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«Travis sei davvero tu?»
«Jesse?»
Un unico sussurro. Un nome. Dentro di me succede qualcosa. È come se qualcuno avesse appena aperto la finestra facendo entrare nel mio cuore la tormenta.
Jesse, questo nome mi è nuovo. Così come lei, lei che se ne sta impalata sulla soglia, le mani in grembo a tenere una borsetta, gli occhi chiari fissi davanti a lei e l'espressione sorpresa simile a quella che ha Travis, anche lui impalato e colpito come il giorno in cui ti becchi un proiettile nel petto.
La donna, alta, slanciata, capelli biondi ossigenati raccolti in una coda, paraorecchie rosa e frangia sulla fronte ampia, ciglia incurvate e coperte di mascara, chiude la bocca carnosa con i due denti di davanti un po' più sporgenti degli altri e deglutisce. I suoi occhi diventano lucidi. «Trav... sei vivo...» entra in casa correndo e con uno slancio lo abbraccia gettandoglisi addosso, mentre lui è del tutto spiazzato dalla visita.
Dopo un momento sembra rianimarsi e ricambia ma per qualche secondo appena. «Si, a quanto pare», risponde come un robot.
«Sapevo che non potevi avere dimenticato proprio tutto!» dice Jesse con un ampio sorriso facendo un passo indietro per guardarlo. «Ma guardati, non sei cambiato di una virgola. A parte quella cicatrice», dice indicandola e fissandola quasi con disgusto, come se fosse una macchia di inchiostro o sporcizia.
Travis si irrigidisce, in parte anche io che non ho ancora nessuna idea su chi lei sia. «Che ci fai qui?» Chiede senza neanche passare alle presentazioni o considerarmi.
Mi sto sentendo di troppo. Mi abbraccio assistendo inerme, proprio come Nan e Mitch, a questo incontro con la donna che, con ogni probabilità ci metterà nei guai. Ho come il presentimento che la sorpresa non preannunci nulla di buono.
«Come che ci faccio, non ricordi? Avevamo una casa qui. In questi giorni ci vivo!»
Spalanco gli occhi sentendo una sferzata fredda e violenta nel petto. Lei... lei vive qui? Travis saetta con gli occhi da lei a me ma se nota qualcosa non saprei proprio dirlo, piuttosto lui si prepara a rispondere ignorando la mia reazione. Mi sento tramortita. Non riesco proprio a muovermi. È come se ogni mio muscolo si fosse intorpidito a causa del freddo che continua a raggiungermi riempendo di segni il mio cuore.
Travis continua imperterrito a guardarla. I suoi occhi si fanno lucidi, pieni di ricordi. Come se Dante avesse davanti la sua Beatrice.
«No, non ricordavo questo dettaglio», replica schiarendo la voce. «Tu... vivi qui?»
Lei annuisce dondolando sui talloni continuando a sorridere e a osservare tutto come se rivedesse un posto in cui è stata. «Vengo sempre da queste parti per una passeggiata. Di solito trovo chiusa questa casa. Oggi noto un pupazzo di neve e... in realtà vi ho visti. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Ci ho messo un po' per prendere coraggio e venire. Diciamo dopo una lunga riflessione fatta durante la corsa e una sauna.»
Mi stringo forte. Nan chiude la porta continuando a guardarmi. Mitch al contrario osserva la donna in modo critico. Sento l'aria tendersi ed infine caricarsi negativamente.
«Ci hai...», Travis finalmente mi guarda. Come Mitch osservo invece Jesse. Continua a divorarlo con gli occhi. Chi è in realtà? Che cosa vuole?
«Si eri con...» Jesse si volta. I suoi occhi mi fanno una scansione completa. «Lei», mi indica come se fossi uno scarafaggio o un insetto. «Oh che sbadata, non mi sono presentata», dice teatralmente avvicinandomisi. Sento nell'immediato la puzza di dollari, di ricchezza, di profumo costoso, di crema alla bava di lumaca spalmata su quel viso con qualche vecchia cicatrice dovuta all'acne.
Drizzo la schiena sentendomi inadatta, impresentabile. Poi però mi rendo conto di dover essere me stessa e di non dovermi lasciare schiacciare da certi pensieri del tutto inutili. In fondo, sono consapevole del mio aspetto fisico. Non è questo ciò che mi preoccupa.
«Sono Jesse», mi porge la mano morbida. Le unghie sono appena state laccate di un rosa pallido. Si è messa in tiro per questo incontro, altro che sauna, mi dico.
«L'avevo capito», rispondo mentalmente. «Sono Bambi», stringo la sua mano con una certa forza. Le mie hanno invece qualche segno e non sono di certo delicate come le sue che, probabilmente tiene sempre a riposo.
Sono consapevole di giudicarla in fretta ma dentro di me si è appena attivato un istinto femminile parecchio strano. E non si tratta di semplice gelosia.
Jesse, mi sorride in modo falso. «Hai un bel nome.»
«Tu ne hai uno da spocchiosa proprio come la tua faccia da falsa», sorrido stringendo i pugni in vita. «Grazie», replico invece. Non mi complimento di certo per il suo, anche perché non mi piace.
«Tu sei...» guarda Travis per avere da lui una risposta. I suoi occhi lo stanno criticando, colpendo ripetutamente da un giudizio espresso silenziosamente nei miei confronti.
«Lei è la mia...»
«Oh, voi dovete essere gli assistenti. Sono Jesse, scusatemi», stringe la mano a Nan e Mitch che si scambiano un'occhiata furtiva quando pronuncia proprio la parola "assistenti" come un'offesa.
Cerco lo sguardo di Travis ma lui continua a guardarla, a seguirla ad ogni movimento. La cosa mi irrita così tanto da costringermi ad allontanarmi da lei prima di poterla prendere di peso e lanciarla fuori dalla finestra o peggio: sotterrarla in mezzo a cumuli di neve.
Nan mi segue. «Tutto bene?» Chiede a bassa voce e forse anche allarmata dalla mia non reazione immediata. In realtà, mi sto preoccupando anch'io. Di solito non nascondo il mio astio.
Stringo i pugni così forte da sentire le unghie conficcarsi nella carne lasciandovi dei solchi a forma di mezze lune. Ma non mi fermo, scavo più a fondo, cerco il sangue per sentirmi viva, per trattenermi, per aggrapparmi a qualcosa di reale.
Nan si accorge del mio gesto impulsivo e mi prende la mano aprendola, osservando le mezze lune coperte di sangue. «Vuoi che faccia qualcosa?»
Mi volto. Travis le sta sorridendo come un bambino e non me la sento di ferirlo. Forse per la prima volta preferisco incassare in silenzio. «No, proverò a resistere all'impulso di mollarle un pugno in faccia. Hai visto come sorride e come si atteggia? Chi si crede di essere?»
Nan tappa la bocca per non ridere richiamando l'attenzione su di noi mentre Mitch si sposta in cucina a preparare un te' caldo per tutti. In parte lo fa per non analizzare la situazione.
«Mio fratello?»
Jesse alza le spalle. C'è un momento seppur breve in cui si irrigidisce. Che cosa nasconde?
«Ci siamo separati circa un anno fa», risponde sedendosi sul divano come se fosse a casa sua. Travis fa lo stesso mentre io rimango a debita distanza, con Nan che adesso mi massaggia la schiena come se avesse capito.
Jesse è la cognata di cui mi ha parlato. Dal modo in cui la guarda però doveva esserci qualcosa di più di un semplice affetto o rispetto reciproco.
«Davvero?» Non sembra stupito.
«Si, a quanto pare mi tradiva e io non riuscivo a vedere ciò che era evidente. L'ho scoperto tardi ma alla fine sono riuscita a vendicarmi. E pensare che ho messo al mondo quattro figli con lui», scuote la testa arricciando il naso, come se fosse nauseata di ciò.
«Quattro? Ho quattro nipoti?» Travis sorride raggiante e lei gli fa le fusa. «Si», prende il telefono dalla borsa mostrandoglieli, attirandolo sempre più nella sua rete.
Travis appare trasognante, incredulo. Guarda le foto ascoltandola con attenzione, non perdendo una frase o un suo movimento.
È evidente che non si sta proprio facendo le mie stesse domande. Jesse dopotutto potrebbe essere stata mandata come prova, mi dico continuando ad osservarla standomene in silenzio come un oggetto.
«Sai, in realtà non siamo separati legalmente io e lui. Ci conosci. Sai come sono sempre andate le cose tra di noi», lo guarda complice, lui ricambia.
Un'altra fitta al cuore, questa volta più forte delle innumerevoli arrivate ad ogni sorriso o parola o gesto e mi sposto di corsa. Nan mi ferma o almeno ci prova cercando sempre di essere cauta.
«Scusa ma devo allontanarmi da lei», sussurro salendo a rilento le scale senza essere notata e con una forte nausea.
Mitch porta il te' in soggiorno posando il vassoio sul tavolo basso. Vedendomi a metà scala fa una smorfia mentre Nan si siede accettando di buon grado la bevanda calda, forse anche per distrarsi.
«Perché attualmente vivi qui?»
«Mi sono trasferita qualche giorno fa. Mi piace passare il Natale in questo posto. Mi ricorda quando tornavi ed eravamo tutti insieme», inspira trasognante.
L'istinto mi dice di tornare di sotto, la ragione mi fa sedere sull'ultimo gradino ad implodere. Mi sto punendo da sola. Mi sto facendo male. Così male da non avere più un briciolo di cuore nel petto.
Travis passa la mano sulla nuca. Sembra improvvisamente a disagio. «Passavo poche ore con voi», dice in fretta guardandosi intorno forse accorgendosi che sono sparita, che mi sono eclissata e sono sprofondata per regalargli il suo bel momento con la cognata. O dovrei dire... non so, l'amante?
«Be' oggi sono passata per caso e ti ho visto con quella ragazzina a giocare con la neve. All'inizio non mi sembravi neanche tu. Insomma sei sempre stato rigido, dedito al lavoro. Quando mi sono avvicinata e ho avuto la conferma, be', non ho potuto fare finta di niente. Sono anni che non ci vediamo», gli posa una mano sulla spalla. «Ho anche visto quello che è passato in tv. Hai salvato quella poveretta. E adesso sei nei guai con tuo padre, vero?»
«Già, ma non è una novità», replica Travis. Non la riprende neanche per gli aggettivi usati nei miei confronti.
«Dov'è Bambi?» Chiede semplicemente. E per un momento spero sia davvero interessato alla mia assenza.
«Aveva mal di testa e ha preferito allontanarsi un momento», risponde prontamente Nan, sia per proteggermi, sia per non creare scenate imbarazzanti.
«Mi dispiace per il suo mal di testa, ma è meglio, così possiamo passare del tempo insieme.»
«Che lurida stronza!» sussurro stringendo forte la presa sul corrimano.
«Abbiamo un mucchio di cose da dirci e da raccontarci», aggiunge posandogli la mano sul braccio.
Contraggo la mandibola. Recupero il telefono dalla stanza. Scendo le scale più in fretta che posso ignorando il dolore che sento ovunque, dirigendomi in cucina.
Nan avvistandomi si avvicina. «Scusa se ho inventato che...»
«Tanto a lui non è importato», prendo una bottiglia. «Sono la poveretta che ha salvato e hanno bisogno di parlare, di raccontarsi delle cose. Io sono solo di troppo.»
«Dove vai?»
«A farmi un giro», esclamo infilando il giubbotto, uscendo dal retro senza darle il tempo di fermarmi.
Cammino in discesa lungo il sentiero, facendo bene attenzione a non scivolare in quei punti dove il ghiaccio è più spesso e liscio, molto simile a piccoli specchi che riflettono gli alberi e il cielo stranamente azzurro.
Stappo la bottiglia che ho rubato dalla cucina, camminando piano per strana dove lo spazzaneve ha già fatto le sue magie.
Avvio la chiamata. Ho bisogno di conforto. Di non sentirmi pazza. Di non crollare proprio adesso che sta andando tutto male, tutto storto.
«Bambi, che bello sentirti. Mi spieghi dove diavolo sei finita? Sto organizzando una serata di sole donne e manchi tu.»
«In Canada, sommersa dalla neve e da una montagna di merda», esclamo con finto sarcasmo bevendo un lungo sorso di vodka che mi riscalda mentre vago in direzione del paesino, dove spero di arrivare presto e perdermi.
«Dove hai detto che sei?» urla Emerson.
«In Canada, in un posto importante per Travis. Adesso ho proprio capito il perché e ci sto male, cazzo! Sono gelosa di quella vipera che continua a fissarlo con quello sguardo languido peggio di un avvoltoio e lui che non si accorge più di me. In più sono la proveretta, la ragazzina che ha salvato. Ah, e dovevo anche tenermi lontana così possono parlare come due picconcini.»
«Bi, se mi stai parlando mentre succede tutto questo significa che: o sei fuori a poca distanza da loro o stai andando da qualche parte da sola. Che diavolo pensi di fare?»
«Ho pensato a tante cose. La prima: scappare ma l'ho già fatto, proprio adesso. E non l'ho fatto perché sono una stupida. L'ho fatto perché non intendo farmi male. Cammino per strada senza sapere da che parte andare e sono in compagnia della tua amata vodka. Almeno non devo più sopportare quel sorriso...»
«Bambi, mi sto preoccupando. Torna indietro!»
Nego. «No, andrà tutto bene. Che vuoi che mi succeda?» rido istericamente. «Ho appena passato l'inferno dentro una casa bruciata a causa di un pazzo, figuriamoci se non riesco a superare anche questa», aggiungo parlando più con me stessa. «Devi vederla Emi. Devi proprio vederla», mi intristisco. «E devi vedere lui», sussurro bevendo più di un sorso per non scoppiare in lacrime.
Emerson sospira. «Bi, io sono lontana e mi dispiace di non potere essere lì con te in un momento simile. Sei sicura che questa donna abbia un secondo fine?»
Annuisco. «Oh si, ci stavamo presentando, lui le stava dicendo che sono la sua ragazza e lei lo ha interrotto come se non volesse neanche sentirlo o lontanamente immaginarlo. Dovevi proprio vedere come mi ha guardata per un lungo minuto poi mi ha ignorata e ciliegina sulla torta, quando lui ha chiesto di me e Nan gli ha risposto che avevo mal di testa, sai che cosa ha risposto lei? "Meglio, così possiamo avere del tempo da passare insieme"», imito la sua voce lanciando la bottiglia con rabbia.
Emerson si trattiene dal ridere perché intuisce che sia un momento duro per me. È proprio un'amica. «Che stronza! Dobbiamo renderle tutto un inferno, non credi?»
«Come? Come faccio? Se ti mando una foto anche tu mi dirai che non c'è paragone. Che lei è un cavallo da corsa e io sono solo un semplice asino.»
Ride. «Ti sottovaluti. E sottovaluti il fatto che Travis ti ama. Sai come attirare la sua attenzione, se non succede usa le maniere pesanti e caccia quella stronza a calci nel culo se necessario. Il tutto prima di mandare lui a fanculo. Falle conoscere la legge delle ragazze del web.»
Arrivo all'entrata del paesino. «E se non funziona?»
«Te ne andrai ma a testa alta. Non scapperai. Non stavolta. Bi, tu lo ami e non può una stronza portarti via ciò a cui tieni.»
Sospiro fermandomi nel primo negozio dove entro per fare un giro. «Combinerò qualche disastro e scapperò di nuovo. Lo faccio sempre. Perché ho paura di essere ferita ancora e perché vedrò sicuramente qualcosa di insopportabile.»
Emerson riflette un momento. «Falla arrabbiare e reagire male davanti a Travis», esclama perfida. «Tu sai come stuzzicare le persone.»
«Intendi dire farla uscire allo scoperto? Perché ho capito che deve essere qui per una ragione ben precisa, altrimenti non si spiega tutta questa casualità.»
Annuisce. «Esatto. Le ragazze come lei sanno essere cattive ma noi del web lo siamo di più. Ricordi? Gli uomini sono deboli!»
Mordo il labbro. «E se faccio male?»
«Trova un modo. Adesso torna a casa ubriacona e riprenditi il tuo uomo! Prima però fagli capire che non ti è piaciuto il suo atteggiamento.»
«Grazie», sussurro riagganciando dopo averla salutata.
Entro in un negozio di souvenir. Faccio un giro lento guardando tutto con meticolosa attenzione. Alla fine trovo ciò che mi serve. Lo compro e dopo avere fatto qualche altro acquisto, visitato un po' il posto, facendo anche un giro nella piccola piazza circolare dove al centro vi è un pozzo antico coperto di neve, me ne ritorno indietro prima che una tormenta mi raggiunga.
Il tempo infatti sembra essere cambiato repentinamente. Un po' come il mio umore in queste giornate grigie.
Quando entro in casa, trovo Nan ai fornelli, Mitch davanti al camino ad attizzare il fuoco. Travis e Jesse sono ancora seduti sul divano, stanno ridendo.
Travis si accorge che sto entrando coperta di neve e interrompendosi, in parte intuendo che Nan prima gli ha detto una bugia, si avvicina.
«Quando sei uscita?» Chiede corrugando la fronte, rendendosi davvero conto di avere perso qualche dettaglio e la concentrazione a causa di Jesse.
Sorrido in modo falso, tutta denti, ma lo faccio con convinzione, poi davanti a Jesse che ci sta fissando accavallando le gambe come una di quelle modelle che si vedono sedute in quei salotti in tv dove si fa gossip, gli getto le braccia al collo. «Ho una cosa per te», dico ignorando la sua domanda, passandogli il regalo.
Travis lo scarta curioso anche se guardingo trovando due portachiavi identici a forma di casa. Appare in imbarazzo ma allo stesso tempo sorride come un bambino capendo il mio messaggio. Abbassandosi prova a dire qualcosa ma ne approfitto per baciarlo, ignorando gli sguardi dei presenti quando prolungo di qualche secondo senza mai staccarmi. «La mia chiave si sentiva sola», esclamo rubando il secondo portachiavi, lasciandolo come un ebete.
Jesse mi segue strizzando una palpebra, è irritata e non lo nasconde mentre tolgo il giubbotto. Credo borbotti persino qualcosa.
La vodka non è ancora evaporata dal mio corpo però dopo questa breve dimostrazione mi sento più forte e pronta a lottare. Aiuto Nan in cucina mettendo tanto sale sulla porzione di zuppa di zucca destinata a Jesse.
Seduti a tavola me la ritrovo seduta proprio davanti. Si mette comoda facendosi servire e riverire.
Travis mi stringe la mano che poso sulla sua spalla quando mi abbasso dandogli un bacio sulla guancia. Nan nasconde il sorriso e la consapevolezza che a breve Jesse esclamerà qualcosa sulla zuppa. Le ragazze come lei ci mettono poco tempo a farsi dei nemici.
Mi siedo. «Allora dove sono i tuoi figli?»
Jesse morde un pezzo di pane. «Con il padre, mi sono concessa qualche giorno di riposo», mastica lentamente guardando ovunque.
Primo segno evidente che sta nascondendo qualcosa dietro ogni gesto o frase. Non va mai oltre. Sembra seguire un copione. Ma questo Travis non sembra affatto notarlo.
«Sei tutta sola?»
«Si, per questo ho accettato l'invito che Travis mi ha rivolto. Resterò a dormire per la notte. Non è un problema, vero?»
Mi trovo colpita alle spalle. Travis si incupisce provando a spiegare. «No, nessun problema. C'è una stanza libera e noi sappiamo essere silenziosi.»
Nan tossicchia così come Travis quando gli va di traverso un po' di vino. Ma ben gli sta. Jesse sorride poi finalmente assaggia la zuppa. Il momento che aspettavo.
«Ti piace?» Chiede Nan complice.
Mitch ghigna sotto i baffi intuendo la ragione della sua domanda.
Jesse beve un sorso d'acqua schiarendo più volte la gola. «Buona», dice facendo una smorfia. «Un po' troppo salata», ammette irrispettosa uscendo la lingua.
Mangio con gusto. «La mia non è salata. La vostra com'è?»
«Buona!»
«Deliziosa!»
Sorrido soddisfatta vedendola avvampare. «Non volevo...»
«Nan è una brava cuoca», affermo. «Forse non sei abituata alla cucina della plebe o ai cibi troppo conditi. Preferisci qualcosa di insapore? Possiamo bollirti del sedano» rispondo a tono.
Travis mi guarda stupito mentre Jesse ancora una volta si trattiene. Al contrario mi piacerebbe che si rivelasse per quella che è: una lurida stronza! Vorrei che mi rispondesse per le righe alimentando ulteriormente la mia furia.
«Travis, ti ricordi quando mio figlio credendo che fossi Babbo Natale ti ha aspettato per tutta la notte sdraiato sul divano con un bicchiere di latte e un piatto di biscotti?» risponde invece attirando su di sé l'attenzione. «E tu lo hai rimesso a letto rischiando di svegliarci tutti...»
Stringo la forchetta. Nan posa una mano sul mio braccio e allento di poco la presa. «Si, Travis è sempre sorprendente. Come quella volta che mi ha trascinata in quel locale solo perché sapeva che mi piace lo yogurt. Ci conoscevamo appena», lo guardo con gli occhioni passandogli il dito all'angolo delle labbra. «Inoltre credo che odi il latte. Forse per questa esperienza.»
Lui le schiude di poco incurvandole in un mezzo sorriso. Ha capito il nostro gioco.
«Questo non lo sapevo...»
Guardo Jesse. «Tu lo hai sempre visto nella parte del cognato, dello zio, io invece lo vedo come un ragazzo unico che mi regala sempre tanto. Per questo lo conosco. Ti ha detto che conviviamo?»
Nan nasconde il sorriso dietro il tovagliolo dandomi un colpetto sotto il tavolo.
Jesse per poco non sputa il bicchiere di vino. «No, non abbiamo ancora avuto l'occasione. Davvero Travis? E dov'è l'anello?»
«Io non sono una che pretende tanto. Non mi interessano i suoi soldi. Ho un lavoro e sono indipendente. Mi basta il suo amore», rispondo alzando il mento. «Un anello è solo un oggetto che luccica e che si mostra alle persone per vantarsi. Conta ben altro nella vita», aggiungo.
Jesse sembra appena avere ingoiato un limone. «Adesso capisco perché ti piace», ride nervosa tagliando la carne che Nan ha cucinato come secondo di questa lunga cena. Non so se questo sia un complimento. Mi preparo a rispondere piccata ma Nan è più veloce.
«Piacere mi sembra riduttivo. Travis ama davvero Bambi. Insomma, dopo quello che ha fatto per lei e di come è cambiato da quando lei è entrata nella sua nuova vita accettandolo in tutto e per tutto, mi stupisce ancora di non averli visti scappare da qualche parte a sposarsi», esclama interrompendola. La guarda come una mamma guarda la bulla della classe che ha offeso la propria bambina.
In questo momento vorrei tanto abbracciarla. Rido. «Un passo alla volta. Anche se abbiamo già stabilito di volere un bambino», sorrido bevendo un lungo sorso di vino. «E se è una bambina spera che avrà i miei occhi.»
Jesse appare a disagio e mentalmente mi do il cinque da sola. Beccati questo stronza!
Non so se il mio messaggio sia stato chiaro ma so che con ogni probabilità questo gesto mi costerà una difficile litigata con Travis, apparentemente altrove.
Dopo cena, dopo avere rimesso la cucina in ordine, ci dividiamo. Nan e Mitch scendono nel loro alloggio lasciandoci soli. Jesse si chiude nella sua stanza mentre Travis e io rimaniamo in soggiorno. Schiaccio un cuscino della poltrona accanto al divano. Faccio finta di non avere puntato addosso il suo sguardo che, attualmente non promette niente di buono.
Spero non sia arrabbiato per avere rivelato in parte qualcosa delle nostre conversazioni, ma dovevo proprio umiliare quella grandissima vipera. Dovevo marcare il territorio, avere un vantaggio per potere capire molte altre cose. Ma adesso che è tutto silenzioso, mi rendo conto che la verità è sempre stata sotto al mio naso, davanti ai miei occhi.
Vado a spegnere le luci in cucina, quelle poste sul fornello e me lo ritrovo davanti. Per poco non urlo. Sobbalzo passando una mano sul petto dove il mio cuore sta prendendo il galoppo. «Non farlo più!» mi lamento mantenendo un tono di voce basso.
«E tu? Rifarai di nuovo quella scenata?»
«Mi ignorerai per guardarla ancora con occhi pieni di dolcezza, malizia o dovrei dire altro?» sguscio via salendo a rilento le scale. Sono arrabbiata. Dice sul serio? Non si è ancora accorto di niente?
Travis mi lascia del tempo per allontanarmi da lui e quando finalmente arrivo in camera, sento che ogni singola cosa nel giro di qualche ora si sgretolerà. Perché ho visto la risposta nei suoi occhi. Al di là della mia gelosia, avrebbe anche potuto ammetterlo.
Sono sdraiata in una posizione scomoda e da un po' di tempo quando la porta si spalanca con un unico colpo. Anche se sussulto non lo faccio notare.
Travis si lancia sul letto provando ad attrarmi a sé ma continuo ad ignorarlo. «Si può sapere che diavolo ti prende? Sei entrata davvero in competizione con lei?»
Mi volto di scatto. «Competizione? Non sei un premio da vincere. La mia, stupido stronzo che non sei altro: è gelosia! Ho visto come la guardi. Mi domando se tuo fratello lo sappia da tempo quello che c'è... lascia perdere», alzandomi dal letto recupero degli indumenti comodi. Non posso stare in questa casa senza sentirmi ferita.
Travis mi blocca trascinandomi di nuovo a letto. «Parlami. Spiegami che ci sta succedendo», dice frustrato.
Indico l'altra stanza. «Mi sembra ovvio», rispondo freddamente e un po' acida. «L'hai anche invitata a dormire qui. Non ha una casa da queste parti?»
Lui non risponde. «Ok, ho capito. Vuoi passare del tempo con lei e potrai farlo perché io non ho intenzione di parlarci ancora e sentirmi il niente quando poi mi volto notando come ti brillano gli occhi. Non puoi neanche negarlo perché non puoi nascondere quello che è evidente. Avevi detto di avere chiuso con la tua famiglia. Evidentemente non mi avevi detto una cosa importante quando ti ho fatto la domanda e sai a cosa mi sto riferendo. Quindi fa un favore a te e a me, non mentire e se la ami, va da lei», la voce mi si inclina. «Non sono nessuno per trattenervi o come dice lei: sono solo una povera ragazzina. Non ho niente in comune con voi.»
Mi allontano da lui scendendo al piano di sotto. Chiusa in bagno mi cambio imbacuccandomi e alle prime luci del mattino, quando il gelo è così forte da spezzare le ossa, esco a fare una passeggiata.
Piango come una bambina mentre scendo e scivolo raggiungendo il paesino dove non si vede anima viva, fatta eccezione per un bar simile ad una taverna in cui entro lasciandomi scaldare dal tepore.
La donna dietro il bancone, una graziosa anima fresca e riposata, punta subito lo sguardo su di me che devo tanto avere l'aspetto di una tossica. Mi riconosce, lo so. Guarda intorno con i suoi occhi castani e dopo avere servito un caffè ad un uomo assonnato e con una valigetta, si avvicina pulendosi le mani sul grembiule rosso natalizio che allaccia meglio sul collo. «Buon Dio, stai gelando. Vieni», mi porta verso l'enorme camino di pietra acceso. Smetto subito di tremare e battere i denti.
«Ti ho riconosciuta sai? Ma non dovresti essere qui. Se qualcuno se ne accorge ti venderà per pochi spiccioli.»
Alzo le spalle fissando le fiamme del camino che mi regalano dapprima sollievo poi il terrore. Mi sposto lontana, in un tavolo di legno, su una panca. «Non importa. Me la so cavare. Ha della cioccolata calda?»
La donna dai capelli a caschetto rossi mossi e tenuti legati da una bandata si accorge che sono triste e annuendo sparisce dietro il bancone per servire altri clienti e per preparare la mia ordinazione.
C'è odore di caffè, le pareti sono impregnate invece della tipica fragranza che ha il vino. Forse questo posto prima era una distilleria, rifletto attaccandomi a qualcosa. Le pareti sono di pietra antica. Un lampadario di ferro pende dal soffitto con all'interno una candela. Ve ne sono altri attaccati alle pareti. Il pavimento e in cotto chiaro, macchiato qua e là dagli anni, dai passi.
«Ecco a te. Mi sono permessa di aggiungere una fetta di crostata», mi sorride allontanandosi in parte per non attirare troppo l'attenzione su di me.
Mordo il labbro ringraziando. Non appena vedo il cibo però, sento la bile salirmi in gola. La tristezza riaffiora e, ancora una volta mi ritrovo a piangere come una stupita a pochi passi dal camino, con in mano una cioccolata e il cuore in tanti piccoli pezzi.
Perché in fondo è inutile fare finta che non sia vero. Travis prova qualcosa per quella donna. Aveva dimenticato la sensazione perché si era tenuto lontano da lei ma quando è riapparsa magicamente nella sua vita, lui è ritornato indietro. Forse a quel punto di partenza. A dove si erano lasciati.
Sospiro rigirando la tazza quasi vuota mentre le mie dita sbriciolano la crostata che mangio a piccoli morsi.
La donna si avvicina quando il locale sembra più tranquillo. «Allora come va?»
«Dovrebbe essere evidente dal mio aspetto e dalla mia espressione, ma sto uno schifo. Grazie per avermelo chiesto», lecco le labbra.
«È successo qualcosa?»
«Da quando sono nata ho il mondo contro. Non c'è molto da dire.»
«Posso portarti qualcos'altro?»
Nego. «Vorrei solo avere di nuovo una casa e la mia vecchia vita ma non si può avere sempre tutto.»
Mi sfiora una mano. «Fa attenzione. Qualcuno ti segue», mi avverte alzandosi. E non comprendo le sue parole. Quando mi guardo alle spalle mi rendo conto di essere davvero osservata. Lascio i soldi sul tavolo uscendo svelta dal locale.
I negozi stanno aprendo uno ad uno e mi distraggo visitandoli tutti. Mi reco persino nella piccola chiesetta del paese. Anche qui, vengo seguita.
Mi siedo su una panca. Non sono mai stata tanto credente. Forse a causa della malattia di zia Marin e di tutto ciò che è stato. Credo che in fondo ci rifugiamo tutti in qualcuno o qualcosa quando ne abbiamo bisogno. È un istinto naturale nella quale cerchiamo di essere capiti, aiutati, amati.
Accendo una candela osservando le fiammelle accese. L'odore di incenso aleggia troppo nell'aria raschiandomi la gola.
Uscita dalla chiesa giro ancora intorno. Non so dove andare. Mi abbraccio sentendo il telefono ronzare. Controllo il numero che compare sullo schermo rispondendo in fretta a zia Marin.
«Che ci fai sveglia a quest'ora?» Le chiedo facendo mentalmente il calcolo della differenza di ora tra uno stato e l'altro.
«Non riesco a dormire. I dolori sono tornati. Evidentemente non mi offrono più la cura sperimentale, sai cosa intendo.»
Mordo il labbro nel tentativo di non battere troppo i denti. «Come mai eri con Dan?» Vado dritta al dunque fermandomi in un panificio dove acquisto una treccia piena di zucchero davvero deliziosa.
«È venuto a trovarmi. Che dovevo fare? Non potevo mandarlo a casa. Sta male. Mi ha chiesto di te ma non gli ho detto del tuo viaggio. Era davvero provato. Dovresti parlargli.»
Questo suo commento mi fa intuire che deve esserci dell'altro. «Che cosa ti ha detto esattamente?»
Tossisce. «Direttamente niente. Indirettamente mi ha fatto capire che ha bisogno di parlarti. Inoltre, sa che quel viscido ti ha rivelato quello che faceva quando lo lasciavi al lavoro tornando subito a casa. Me ne ha parlato e sono molto delusa.»
Mi irrigidisco poi azzanno la treccia morbida all'interno masticando lentamente. «Quindi... che cosa dovrei fare esattamente per lui? Non posso più credergli o difenderlo. Mi sono beccata una pugnalata, ho perso la casa. Adesso che cosa vuole da me?» alzo il tono di voce.
Zia Marin sospira. «Non lo so, Bi. Devi fare attenzione, ok?»
Corrugo la fronte. «Che significa?»
«Che Dan è cambiato, Bi.»
Mi irrigidisco. «Mi stai dicendo che mi farà ancora del male?» trattengo il fiato.
Zia Marin beve qualcosa poi annuisce con un verso. «Si. Ha qualcosa in mente. Dovevi vedere come era agitato e quando mi hai chiamata come si è comportato. Inoltre, è subito andato via con una scusa. Ascoltami, io non intendevo ferirti in alcun modo. Sai bene che per me è come un nipote e non intendo entrare nei vostri alterchi o nelle vostre stupide scaramucce. Voglio andarmene in pace e sapendoti al sicuro.»
Sento qualcosa di caldo sul mio viso. Passo il guanto di pelle rendendomi conto di stare piangendo come una stupita priva di spina dorsale. E mi fa rabbia. Tanta. Io non sono mai stata così fragile. È come se il mondo si fosse capovolto e mi stesse mettendo costantemente alla prova per abituarmi a tutt'altro. Ma io, il peggio lo aspetto comunque. Sono sempre stata pessimista. Mi sono sempre trattenuta dall'essere davvero felice perché so come ci si sente quando il mondo crolla e non hai niente e nessuno su cui fare affidamento. So come ci si sente quando tutto ti travolge trascinandoti lontano.
Sospiro. «Starò attenta. Intanto tu non stuzzicarlo. Sii naturale.»
«Parlerai con lui?»
Come posso parlare con lui proprio adesso? Come faccio a guardarlo in faccia e a trattenere ogni istinto? Non posso. Non posso guardarlo negli occhi e sentirmi male, essere ferita ancora da una verità diversa. «Non lo so. Ci penserò quando tornerò.»
Tossisce ancora convulsamente. Sento la voce del medico che è appena entrato nella sua stanza a farle la visita. Lei, in maniera strozzata gli chiede di salutarmi.
«Signorina Bambi»
«Dottore», saluto sentendomi in apprensione per lei.
«Sua zia non sta bene. La saluta e le chiede di non allarmarsi.»
«Fosse facile. Le dia un bacio da parte mia.»
Dopo la chiamata mi sento appesantita. Con il cuore gonfio di tristezza e preoccupazione ritorno indietro rifiutando tutte le chiamate di Travis e quelle da un altro numero che dovrebbe essere di Nan.
Quando arrivo nelle vicinanze noto proprio lei con il telefono in mano. Vedendomi arrivare mi viene in contro. «Dove sei stata? Travis ci ha fatto allarmare dicendoci che all'alba sei scappata...»
Si blocca notando i miei occhi. Indietreggia negando. «No...»
«Non c'è niente da fare con lui. Con lei invece si», dico piena di rabbia entrando in casa infreddolita. Mi irrigidisco quando la trovo proprio in cucina. Indossa una vestaglia di seta. È a gambe nude e a suo agio. Si muove come se fosse casa sua.
Mi sorride in modo falso mentre mi spoglio avvicinandomi al camino riscaldando le mani, saltellando per sciogliere i muscoli.
Dal piano di sopra scende di corsa Travis. Non appena mi vede mi si avvicina provando ad abbracciarmi ma scansandomi mi sposto in cucina.
Nan parla con lui che sembra apparentemente avere preso coscienza del fatto che tra di noi sia finita. In realtà non è mai iniziata una storia perché a causa mia e dei miei errori non c'è stato modo, ma questa volta è diverso. Io non posso sopportare questa cosa. Mi ha ignorata. Non mi ha neanche difesa facendomi dare della ragazzina, della poveretta. Non ha difeso il nostro rapporto ma si è lasciato ammaliare dal passato.
Riempio una tazza di caffè sorseggiandola standomene all'angolo della cucina.
«Puoi spostarti?» Chiede irritata e in parte infastidita dalla mia presenza.
Non mi muovo e lei continua a ronzarmi attorno. «Trav, ti va un caffè?»
«Si, grazie», dice lui incurante. La conversazione con Nan e Mitch sembra interessargli parecchio.
Jesse prende la tazza riempiendola. Accorgendosi che manca il caffè apre tutti gli sportelli cercando la busta. «Spostati, sei d'intralcio», dice stizzita. «Ma non ti hanno insegnato che si beve o si mangia a tavola?»
La guardo come se fosse una mosca. Picchio la tazza sul ripiano. «Chiariamo bene una cosa lurida stronza che non sei altro: non sono qui per farmi trattare così da te. Non sono una poverina tanto meno una ragazzina. Vedi di trattarmi con rispetto se vuoi che ricambi», sbotto.
Jesse avvampa. «Rispetto? Non sai neanche che cosa significa la parola rispetto. Sei ignorante! Ma ti sei vista? Hai l'aria di una arrampica...»
Le mollo uno schiaffo abbastanza sonoro. «Qui delle due quella che sfrutta la gente per denaro sei proprio tu. Che c'è... il fratello non ti è bastato? Non ti ha dato abbastanza? Perché non ammetti di essere venuta di proposito qui perché te lo hanno chiesto. Perché non ammetti che continuano a seguirti per approfittare di un momento di distrazione. Perché non ammetti che in fondo sei sempre stata innamorata di lui e non dell'uomo che hai sposato. Sai, conosco le donne come te e non mi lascio intimidire tanto meno abbindolare perché se c'è una cosa di cui io sono orgogliosa è proprio questo: che non sarò mai così perfida e meschina.»
Jesse arrossisce maggiormente. «Credi che te lo lasceranno vedere ancora? Ti sbagli! Non sei adatta alla nostra famiglia. Non sei adatta a niente perché sei solo una piccolissima stupida che crede di potere andare avanti con l'amore», soffia dal naso. «Svegliati un po': le favole non esistono!»
«Magari non sarò adatta a voi e al vostro stupido mondo, ma ho una cosa che non avrete mai: la dignità!»
Detto ciò mi sposto svelta verso le scale.
I tre in soggiorno rimangono sbalorditi dalla mia brusca reazione. Mentre salgo al piano di sopra con la coda dell'occhio noto l'espressione di disagio della suddetta stronza quando Travis le chiede spiegazioni alzando il tono di voce così tanto da farla sentire una lenticchia.
Raccolgo le mie cose, infilo il cappotto, la sciarpa e tutto quello che mi occorre e a grandi passi scendo nuovamente.
Dalla cucina nel frattempo provengono le urla di Jesse e Travis. Stanno discutendo animatamente, forse mettendo ormai tutte le carte in tavola.
«Dimmi la verità! Sei qui perché ti ha mandato mio padre?»
«Tu non appartieni a questo mondo!» urla lei guardando Mitch e Nan che stanno provando a calmare le acque. Ma ormai ho fatto scoppiare il putiferio. Ho aperto gli occhi a quello stupido che amo così tanto ma che in queste ultime ore non si è neanche accorto di me.
«Non sei tu a deciderlo tantomeno mio padre. Come osi farti viva per prendermi in giro?»
«Io non ti ho preso in giro. Mi sei mancato. Sei mancato a tutti. Davvero non lo capisci? Sei sparito per anni poi torni e ti vediamo... con una sconosciuta, a tuo agio, come se niente fosse. Tuo padre...»
«Allora è così... è vero... tu non sei qui per me, perché mi vuoi bene. Tu sei qui per un tuo tornaconto», Travis indietreggia scuotendo la testa.
Nan e Mitch bisbigliano. «Forse sarà meglio avvisare la sicurezza...»
«E questo ti sorprende tanto? Con tuo padre funziona così!» risponde Jesse incrociando le braccia. «Quando entri non ne esci più!»
Travis soffia dal naso. «Vattene!» ringhia freddamente.
Lei spalanca gli occhi. «Che cosa? Dici sul serio? Mi stai cacciando di casa anziché sbattere fuori quella randagia?»
«Bambi non è una randagia», esplode Nan facendomi venire il magone quando le si avvicina minacciosa. Jesse di rimando la guarda come se volesse schiacciarla. «La difendi tanto perché ti fa pena. Inutile nasconderlo», dice soffiando dalle narici.
Nan prova a parlare ancora ma Mitch la trascina via.
«Hai sentito quello che ti ho detto? Vattene e non tornare mai più. Non farti rivedere davanti alla mia faccia!» urla Travis.
«È stata lei», urla a sua volta Jesse. «È tutta colpa sua se sei così cambiato!» singhiozza. «Che cosa ti ha fatto?»
Mi avvio alla porta non sostenendo più la situazione e le parole di disprezzo nei miei confronti. Travis si stacca da lei provando a fermarmi. Ancora una volta mi scanso. «Non... toccarmi», sibilo freddamente.
«Sono stato un...»
«Non mi importa. Tieniti il tuo cavallo nella stalla!» dico aprendo la porta. Decido inoltre di essere spietata come lui lo è stato con me. «Mi avevi detto che non volevi essere una delusione come lui. Sei peggio, credimi. Mi hai perso sul serio questa volta.»
«Bi», mi chiama.
Non mi volto. Non torno indietro come una stupita. Umiliata e sfinita raggiungo il paesino trovando un taxi, chiedendo all'artista di portarmi all'aeroporto più vicino. Trovo un biglietto e me ne ritorno a New York con il cuore a pezzi.
Puoi perdonare una persona che ami e che ti ha ferito di nuovo finché il tuo cuore non si stanca. Perché prima o poi arriva il momento esatto in cui il tuo cuore si spezza, emette l'ultimo battito e non ce la fa più. Si ribella a tutto. Si ribella all'amore che diventa sinonimo di dolore. E allora non perdoni più. Non lasci più passare le cose. Non le metti in secondo piano. Scegli semplicemente te stesso. Oppure impari a farlo.

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