Scendo le scale lentamente. Poso bene i piedi sui gradini tenendo a freno la voglia di allungare il passo, raggiungerlo e perdermi nel suo abbraccio stretto.
Non so con esattezza che cosa ha di così diverso da farmi sentire unica, speciale e, dopo tanto tempo, libera. So solo che mi fa stare bene. Mi fa sentire spensierata e forte. Sicura di me.
Procedo lentamente, più di quanto in realtà vorrei, raggiungendolo finalmente dopo un paio di passi fatti nell'incertezza.
Prende fiato anche lui smettendo di fissarmi, forse per paura di sembrare un maledetto stalker. Ma a me piace come il suo sguardo si posa lentamente sul mio viso, sul mio corpo. Scivola come seta regalandomi una carezza. Penetra a fondo, nei miei occhi sempre carichi di tristezza e ricordi, risveglia i sensi.
«Pronta?»
Alzo l'indice per chiedergli un minuto e correndo in cucina, cerco in dispensa la bottiglia di bourbon invecchiato che, quando finalmente la trovo, gli mostro. «Un goccio per sciogliere la tensione?»
Accetta di buon grado avvicinandosi. Stappo la bottiglia mai aperta. Verso due dita nei bicchieri alzandone uno. «A cosa brindiamo?»
«A questa serata, a te e a noi», alza il bicchiere attendendo una mia reazione.
Mando giù il liquido facendo subito una smorfia, tossendo. «Questo si che è forte», dico uscendo la lingua, facendo una smorfia. «Non lo immaginavo così.»
Travis beve senza battere ciglio nascondendo un sorriso, il primo dopo avere passato dei lunghi minuti in disparte. Quasi volesse tenermi a distanza da lui, dai suoi pensieri che raggiungono un posto tanto lontano, insidioso e spento.
«Bene, togliamoci il pensiero e magari proviamo anche a divertirci», stringendomi la mano, mi porta in auto.
Non rifletto molto su questo gesto. Ormai ho capito che lui è così. Non si fa mai alcun problema, alcuna paranoia. Si muove spontaneamente. Mentre io, io continuo a chiedermi che cosa siamo esattamente. Non riesco a definirci con una parola.
Guida moderato premendo di tanto in tanto il piede sull'acceleratore quando ci troviamo in mezzo al traffico ed è possibile procedere velocemente liberandosi dalla calca di luci, clacson in azione e voci.
Poso il palmo sul suo notando che è sempre più teso. Contrae la mascella puntando il suo sguardo davanti a sé. Mi ignora facendomi sentire in colpa.
«Non devi per forza. Possiamo sempre tornare indietro o andare da qualche altra parte. Magari in un posto più tranquillo e lontano dalla gente.»
Stringe la presa sul cambio indurendo i lineamenti. Un pensiero lo attraversa. Lo noto dal modo in cui ha appena contratto la mascella e inarcato lievemente il sopracciglio prima di stringere l'occhio che trema lievemente.
«No, andremo al cinema.»
Intuendo il suo disagio, non provocando oltre la sua testardaggine, mi appiattisco contro il sedile osservando la fila di negozi con le vetrine tutte belle illuminate, vistose. I manichini con maglioni pelosi, orsi giganti all'angolo circondati dalle luci, dai giochi per bambini, scarpe tutte perfettamente allineate. E poi ancora profumerie, piene di ragazze emozionate per l'uscita di un nuovo brand. Le lunghe file per entrare in un locale esclusivo.
Non ricordo cosa si prova ad uscire con le amiche il pomeriggio o aspettare per vedere un personaggio famoso, scattarsi una foto oppure ascoltare dal vivo una band preferita. Forse adesso che ho un po' più di tempo per me stessa, riuscirò a riprendere in mano la mia vita, facendo tutte quelle esperienze che ho perso.
Travis posteggia in una zona tranquilla nel complesso seppur piena di auto posteggiate ordinatamente dentro i limiti segnati dalle strisce bianche. Controlla praticamente ovunque, come una spia, prima di scendere dal veicolo venendo ad aprirmi la portiera. Abbassa il viso nascondendosi sotto la visiera del capellino da baseball nero, quando un'auto si ferma accanto e da questa escono alcuni ragazzi super eccitati.
Le sue spalle sono così tese, il viso contratto da una smorfia tanto dura da trasmettermi il suo disagio, ogni suo pensiero negativo, ogni singola paura.
Lascia allontanare i ragazzi chiudendo la portiera. Preme il pulsante del telecomando abbassando le sicure, osservando la luce rossa ad intermittenza all'angolo sullo sportello, come se questa fosse la spia del suo cuore, dei suoi battiti che iniziano ad aumentare, un po' come i miei.
Inspira rilasciando un respiro lungo e carico di tensione guardando il cinema a poca distanza, le auto che passano, il lampione ad illuminazione il quadrato in cui ci troviamo. «Andiamo», la voce gli esce strana. Accorgendosene schiarisce la gola facendomi cenno di seguirlo, ostentando una sicurezza che non gli appartiene. Circonda la mia schiena con un braccio premendo il palmo sul fianco aggrappandosi a me.
Continuo a tenerlo d'occhio. Mi dispiace vederlo così teso, spaventato da una possibile brusca reazione da parte della gente o peggio: da un suo attacco di panico. Non dimentico di certo che ne ha avuto uno qualche ora fa.
Superiamo il parcheggio camminando lentamente sul marciapiede circondato dalla recinzione e da una siepe alta. Ci sono anche degli alberi ormai quasi del tutto spogli e i lampioni oltre che le luci dei palazzi ad illuminare tutto come se fosse giorno. Attorno, l'aria è impregnata di odori in netto contrasto con quello emanato dalla pioggia sull'asfalto.
Travis stringe la presa quando ci superano una coppia. I due sono euforici. Si sorridono, si stuzzicano prendendosi in giro e poi spingendosi iniziano a rincorrersi.
Mi volto e lui continua ad abbassare il viso, a nascondersi dietro il colletto del cappotto a saettare ovunque con gli occhi. Non resisto. Non posso. Mi fermo.
Tenta subito di comprenderne la ragione. Ma ho una grossa motivazione per non farlo. Non può stare male a causa di un mio capriccio.
«Trav, dico sul serio. Non voglio che tu ti senta così a disagio. Possiamo prendere una pizza e tornare a casa, vedere un film lì.»
«No», replica deciso. «Devo farlo.»
Provo a parlare. Le sue dita artigliate alla mia vita mi avvicinano a sé a tal punto da ritrovare il petto premuto contro il suo. «Andiamo!»
Mi lascio convincere pur tenendolo l'occhio.
Raggiungiamo l'entrata del cinema con l'enorme insegna piena di fari e i nomi delle prime visioni scritte sul tabellone dalla quale è possibile anche scegliere. Il cinema è ampio, diviso in due grosse sale dopo uno spiazzale con la biglietteria e il bar. Travis mi passa i biglietti allontanandosi. Li mostro al ragazzo della biglietteria dai capelli vivaci, il quale mi sorride timbrando subito l'entrata.
«Buona visione!»
«Grazie. Buon lavoro.»
Raggiungo il bancone all'entrata ma Travis ha già preso popcorn e snack vari.
L'uomo dietro sta servendo qualcuno, non sembra neanche turbato dalla sua presenza o dal suo aspetto. Forse non è riuscito neanche a vederlo in faccia.
Lo guardo con orgoglio e lui se ne accorge. Si muove però a rilento e raggiunto il gradino finale della piccola scala che conduce all'entrata della sala, spostandomi la tenda mi lascia passare.
Guardo l'interno del cinema meravigliata. Tutto sui toni del rosso, del nero. Il pavimento coperto da uno strato di tappeto grigio scuro. Saliamo di sopra, in una zona simile ad una balconata dove è possibile vedere il film da una prospettiva migliore e, in parte per essere soli.
Travis si sistema in una posizione strategica, in modo tale da non avere nessuno vicino. Prende subito posto appiattendosi contro lo schienale. Mi siedo accanto guardando ancora il cinema, la struttura, tutto con occhi da ragazzina. Era da tanto che non venivo in un posto come questo. Stavo dimenticando la sensazione di spensieratezza e l'eccitazione che si prova prima dell'inizio del film.
Attorno c'è odore di popcorn. Un calore piacevole e un silenzio significativo.
Tolgo il cappotto mettendomi comoda.
Le luci si abbassano segnalando l'inizio del film tra pochi minuti e Travis adesso sembra più a suo agio. Questo finché non salgono dei ragazzi sedendosi a poche poltrone di distanza sulla destra.
Lui li guarda uno ad uno dilatando le narici. Sembra proprio irritato dalla loro presenza.
Questo, mi fa sentire maggiormente in colpa nonché egoista. Inoltre, non so proprio come alleviare la sua angoscia. Mi fa stare male. Stringo i pugni sulle ginocchia guardando lo schermo mentre il film ha inizio e quei ragazzi cominciano a ridere, a parlare sommessamente, a commentare le scene e a scherzare tra loro beccandosi alcuni rimproveri nonché insulti a cui rispondono allegramente facendo ridere gran parte della sala.
Il cinema a quest'ora, al contrario di quanto avevamo immaginato, sembra l'attrattiva giusta per tutti quei gruppi di amici annoiati. Infatti, ben presto si riempie quasi tutto il piano di sotto mentre intorno iniziano a sedersi altre persone, per fortuna, senza mai invadere il nostro spazio.
Travis rimane per gran parte del primo tempo in procinto di scappare. Le mani strette ai braccioli della poltrona, le gambe flesse scosse dal tremore. Non godendosi il momento.
Ad un certo punto sento di impazzire perché non riesco neanche io a godermi la serata. Non così. Messi da parte i popcorn, appoggio la testa sulla sua spalla. Poso l'indice pieno di sale sulle sue labbra e lui sembra riscuotersi. Sussulta appena ma è già una reazione diversa, principalmente quando lascia sfuggire il fiato che sta trattenendo, in parte contando i minuti che restano prima della fine del film.
«Che fai?» Chiede in tono sommesso.
«Sei un normale adolescente in questo momento. Puoi fare tutto. Io ho appena passato il dito pieno di sale dei popcorn sulle tue labbra per distrarti dal film, dalla gente rumorosa e per stuzzicarti. Siamo al buio, in alto, non ci nota nessuno.»
Vedendo che rimane ancora in posizione, abbasso maggiormente la sua visiera. In risposta mi circonda con un braccio sulle spalle. Lecca le labbra abbozzando un sorriso. Non tirato. Non finto. Sincero, naturale.
«Per quanto io abbia apprezzato la tua provocazione, non mi comporterò mai come quel coglione lì in fondo», indica un ragazzo. Apparentemente il capo branco. Arriccio il naso. «Fossi in lei gli avrei già mollato una gomitata o una ginocchiata in mezzo ai gioielli di famiglia.»
Ride e mi rilasso, specie quando mi preme le labbra sulla testa. Un gesto istintivo il suo, ma dolce e apprezzato.
Accarezza poi la mia spalla scendendo sempre più verso il fianco. Mi volto. Nella penombra il suo viso illuminato dalla luce proveniente dallo schermo rende i suoi lineamenti più marcati e i suoi occhi indirizzati alle immagini, un pozzo di speranze svanite, scomparse nel tempo a seguito di una fatalità, di un destino avverso. Il suo viso ha una luce diversa. Un qualcosa di potenzialmente distruttivo che viene da dentro. Mi abbaglia ma non ne ho mai abbastanza. Non ne ho più paura. Sono come una falena. Attratta dalla sua luce, continuo a bruciare.
La sua mano scivola ancora sfiorandomi la coscia e la riporto su. Nasconde un sorriso. Lo faccio anch'io ma sporgendomi, poso le labbra sulla sua guancia prima di mettermi comoda e godermi il resto del film insieme a lui che è una preziosa compagnia.
Terminato il film. Quando le luci si riaccendono, nasconde il viso tornando rigido. Lascia passare tutti assicurandosi che non ci sia più nessuno in sala prima di alzarsi. Indosso il cappotto e si nasconde facendo lo stesso. Poi mi stringe la mano ed usciamo dal cinema, dove finalmente rilassa le spalle anche se non del tutto. Succede solo quando siamo in auto, coperti dai vetri oscurati, al sicuro.
Toglie il cappello lanciandolo dietro, appoggiando bene la testa contro il sedile. Inspira gonfiando il petto ed espira girando la chiave, accendendo l'auto. Fa inversione di marcia guidando con molta più calma del necessario.
Mordo il labbro aprendo il finestrino, lasciando entrare nell'abitacolo il venticello gelido in grado di sferzarmi sul viso arrossandomi le guance.
Travis preme il pulsante sul bracciolo dello sportello alzando il finestrino, poco prima di fermarsi davanti ad una delle pizzerie dove è possibile ordinare da un computer ed essere serviti dopo qualche minuto senza scendere dall'auto.
Comodo per lui, un po' meno per me. Amo parlare con le persone, vederle in azione nel proprio lavoro. Ma me lo farò bastare lo stesso. Per una sera andrà più che bene.
Attendiamo la fila ordinando pizza, patatine e birra.
Gratta la tempia. «Mi sto comportando in modo strano, lo so. Mi dispiace.»
«Non preoccuparti. Lo capisco. È solo colpa mia che ho preteso troppo», mi intristisco e sono costretta ad aggrapparmi a qualcosa per non crollare di nuovo come una stupita bambina fragile e spaventata.
Se ne accorge. Percepisce il mio cambiamento e afferrandomi la mano la porta in grembo. Intreccia le nostre dita e le mantiene così, anche quando la fila scorre e ci muoviamo a rilento.
«Ci ho provato», dice sentendosi in colpa.
«Non è facile», continua trovando una giustificazione. «Dopo anni non è facile», specifica.
Ci fermiamo davanti alla ragazza che spunta da una finestra. Una lunga coda piena di trecce, un cappellino giallo e un microfono. Le sue labbra sono rimpolpate dal gloss e i suoi occhi color caramello sono colorati sulla palpebra da una linea spessa di eye-liner blu. Prende subito la banconota passandoci la nostra cena. «Buona serata e a presto!» ci saluta con un sorriso plastico.
L'abitacolo si riempie dell'odore di pasta della pizza, pomodoro e frittura.
Travis lascia la mia mano permettendomi di reggere tutto mentre guida verso casa mia dove arriviamo dopo circa cinque minuti.
Poso tutto sul tavolo basso accendendo infreddolita il camino, mentre lui togliendosi il cappotto aggiunge un ceppo al fuoco che divampa velocemente. Va persino a prenderli dal retro ammassandoli all'angolo. Lava le mani e sedendosi sul divano mi aspetta.
Spengo le luci lasciando accesa solo quella posta sul mobile di fianco al divano, accendendo la tv. Mi siedo e Travis apre il cartone passandomi un trancio di pizza. «Mangia. Oggi non hai toccato cibo», sembra quasi rimproverarmi.
Addento il bordo guardandolo male. «Neanche tu!»
«Io sono abituato tu nel giro di qualche ora avrai mal di testa e senso di vertigini se continuerai a digiunare», dice sicuro terminando il suo secondo trancio di pizza.
«Sei abituato?»
«Si. Fa parte del filtro», aggiunge in fretta.
Mando giù il boccone voltandomi. «C'è qualcosa che puoi almeno dirmi?» Chiedo in parte frustrata.
Riflette sulla mia domanda. «Ho provato tanta fame, tanta sete e tanta rabbia.»
Faccio una smorfia. «Un bel messaggio criptico, eh?»
Beve un sorso di birra grattando la carta argentata sul collo della bottiglia. Un gesto che noto per la seconda volta.
«Si, ma sono certo che capirai.»
Prendo un altro pezzo di pizza. Porto il dito in bocca e lui ferma il mio gesto. «A volte non te ne accorgi, vero?»
Corrugo la fronte. «Che cosa?»
«Di come ti guardano tutti. Di come ti muovi nel mondo. Di come parli o sorridi», risponde mettendosi comodo sul divano. Guarda il tetto, le pareti consumate, la piccola tv.
Non mi sento in imbarazzo per quel poco che ho sempre avuto e che gli sto mostrando. Perché mi basta. Non mi occorre chissà quale casa stratosferica. Ciò che conta è l'affetto, la famiglia. «Sei vistosa come la stella più bella. Ma terribilmente solitaria e triste.»
Mi avvicino a lui togliendo la bottiglia per bere. «Tu riesci a vedermi», sussurro. «Mi vedi», continuo lasciandomi avvolgere dalle sue braccia. «Vedi quello che sono e... non mi fai sentire un completo disastro.»
Sorride dolcemente. «Io non vedo nessun disastro. Solo una donna a tratti decisa, a tratti insicura e fragile. Un mix letale per ogni fibra del mio corpo, per la mia mente. Sei pericolosa, Bi.»
La mia mano si posa a coppa sulla sua guancia poi la avvicino alla maschera. Mi blocca la mano ammonendomi silenziosamente. I suoi occhi si induriscono diventando come quelli di un animale pronto a ferire. Così freddi da farmi trattenere il respiro.
«Non ti farò del male», sussurro liberandomi dalla sua stretta. Il cuore sta già iniziando il suo lavoro extra. «Concedimi pochi secondi», uso la tecnica degli occhioni.
Dilata le narici. «Bambi», freme.
«Sssh, fidati di me Trav», poso le dita sul bordo della maschera.
Ferma ancora il mio gesto usando un po' più di forza. «Bi, non voglio spaventarti!» ringhia.
Scrollo la testa. «Fidati», occhi negli occhi e ci perdiamo, catapultati altrove, in un mondo diverso, pieno di sfumature e non più grigio, non più buio come i suoi giorni in questo presente a cui è stato legato senza volontà.
Lentamente lascia la presa, forse intuendo il mio bisogno. Sento l'impronta lasciata dalla sua forza.
Chiude gli occhi stringendo il pugno. «Non voglio disgustarti. Per favore...»
Con questo nonostante il suo tono di voce, so cosa mi sta dicendo. 'Fallo'.
Sollevo lentamente la maschera tenendo il labbro tra i denti. Nessuna esitazione da parte mia. Nessuna paura. «Rimarrò sempre dell'idea che tu debba toglierla.»
Stringe ancora di più il pugno mentre tolgo del tutto la maschera posandola sul bordo del divano. Afferro il suo viso senza dargli il tempo. «Trev, apri gli occhi e guardami», un lieve sorriso mi spunta sulle labbra.
Quello che vedo non è niente di orribile, niente di sconvolgente o difficile da sostenere con lo sguardo. Mi fa solo stare male per lui. Perché sul suo bellissimo viso, c'è uno squarcio roseo a forma di stella ad esplodere intorno al suo occhio, sulla guancia e la fronte. Piccole vene visibili e solchi. L'unica cosa che più mi fa trattenere il fiato: è il taglio che attraversa il suo occhio partendo dalla fronte, superando lo zigomo, raggiungendo la guancia.
Travis trema emettendo quasi un lamento, apre poi gli occhi. Quello grigio quasi bianco e opaco si rivela con ritardo, ma alla fine mi guarda. Sfioro la cicatrice e i solchi con le dita senza mai toccarla del tutto per non destabilizzarlo.
Non contenta, spinta da una stranissima voglia, avvicino le labbra premendole a lungo su di essa.
Lui emette un verso strozzato afferrandomi per i fianchi. Tengo ancora le labbra sul taglio di bieco che gli attraversa l'occhio e sussurro: «Non ti serve una maschera.»
«Bambi», cantilena roco.
Mi allontano ma le sue mani sono ancora strette ai miei fianchi. Sono a cavalcioni su di lui e ho solo voglia di perdermi. «Non hai niente da nascondere», sussurro ancora porgendogli la maschera.
Lui indugia deglutendo a fatica, la indossa riprendendo in fretta il fiato. Si alza poi dal divano come una molla, camminando avanti e indietro, facendo tanti respiri. Uno dietro l'altro e lo vedo aggrapparsi all'inferriata in legno della piccola scala che conduce alla mia stanza.
Sta per dire qualcosa quando sentiamo bussare alla porta. «Bambi, ho visto la luce. Apri», la voce di Dan ci coglie alla sprovvista.
Travis per poco non va nel panico. Allora mi alzo mantenendo la calma è principalmente il controllo. Gli porgo il cappotto. «Vai nella mia mia stanza», lo spingo. Inizialmente non sembra ascoltarmi. Poi, riscosso, in parte stordito, corre sulla scala sparendo dietro la porta.
«Bambi, lo so che ci sei. Apri!» Dan bussa ancora pesantemente. Parla in modo strano. «So che sei arrabbiata. Zia Marin mi ha raccontato tutto dopo che sei scappata in quel modo. Voglio solo parlarti!»
Corrugo la fronte avvicinandomi alla porta. Guardo il divano, i cartoni della pizza uno sull'altro e mordo il labbro.
Dan bussa con forza maggiore facendomi sussultare. «Bi, non farmi aprire la porta con la chiave di scorta o a suon di pugni. Non farmi incazzare. Apri!» la sua voce più dura.
Mi sento in bilico. Avvicino le dita alla maniglia prendendo un lento respiro, preparandomi ad ogni possibile attacco a sorpresa da parte del mio amico che, a quanto pare è ubriaco.
«Apri, cazzo!»
Con naturalezza apro la porta. Cerco di non farlo entrare ma sembra così arrabbiato e su di giri, da non rendersi neanche corto di avermi costretta ad indietreggiare quando spinge forte la porta facendola spalancare e sbattere contro la parete.
«Che cazzo ti dice il cervello? Tua zia potrebbe morire da un momento all'altro e tu decidi di litigare con lei solo perché ti ha ferita?» mi urla subito addosso stringendomi le spalle, scuotendomi. «Solo perché vuole vederti felice e non più sola o triste?»
Volto il viso arricciando il naso. Il suo alito puzza di alcol. Persino il suo corpo trasuda liquore. Peggio di una distilleria. «Dan...» provo a parlare.
«No! Adesso tu mi ascolti, cazzo!» mi urla strattonandomi, puntandomi l'indice in faccia. «Sei sparita per ore. Sai che ti ho cercata ovunque? Dove cazzo eri, si può sapere?» biascica e il suo viso rosso, gli occhi fuori dalle orbite, mi mettono paura.
«Avevo bisogno di stare da sola, di fare due passi», lo affronto con molta più calma di quanta al contrario vorrei avere in questo momento. «Ti ho chiesto solo un po' di tempo per me stessa e tu non mi hai ascoltata. Non lo fai mai. Sei asfissiante!»
Mi lascia andare. «Perché ti metti sempre in qualche guaio!» urla.
«Non sono affari che ti riguardano e non sei mio padre!» urlo a mia volta spingendolo verso la porta. «Adesso vattene. Puzzi di alcol e non sei nelle condizioni di parlare o affrontare un discorso in maniera sensata.»
Sono dura ma è necessario, mi dico accantonando subito il senso di colpa. Dan sembra uno che è appena stato colpito. Il suo viso diviene livido. «E chissà perché puzzo d'alcol. Adesso però potrò riferire a tua zia che sei ancora viva. Che non hai tentato di farti male e che non sei scappata o peggio: che non ti sei concessa ad un vecchio porco o ad un bastardo, visto che hai deciso di regalare la tua verginità a chiunque per soldi!»
Gli mollo uno schiaffo così sonoro da fargli girare la testa. Sussulto persino sorpresa dalla mia reazione così immediata, mentre la mia mano si infiamma in seguito al colpo iniziando a pulsare. «Vattene!»
Tocca la guancia incredulo. Ha come un momento di lucidità. «Bi...»
«NO!» urlo. «Vattene!» le lacrime che scorrono le sento appena.
«Perché reagisci così male se non hai fatto niente?» mi provoca.
Lo spingo e va a sbattere contro la parete facendo cadere a terra la piccola tegola con i girasoli attaccati sopra. Un vecchio regalo di mio padre fatto a zia Marin.
Vedendolo il mio petto inizia ad essere scosso. Il sangue mi ribolle dentro. «Perché preferisco cacciare via chi mi prende per una poco di buono!»
Sto cercando di non pensare a quei cocci rotti.
Dan li guarda privo di interesse poi gira il viso posando la sua attenzione sul tavolo basso. Sgrana immediatamente gli occhi. «Con chi sei? Chi cazzo c'è qui insieme a te?» urla avvicinandosi al tavolo per guardarlo. I suoi occhi saettano ovunque furenti. «Mi prendi in giro? Era questo il tuo bisogno di aria?»
Leggo dentro la delusione. «Sei sparita per stare con qualcuno?» indica i cartoni.
Scrollo le lacrime. «No!»
Non mi crede. Dilata le narici e come una furia corre in camera. Provo a fermarlo ma mi spinge facendomi cadere a terra. «Superi così la furia? Portando in casa un estraneo?» urla. «E a me non ci pensi?» si indica. «Non pensi mai a quello che continuo a provare per te come uno stupido?»
Senza attendere risposta corre in camera spalancando la porta. Mi rialzo mettendo le mani sulla testa, tra i capelli respirando a fatica.
«Dov'è?» urla.
Sussulto. Non l'ha trovato?
Scende di nuovo in soggiorno premendomi contro l'inferriata. «Mi hai molto deluso, Bi. Credevo di essere tuo amico. Credevo di riuscire a conquistare il tuo cuore. Credevo di... essere importante per te. Credevo che zia Marin avesse ragione su di noi. Ma questo...» molla la presa correndo in giardino. Lo cerca rabbioso. Rientra in casa sbattendo la porta secondaria.
«Te l'ho detto, non c'è nessuno!» singhiozzo.
Nega guardandomi con rabbia. «So quando menti.»
Apro e richiudo la bocca ma non vuole sentire. «Chiamala tu a tua zia. Dille quello che hai fatto. Dille che hai distrutto tutto per una scopata con uno sconosciuto, per un'uscita in un posto di lusso... fai tu. Ma non pretendere che sia io a dirle come ti stai procurando i soldi per regalarle i suoi ultimi giorni. Non pretendere neanche che sia io a nascondere il tuo segreto.»
«Dan, hai frainteso tutto!» scrollo le lacrime.
Non vuole sentire. Scuote la testa. «No, ho capito. Dan ti va bene quando il tuo mondo crolla. Dan ti va bene quando hai bisogno di attenzioni. Dan c'è sempre. Ma Dan ti ama e tu invece? Dan ti ama! Lo ha sempre fatto. Nonostante le ore, i giorni, i mesi e gli anni passati insieme. Dan ti ama da impazzire a tal punto da resistere e accettare che tu sia avvolta da altre braccia, come quelle del tuo defunto fidanzato a cui continui a pensare perché ti ha abbandonata! È questo quello che ha fatto dopo averti promesso il mondo. Ti ha mentito e ti ha abbandonata. Alla fine avevo ragione su di lui, ma tu hai voluto fare di testa tua. Proprio come sempre. E adesso? Adesso guardati... ti fai pagare per provare ancora qualcosa.»
Non riesco più a respirare. Sono immobile e non sento niente. Le parole di Dan mi colpiscono come lame avvelenate. Sento dentro le vene scorrere il veleno delle sue frasi dure e distruttive.
«Ti vendi per sentire se sei ancora viva. Ma non mi vedi. Non vedi che hai già qualcuno che ti ama. Questo perché sei sempre stata una stronza egoista!» i suoi occhi rossi lasciando sfuggire le lacrime che scrolla rabbioso.
Mi abbraccio abbassando il viso.
«Questo perché non ti accontenti mai!»
Si avvicina furente afferrandomi per il mento. «No, non devi provare vergogna. L'hai fatto. Hai raggiunto il tuo scopo. Hai superato quel limite.»
Giro il viso ma la sua presa si fa più resistente. «Magari pagherò anch'io. Almeno regalerai anche a me...»
Lo spingo via mollandogli un altro schiaffo. Questo più forte del primo. Gli apre il labbro in due facendo fuoriuscire il sangue, che scende sul mento in una linea imprecisa.
«Esci da casa mia!»
Sorride con i denti imbrattati di sangue che lecca di proposito davanti a me. Stringe poi la mandibola dilatando le narici. Sta per dire qualcosa ma indietreggia negando e se ne va.
Mi svuoto d'aria trattenuta e, come un palloncino mi affloscio sul pavimento. Singhiozzo forte poi mi alzo e voltandomi lui è lì, sulla soglia, tra la scala e il soggiorno. Non è andato via. Non è scappato. Ha sentito tutto.
Non riesco a capire la sua espressione. I miei occhi sono troppo abbagliati e colmi di lacrime per riuscire a decifrarlo. Barcollo verso l'ingresso raccogliendo i cocci dell'ultimo regalo di mio padre posandoli sul bancone della cucina.
Travis si avvicina. Asciugo le lacrime. «È così?» non alza il tono, non urla, mi parla con voce ferma. Ma questo basta a farmi tremare. A spaventarmi.
«Esci con le persone facendoti pagare? Che cosa sei esattamente?» mi guarda deluso, con disprezzo.
Gli occhi tremano così come le labbra. «No, non è così. Io non ho mai... non sono mai uscita con nessuno facendomi pagare», gesticolo.
«Allora perché quel tipo lo ha urlato più e più volte?»
«Perché è arrabbiato con me. Perché lui... lui è da sempre innamorato di me mentre io...» mi volto guardano fuori dalla finestra dove è appena arrivato un violento temporale. «Non ha accettato la mia scelta. Quando ho messo la mia verginità all'asta lui... senti non credo sia il momento per spiegarti che Dan...»
«Hai o non hai accettato i miei soldi per bisogno?»
«L'ho fatto per mia zia, non per me.»
Indurisce i lineamenti. «Hai accettato i miei soldi perché ti serviva un lavoro o perché volevi una vita facile, migliore, senza problemi?»
«Lavoro perché mi piace farlo non per avere un guadagno facile. Perché mi piace provvedere a me stessa e non chiedere niente a nessuno. Perché voglio regalare un po' di serenità a mia zia. Non ho neanche usato i soldi che mi hai offerto. Sono tutti dove li hai depositati. Quindi se li rivuoi, riprenditeli. Non li voglio. Preferisco fare altri sacrifici piuttosto che sentirmi urlare della puttana!»
Apro il cassetto cercando la colla. Le mie mani frugano nervosamente ma non trovano niente e arrabbiata sbatto il cassetto picchiando i pugni sulla superficie.
«Bambi, guardami!»
Lo faccio. «Sei o non sei ancora vergine?»
«Lo sono», mi avvicino al tavolo basso togliendo di mezzo i cartoni.
Vedendolo ancora impalato non resisto. «Dimmi quello che pensi», piagnucolo.
«Lui ti ama. Ti conosce...»
«Siamo cresciuti insieme.»
«Ha parlato di un altro uomo...»
Mi irrigidisco e se ne accorge. «È una storia di cui non mi piace parlare», mi affretto a rispondere. «Proprio come a te non piace parlare del tuo passato o del tuo incidente.»
Soffia aria dal naso. «Non ti piace parlarne o non vuoi perché è successo qualcosa?»
«Non mi piace e non voglio. Fa parte del passato. E per la cronaca è morto.»
Quando pronuncio queste parole lui gonfia il petto. «Quanti anni?»
Cerco di capire la sua domanda. «Per quanti anni siete stati insieme?»
«L'ho conosciuto per caso dopo che i miei sono morti. Ma non c'è stato niente di concreto se non dopo i sedici fino ai venti, con alti e bassi. Un po' come per tutte le coppie.»
Stringe il pugno in vita. «E con il tuo amico?»
«Siamo cresciuti insieme. L'ho sempre trattato come un fratello. Vuoi sapere se ho mai dormito con lui? Si, ma non ho mai fatto niente che riguardasse quel genere di cose alla quale stai pensando. Vuoi sapere se mi ha mai baciata? Si, ci siamo scambiati dei baci.»
«Quindi questo Dan è stato il fidanzatino che non sei mai riuscita a lasciare?»
Nego. «Gli voglio bene. Ha solo avuto un momento...»
«E io? Che cosa sono esattamente? Un cliente, un conoscente, un...»
«Sei Travis. Sei il ragazzo che mi ha contattata facendosi conoscere tramite delle bellissime e divertenti e-mail. Sei un uomo che mi ha mostrato un mondo diverso. Che mi ha fatto sentire di nuovo viva... sei...» mi fermo quando vedo che sta indossando il cappotto con sguardo distante. «Sono anche il tuo capo e in quanto tale voglio che domani ti presenti al lavoro. Se hai bisogno di dirmi qualcosa fallo contattando Nan.»
«Trav...»
«No, non chiamarmi più così. Per te sono solo uno sconosciuto che credi voglia infilarsi tra le tue cosce. La bestia che credi di volere salvare. Lo sfregiato che credi di potere abbindolare con le tue gentilezze. Ti sbagli. Sono molto di più di questo.»
Lo vedo avviarsi alla porta rigidamente, a passo sicuro. «E non mi piace condividere con altri. Non mi piace neanche sapere di essere stato usato per uno screzio ad un coglione! Tornatene dal tuo Dan ma non avvicinarti più a me perché non sono il tuo giocattolo nuovo. Non sono neanche la tua fottuta macchina per fare soldi facili. Ti credevo diversa, Bi.»
Non riesco a parlare. Le sue parole dette con un tono alto, rabbioso e freddo, mi strappano via i pezzi di un cuore ridotto in macerie.
Mi avvicino a lui. «Stai fraintendendo tutto. Io non ti ho mai usato. Mai!»
«Ah no? Secondo il tuo amico non è come fai credere.»
«Dan è solo geloso. Era pure ubriaco!»
Alza il labbro. «Trova un'altra scusa per dirmi che sono stato solo un passatempo.»
Nego scrollando la testa ripetutamente. «Non è vero. Io...»
«Tu non proverai mai niente per uno come me», urla.
Le lacrime escono fuori. «Trav, non è così!»
Provo a sfiorare la sua mano ma scansandosi spalanca la porta.
«Non farò parte del vostro stupido gioco. Io non condivido. Io non trattengo. Io non corro dietro a nessuno.»
Mi avvicino ancora a lui. «Stai esasperando tutto solo perché sei...»
«Che cosa?» urla. «Geloso di una ragazza che mi ha solo usato? È vero! Poco fa avrei fatto fuori quel pezzo di merda, ma ho preferito conoscere la ragione della sua rabbia. Il motivo del suo sfogo! E adesso so tutto.»
Trema furente. «Non ho mai sentito per nessuno quello che ho provato per te pur senza conoscerti. Ma adesso ho capito che era solo illusione. Un film degno di un Oscar. Una stupida bugia. Grazie per avermi aperto gli occhi e strappato il cuore. Buona serata!»
Sbatte la porta lasciandomi sola. Sola con i pensieri. Sola con la consapevolezza di avere distrutto ogni cosa.
Non oso corrergli dietro. Io non lo faccio mai. E non si tratta di orgoglio. Non voglio peggiorare le cose. Lui ha deciso e io devo accettarlo. Prima o poi dovrò accettarlo.
Non c'è un modo per fidarti completamente di qualcuno. Non esiste un libretto con le istruzioni. E non si può. Le persone deludono sempre. Le persone prima o poi ti feriscono. E tu puoi solo fidarti di una cosa: del dolore. Di quello che lasciano. Di quello che provi così forte da non riuscire a respirare.
Le persone che se ne vanno sono come dei segni evidenti sulla pelle. Lui è come una cicatrice. Quella che non si rimarginerà mai. Quella che farà ancora male dopo anni, per il ricordo di un sorriso, di un gesto, di una parola quando mi tornerà in mente.
Schianto a terra un bicchiere, afferro la bottiglia e la tiro contro il muro lasciando uscire un brevissimo urlo e un singhiozzo, così forte da avere la nausea. Una nausea che mi mozza il respiro.
In lacrime e in preda al panico, riesco a trovare la colla dentro il cassetto dopo averlo tirato fuori e averlo svuotato completamente del contenuto. Rimetto così in sesto i cocci del regalo, l'ultimo che mi resta ancora con le impronte di mio padre. Era bravo nel creare questo genere di oggetti.
Singhiozzo forte stringendo al petto la scheggia con i girasoli scivolando dietro il bancone della cucina, nascosta da tutto e tutti.
«Ho sbagliato tutto, papà», sussulto. «Ho rovinato ogni singola cosa. Stavo per aprirmi a qualcuno ma... ho distrutto tutto nel più orribile dei modi.»
Mi rialzo e quando finisco di incastrare ogni piccolo pezzo di terracotta, metto ad asciugare la tegola piena di crepe, aprendo la finestra sopra il lavandino.
Mi abbraccio andando in camera dove mi spoglio guardandomi allo specchio. Non mi riconosco più. Non so più chi sono. I miei occhi saettano verso la porta del bagno aperta dove raggiungendolo trovo sul ripiano il suo maglione. Lo indosso. È tutto ciò che avrò di lui, dell'attimo in cui sono riuscita ad essere me stessa, a sentirmi libera.
Torno in soggiorno pulendo via tutto, eliminando ogni traccia di questo giorno tanto duro, tanto doloroso. Ferma al centro del soggiorno, mi giro intorno frastornata. Trovo tutto così estraneo. Così spento. Così silenzioso. Mi fermo. I piedi nudi sul pavimento freddo, consumato. Batto le palpebre. Non capisco niente. Mi sento confusa. Come se mi avessero dato una botta alla testa tanto forte da stordirmi. Non capisco. È tutto improvvisamente senza senso. Tutto storto. Tutto sottosopra. Giro ancora intorno. Scoppio a ridere poi a singhiozzare e infine, mi abbandono alla tristezza.
Poi però sento il bisogno di riprendere il controllo. Mi ricompongo in fretta sentendomi una stupida. Vergognandomi per avere avuto una simile reazione.
Preparo una tazza di tè e rannicchiata sul divano, nel punto esatto in cui c'era lui prima, avvolta dal silenzio, dal suo odore così impregnante a saturare l'aria e permanente in ogni fibra del mio corpo, abbraccio tenendo in grembo il cuscino riscaldandomi le mani con la tazza.
Inspiro come una tossica il suo odore. La sua pelle ha l'odore dei sentimenti che non sono riuscita a mostrargli. Ha il profumo di chi ha sofferto ma avuto il coraggio di affezionarsi lo stesso. L'odore dell'amore di chi è stato pugnalato ma è sopravvissuto al dolore.
In questo momento non sto solo pensando alla sua pelle. Sto pensando ai suoi occhi. Al suo sguardo, quel modo che ha di guardarmi e trascinarmi altrove. Non so descrivere con esattezza quello che sento, ma so per certa che è forte.
Lo so, lo sento, ma l'ho lasciato andare. Perché in fondo, una come me è solo un problema. Perché sono una codarda.
Lui, non mi fa solo sentire quelle stupide farfalle nello stomaco. Non mi fa solo sentire come una ragazzina. Sarebbe uno stupido cliché. Lui è più come un cataclisma improvviso. È come un violento uragano, un maremoto, un acquazzone. È una bomba ad orologeria per i miei sensi. Lui si è preso tutto di me all'istante: la mia mente, i miei occhi, i miei pensieri, la mia attenzione, persino il mio cuore. E un ladro così esperto, non rivelerà mai a nessuno dove ha nascosto ciò che ha rubato.
Sembra stupido ma quello che sta attraversando la mia pelle è devastante. Una sensazione nuova, forte, intrisa di tristezza. Mi rendo conto che è una di quelle persone che quando non c'è fa sentire la sua assenza. In questo momento, è come se tutto fosse più spento. Come se tutto fosse lontano. La sua assenza ha il gusto amaro della solitudine. Un sapore che non avevo mai sentito. Mi sento sola. Ma non fisicamente. Mi sento sola dentro.
Fisso un punto lontano avvolta dalla stanchezza e dal rumore del temporale che si sta scatenando fuori allagandomi dentro.
I minuti sembrano scorrere lentamente ma quando alzo gli occhi sull'orologio, mi accorgo che è già notte. La tazza piena di te' ormai fredda tra le mie mani e le ossa pesanti come se avessi sopportato un grosso carico. Non oso muovermi. Non oso neanche spegnere i pensieri. Da ore ormai nascono e colpiscono con ferocia inaudita il mio cuore.
Un lampo illumina la zona intorno. L'allarme di un'auto suona, la porta a zanzariera sbatte a causa del vento. La pioggia picchia forte contro i vetri creando una raffica di colpi simili a spari alle mie orecchie. La luce della lampada si spegne per pochi secondi rilasciando un rumore simile ad un'ape intrappolata e incazzata.
Gli spifferi d'aria scendono dal camino ormai spento. Spingono la cenere verso il pavimento. Un tuono, un lampo. Un susseguirsi di rumori molesti come il ticchettio dell'orologio. Vorrei tanto che smettesse tutto ma continuo a rimanere bloccata nella stessa posizione. Continuo a fissare il vuoto. A non muovermi.
Un lampo. Un tuono abbastanza forte. Qualcuno che bussa con la stessa intensità alla porta.
Inizialmente non comprendo. Mi sembra irreale. Poi nel silenzio succede di nuovo.
Poso la tazza sul tavolo basso alzandomi. Le ginocchia mi fanno male quando le stendo. Con una smorfia cammino arrancando verso la porta.
«Dan, se sei ancora tu, ti consiglio di tornartene a casa. Non sono dell'umore per parlare con te!»
Bussa ancora. Stringo la maniglia.
«Che cosa hai dimenticato? Che cosa vuoi urlarmi adesso?» Spalanco la porta.
Tutto succede in un attimo. Non ho neanche il tempo di reagire. Quello che sento è solo una folata di vento, una sferzata di pioggia gelida sulla pelle, un freddo inimmaginabile dentro e paura.♥️
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...