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Mi sono sempre piaciuti i baci rubati, privi di paura, frettolosi, carichi di passione. Mi sono sempre piaciuti gli sguardi di sbieco, sfuggenti, complici. I "ti odio" detti per nascondere i sentimenti. E poi ci sono le mani che avvicinano, che tengono stretta la pelle, che afferrano, che tremano, che toccano. Le bocche che si incurvano in sorrisi pieni di dolcezza, di parole non dette, di frasi lasciate a metà, di respiri spezzati dall'affanno. I morsi sulla pelle. I segni nel cuore. Mi sono sempre piaciuti quei discorsi silenziosi, fatti con il cuore, attraverso i battiti. Dove nel silenzio si crea un tumulto, un urlo in grado di raggiungere un posto lontano. Mi sono sempre piaciuti certi dettagli perché sono quasi sempre quelli in grado di portarti altrove, di farti sentire vivo. E bisogna prendere tutto. Afferrare ogni cosa al momento giusto. Di quello che sarà. Di quello che succederà, non può saperlo mai nessuno. Ma di una cosa sono certa, il modo in cui mi fa sentire lui con uno solo di questi gesti, io non riuscirò a provarlo mai più con nessuno.
Il silenzio dentro l'abitacolo si fa assordante. La tensione si staglia intorno come nebbia incandescente pronta a bruciarci la pelle. I nostri pensieri corrono verso una sola direzione. Il messaggio è chiaro: nessuno dei due tornerà mai indietro. Nessuno dei due sarà mai pronto a lasciare andare la presa, a staccarsi, ad allontanarsi. Perché siamo due pezzi, un incastro. Perché entrambi abbiamo bisogno di avvicinarci, scontrarci, implodere, trovarci e poi completarci.
Perché siamo fili invisibili, resistenti, dello stesso gomitolo. Siamo legati dentro.
Travis ansima riprendendo fiato, le mani ai lati della mia testa, il petto sul mio e gli occhi persi nel mio sguardo.
Rimaniamo ancora brevemente così. Poi fa una passo indietro spezzando la magia, riavviando l'ascensore.
Abbasso le spalle riprendendo a respirare. Mi tremano le braccia, le gambe, il cuore. Mi sento sottosopra come se fossi appena uscita dalle montagne russe, da un giro in giostra pericoloso seppur divertente. Mi sento in disordine, come quando si apre di colpo la finestra spazzando via tutto, sparpagliando ogni foglio tenuto in ordine.
Indosso la giacca, tengo in mano i tacchi intenzionata a non indossarli. Ho un dolore atroce ai piedi. Non credo di essermi mai sentita così intorpidita prima di questo momento.
Mi rendo conto che con il passare del tempo, certe abitudini si perdono.
Travis attende impaziente davanti le porte scorrevoli battendo quasi il tempo con il piede. Non mi guarda, non dice niente. Lascia svanire il momento a causa della sua paura, del panico che continua a crescergli dentro ad ogni secondo passato in un ambiente diverso dal suo.
Le porte scorrevoli si spalancano, l'aria fresca ci raggiunge e guardandosi furtivamente ovunque, afferrandomi per un polso, mi spinge fuori dal palazzo.
I miei piedi nudi si muovono veloci sul marciapiede beccando di tanto in tanto qualche piccolo sasso, mentre lui è deciso ad allontanarsi dal quartiere di corsa. «Trav, non posso correre!»
Non sembra ascoltarmi, preso com'è dal pensiero di raggiungere il suo rifugio. Lo strattono fermandomi come una bambina che sta per fare i capricci e si volta guardandomi così male da farmi sentire immediatamente in colpa. Ricevo addosso come una secchiata d'acqua gelata. Trattengo il fiato attendendo una sua brusca reazione. Conto persino i secondi.
«Non puoi correre? Ma puoi ubriacarti e farmi reagire come un pazzo chiamandomi nel cuore della notte per urlarmi addosso?» mi affronta alzando il tono, rimanendo a debita distanza da me, in un quartiere privo di auto, persone e persino animali. Non c'è niente. Sembra proprio l'angolo perfetto in cui fermarsi a litigare.
Stringo la presa sulle scarpe che tengo al petto come una bambola. «Non intendevo...»
«L'hai fatto! Era proprio il tuo intento chiamarmi, provocarmi e raggiungerti. Non puoi neanche negarlo perché è così! Ti è proprio piaciuto spingermi a reagire.»
Gonfio il petto. «Si, è vero. Volevo farti incazzare e Dio solo da quanto volevo che venivi a prendermi in quel momento. Volevo farti ingelosire e dare di matto. Volevo anche vederti di giorno ma sei troppo codardo per raggiungermi e troppo egoista per ammettere che ho ragione anch'io!» urlo a mia volta gesticolando.
Serra la mascella indurendo i lineamenti. Passa il palmo sulla bocca parecchio frustrato. «Non hai ragione e non puoi obbligare le persone in questo modo. Tu non sai quello che ho dovuto passare e cosa significa per me uscire allo scoperto in pieno giorno o persino di notte dopo anni di sacrificio per avere una vita», il tono gli si spezza lievemente ma esce forte, duro, chiaro. «Per sentirmi ancora una persona e non più una bestia, uno sfregiato!»
I miei occhi catturano l'immagine di un ragazzo che ha tanto dolore dentro e non sa come lasciarlo andare. Non sa come sfogarlo. Come scrollarselo di dosso.
Eppure mi sento ferita dalla sua risposta. «Non lo so perché non sono la persona con cui vuoi davvero condividere tutto. Tu mi offri le briciole della tua vita, quella che credi io possa volere. Ma ti sbagli, io non ho bisogno degli avanzi che offri a tutti.»
Scuoto la testa e indispettita mi incammino dalla parte opposta del palazzo, in direzione del centro e poi della strada che mi permetterà di raggiungere il mio quartiere senza dovere prendere alcun mezzo. Sono decisa a tornarmene a casa, ad allontanarmi da tutto e rimanerci per giorni fino a quando non mi sarà passata.
«Dove stai andando?» Travis mi si para davanti. L'espressione smarrita che si nasconde dietro il volto della delusione.
«A casa mia.»
Scuote la testa ripetutamente. «No, tu non puoi farmi questo. Tu non puoi farmi impazzire, chiamarmi, farmi reagire e poi andartene come se niente fosse. Non funziona così! Cazzo, non funziona così!»
«E allora come funziona? Spiegami. Funziona con due baci, una passione tenuta dentro per paura di lasciarla andare. Funziona con la voglia trattenuta, con un film, una cena e una dormita?»
So di avere appena commesso un errore ma le parole mi escono senza controllo dalla bocca. Seppur in minima parte, sento già bruciare il dispiacere.
Sto attraversando un momento difficile. Non è una giustificazione ma non so più che cosa fare, che cosa voglio, di cosa ho paura. Non so quale sia la strada giusta da prendere per non sbagliare. Non so di chi fidarmi. Forse ho paura di tutto proprio perché non riesco neanche a capirmi e finisco sempre per ferire le persone a cui tengo di più e scappo, corro lontano pur non sapendo da che parte andare. Non riesco più a ridere, a sentirmi in pace con me stessa. Ci sono volte in cui sto così male, mi sento così oppressa da desiderare di strapparmi via da questa pelle simile ad una gabbia. Vorrei volare via come un palloncino, come una foglia. Come sabbia in balia del vento.
Travis incassa ogni mia parola con contegno. Le spalle dritte e tese, gli occhi distanti. «No, funziona che tu adesso ti calmi, superi la sbronza e domani ne riparli con me, da sobria. Non voglio dire la cosa sbagliata e tu non vuoi fare lo stesso per poi pentirtene o sentirti in colpa, proprio come stai facendo adesso.»
«Mi calmo? Tu mi sbraiti addosso e io devo calmarmi?» lo guardo come se mi avesse appena sputato in faccia. Lo spingo persino ma non si muove di un centimetro. Sembra fatto di cemento. Questo mi fa arrabbiare maggiormente. Perché mi sento debole.
«Si, devi calmarti», urla.
La sua voce rimbomba intorno, soprattutto dentro di me facendomi sussultare.
«E lo farai! Perché non ti permetterò di trattarmi come tratti chiunque o il tuo amico. Io non sono lui e tu... devi smetterla di friggermi così tanto il cervello!» esplode e caricandomi di nuovo in spalla come un sacco di patate, inizia a correre.
«Trav, fermati. Sto per vomitare!» strillo.
Non mi ascolta. Piuttosto mi molla una pacca sul sedere abbastanza sonora da farmi urlare. «Trav!»
Guardandosi intorno, senza il minimo affanno, raggiunta l'entrata del suo palazzo, superiamo l'ingresso dove non c'è anima viva, solo silenzio e odore di talco salendo le scale anziché prendere l'ascensore. Gradino dopo gradino sento montare dentro una fortissima pressione che va a mescolarsi all'ansia. Gli innumerevoli gradini non sembrano finire. Non appena ne superiamo uno, sento il mio stomaco sempre più in subbuglio.
Evito di agitarmi. So che è peggio farlo. La mia mente potrebbe giocare strani scherzi.
Travis non mi mette giù neanche quando ci troviamo davanti la porta del suo bellissimo appartamento.
Entra in casa lanciando le chiavi sul mobile incurante ma concentrato e pronto a litigare.
«Trav non resisto più», tappo la bocca.
Mi lascia finalmente andare e corro in bagno dove vomito un paio di volte.
Faccio una smorfia sentendo il sapore acido in bocca di ogni mia parola e dell'alcol ingerito tornando a piegarmi in due ad una nuova ondata di nausea che arriva come un treno in corsa investendomi in pieno.
Sento la presenza di Travis alle mie spalle. Il suo inconfondibile odore. Mi tendo al suo tocco mentre mi tiene ferma la fronte. «È disgustoso nonché imbarazzante. Vattene!» provo a spingerlo ma la nausea è così forte da piegarmi ancora in due. Torno a vomitare e quando sento di non avere più niente dentro lo stomaco, tossisco rumorosamente sentendo male all'addome.
Travis mi passa il rotolo di carta igienica per pulirmi le labbra umide al sapore di alcol fermentato e schifo, poi raggiungendo il lavandino bagna un asciugamano piccolo appoggiandolo alla mia fronte.
Il sollievo che mi regala il tessuto umido e fresco è immediato. Dove ha imparato questo trucco?
Apro la bocca ma è più veloce, attento ad ogni mia reazione, ad ogni suo gesto misurato, spontaneo.
«Senti ancora la nausea?»
Non nasconde la preoccupazione. Annuisco. «Non come prima ma c'è ancora. Davvero non devi per forza, posso cavarmela anche da sola. Non è la prima volta che mi sbronzo e ho questa reazione.»
Gonfia il petto premendo un po' di più il tessuto sulla mia fronte. «Fai lunghi respiri chiudendo gli occhi. Tra poco vedrai che ti passerà.»
Per una volta non replico, mi lascio aiutare perché percepisco il suo voler essere utile. Faccio come dice anche perché mi sento così male da vomitare persino l'anima.
La prossima volta non permetterò ad Emerson di offrirmi altro alcol quando sono già andata e instabile. E non permetterò a me stessa di strafare. Prima o poi dovrò comportarmi da adulta. Non posso più commettere queste stupidaggini.
Travis, staccandosi da me, apre l'anta del mobile scartando uno spazzolino. Me lo passa insieme al dentifricio tenendo in mano un bicchiere d'acqua.
Lavo i denti provando ad alzarmi ma mi sento così debole da preferire il pavimento, l'angolo incastrato tra le piastrelle.
Non perde un gesto, neanche mentre spazzolo nervosamente i denti.
«Va meglio?»
Sputo il dentifricio tirando lo sciacquone. «Si», sento ancora la gola bruciarmi.
Travis lava lo spazzolino mettendolo dentro il bicchiere accanto al suo. Un gesto che mi colpisce per la sua spontaneità. Avvicinandosi, mi prende in braccio portandomi nella sua stanza.
«Puoi sempre portarmi a casa. In auto non ti vedrà nessuno», dico in modo sconnesso, mentre facendomi scivolare sul piumone, sedendosi accanto a me, inizia a spogliarmi. Quando stacca le autoreggenti sfilandomi le calze, mi sento in alto mare. La porzione di epidermide che sfiora con il tessuto prende lievemente fuoco provocandomi la pelle d'oca. Tengo a freno un gemito stringendo forte la presa sul labbro con i denti.
Mai come adesso credo di avere desiderato così tanto il contatto visivo con qualcuno, come con lui. Non sento altro che il desiderio che mi guardi e si perda insieme a me.
Fermo il suo viso e la sua mano stacca la mia tenendola lontana con un certo fastidio. «Non puoi toccarmi.»
«Che cosa?»
«Hai capito. Adesso mettiti a letto e dormi. Non fare storie.»
Mi avvicino a lui. «Dormi con me?»
Nega categorico. «Sono troppo incazzato con te per dormire. E sono troppo irritato con me stesso per non avere avuto la reazione che in realtà meriti.»
Le mie dita sfiorano le sue. Non si ritrae come prima. Guarda il mio gesto risalendo con gli occhi sul mio braccio, fermandosi nei miei occhi. Mi avvicino ancora. «Parliamo», dico con la gola secca. Mi crea questa sensazione averlo a pochi centimetri e non potermi perdere. È come fuoco per me. Stargli così vicina mi fa sentire davvero strana.
Deglutisce facendo respiri lenti. «Hai avuto tanto tempo per farlo. Qualche ora in più non cambia. Ma non mi dirai niente da ubriaca.»
Mi offendo. «Sono lucida. Mai stata tanto lucida in vita mia e voglio parlare.»
Nega emettendo quel verso con la lingua. «Mettiti a dormire.»
Alzandosi dal letto mi lascia sola. Chiudo le palpebre mordendomi forte la guancia quando sbatte la porta facendomi capire che il discorso è chiuso, che non devo discutere.
Mi stendo abbracciando il suo cuscino, tenendo il pollice sulle labbra sentendomi così stupida da avere voglia di abbandonarmi ad un pianto inumano. Ma tengo ancora a freno ogni cosa. Accumulo sconfitte, parole, delusioni. Accumulo tutto nella speranza che la corda non si spezzi facendomi piombare ogni cosa addosso, dentro.
Prendo sonno in fretta scivolando però lentamente in un sogno che in breve si trasforma in un incubo in grado di farmi svegliare di soprassalto.
Affannata scatto a metà busto guardandomi frastornata intorno. Sono sudata. Sento la pelle umida. Il cuore sbattere contro la gabbia toracica. Poso la mano sul petto riprendendo il controllo.
Nel silenzio, immersa nel buio, sento come dei forti colpi e a seguire un ringhio.
Incuriosita, mi alzo scendendo dal letto. Barcollo visibilmente. Sentendomi esposta, apro l'armadio scegliendo l'unico maglione grigio morbidissimo di cachemire presente in mezzo ai tanti di colore scuro.
Tiro il maglione sulle cosce uscendo dalla stanza, guardandomi ancora intorno come se fossi intrappolata nel mio incubo. C'è buio pesto eppure ancora una volta si sente quel rumore.
Supero la cucina, il soggiorno. Non trovando nessuno salgo le scale ampie a chiocciola trovandomi in un altro piano dove ci sono solo due porte. Una di queste è socchiusa ma la lascio scorrere rimanendo impalata sulla soglia, dove osservo l'ambiente e Travis.
La palestra che mi trovo davanti è piena di attrezzi, tappetini, pesi, sbarre. Lui però è concentrato sul sacco.
A mani nude, continua a colpire forte, con ferocia, non rendendosi conto del sangue che sgorga dalle ferite che si sta procurando. Tagli ed ecchimosi evidenti sulle nocche.
Il petto sudato, le gocce a scivolargli via dalla fronte, i denti bene in mostra, il pugno pronto ad un nuovo feroce colpo.
Non resistendo all'impulso, mi avvicino e quando carica per l'ennesima volta pronto a colpire il sacco, mi spingo verso di lui fermandolo.
Ha un sussulto. Emette un ringhio che mi si riverbera addosso causandomi un freddo inimmaginabile dentro le ossa. «Che ci fai qui?» Chiede più brusco di quanto in realtà vorrebbe.
Blocco ancora il suo pugno stretto imbrattato di sangue. «Che ci fai tu qui nel cuore della notte», uso un tono di rimprovero.
Guarda il suo maglione, quello che porto, dilatando le narici. «Vedo che ti sei servita da sola», scrollando il pugno colpisce il sacco lentamente rispetto a prima, come se avesse scaricato le energie.
«Non ho trovato i miei indumenti, sentivo freddo e mi sono permessa di indossare un maglione che non porti.»
«I tuoi indumenti sono in lavanderia. Erano macchiati di vomito. Ma questo non ti dà il permesso di frugare tra le mie cose.»
«Sto comoda con questo. È così morbido», dico lisciando il tessuto. «Inoltre non hai niente da nascondere dentro l'armadio.»
Non mi guarda. Non riesce a farlo. Ferita, mi sposto davanti a lui. «Adesso sono sobria», mi giustifico.
Soffia dal naso sedendosi su una panca, asciugandosi il sudore dalla fronte. Notando la scatola di latta con il disinfettante, i cerotti e le garze a pochi passi, mi affretto a sedermi.
«No...»
«Lascia, faccio io», dico mettendo in sesto le sue nocche. «Perché lo hai fatto senza guantoni?»
Mi guarda furente abbassandosi a pochi centimetri dalla mia faccia. «Non sento un cazzo», ringhia. «Non sto male. Non sento dolore. Non sento il bruciore. Non sento un cazzo di niente. E ti giuro, è peggio di stare male. È peggio del sentirsi vuoti. Solo tu mi fai sentire tutto. Solo tu riesci a farmi perdere il controllo. Solo tu... mi rendi vulnerabile.»
Passo all'altra mano ma lui la tira indietro con un gesto secco. Lo guardo male. «Solo tu puoi farmi sentire così debole, così fuori di testa da commettere qualche assurda pazzia. Tu non hai idea del potere che hai su di me.»
Riacciuffo la sua mano, non sembra messa male come l'altra. «No, non ne ho se non riesco neanche a farti uscire allo scoperto. Non ho alcun potere se non riesco a convincerti che puoi tirarti fuori dal buio.»
Fa una smorfia. Sospira. «Bi, non è...»
«Facile?» il tono mi esce stanco e stridulo. Annuisco. «Già. Ma cosa lo è?»
Chiusa la scatola di latta, pulite le mani con una salvietta, lui si tira su. «Per me non è come andare in bicicletta dopo essersi rotti una gamba. Io mi sono sfregiato per sempre. Il mio viso non tornerà quello di prima e ogni cosa... continuerà a cambiare mentre io rimarrò intrappolato.»
Mi fa male il cuore. Poso il palmo sulla sua guancia. Vorrebbe allontanarmi ma trattiene l'istinto per non ferirmi. Gli accarezzo la pelle. «Le cicatrici fanno e faranno sempre parte di te, di ciò che sei. Le abbiamo tutti, chi più, chi meno. Smettila di avere paura. Smettila di inventare scuse per non rischiare. Ti stai adagiando troppo a questa condizione.»
Si avvicina dopo una breve esitazione. Le mie dita risalgono subito sul suo petto nudo leggermente sudato. «Trav...» sussurro alzando gli occhi. Abbasso allo stesso tempo ogni difesa.
Vorrei dire tante di quelle parole da riempirci l'universo. Ma continuo a tenere per me la luce delle stelle.
«Bi», guarda le mie labbra.
«Fallo!»
Solleva di poco il labbro sentendo il mio tono stridulo. Indietreggio contro la parete e lui continua ad avvicinarsi minaccioso. Intrappolata all'angolo, mi fa alzare il viso. Intreccio le dita sulla sua nuca. «Trav...»
«Bambi», soffia così vicino da farmi impazzire.
Le sue mani scivolano lungo la mia schiena. «Dillo!» mi provoca a sua volta.
Mugolo. «Mi manchi», soffio senza voce.
Nega. «Dillo!» ringhia spingendomi a sé per le natiche.
Gemo. «Ti desidero.»
Mi si preme addosso. Sento la sua pelle sulla mia. Strizza ancora le mie natiche e apro di poco le gambe. «Dillo!» lo provoco tirandogli i capelli dalla nuca.
Tiene per sé un sorriso. «Mi manchi», ripete le mie parole.
Nego e mi spinge. Vado a scontrarmi con il cavallo dei suoi boxer. Dalle labbra sfugge un verso flebile e lui mi stringe forte. «Dillo!»
La sua mano, inaspettatamente si insinua sotto il maglione, sfiora le cosce. Mi aggrappo a lui sentendo vacillare l'equilibrio, soprattutto quando mi costringe ad aprire le gambe maggiormente per adagiarsi a me. «Non lo senti quanto ti desiderio? Non immagini quanto ti voglio?» soffia affannato in tono rude. «Non ti rendi conto che voglio che tu sia mia? E non per una notte o due...»
Avvicino il suo viso. «Dillo!» muovo lievemente i fianchi.
Le sue guance si accaldano. Le pupille si dilatano. Ansima. «Bi...»
Assaporo il mio nome pronunciato dalla sua bocca, il suo fiato caldo alla menta. «Ssshhh», muoviamo i fianchi all'unisono e mentre io mi aggrappo a lui, lui mi si preme sulla pelle e il suo affanno mi riscalda la spalla.
«Dimmi che non sei arrabbiato con me», lo prego.
La sua mano gioca con il bordo dell'intimo. Allungo il collo. Mi annusa la pelle. «Lo sono. Sono furioso con te.»
«Così tanto?»
«Si, così tanto.»
Ansimo. «Facciamo pace?»
Preme le dita in un punto particolare, facendomi avvampare. Freme. «Vuoi fare pace?»
Gemo. «Ahhh, si», soffio.
Lui si ferma un momento senza fiato. Boccheggia con le guance rosse, la fronte umida, gli occhi lucidi. «Questo gioco mi si sta ritorcendo contro.»
Fermo la sua mano quando prova a toglierla. Muovo i fianchi cercando le sue labbra. Mugolo giocando insieme a lui, andando in contro alle sue dita così invadenti. «Che cosa vuoi?»
Spinge i fianchi e gemo tanto forte da costringerlo a tapparmi la bocca. Mi bacia senza timore mordendomi, prendendosi ciò che è suo. La mia bocca, la mia lingua, la mia mente, il cuore.
Le sue dita in mezzo alle cosce premono forte sul tessuto e le allargo mentre mi si preme addosso. «Ti voglio, ma non mi approfitterò mai di te. Capisci?» Trema.
Ansimo annuendo con il cuore che batte a mille. «Farai l'amore con me prima o poi?»
Strofina la punta del naso sul mio. «Quando sarai davvero sicura di volermi», mi bacia. «Tutte le volte, per tutto il tempo che vorrai.»
«Continuerai a farmi provare cose nuove?»
«Solo se faremo pace», sussurra provando ad impossessarsi della mia bocca.
Tiro indietro la testa. «Ma stiamo facendo pace. No?» prolungo il momento muovendo i fianchi e lui geme mordendomi la spalla. «Cazzo!»
Continuo imperterrita, eccitata, carica di malizia. «Dimmi di sì!»
Si agita. Geme e mi bacia tenendomi ferma. Il bacio diventa sempre più carico di tensione e voglia. «E tu? Quando mi dirai di sì?»
Sorrido e lui insieme a me. In questo modo si scioglie la tensione tra di noi.
«Trav...»
Nasconde il viso sulla mia spalla. Inspira ed espira lentamente. «Dobbiamo staccarci», mormora a fatica.
Lo abbraccio stringendo le cosce sui suoi fianchi. «Dobbiamo per forza?»
«Sono eccitato, troppo. Si.»
Schiocco un piccolo bacio sulle sue labbra. «Davvero?»
La sua mano si insinua sotto lo strato dell'intimo strizzandomi una natica. Questo mi provoca un forte gemito e torna a baciarmi. «Non puoi toccarmi così se non vuoi continuare», mi lamento.
Sorride muovendo i fianchi. «Perché?»
Premo le labbra sulle sue. «Ti voglio», mimo.
Il suo corpo si incendia. «Bene, perché se solo mi dici un'altra volta che qualcuno ti ha offerto un cocktail e tu pensi di volerlo accettare, scordati di provare tutto questo insieme a me», minaccia tenendomi ferma la testa. «La sensazione che qualcuno prima o poi possa prendere il mio posto, mi uccide. Quindi se solo ci riprovi, scordati di vivere questo con me.»
Sorride ma allo stesso tempo è così serio da farmi impazzire con questa sua gelosia non nascosta.
«Provare che cosa?»
Baciandomi spinge i fianchi verso di me facendo scontrare il cavallo gonfio dei boxer contro il mio intimo. Lo sfregamento è così sensuale da causarmi uno spasmo. Mi guarda intensamente.
«Non mi piace condividere e non mi piace essere geloso. Tu non sei mia, non sei un oggetto. Sei una donna meravigliosa e pericolosa che mi farà impazzire. Quindi sta buona e smettila.»
Scivolo lungo il suo corpo riportando i piedi al suolo tenendo stretto il suo viso. «Adesso vieni a letto con me?»
Arrossisco più di prima mordendomi il labbro. Ma so che con lui non rischio di dovermi spiegare per una frase che potrebbe avere un doppio senso.
«In quale senso?» Mi stuzzica.
«In quello che vuoi», guardandolo da sotto le ciglia provo ad allontanarmi.
Mi ferma, il palmo sul ventre, mi tira a sé. Ci scambiamo un bacio dolce.
«Ti aspetto in camera», uscita dalla palestra mi fermo appoggiandomi al muro. Tocco la guancia calda e poi stringo le gambe che sento molli. Mordendomi il labbro scendo al piano di sotto dove lo aspetto seduta inginocchiata sul letto.
Quando arriva chiudendo la porta rimane per pochi istanti fermo, immobile ad osservarmi con uno strano cipiglio. Non lascia trasparire niente dei suoi pensieri. Riscuotendosi si avvicina salendo come un lupo sul letto. Mi bacia e scivolo sotto il suo peso. Le mie mani suoi suoi fianchi scolpiti.
«Mettiti sotto la coperta», ordina.
«Dormi con me?» sollievo le ginocchia intrappolandolo.
Le sue mani scivolano da queste alle cosce verso l'interno. Tremo agitandomi. Alza il labbro sorridendo in modo sghembo notando la mia reazione.
«Iniziamo a togliere questa», dice sfilandomi dalla testa il maglione. Scosta la coperta e io mi ci infilo. Fa lo stesso sistemandosi tra le mie gambe. Appoggia il gomito sul cuscino accarezzandomi la coscia sollevata.
«Voglio fare pace con te», accarezzo il suo viso togliendogli la maschera. Lo avvicino. Inizio con piccoli baci. Il suo corpo si irrigidisce. Non ne comprendo la ragione e chiedo silenziosamente spiegazioni.
«Non mi approfitterò di te», nega.
«No, ma possiamo trovare un'alternativa.»
Ci pensa su. «Devi dormire», sussurra torvo.
«Trav!»
Sorride bocca contro bocca. «Che cosa vuoi?»
«Toccami!» arrossisco sentendo il mio corpo prendere fuoco. Soprattutto quando la sua mano smette di accarezzami la coscia. Trattengo il fiato mentre la sento scivolare dal petto dove tira il reggiseno facendo uscire maggiormente il mio seno sodo, attraversare la pancia e poi posarsi sull'intimo. Il tutto in modo rude. «Così?» chiede. Divertito mette subito a coppa la mano e stringo le cosce. «O così?»
Bacio le sue labbra. «Come vuoi tu! Voglio farti sentire qualcosa.»
Sorride. «Davvero?»
Lo avvicino e si trattiene. «Non sei un codardo. Sei il mio Travis», sussurro.
Le sue dita premono sul tessuto, mi morde sotto l'orecchio ascoltando il mio gemito, l'affanno.
«Ti odio!»
Sorrido e mi si stringe addosso baciandomi possessivamente, tirando giù la coppa per avventarsi sul seno senza darmi il tempo di fermarlo. Divarico le gambe e lui spinge i fianchi.
Inarco la schiena. «Davvero? Davvero mi odi?» sorrido maliziosa.
«Stronza!» staccandosi boccheggia passando i palmi sul viso. «Dormi!»
Rido abbracciando il cuscino, dandogli le spalle.
Si calma rimanendo distante per qualche minuto prima di circondarmi con le braccia. Mi bacia la spalla. «Mi sei mancata piccola peste. Anche al mio amico.»
Porto le sue mani al petto. «Notte», sussurro. «Anche voi mi siete mancati, tanto.»
«No, non voglio svegliarla. Perché sta dormendo così tranquilla da farmi spavento. Perché sembra a suo agio qui e non è più adirata con me. No, non posso. Non posso chiederle ancora qualcosa perché l'ho trattata male.»
La voce nel panico di Travis mi fa scattare a metà busto.
Lo trovo al centro della stanza, il telefono all'orecchio. Cammina da una parte all'altra fissando i piedi nudi, la mano libera sulla testa. «No, non posso essere così egoista lei...» alza il viso rimanendo a bocca aperta. «Devo andare.» Posa il telefono sul comodino sedendosi. «Non volevo svegliarti», dice massaggiandosi la nuca.
«Che succede? Non puoi dormire?»
«Ho il terrore di spaventarti.»
«Chi era al telefono?» Chiedo con sospetto.
«Mitch».
Guardo l'ora. «Tu... hai chiamato Mitch...» gratto la tempia. «Stenditi!» ordino. «Stenditi subito!»
«Non voglio eccitarmi ancora o perdere il controllo. Quello che abbiamo provato prima... mi ha causato un bel po' di danni.»
«Perché non ti senti pronto ad avere qualcuno che ci tiene?»
Annuisce e notando il mio sguardo serio si stende. Appoggio la testa sul suo petto dopo averlo baciato. «Non puoi chiamare la gente nel cuore della notte.»
«Mitch ha il dottorato in psicologia», mi spiega. «Mi aiuta spesso, anche di notte. Non si è mai lamentato. È efficiente.»
«Non hai bisogno di lui. E sono sicura che vorrebbe dirti: fatti una sana scopata e una bella dormita. Ma è troppo rispettoso per farlo.»
Ride accarezzandomi la schiena. Mi tira l'elastico lasciandolo andare. Picchio la sua mano e continua a sorridere. «Solo se scopi e dormi con me.»
Gli do un morso rispondendo alla sua provocazione e ride. «Solo se smetti di avere paura.»
«Ho certe immagini impresse dentro che non immagini. Ho visto cose orribili. Tornano davanti a me ogni notte. Non voglio spaventarti mentre dormiamo.»
Assume uno sguardo distante. I suoi occhi vedono qualcosa. «Mi succede spesso quando chiudo gli occhi. Mi fermo un attimo, tutto si spegne e credo di non pensare a niente, di potere riposare tranquillamente. Poi però mi raggiunge come un colpo secco, mi trapassa il cuore una dolorosa sensazione.»
«Che cosa sono esattamente? Incubi...»
«I ricordi tornano insieme, ti trascinano giù. Ti viene voglia di piangere, di urlare, di sbraitare contro il mondo ma non ci riesci. Te ne stai lì impalato, senza respiro, senza voce. Il panico ti afferra spingendoti a terra. Succede e non puoi fermarlo. Puoi solo chiudere ancora gli occhi e contare. Puoi solo tentare di eluderlo. E mentre passa, ti senti trascinato via dalla corrente.»
Parla fissando davanti a sé.
«E successo qualcosa in uno dei tuoi viaggi?»
«Si. Rivivo ogni cosa e per riprendermi continuo a ripetermi che sto bene. Che sono vivo. Che adesso va tutto a meraviglia.»
«Il posto più difficile in cui sei stato?»
«Lontano da New York e non intendo pochi chilometri. Sono stato in zone povere, in zone dove la fame fa fare cose assurde. In zone dove le donne vengono trattate come merce.»
Ascolto attentamente ogni sua parola. Assaporo ogni nuovo dettaglio che ha da offrirmi. Sta facendo un gran passo avanti e ne sono contenta. «Non puoi avere il timore di spaventarmi. È già successo e non sono andata via. Sono qui con te e mi manchi. Mi dispiace se ho usato quel mezzo per farti uscire di casa. Il mio comportamento non è stato dei migliori. Ma perché voglio fare con te tutte le cose normali di cui hai parlato, che ti mancano.»
Si tira su appoggiandosi alla testiera del letto. «Bi, ho bisogno di tempo per questo. Non ti sto chiedendo di non spronarmi perché lo ammetto, sei stata davvero utile e te ne sono grato ma... non interferire con quello che sono diventato.»
«Ok, ci proverò.»
«Promettimelo. Prometti che non tenterai ancora di farmi incazzare.»
Appoggio la fronte sulle sue labbra. «Cercherò di lasciarti i tuoi spazi e i tuoi tempi.»
«Spazi? Credi che io abbia bisogno di spazio?»
«Lo avrai, visto che di giorno non ci vedremo», rispondo alzandomi dal letto. Mi sposto in cucina per prendere una bottiglia d'acqua. «In così poco tempo questo posto mi sembra l'unica cosa familiare che mi resta», mormoro sentendolo vicino.
Accende il bollitore recuperando delle bustine di te' dal ripiano. «Ti va un po' di te' e biscotti?»
«Si.»
Provo ad aiutarlo ma mi spinge di nuovo verso la camera da letto. «Aspettami li, arrivo subito.»
Mi avvicino a lui circondandogli le braccia intorno al collo. «Sei fantastico!» gli rubo un bacio allontanandomi.
Lo aspetto in camera e quando torna offrendomi il suo te' nero con un goccio di limone e miele mi metto comoda. «Adesso mi vuoi dire che cosa ti succede?»
«Sono solo un po'... stanca.»
Posa la tazza sul piattino. «No, c'è dell'altro. Sei stata silenziosa, accondiscendente. Non hai fatto alcuna polemica e hai continuato a trascorrere il tuo tempo tra la clinica e la villa tenendo tutti a debita distanza da te. Perché?»
Liscio il lenzuolo bevendo un sorso generoso di te'.
«È iniziato come un gioco. Un giorno mi sentivo così triste da non riuscire ad alzarmi dal letto. Ma dovevo farlo. Avevo sempre così tante cose di cui occuparmi e gli altri avevano bisogno di me. Ma sentivo lo stesso dentro il rumore della mia rabbia repressa che continuava a lacerarmi le viscere. Allora, quasi ogni giorno, quando mi capitava al risveglio, mi rannicchiavo da qualche parte. Non sempre fisicamente. Abbassavo le palpebre ed iniziavo a controllare il respiro. Contavo fino a dieci poi rifacevo tutto da capo fino a quando non ero convinta di potercela fare. E a poco a poco tutto se ne andava. La nebbia, la rabbia, il bruciore... tutto svaniva. Poi tornava, ovvio. Intanto però, per una manciata di minuti, giusto il tempo di prendere coraggio, riuscivo a sconfiggere la sensazione e mi ritrovavo in piedi.»
Travis assottiglia una palpebra strizzandola. «Quando il mondo ti sta stretto allontani tutto.»
Annuisco. «So di avere sbagliato ma come tu hai bisogno di rimanere nel tuo ambiente di giorno io... a volte sento il bisogno di allontanarmi, di starmene un po' da sola. Poi mi calmo e... ho paura di non trovare più niente e nessuno accanto a me», sussurro rigirando un biscotto con lo zucchero di canna sopra e un quadrato di cioccolato fondente dentro. «Perché quando allontani le persone devi correre il rischio di perderle.»
«Ti senti ancora in colpa per Dan?»
«Non dovrei ma c'è sempre stato nonostante tutto e sapere di essere stata io il problema scatenante mi fa sentire uno schifo addosso che non immagini.»
«E stai con tua zia perché hai paura di perdere un solo momento con lei. Perché avverti il bisogno di farle sentire la tua presenza costante nelle sue ultime giornate. Perché ti senti in colpa, per essere stata distratta e avere passato del tempo per te stessa.»
Inarco un sopracciglio. «Mi stai psicoanalizzando?»
Abbozza un sorriso mordendo un biscotto. «No, capisco il tuo stato e adesso possiamo chiarire un altro punto della nostra discussione», biascica leggermente togliendomi la tazza dalle mani. «Perché evitare anche me?»
«Mi sono sentita esclusa, delusa e illusa. Io non voglio cambiarti, su questo non avere alcun dubbio. Ma non sopporto il fatto che continui a nasconderti. So che non sono fatti miei, che non è la mia vita, ma... il fatto è che a volte mi giro e tu non ci sei. Non sei accanto a me a farmi uno dei tuoi commenti o a regalarmi un sorriso. Non ci sei e io... mi sono sentita incredibilmente sola. Non so come sia possibile tutto questo in così poco tempo ma per me la tua presenza nella mia vita ha un valore. Tu mi hai spinta ad essere davvero chi sono: polemica, insicura, persino fragile. E io... io... vorrei soltanto che ti fidassi di me.»
Posa il vassoio sul comodino avvicinandosi a me. «Io mi fido di te. Faccio solo fatica ad uscire, a mostrare questi segni. Mi fanno sentire addosso quello che tu senti quando il mondo ti sta stretto.»
Mi tira per i fianchi. «Bi, io ti voglio nella mia vita. Ma non posso offrirti altro al momento. E lo capisco se non vuoi stare con me...»
«Stiamo insieme?»
Mi spinge con un sorriso. «Per me si. Per te non lo so. A volte sei proprio indecifrabile. Forse hai paura ad ammettere che tra di noi ci sia qualcosa proprio perché ti frena il fatto che non posso uscire o essere con te di giorno. Mi vedi come un fantasma, come un...»
Poso due dita sulle sue labbra per fermarlo. «Tu non sei un fantasma. Io ti vedo. L'ultima relazione che ho avuto è finita male, ci sono voluti anni per non piangere quando lo nominavano, per questo non riesco a rispondere. Perché come hai detto tu a volte non serve dare un nome a due che si sono incontrati per caso e forse si ameranno per scelta.»
Gioco con una delle cicatrici che ha sul petto.
«Ho ancora tanto da raccontarti.»
«Anch'io. Da qualche parte dobbiamo pur partire.»
«Usa quella chiave», mi guarda da sotto le ciglia speranzoso.
Bisogna sempre trovare il coraggio di parlare, di chiarire, di urlarsi addosso le parole non dette, trattenute tra i denti. Di spingersi e poi prendersi a morsi, abbracciarsi, baciarsi. Perché ci sono silenzi che pesano come macigni. E i macigni diventano barriere. E le barriere, infine, non fanno altro che separare le persone.
«Un passo alla volta, MisterX», sussurro.
«Bene, adesso ho intenzione di fare un bagno. Vieni con me?»
«Hai comprato altre saponette?»
Ride. «No, qualcosa di più divertente. Allora, accetti?»
«Si.»
Sorride come un bambino scendendo dal letto. Mi porge la sua mano. «Vieni con me.»
Così faccio lasciandomi guidare da lui al piano superiore. Apre la seconda porta del corridoio e trovo una stanza simile ad una sauna dove fuori dalla vetrata, sul balcone c'è una piscina.
Fisso la vasca idromassaggio dentro la stanza, le mensole piene di prodotti e candele, gli asciugamani ripiegati per bene.
«Ti direi di spogliarti ma siamo già pronti», esclama alzando il pulsante dell'interruttore. Una ad una le luci si accendono in modo soffuso e la vasca si rianima.
Travis scarta una saponetta lanciandola dentro l'acqua piena di schiuma sfiorando la superficie per capire se è calda al punto giusto.
Mi avvicino entrano insieme a lui. Incantata continuo ad osservare tutto. Travis mi abbraccia da dietro. «Tutto a portata di mano, eh?» sussurro.
«Già. Te l'ho detto, ho dovuto reinventare la mia vita. Così ho inserito nel mio appartamento qualcosa che mi è sempre piaciuto avere.»
«Un po' da snob ricco», lo stuzzico.
«Niente di particolare, fidati. Alcuni appartamenti sono davvero lussuosi. Questo è solo un piccolo mondo dove posso essere me stesso.»
Voltandomi mi abbasso bagnandomi le spalle poi lo schizzo con l'acqua.
«Non l'hai fatto davvero», dice divertito.
Lo schizzo di nuovo. «Ops!»
Notando che sta per scattare mi scanso ridendo e lui afferrandomi mi spinge all'angolo dove mi ritrovo abbracciata, stretta al suo corpo. «Perché ho il presentimento che stai per chiedermi qualcosa?»
Solleva il labbro. «Perché sto per farlo», conferma. «Non ti piacerebbe vivere con me? Saresti libera di tornare nella tua casetta, lavorerai, farai tutto quello che vuoi. In più avrai me.»
«Non sono pronta. Convivere è un qualcosa che mi spaventa. Potresti scoprire qualcosa di me che non ti piace e... finirebbe male.»
Ride negando. «Ho scoperto parecchie cose su di te e sono ancora qui a chiederti di stare con me. Facciamo così: quando ti sentirai pronta preparerai una valigia, mi chiamerai e mi chiederai di venirti a prendere. Ok?»
«È un buon piano.»
Chiudo gli occhi nascondendo il viso. «Trav...»
«Si?»
«Abbiamo fatto pace?»
Ride riscaldandomi il cuore. «Più o meno.»
Inspiro il suo profumo. «Che cosa manca?»
«Questo», sussurra baciandomi.

♥️

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