, grazie.»
L'uomo con un cenno e un sorriso si reca dietro il bancone lasciandoci soli, sotto la luce pallida del lampadario.
Travis si mette comodo sul divano, il braccio sulla parte alta e la mano sul tavolo impegnata a giocare con un pezzo di cera staccato dalla candela. A quanto pare rilascia un olio che può essere spalmato sulle mani. Un'idea innovativa in un luogo come questo.
All'ambiente sembrano essere state apportate delle modifiche. Osservo il tavolo in cui mi sono seduta tempo fa quasi con malinconia. Sembra ieri eppure sono passate intere settimane da allora. Travis se ne accorge. «Il proprietario mi conosce e non ha paura di me. Per questo ti ho portata qui», mi spiega. «A parte che fa lo yogurt più buono di tutta New York.»
«Che tu non hai ordinato. Ma va bene lo stesso, mi piace questo posto», non oso togliermi il cappotto perché sotto sono in pigiama e i clienti seduti potrebbero accorgersene facendomi sentire un fenomeno da baraccone.
«Come stai?» Chiede mettendosi composto, le mani unite sul tavolo. «Nan oggi mi ha detto di tua zia.»
Sollevo il labbro. «Che cos'altro ti ha detto esattamente?» gioco con un pelucco invisibile poi strofino un po' del liquido rilasciato dalla cera della candela sul dorso della mano. Annuso e odora lievemente di cedro.
«Che l'hai fatta spaventare anche se è stata colpa sua, che avevi l'aspetto di una che non dorme da giorni, che non mangia e che... soffre. Adesso che ti ho qui davanti me ne rendo conto e mi sento in colpa. Così tanto da non riuscire a...» stringe le dita sull'attaccatura del naso. «È colpa mia e non riesco a chiederti scusa», afferma con così tanta dolcezza e sconforto da farmi sentire scombussolata dentro.
A tavola arrivano le nostre ordinazioni interrompendoci. «Prego», dice il ragazzo delle consegne che, mi rivolge con attenzione un sorriso timido. «Ciao Bambi», saluta. «Buon appetito!»
«Grazie», porto dietro l'orecchio una ciocca e quando alzo gli occhi Travis continua a fissarmi dopo avere scoccato un'occhiata brutale ma ai miei occhi tenera al ragazzo. «Che cosa pensi di fare?»
«Riguardo che cosa?» Caccio subito in bocca un cucchiaio di yogurt che oggi ha un gusto buonissimo e diverso. Nei giorni scorsi non sono riuscita a mangiarlo. Adesso che lui è al mio fianco mi sembra irreale e incredibile perché è come se tutto si fosse aggiustato di colpo. Persino dentro mi sento di nuovo intera e non più spezzata a metà.
Beve un sorso di caffè guardando ovunque per assicurarsi di non essere visto in faccia. «Intendi accettare i miei tentativi o per te è proprio finita?»
Trattengo il fiato. «All'inizio avevo la certezza», rispondo senza riflettere.
«E adesso?»
Lo guardo male. «Adesso devo andare a casa», rispondo provando ad alzarmi.
Mi ferma. «Ti prego, non staremo ancora molto.»
Torno seduta. «Non devi per forza convincermi con queste cose», indico il locale. «Apprezzo molto ma non è quello che attualmente mi serve», gesticolo nervosamente.
Travis richiama il ragazzo con un cenno della mano dicendogli qualcosa all'orecchio. Questo, toglie tutto dal tavolo sparendo per qualche minuto; quando ritorna le nostre ordinazioni sono confezionate, da portare via. «Ho aggiunto quello che ha ordinato, signore.»
Travis prende il sacchetto. «Grazie», abbozza un sorriso. Torna immediatamente serio quando mi guarda. «Ti riporto a casa», sussurra. «Non vorrei che la tua amica mi lanciasse addosso qualcosa non vedendoti al suo risveglio.»
Usciamo dal locale. «Scusala per prima. È un tantino gelosa ed iperprotettiva nei miei confronti.»
Conferma. «Ho notato. Lo sono anch'io», riflette su qualcosa incupendosi.
Lo spingo con una spallata per alleggerire il suo senso di colpa. So cosa ci vorrebbe in realtà, ma non credo sia il momento. «Lo so», abbozzo un lieve sorriso timido.
«Posso essere sincero?»
«Dimmi a cosa pensi», attendo.
«In questo momento mi piacerebbe abbracciarti e stringerti, ma non voglio rischiare di spaventarti. Allo stesso tempo mi piacerebbe parlarti di tutto ma rischieremo di litigare e non è ciò che voglio perché attualmente sembri distrutta e sul punto di cadere a pezzi o scoppiare...»
Mi sposto davanti a lui. «Fermati!» urlo facendolo sobbalzare. «Trav, respira lentamente e smetti un momento di pensare, ok? Provaci!»
Segue il mio comando facendo un lungo respiro. Il suo petto si riempie d'aria che lascia uscire fuori prima di boccheggiare nel panico. «Dimmi solo se riuscirò a non perderti completamente», mi guarda speranzoso, come un bambino. Non credo di avere mai visto una persona così triste e in attesa.
«Solo se la smetterai di...» inumidisco le labbra. «Avevi ragione quando hai detto che una persona prende del tempo solo per non ammettere che è finita», inizio.
Travis apre la bocca sgranando gli occhi aspettandosi il peggio da questa premessa. Mi affretto a continuare. «Ma non è il mio caso. Io ho davvero bisogno di tempo per passarlo con una persona che non rivedrò mai più e per rimettere in sesto la mia vita. Io non ti sto dicendo che non hai una possibilità perché da parte mia sarebbe ipocrita ma ti sto chiedendo di non rendere tutto difficile perché non ce la posso fare. Io... non riesco a sostenere tutta questa pressione perché ho troppe cose da mandare giù e continuo a non avere le risposte che cerco e questo...»
Vedendomi agitata, Travis posa i palmi sulle mie spalle per fermarmi. Una scarica elettrica attraversa entrambi. «Va bene. Accetterò tutto», dice quasi sollevato.
Proseguiamo fino a casa in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Davanti il palazzo, sui gradini che conducono all'entrata, trovo Brian infreddolito che, non appena mi vede alzandosi malamente si avvicina. «Come sta?» Chiede preoccupato.
«Addormentata sul mio divano», gli porgo la chiave. «Va a prenderla.»
Travis lo segue ad ogni passo nascondendo il viso sotto il colletto del cappotto. «Hanno litigato?»
«Già, capita a tutti a quanto pare di perdere la testa senza un motivo.»
Brian torna di sotto tenendo in braccio Emerson ancora addormentata. La sistema amorevolmente sul sedile aggiustandole i capelli dal viso, mettendole una coperta sul corpo che ha portato da casa. Chiusa la portiera mi si avvicina dandomi un bacio sulla guancia. «Sei un tesoro», mi sussurra. «Grazie per quello che hai fatto per noi», sorride. «Tienitela stretta», dice poi a Travis. «E vedi di non farla soffrire o sarò costretto a farti male», mi strizza l'occhio entrando in auto.
Inizia a nevicare lentamente. In breve la strada si riempie del bianco soffice ed entro nel palazzo salendo le scale fino a raggiungere il mio piccolo luogo tranquillo. Travis si ferma sulla soglia passandomi la busta di carta. «Mi sono permesso di aggiungere una fetta di torta al fondente e un muffin.»
«C'è anche il tuo caffè», dico lasciando la porta aperta, grata del suo gesto. Tolgo il cappotto lasciandolo all'entrata.
Mi segue in soggiorno dove sedendosi accanto quando gli passo il suo caffè beve lentamente. «Se ti invito, accetti?»
Lecco il cucchiaio. «Dipende dove mi porti», biascico.
Mi guarda male. «Si», aggiungo sbuffando.
Posa il bicchiere accanto alla bottiglia vuota lasciata da Emerson. Assaggia un cioccolatino apprezzandone il gusto. «Se ti chiedo di dormire da me?»
Deglutisco. «Negativo», rispondo. «Ho il mio spazio e al momento non intendo fare altri traslochi», dico sincera. «Mi destabilizzano.»
«Se ti chiedo di passare una giornata da me?»
«Trattabile, ma solo se posso tornare a casa a dormire.»
Alza il labbro. Prova a mettermi un braccio dietro le spalle poi ci ripensa e stringe le mani. «Ti piace questo posto?» alza il viso osservando il tetto, quelle crepe e le macchie date dall'umidità.
«È malsano, lo so, ma non mi dispiace», ammetto.
Stringe le labbra. «Perché ti piace la vista?» indica la finestra dalla quale si nota uno squarcio di New York al naturale.
«E perché posso chiamarla casa, visto che non ne ho più una. Questa per tanti aspetti somiglia alla mia.»
Ascolta con attenzione la mia spiegazione prendendo coraggio. «Vuoi affrontarlo adesso l'argomento?»
Segue un breve attimo di silenzio in cui si sente abbaiare il cane della vicina che abita qui a fianco, un colpo di tosse abbastanza forte del marito, un rimprovero al cane e poi il pianto isterico del loro bambino.
«Perché no», finisco lo yogurt.
Travis si alza guardando fuori dalla finestra. «Sono stato abbagliato. Quando l'ho trovata davanti il mio cervello è andato letteralmente in tilt. Ho rivisto tutti quei momenti vissuti insieme ai miei nipoti e... la verità è che non ho una giustificazione al mio comportamento. Non ho una scusa. E so di non meritare perdono perché ho sbagliato. So di essere stato io quello a trascinarti lì e poi... a... ad abbandonarti.»
Porto le ginocchia al petto. «Mi hai fatto sentire invisibile. Una delle sensazioni più brutte quando ami così tanto qualcuno», rispondo con un filo di voce.
«Sarà una delle cose che non riuscirò mai a perdonare a me stesso», avvicinandosi si inginocchia davanti a me. «Non c'è stato niente tra me e lei a parte un bacio, te lo giuro. Lì io ho capito di non volere un rapporto del genere e ho fatto il possibile per tenermi a debita distanza, evitando così molteplici problemi. Quello che ha fatto Jesse, ha scatenato in parte l'inferno. Lei non mi ha solo pugnalato alle spalle credendo di potermi abbindolare, lei ha anche venduto l'unica persona che in parte le credeva davvero e le voleva bene senza un doppio fine. Adesso è davvero sola, circondata da uno stormo di rapaci. Bambi io... non ti devo solo delle scuse e delle spiegazioni. Io devo ringraziarti perché sei stata tu quella razionale ad averla smascherata. Io senza di te... sarei solo caduto nella trappola», abbassa il viso in imbarazzo. «Io sono qui. Ti dirò tutto quello che vuoi sapere. Non intendo più nasconderti niente.»
Tengo il labbro tra i denti. «Non voglio sapere altro al momento. Credo di avere fatto il pieno», mormoro sincera.
Mi guarda dritto negli occhi e mi perdo. Mi sento proprio in alto mare. Trascinata dalle onde verso una destinazione diversa dalle altre.
«Davvero non vuoi dormire da me?»
«No, non dormirò da te.»
Accetta il rifiuto seppur con un'espressione contrariata. Alzandosi si dirige all'entrata dove lo seguo insicura.
Più lo guardo, più mi viene voglia di abbracciarlo, stringerlo e perdermi. Poi però ripenso con quanta facilità mi ha sostituita e mi blocco, vado in tilt. Mi spaventa il potere che riesce ad avere su di me.
Mi accarezza una guancia risvegliando la mia pelle solleticata dal suo tocco non invadente, delicato. «Proverai a dormire almeno un po'?»
«E tu? Dici tanto a me ma hai le occhiaie, i segni evidenti sulle labbra, la barba di qualche giorno... questo non è proprio da te», lo rimprovero.
Sorride. «Ci proverò, ma so già che non riuscirò a dormire.»
«Provaci lo stesso», poso brevemente la mano sulla sua. Fissa le mie dita aggrappate al suo guanto.
Mi si avvicina. Non mi scanso. Non indietreggio. «Anche tu», sussurra dolcemente.
Mi guarda con un'intensità in grado di disarmarmi. In fondo, c'è sempre riuscito. L'ha fatto fin dall'inizio. È come se cercasse di scavare sempre più a fondo creando una voragine per riempirla del suo amore. Il solo che sento vero e forte. L'unico che sarà in grado di ferirmi ancora. Perché è l'unica persona in grado di spazzare via tutti i miei dubbi. È l'unica persona in grado di capovolgere ogni mia certezza. Non riesco più a tenermi lontana da lui, sento il bisogno di un contatto, di percepire il calore della sua pelle sulla mia. Con una spinta mi avvicino eliminando lo spazio che ci divide. Non mi interessa più di niente, non temo neanche di sbagliare o essere rifiutata. Chiudendo gli occhi lo abbraccio. «Guida piano», mormoro stringendo la presa.
Mi stacco solo quando mi accorgo di ciò che sto facendo e provocando in me, in lui.
Mi solleva il viso abbassando il suo. «Farò attenzione», mi rassicura.
«Riportami le mie rose», pronuncio a fior di labbra che iniziano a formicolare. Quando sorride non resisto e il bacio scatta spontaneo, ma è delicato. Nessuno dei due va oltre. «La userò come una scusa per rivederti», sussurra stordito uscendo dalla porta. «Spero riuscirai a perdonarmi», dice ancora allontanandosi.
Chiudo la porta appoggiandomi contro la superficie piena di segni. Lascio uscire il fiato toccandomi il labbro gonfio.
Raggiungo con le ginocchia tremolanti il soggiorno mettendo ogni cosa in ordine, sentendomi al contempo una stupita per non avergli chiesto di rimanere. Perché nonostante il rancore, l'orgoglio e la rabbia, io lo amo da impazzire.
Scuoto la testa e come una stupita vado ad aprire la porta. Rimango stupita nel constatare che se ne sta lì in attesa. Nasconde il sorriso e io invece mostro il mio insieme alle lacrime che lascio uscire. Mi lascio afferrare per il viso, i suoi polpastrelli ad asciugare il pianto silenzioso. Mi preme sulla parete baciandomi sensualmente, alleviando il dolore, strappando via la tristezza. Circondo il suo collo con le braccia e mi solleva per le natiche ansimando mentre chiude distratto la porta. «Rimango se non è un problema», sussurra mugolando quando i nostri corpi sfregano tra loro accendendo come un fiammifero sulla carta vetrata, la passione.
«Il letto è piccolo», lo avverto cercando di contenere la gioia.
Muove i fianchi tirandomi a sé per le natiche. Ansimo sulla sua bocca e se ne impossessa senza fretta. Le mie dita si stringono sulle sue spalle prima di graffiarle sul tessuto quando mi fa allargare le cosce e la sua lingua danza sensualmente con la mia.
«Ci andremo. Non occupi molto spazio», risponde affannato.
Gemo. «Perché non hai bussato?»
«Perché volevo che aprissi quella dannata porta. Perché volevo che una volta averlo fatto questo ti avrebbe dato la conferma del fatto che non ti libererai tanto facilmente di me.» Sorride succhiandomi sotto il collo muovendo i fianchi. Stringo le cosce a circondarglieli e continua a provocarmi tenendomi fermo il viso. «Io non voglio liberarmi di te», rispondo in un soffio più che accaldata prima di scivolargli addosso. «Voglio sentirmi l'unica che non tradirai più davanti al tuo passato», dico avviandomi nella mia stanza.
Travis mi segue. Non c'è spazio nello sgabuzzino. Salgo sul letto e lui si stende accanto. «Mi farò perdonare. Questo lo vedo già come un inizio. Sappilo. E se non lo è non mi fermerò lo stesso finché non mi dirai di avere finalmente messo a tacere ogni dubbio su di me.» Sollevandosi a metà busto inizia a spogliarsi.
«Che fai?»
Alza l'angolo della bocca in un sorriso sghembo. «Mi spoglio», replica con nonchalance sfilando la felpa e i jeans, sfoggiando il suo corpo scolpito. Mi afferra poi per i fianchi facendomi sistemare su di lui. «Spogliati!» ordina.
Provo a replicare ma inizia a spogliarmi, a baciarmi, a confondermi.
«Trav...»
«Dillo! Ti prego. Dimmelo!»
Muovo in riflesso i fianchi. «Ti amo.»
Mi schiaccia sul materasso baciandomi, toccandomi la pelle che prende immediatamente fuoco. «Dillo ancora!»
Ansimo sentendo il mio corpo prendere vita. «Ti amo», gemo forte e mi morde il collo. Stringo il suo sedere e si ferma un momento strofinandosi ancora tra le mie cosce. «Dimmi di sì!»
Lo spingo ritrovandomi su di lui. Mi accarezza le cosce. Afferro le sue mani ma si muovono sul mio corpo. «Non tornerò con te. Dovrai lavorare sopra te stesso prima...» mi fermo mugolando. La sua mano sulla natica mi tira a sé mentre muove il ventre è il cavallo dei boxer sfrega contro l'intimo che indosso.
«Farò tutto. Ma adesso smettila di avere paura. Facciamo pace. L'inizio...» mi abbasso e mi slaccia il reggiseno.
«Trav...»
Mi bacia facendomi strusciare su di lui. Il suo corpo emana un calore piacevole e le sue labbra hanno un gusto così buono da non riuscire a fermarmi.
«Non mi approfitterò di te. Stiamo solo facendo una tregua. So che lo vuoi...» mi sussurra. Gemo quando la sua mano scivola lungo la schiena intrufolandosi dentro lo strato sottile dell'intimo, posandosi sulla pelle spostandosi con le dita in una zona alquanto delicata della mia intimità.
Tiro indietro la testa e continua. «Proverai questo e molto di più», sussurra baciandomi dal ventre in sù.
Avvampo mentre continua la sequenza di movimenti tra le mie gambe e sulla mia pelle. «Te lo prometto», sussurra affannato.
Stringo le dita sulle sue spalle muovendo i fianchi. Mi esce un verso alto e lui non si ferma, piuttosto affonda le dita piegandomi alla passione.
Morde il labbro tirandolo, tenendolo tra i denti e tremo. Ferma le dita e mugolo. In breve mi porta alla pazzia, godendosi la mia reazione al suo tocco fino a quando mi affloscio su di lui in estasi. Cerco le sue labbra e ricambia capovolgendo la situazione. Mi bacia affannato e accaldato mentre sono rilassata. Sollevo le ginocchia che tremano ancora abbassandogli l'intimo. Lui emette un verso animalesco ma so già cosa fare. So già come aiutarlo. Come iniziare a fare pace con lui.
Prova a fermarmi ma guardandolo negli occhi lo incanto e in breve lo porto a scaricare completamente la tensione. Mugola succhiandomi la pelle del collo mentre si rilassa anche lui. «E chi cazzo esce più da questo letto?»
Sorrido e si imbambola. «Ti amo», sussurra premendo la fronte sulla mia. «Non lasciarmi più, ti prego. Affrontiamo le cose insieme. So di dovere lavorare tanto su me stesso e so di doverti concedere del tempo da passare e da vivere con tua zia ma... posso essere egoista?»
Stendendosi sul fianco, vicinissimo a me, tenendo la mano sulla mia guancia mi guarda intensamente. «Io ti voglio nella mia vita e ti corteggerò spietatamente se sarà necessario a riconquistare la tua fiducia. Perché lo so che quello che è successo è solo l'inizio. Abbiamo ancora tanta strada da fare e non mi arrendo. Io non voglio perderti.»
Abbassa il viso e lo fermo premendo le mie dita fredde sulle sue labbra, sfiorando quella piccola cicatrice. «Mi hai spezzato il cuore strappandolo come carta straccia. Non lo dico per farti sentire in colpa, lo dico per farti capire come mi sono sentita. Eppure quando hai continuato a scrivermi e ti sei persino spinto fino a qui... io non ho provato più quel dolore», provo ad essere sincera. Toglie la mia mano ma ancora una volta lo fermo toccandogli la cicatrice. Lui chiude gli occhi. «Io non sono nessuno per dare seconde occasioni ma credo come una stupida nell'amore e nel perdono. Con questo non sto dicendo che dimenticherò tutto ma che quello che mi hai fatto, mi servirà per crescere. Perché so di avere un comportamento da bambina. La differenza di età tra di noi si vede ma... si annulla quando ti guardo e capisco di avere davanti a me la persona che amo, che desidero.»
La voce si inclina ma riesco a contenere l'emozione che mi scoppia nel petto come fuochi d'artificio. «Perché quando ami lasci perdere tutto e salti nel vuoto. Non so se mi farò ancora male, ma so che queste cicatrici mi saranno utili», sussurro accarezzandogli il viso. «Io non ti amo per i soldi. Non ne ho bisogno. Io ti amo perché sei stato in grado di abbattere quella porta blindata», la mano si sposta sulla sua clavicola dopo avere sfiorato la vena sul collo percependone la pulsazione elevata. Fermo il palmo aperto sul suo petto. «Prima mi hai fatto una domanda e io non ho risposto. Non ti dico si perché non sono ancora pronta e perché ho bisogno di sistemare tutto. Ti dico si perché ti amo e questo dovrebbe bastare o se non basta... sappi che sono pronta a dimostrarlo», parlo sentendo il peso di ogni mio pensiero alleggerirmi la mente.
Dal suo occhio nero come la pece scivola giù una lacrima. Abbasso il suo viso baciandola. Il suo corpo riceve una scossa e subisce un sussulto. «Sei tutto ciò che voglio in questo mondo pieno di macerie.»
Abbassa le palpebre nascondendosi tra il mio collo e la spalla. Lo abbraccio e mi si preme addosso. Sento il suo fiato caldo in grado di alleviare ogni male. Quando alza di nuovo il viso, nei suoi occhi aperti e accesi leggo tutto l'amore che ha da offrirmi, il desiderio di avermi accanto.
«Ti ho aspettata tanto», inizia a parlare con voce spezzata, arrochita. «E non ho nessuna intenzione di sprecare altro tempo prezioso», dice alzandosi. Cerca il cappotto frugando dentro la tasca poi mi passa la mia scatolina.
Scoppio in singhiozzi stringendola al petto. «Sei la mia casa», dice con convinzione. «E ti darò tutto il tempo che vuoi. Ti aspetterò.»
Lo abbraccio. Non resiste. Freme baciandomi dalla spalla verso il collo. «Non riesco a farti capire quello che sto provando», ammette. «Ma sappi che è forte», preme la mia mano sul suo petto. La sua lingua sfiora dapprima il labbro inferiore facendomi schiudere la bocca per darle accesso e si insinua lenta toccando la mia.
Emette un verso strozzato, virile, in grado di provocarmi una forte scarica di brividi. Se ne accorge e prova a staccarsi per coprirmi ma lo trattengo prolungando il bacio, assaporando l'amore.
Del futuro non ho certezza. Io non so come andrà a finire tutto questo. Però di una cosa posso anche essere certa. Arriverà il momento in cui capirò che tutto il dolore che ho provato sia proprio servito a qualcosa. Ogni giornata vissuta tra le lacrime, ogni attimo passato nel buio smetterà di fare male, sarà solo ricordo. Solo allora smetterò di lottare per le cose che avvelenano la mia vita. Solo allora avrò la consapevolezza di avere imparato una lezione importante dalle continue lotte, dalle cadute, dalle ferite, dalle bugie, dalla solitudine. Solo allora saprò rialzarmi davvero mostrando le cicatrici più profonde con orgoglio. Fino ad allora, mi concederò del tempo per sbagliare ancora, per imparare a sapermi rialzare dopo una brutta caduta. Per soffrire, per piangere. Soprattutto per amare a perdifiato, senza paura.

♥️🎄

Buona vigilia e buon Natale ♥️ Grazie di tutto!

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