Ci sono sensazioni ed emozioni in grado di fare scattare nella mente un certo spirito di conservazione. Il tutto esce fuori quando ti senti al limite, quando pensi che non ci sia più niente da fare, quando hai sopportato tanto capendo alla fine di ogni lotta che ogni tuo sacrificio non è servito a niente. Perché ci sono gesti che non vengono notati, parole che non vengono ascoltate. Non è bello rendersi conto di avere sperato tanto, forse troppo e di essersi miseramente e solamente illusi.
La stretta della mano di Travis distoglie la mia attenzione dalle nuvole sulla quale stiamo volando ormai da circa un'ora.
È la prima volta che mi trovo in viaggio e su un aereo privato. E su un aereo in generale, visto che non sono mai uscita da New York. Non dovrei neanche stupirmi per questo dettaglio visto che Travis è abbastanza attento a non farsi vedere in giro, invece mi sento come una bambina curiosa, anche se allo stesso tempo sono distratta da innumerevoli dubbi su questo viaggio non programmato verso il Canada. Non so, c'è qualcosa che sembra sfuggirmi.
«Che te ne pare?»
Abbiamo fatto le valigie quasi subito dopo la mia risposta positiva. Non ho fatto parola della chiamata, della breve conversazione avuta con zia Marin e di ogni sensazione provata di seguito per avere scoperto che era in compagnia con Dan. L'amico che mi ha tenuto molte cose nascoste.
Nan e Mitch hanno accettato di buon grado il loro regalo. Passeranno questa breve vacanza insieme a noi, anche se allo stesso tempo festeggeranno i vent'anni di matrimonio. In questo momento se ne stanno seduti, chiacchierano e si sorridono come due ragazzini innamorati. Mi chiedo come si sono conosciuti, in quale circostanza e cosa li abbia spinti a sposarsi, ad unire le loro vite. Mi chiedo soprattutto come sia possibile che abbiano scelto una carriera diversa da quella di partenza.
Travis mi schiocca due dita davanti. Metto a fuoco il suo viso. Appare in qualche modo preoccupato per me. Lo so che mi vede distratta. «Bi, dimmi che ti succede», si fa attento.
Sgancio la cintura quando finalmente dalla cabina di pilotaggio ci dicono che è possibile perché non vi è più alcuna turbolenza e appoggio la testa sulla sua spalla intrecciando le nostre dita. Mi bacia la fronte facendomi sentire incredibilmente al sicuro. In fondo siamo sulle nuvole, lontani dal mondo, dai problemi. Dovrei godermi queste ore di viaggio eppure sento che c'è qualcosa che non torna. Ho un brutto presentimento.
«So che è successo qualcosa. Non avresti mai accettato di venire con me senza un valido motivo. Che cosa è stato a farti cambiare idea?»
Lo guardo complice. I suoi meravigliosi occhi mi regalano sempre una nuova emozione che spero di tenere dentro, come il ricordo di quei battiti che mi fa accelerare quando è così vicino da sfiorarmi l'anima. Abbasso il suo viso tenendolo fermo e stretto baciandogli le labbra che sono morbide e sanno di cannella, per la gomma che tiene in bocca ormai da quando siamo partiti.
È così rilassato e a suo agio in questo momento da non sembrare neanche più lui.
«È bello essere lontani da casa, sulle nuvole insieme a te», dico. «Da adolescente le guardavo e immaginavo come una stupita che qui sopra ci avrei trovato i miei genitori e che quando sarei salita su un aereo li avrei visti. Invece non c'è nessuno. Devono essere in un posto diverso, forse più lontano. In parte credo sia anche per il fatto che altrimenti non li lascerei andare via mai più», dico.
Non mi prende in giro per quello che sto dicendo mentre osservo la distesa di nuvole simili a panna montata. «Che cosa stai abbandonando?»
«Non credo di avere capito», rispondo.
«Hai di nuovo quell'espressione strana in volto. È come se accettando la mia richiesta ti stessi allontanando da qualcosa in particolare», mi stringe la mano. «Parlami», sussurra all'orecchio. «Dobbiamo essere sinceri, ricordi?»
Bevo un sorso d'acqua. «Ti arrabbieresti», il pensiero mi fa agitare.
Travis attende uno, due secondi. «Sono pronto.»
«Zia Marin era con Dan e mi sono sentita tradita», dico velocemente. Ammetterlo mi fa stare male.
Sento le sue labbra sul collo dove bacia una porzione delicata di pelle facendomi scansare a causa dei brividi che mi investono come un'onda improvvisa mentre stai giocando in acqua.
«Dimmi che cosa hai provato o quello che hai pensato. Tutto!»
«Lei sa quello che ha fatto Dan. Conosce ogni mio pensiero su quella notte quando ho scoperto che Dan non ha mai smesso di assumere quelle sostanze. Inoltre, continuo a pensare che lui abbia ancora qualcosa in serbo. Non so, sarò paranoica ma c'è qualcosa che non va.»
Mi abbraccia. «Nessuno ti farà più del male. Ok?»
«È una promessa?»
Sorride in modo dolce. «Esatto», prova a baciarmi. Lo fermo. «Perché non ti sei arrabbiato? Solitamente reagisci male quando parlo di Dan e ricordo perfettamente le tue parole dentro l'auto. Trav, che cosa mi nascondi?»
Arrossisce lievemente guardando ovunque tranne che me. «Niente. Che cosa dovrei nasconderti?» Fa il vago.
Assottiglio le palpebre. «Mi stai nascondendo qualcosa anche tu, lo sento. Per favore dimmelo, adesso!» mi preparo mentalmente a qualsiasi cosa.
Abbassa il viso. «È vero», inizia agitandosi sul sedile. «C'è una cosa che non ti ho detto. Riguarda la nostra destinazione», schiarisce la gola. Appare a disagio, improvvisamente nervoso.
Rimango in silenzio, in attesa. Vedendo che non ha intenzione di parlare sbotto: «dove vuoi che vada? Sono in mezzo alla nuvole. Non mi lancerò con un paracadute. Parla!»
Valuta la mia reazione che con ogni probabilità sarà negativa. «Il posto in cui stiamo andando... non è una destinazione che non conosco. È un luogo importante per me.»
«Quanto? Quanto importante?»
Dentro di me si risveglia uno strano istinto. Travis mi guarda da sotto le ciglia prima di rispondere. «Abbastanza», soffia afflosciandosi.
E improvvisamente capisco. Lui non sta scappando. Lui sta per affrontare il suo passato. Lui sta per ritornare in un posto familiare. Ma perché? Perché non dirmelo subito? Perché tenermi ancora a debita distanza?
Dilato le narici. Stringo i denti e alzandomi dopo avere staccato le sue mani di dosso mi sposto andandomi a sedere in fondo all'aereo. Caccio in bocca un'altra gomma più saporita per togliermi il suo sapore, infilo le cuffie e guardo fuori dal finestrino.
Non sono arrabbiata. Provo solo un senso di fastidio sulla bocca dello stomaco. È come acido che sale. Mordo il labbro asciugando le lacrime che escono mentre ascolto "Billie Eilish".
Sto attraversando un momento davvero pessimo e l'ultima persona dalla quale vorrei essere tradita è proprio lui. Lui che continua a non fidarsi. Quando mi ha chiesto espressamente di non lasciarlo sapeva come avrei reagito quando avrei saputo questa cosa, ma non ha detto niente lo stesso impedendomi di decidere senza essere impulsiva. Non mi ha dato scelta. E io non ho accettato solo per allontanarmi un paio di giorni dalla mia vita, l'ho fatto per stare con lui, per provare a risolvere il problema di comunicazione che spesso abbiamo. Purtroppo sembra inutile.
Accanto a me si siede Nan. Mi passa un bicchiere di champagne. Abbasso il volume della musica facendo finta di stare bene. Ma lei o chiunque si accorgerebbe che non è proprio così. Sono partita per dimenticare un tradimento alle spalle e adesso mi ritrovo con un pugnale premuto nel petto perché, ancora una volta, Travis ha avuto paura di dirmi come stanno le cose.
«Ti ha mandato qui per capire se sono furiosa con lui? Si, lo sono. Soprattutto mi sento delusa. Ti ha mandato per chiedermi se terrò il broncio comportandomi come una bambina? No, me ne starò per i fatti miei. Mi godrò questo viaggio da sola. Indisturbata. Così lui potrà fare quello che diavolo gli pare visto che è tornato per qualche strana ragione impedendomi di decidere se seguirlo o meno.» La voce alla fine si inclina. Alzo gli occhi al cielo prendendomi per stupita. Perché ci tengo sempre troppo. Perché mi immergo nelle situazioni fino ad annullarmi.
«E se non ha avuto il coraggio di affrontarmi adesso, che rimanga pure a distanza da me, perché non ho nessuna intenzione di urlargli addosso che è uno stronzo!» asciugo le lacrime. «Ho avuto un incidente, ho conosciuto una verità scomoda e adesso devo accettare mia zia che confabula con il mio amico che, mi ha mentito e devo fare finta che vada tutto a meraviglia con il ragazzo che continua a tenermi a distanza perché ha paura che io non sia in grado di accettarlo! Perché non ha ancora capito che non mi innamoro di chiunque!»
Nan non sa che cosa dire. Forse per la prima volta capisce il mio stato d'animo. Beve d'un fiato riempendosi un altro bicchiere.
«Con Travis ci vuole pazienza. Si è aperto e si è esposto con te. Ma non ha mai cercato di ferirti. Quando abbiamo organizzato il viaggio lui non era convinto di volerlo fare. Poi però con le buone intenzioni, per farci un regalo, ha scelto su due piedi il posto che ritiene importante. Ascolta, Travis a volte non riflette, è impulsivo. Ma non fa le cose con malizia. Posso assicurarti che non stiamo andando dai suoi genitori o da qualcun altro che, come ben sai vivono tutti a Washington. Non troveremo nessuno. Stiamo solo andando in un posto che lo fa sentire bene con se stesso e al sicuro.»
Bevo lo champagne. «E allora dove diavolo stiamo andando esattamente?»
«Nello chalet di montagna. Il suo. In quel posto ha custodito i suoi ricordi migliori. Ogni anno ci va da solo per uno o due giorni. Se ha voluto portarti con sé, deve essere importante.»
Guardo fuori. «Sai come farmi sentire una stronza», brontolo. «Ma ciò non toglie che avrebbe anche potuto parlarne con me anziché mandarti come una balia.»
Sorride negando. «Hai passato dei brutti momenti. È comprensibile. Forse Travis non sa come gestire questo tuo carattere ma posso assicurarti che a volte fai anche bene. Gli dirò che deve avere il coraggio di affrontarti, di dirti le cose come stanno.»
Si alza lisciando i pantaloni del tailleur che indossa.
«Nan»
Gira il busto e il viso. «Si?»
«Grazie»
Mi sorride raggiungendo Travis.
Non mi sento in colpa per avere reagito male. Potrei anche sembrare una bambina ma Travis a volte sa essere estremamente complicato, difficile da capire. Fa dei gesti dolci, altre volte invece sembra essere altrove. È in grado di innalzarmi e farmi sentire a terra allo stesso tempo. È davvero stancante stargli dietro. Proprio come deve essere stancante per lui tutto quello che dico o faccio io. Ma se vuole la fiducia, deve prima avere il coraggio di tenermi presente quello che gli circola dentro la testa.
Aumento il volume della musica rilassandomi per tutta la durata del volo.
Solo quando atterriamo inizio ad avere il presentimento che qualcosa ci destabilizzerà ancora.
Tiro dietro le valigie senza chiedere aiuto a nessuno, seguendo con il mio passo malfermo i tre davanti a me diretti verso l'auto ferma al centro della pista.
«Signore», lo saluta cordialmente un autista aprendo a tutti le portiere. Travis gli stringe la mano poi si volta sta per aggiungere qualcosa ma pensa bene di punirmi e non presentandomi saliamo in auto dove lui si schiaccia dall'altro lato del sedile. Mi stringo sotto il cappotto per il freddo. Qui sono parecchie le montagne. Quasi tutte coperte dal manto bianco. Osservo il panorama senza mai aprire bocca mentre Mitch guida lanciando di tanto in tanto strani sguardi dallo specchietto retrovisore, mentre Nan scrive qualcosa sul suo tablet.
Passa circa un'altra ora e quando finalmente arriviamo fermandoci di fronte un cancello e uno steccato, sono già le otto di sera. Osservo il bellissimo chalet simile strutturalmente alla capanna del nonno di Heidi. È tutto buio intorno e c'è molta neve, specie sul viale sulla quale non è possibile salire con l'auto.
Camminiamo o meglio, loro camminano io sembro un dinosauro con problemi di deambulazione, visto che oltre a zoppicare fatico a tenere il loro passo. Quello che faccio è passare sulle loro impronte per non rischiare di sentire ancora il forte dolore alla caviglia che non sta affatto guarendo.
Mi fermo sulla soglia. La porta è rimasta aperta. Faccio il mio ingresso trovandomi in una bellissima casa accogliente, spaziosa, pulita e arredata bene.
Nan e Mitch parlano con Travis che, ignorandomi del tutto, quando loro vanno via, si richiude in una stanza qui al piano di sotto.
Spingo le mie cose all'angolo e anche se incuriosita mi siedo sul divano dove rimango per tanto, troppo tempo, fino ad addormentarmi.
«No, adesso sta dormendo. Non voglio svegliarla. No. Non le parlo. Sto facendo come lei. Come perché?»
Travis si muove avanti e indietro in soggiorno.
Davanti a me vi è un tavolo di vetro posto sopra una scultura a forma di ceppo. Sopra a questo un vaso vuoto e un posacenere. Sotto un grande tappeto rosso scuro a coprire il pavimento in legno.
Sono seduta su un divano in pelle di colore anche esso rosso scuro. Davanti a me la vetrata nonché entrata, di fianco una scala che conduce al piano superiore mentre alla mia destra si trova una cucina con una sala da pranzo adiacente. Tutto in stile moderno con qualche dettaglio dal gusto classico.
«Vuole del tempo e le darò tutto quello che...» si accorge di me. «Le serve», sussurra riagganciando.
Distolgo lo sguardo ma lui si avvicina. «Vogliamo comportarci come bambini o facciamo gli adulti?»
«Mi sento in trappola. Non mi hai detto di questo posto perché credevi che non sarei mai venuta. Ed è così! Perché è il tuo posto e io lo sto già contaminando negativamente. Quindi fammi un favore: indicami la mia stanza se ne ho una, così mi tolgo subito dai piedi.»
Travis cerca una risposta acida da darmi poi scuotendo la testa mi indica il piano di sopra. «Scegli una delle due», dice freddamente spostandosi in cucina.
Salgo ad uno ad uno i gradini. Fatico a trascinare dietro anche i bagagli ma alla fine entro nella prima stanza e ci rimango davvero senza mai uscire.
Il letto non è comodo come mi aspettavo. Ma è terribilmente freddo. La stanza silenziosa.
Da quando dormo con lui, sento di avere apportato una grossa ed importante modifica alle mie abitudini. Mi fa sentire a disagio infatti dormire da sola sapendo che si trova a qualche passo di distanza.
Accendo la luce standomene con le spalle appoggiate alla testiera del letto di legno scuro. Le lenzuola sono di un bianco sporco. Non c'è un filo di polvere quindi deve avere mandato qualcuno a pulire prima del nostro arrivo. Da questo dettaglio mi domando da quanto tempo stava organizzando tutto questo.
La stanza non è poi così piena. Un armadio a parete ampio, uno specchio rettangolare allungato attaccato al muro di fianco a questo. C'è anche una scrivania con dei libri messi in ordine, una lampada e un blocco di fogli. Una cassapanca ai piedi del letto, un tappeto davanti e infine due comodini e una finestra che fa entrare il chiarore donato dalla neve.
Recupero un libro portato dietro, leggendo lentamente. Lo faccio per annoiarmi così tanto da addormentarmi. Eppure non funziona. È come se avessi bevuto dosi eccessive di caffeina e ora il mio corpo si stesse ribellando.
Mordo il labbro chiudendo il libro dopo avere letto circa tre capitoli, due dei quali riletti dopo avere perso il segno più e più volte. Mi sdraio su un fianco spegnendo la luce e ascolto il silenzio, la tranquillità del posto.
È notte fonda quando sento urlare. Salto giù dal letto raggiungendo l'altra stanza. Apro la porta e lo trovo a metà busto, sudato, in preda al panico. Passa nervosamente le mani sul viso. Si volta con occhi spiritati ed io indietreggio sparendo di nuovo in camera.
Non posso aiutarlo. Non è ciò che vuole da me, continuo a ripetere a me stessa.
Stanca di non riuscire proprio a chiudere occhio, facendo bene attenzione, scendo al piano di sotto rimanendo al buio. Accendo solo la luce posta sul fornello e sbirciando dentro la dispensa decido di prepararmi un te' caldo.
Sto versando l'acqua dentro la tazza quando sento una presenza osservarmi dalle scale. Ogni centimetro della mia pelle si rizza. Travis mi raggiunge in fretta fermandosi però dopo avere superato il centro della stanza. Non sa che cosa fare. Ogni sua determinazione sembra essersi dissolta. Continuo allora imperterrita e, appoggiandomi all'angolo della cucina, bevo un sorso di te' al gusto vaniglia e miele che, in realtà ha tanto un retrogusto diverso a causa mia, dei miei pensieri.
Travis finalmente mette a tacere ogni dubbio esistenziale avvicinandosi fino a raggiungermi. Mi toglie la tazza dalle mani bevendo al posto mio. Provo a versarmene un altro ma sono incastrata tra il ripiano basso e il suo corpo statuario che emana un buon odore e un calore in grado di bruciarmi la pelle.
In un modo o nell'altro lui mi terra sempre incastrata in un posto ben preciso situato tra le costole e lo sterno.
Beve indisturbato provocandomi senza mai abbassare gli occhi. Non dice niente. Non si muove nemmeno. Inizio a sentirmi braccata, a percepire il panico. Perché anche se lui non lo sa, io continuo ad avere flash del mio passato. Mi colgono alla sprovvista e non riesco proprio a farli smettere.
Stringo le mani sul bordo del bancone della cucina di marmo beige controllando i battiti.
Mi sono ritrovata in una situazione simile con Nic. Non è stato piacevole. Usava spesso queste strane tecniche. Mi faceva sentire un topo da laboratorio e mi sfiniva perché erano molto simili a delle torture. Perché appunto aveva la capacità di portare il mio cervello al limite.
Travis sta facendo la stessa cosa ed io sto per crollare, proprio come ho fatto tempo fa con Nic. Ma dentro di me scatta sempre qualcosa che mi spinge a non mollare a non dargli questa soddisfazione. Ecco perché controllo il respiro e non smetto di guardarlo anche se questo mi fa male. Mi comporto come lui nella speranza di uscirne illesa.
È uno di quei momenti in cui non vola una mosca in casa, all'esterno invece imperversa la bufera mentre dentro di te scoppia la tempesta.
Travis posa la tazza ormai vuota sul ripiano. So cosa succederà adesso. Ho imparato qualcosa da una persona presente e assente contemporaneamente. Nic era proprio come un interruttore. Un giorno mi accendeva il mondo, quello dopo era tutto buio, vuoto e silenzioso.
Grazie a lui ho imparato il controllo delle emozioni quando contrariamente vorrebbero uscire fuori e fare danni.
Ad un certo punto infatti, Travis sembra sbalordito del fatto che io non abbia ancora spezzato il contatto visivo. Mi sono allenata, lui non lo sa. E mi sento persino stupita. Mi ricorda davvero tanto alcuni momenti passati con Nic. Lui mi metteva sempre alle strette, mi faceva arrabbiare, mi stuzzicava, mi buttava giù dal letto anche quando ero sfinita a causa del lavoro, della mia vita e mi spronava continuamente. Ci sono volte in cui mi manca, non lo nego, altre in cui al contrario vorrei rivederlo per ammazzarlo di botte. Gliene darei così tante da sfogare questi anni di abbandono. Perché mi ha lasciata sola con zia Marin e con Dan. Forse è per questo che ho paura di lasciarmi andare completamente con Travis. So di non doverlo paragonare minimamente a Nic. Sono diversi. Ma ci sono anche quei momenti in cui mi sento come se fossi ritornata indietro nel tempo.
Sulla fronte gli si forma un solco. Ha appena assottigliato l'occhio e contratto i muscoli facciali. Dopo qualche istante lascia uscire il fiato e mi abbraccia tenendomi stretta. Così tanto che sembra che dobbiamo fonderci da un momento all'altro.
Contrariamente ad ogni aspettativa: mi aggrappo alle sue spalle stringendo la presa.
Mi solleva il viso e sono la prima a muovermi. Alzandomi su un piede premo le labbra sulle sue. Lui ricambia con tanto impeto da farmi tremare le ginocchia.
Ci stacchiamo senza fiato, continuando a guardarci. Mi fa una carezza e abbassandosi preme le labbra sulla mia fronte. Mi stringe poi la mano guidandomi fino alle scale. Mi solleva prendendomi in braccio portandomi dritto in camera sua. Adagiandomi sul morbido materasso spegne la luce e stendendosi accanto mi circonda con le sue forti braccia dopo avere sistemato su di noi le coperte.
Mi volto ed è così vicino da amalgamarsi al mio fiato, ai miei battiti. Gli accarezzo la guancia poi provo a baciarlo.
«Chi ti ha insegnato quella tecnica?» Chiede spezzando finalmente il silenzio.
«Quale tecnica?» Decido di fingere di non avere capito.
Passa il palmo sulla mia spalla posandolo sul fianco, avvicinandomi. «Come sei riuscita a non cedere?»
«Ti sorprende così tanto?»
Me lo conferma seppur silenziosamente il suo cipiglio. Accarezzo la testa avvicinandolo per la nuca. Schiude le labbra fissando le mie come se volesse divorarle. «Perché non mi faccio andare sempre bene tutto come si crede. Non sono quella accondiscendente anche se a volte, e non lo nego, faccio qualcosa per non soffrire, per non perdere tutto come è già successo. Forse mi allontano, parlo poco. Ma se c'è qualcosa che non mi sta bene lo faccio capire. Forse per questo motivo sono ancora qui con te. Perché non mi dai mai un motivo per scappare ma riesci in qualche modo a farmi tornare indietro. Non usi la forza, non cerchi di persuadermi, ma parli con me. Trovi sempre un modo per parlare con me. Anche quando sono intrattabile. Io non ho paura di perdere le persone, ho paura di non lasciare niente a chi incontro o a chi amo. Ho paura di annullarmi e rimanere con un posto vuoto nel cuore. Proprio come è già successo. E sarò pure incoerente e ripetitiva ma anche quando me ne vado, rimango sempre.»
Abbassandosi cerca le mie labbra. «Raccontami di lui»
La domanda mi coglie impreparata. Deve avere capito da chi ho imparato molte delle cose che so fare. Ho un attimo di esitazione. «Lui era distante ma vicino allo stesso tempo. Era riservato, attento, puntiglioso. Sapeva gestire le situazioni più imprevedibili. Mi ha insegnato a difendermi. Mi buttava giù dal letto ad orari assurdi pur sapendo che avrei avuto una giornata pesante davanti. In qualche modo era come se mi stesse preparando alla sua assenza», mi sollevo di scatto. Adesso ho la piena consapevolezza di ogni mio dubbio circa le sue reazioni, tutte quelle azioni che spesso mi impedivano di resistere. Abbraccio le ginocchia. «Spariva per intere settimane e poi tornava a disturbare la mia esistenza. Io non ho bisogno di presenze assenti nella mia vita. Posso anche farne a meno. Ho bisogno invece di persone lucide, che ci sono davvero, che mi regalano la serenità e la certezza. Almeno una. Lui non era così. Giocava con me. Mi faceva sentire amata e poi mi abbandonava. Fino a quando non è più tornato. Non ha neanche avuto il coraggio di salutarmi», scuoto la testa. «Ecco chi era: uno stronzo!»
«Ne parli come se lo amassi ancora»
«Oh no, se dovessi ritrovarlo davanti gli urlerei tante di quelle cose brutte da finire dritta all'inferno. Sono arrabbiata e credo che questa sensazione non andrà mai via. Ma sto andando avanti ormai da anni. E adesso ho incontrato una persona che mi ha fatto notare le differenze», sussurro guardando davanti.
Travis si sistema appoggiandosi alla testiera del letto. «Quali differenze?»
«Quello che provavo per lui era solo affetto. Era una persona che si faceva volere bene pur nella sua incostanza. Ma niente paragonabile a quando ci sei tu.»
Lo guardo. «Riesci ad accendere il buio che ho dentro. Mi fai sentire viva e serena. Mi fai...»
Con uno scatto mi trascina sul materasso baciandomi. Lo respingo. «No, fammi finire. Io non voglio che tu ti senta il sostituto. Non lo sei. Io gli volevo bene ma amo te. Sei il primo a cui lo dico. Quel giorno, quello in cui mi ha detto di amarmi io non sono riuscita a rispondergli perché avevo addosso il presentimento che quello fosse un addio. La gente usa mille modi per salutarsi ma lui aveva lo sguardo strano e io in qualche modo ho tenuto per me il fatto di essermi affezionata e legata. Ma amo te e vorrei persino urlarlo. Non ho mai mai amato nessuno così tanto. E il pensiero che tu possa usare questo contro di me mi destabilizza», prendo aria. «Scusa, sto blaterando.»
Non mi sento in imbarazzo per avere rivelato i miei sentimenti.
Travis si avvicina. «Mi bastava sapere di non essere come il tuo defunto ex», abbozza un grazioso sorriso ma so che in realtà dietro sta nascondendo qualcosa, un pensiero che non lascia uscire. Allora lo avvicino. «Continua», lo invoglio a parlare con me.
«E spero di non deluderti proprio come ha fatto lui.»
Gioco con il bordo della felpa che indossa. «Mi abbandonerai anche tu con una scusa o dall'oggi al domani?» chiedo irrigidendomi al pensiero.
Intuisce a cosa sto pensando. Sfiora le mie labbra. «No, non rientra tra le mie priorità. In realtà non sarebbe neanche da me fare una cosa simile. Lo so a cosa stai pensando, ma quando non mi trovi nel letto è perché voglio che dormi almeno un po'. La prima volta che ti ho vista, avevi l'aria davvero stanca. Sei crollata e non sopporto quando ti svegli a causa mia e ti dai subito da fare cercando di aiutarmi. Sono stato in terapia, soffro di stress post traumatico», mi spiega. «E credimi, non ti libererai tanto facilmente di me come io non mi libererò degli incubi», mi bacia le labbra ma con una delicatezza nuova. Non le preme, non le muove. La mia mano lo trattiene affondando le dita tra i suoi capelli. Solleva il labbro mimandomi le stesse parole che gli ho detto una volta.
«È una minaccia o una promessa?»
«Facciamo cinquanta e cinquanta», scende sul collo, sotto l'orecchio facendomi agitare.
Di colpo solleva il viso. «Che c'è? Non ho un buon odore?» mi annuso.
Ride. «Sei buffa a volte. Andiamo!» esclama con grande entusiasmo. «E per rispondere alla tua domanda: hai sempre un odore buono che viene voglia di morderti.»
Rimango a guardarlo a metà busto mentre si avvia alla porta. «Dove stai andando?»
«Non ho dimenticato la promessa che ti ho fatto. Ti aspetto di sotto», dice sparendo.
Corrugo la fronte. Quale promessa?
Scendo dal letto e lentamente anche le scale raggiungendolo all'entrata dove mi attende munito di giubbotto, berretto, guanti, sciarpa e scarponi.
Si avvicina passandomi un giubbotto azzurro pastello imbottito. Lo indosso guardando il suo rosso. Non credo di averlo mai visto con qualcosa di colorato addosso.
«Perché mi fissi?» Chiede guardandosi.
Infilo il berretto nero e gli scarponi. Alla fine allaccio i guanti. «È la prima volta che ti vedo con del colore addosso», gli faccio notare. «Non sei male. Eppure preferisco vederti vestito di nero.»
Gratta il collo. «Il nero è un colore poetico, non credi?»
Lo spingo e con un sorriso mi abbraccia. «Facciamo pace?»
Gli getto le braccia al collo. «Dipende quale promessa intendi mantenere.»
«Se ti dico pupazzo e neve che cosa ti viene in mente?»
I miei occhi si illuminano come le lucette di Natale. Saltello su un piede strillando e lui colpito dalla mia strana allegria apre la porta.
Ovunque si sono accumulati più di trenta centimetri di neve. Travis fa attenzione a dove metto i piedi. Più volte vedendomi sprofondare e fare una smorfia mi solleva. Iniziamo a creare due grosse palle di neve come base per il corpo del nostro pupazzo. Quando siamo sufficientemente soddisfatti creiamo la testa.
Continuo a sorridere come una bambina e lui a guardarmi nascondendo altri pensieri. «Guarda che non mi offendo, dillo pure», lo stuzzico mentre mettiamo i bottoni, una sciarpa rossa e dei rametti per fare le braccia. Travis recupera un berretto e una carota mentre con due tappi creo gli occhi.
«Non credo di avere mai visto qualcuno così divertito per un qualcosa di così... banale. Passami il termine.»
Indietreggio per guardare il pupazzo. Grazie alla luce della neve ci è concesso vedere tutto intorno a noi. «Mi è sempre piaciuta la neve e non ho mai avuto l'occasione di vederne così tanta e così pulita», rispondo. Chiudendo gli occhi respiro a pieni polmoni e sorrido. Sento le guance arrossarsi a causa del freddo ma non voglio rientrare. Preferisco rischiare l'ipotermia ma divertirmi piuttosto che entrare in casa e ammirare tutto da dietro un vetro. L'ho fatto per tutto questo tempo. Forse è arrivato il momento di spiccare un po' il volo.
«Come lo chiamiamo?»
«Sembra Olaf», dice piegando la testa di lato.
Rido. «Conosci Frozen?»
Gratta la guancia. «Mi sembra ovvio. Chi non lo conosce?»
Creo una pallina sempre più divertita. «Palla!» urlo poco prima di tirare colpendolo alla spalla.
Fissa incredulo la neve che scivola via dal suo giubbotto. Rido, adesso anche lui. «Hai una pessima mira», mi prende in giro.
Metto le mani sui fianchi. «Ok mister "cecchino" o dovrei dire "Falco"? Perché non mi mostri che sai fare?» Lo provoco.
Alza il labbro. Non si offende, tantomeno si rattrista per il nomignolo usato. Crea una palla mentre ne formo anch'io un'altra.
«Pronta?»
Non mi dà il tempo. Vengo colpita al viso. Lascio cadere la neve che ho in mano sputando quella che mi è appena entrata in bocca.
Travis ride a crepapelle. «Mi hai appena dichiarato guerra?»
Continua a ridere e questo mi fa sentire spensierata. Mi piace vederlo così a suo agio, senza paura di essere notato. In fondo siamo in un paesino canadese isolato e tra le montagne.
Gli lancio una palla colpendolo al cuore. Fissa incredulo la macchia. «Impari in fretta», mi colpisce alla pancia. «Ma non sei veloce», mi prende in giro e senza darmi il tempo continua a bersagliarmi.
Scoppio a ridere lasciandomi cadere indietro. «Oh mi ha colpito. Come farò? Come farò?» urlo teatralmente.
Travis si avvicina e sto facendo un bell'angelo. Mi alzo e scuotendomi di dosso la neve gli faccio una linguaccia osservando la forma creata.
Lui mi afferra. Strillo e finiamo a terra quando per sbaglio scivola. Ride. Ride forte con le mani sul viso. Gliele scosto ammirando la sua bellezza.
Si calma asciugando una lacrima, cercando di ricomporsi. Mi accarezza poi una guancia. «Non ti ho mai fatto un complimento come si deve. Apri bene le orecchie perché non lo dirò più: sei davvero bello. Hai un sorriso che scioglie il cuore!»
Ridiamo rotolando sulla neve e alla fine, finiamo io sopra e lui sotto. Mi scosta i capelli dal viso aggiustandomi il berretto. Mi abbasso baciandolo lentamente. Regalandomi brividi che non sono dati dal freddo ma dall'amore. Un amore che sento forte nel petto.
«Torniamo a casa, si gela», sussurra privo di voce.
Lo seguo lasciandomi prendere sulle spalle. Il sorriso che continua ad avere mi accompagna durante la colazione e poi mentre riordiniamo l'abitazione rendendola più accogliente e natalizia.
Nan e Mitch poco dopo l'ora di pranzo si presentano infreddoliti e con qualche novità sul caso che è scoppiato come una bufera nelle nostre vite.
«Sono arrivati all'appartamento ma le guardie hanno fatto il loro lavoro», Mitch mette al corrente Travis dell'irruzione di una squadra speciale inviata dal padre nel tentativo di riportarlo a casa.
Travis cambia un po' umore ma non si dà per vinto. «Altro?» guarda Nan speranzoso.
«Non ha raggiunto la villa. Gli operai sono tutti a casa a causa della neve e per le vacanze natalizie e il posto attualmente è al sicuro.»
«E noi?» Chiede indicandoci. «Lo siamo?»
«Travis, siamo qui perché lo hai ritenuto il tuo posto tranquillo. Se così non dovesse essere, partiremo immediatamente. Siamo attrezzati e qui vicino ci sono uomini scortati e pronti a proteggerci. Ovvio che anche tu sei addestrato e niente può coglierti di sorpresa. Faremo attenzione. Nel frattempo sfruttate questi giorni per svagarvi un po'. Bambi non vorrebbe vedere uno dei tuoi posti preferiti?»
Sto già confermando anche se mi sento a disagio nel sapere che qualcuno ci sta seguendo per proteggerci.
Travis inizialmente appare preoccupato poi però si rilassa. «È tutto?»
Nan e Mitch si guardano. «Si. Adesso anche noi andiamo a fare un giro», si sorridono.
«Bene. Ci vediamo stasera a cena?»
Annuiscono. «A stasera», si avviano alla porta dove qualcuno bussa.
Ci guardiamo. Travis si è già irrigidito e sembra sul punto di scappare.
Altri due colpetti ci fanno sobbalzare. Nan è la prima a muoversi. Va a controllare. Dal suo sguardo non conosce la persona dietro la porta. Quando la apre, l'espressione di Travis cambia nell'immediato.
«Travis sei davvero tu?»
Lui batte le palpebre incredulo. «Jesse?»♥️🎄
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...