Un anno e mezzo dopo...L'aria fresca e penetrante dell'inverno, si insinua sotto la fessura della porta provocando in casa una sorta di ululato raccapricciante.
Continuo a rigirarmi nel letto, sul materasso nuovo, sotto il morbido piumone azzurro carta da zucchero a tenermi al caldo.
Eppure non riesco proprio a dormire. Non è la prima volta da quando mi sono trasferita qui dentro. Non dovrebbe essere poi così tanto difficile adattarmi, visto che questa è stata la mia casa dai quindici anni in su.
Purtroppo, è come se in qualche modo il mio corpo, persino la mia mente rifiutassero di stare qui dentro, in una casa che in parte non sento più mia. Neanche l'odore di nuovo mi piace. È tutto come doveva essere ma non è esattamente quello che voglio.
Ma ho lasciato il piccolo appartamento solo qualche settimana fa e non posso di certo tornare indietro.
La proprietaria non era poi così contenta, visto i soldi che incassava mensilmente e puntualmente senza mai dovere bussare alla mia porta, ma adesso non dovrò pagare l'affitto e riuscirò a mettere qualcosa da parte per i miei viaggi. Quelli che ho organizzato ormai da parecchio tempo. Lo zaino, infatti, è pronto ma non il mio coraggio. Quello mi manca ormai da mesi.
Sospiro alzandomi per sgranchirmi un po'. Scosto la coperta è più in fretta che posso scendo dal letto camminando avanti e indietro dentro questa stanza che è la bella ricreazione della mia. Un po' più organizzata e illuminata, un po' meno spenta e anonima.
Faccio una smorfia. È come se mi sentissi a disagio. Come se non meritassi di stare qui dentro. C'è troppa ricchezza di dettagli mentre prima era tutto più semplice, disorganizzato. Persino i mobili erano diversi l'uno dall'altro eppure potevo chiamarla ancora casa. Forse perché questa non sa di luogo vissuto.
Guardo l'ora dall'orologio sul comodino e non manca poi così tanto all'alba.
Apro l'anta scorrevole dell'armadio che ho fatto costruire a parete per avere più spazio e indosso un paio di jeans, un maglione nero e calzini pesanti.
Scesa al piano di sotto raggiungo l'entrata mettendo il cappotto e un berretto. Con la borsa a tracolla esco di casa con l'idea di prendere la colazione e andarla a mangiare al parco, seduta comodamente sulla mia panchina preferita.
Le strade sono ancora silenziose e ingrigite dal tempo minaccioso. Persino Times Square a quest'ora sembra addormentata. I pezzi di un giornale quasi sciolto dentro una pozzanghera svolazzano lievemente sospinti dal venticello freddo. Fa quasi impressione l'atmosfera che si respira e che vedo proseguendo verso il mio posto tranquillo.
L'alba è proprio uno dei miei momenti preferiti, un po' come il tramonto, quando tutto si spegne e puoi staccare la spina per un attimo semplicemente dormendo.
Questo solo quando ci riesci.
Mi fermo a prendere un croissant e un bicchiere di cioccolata calda con un pizzico di caffè per svegliarmi da un ambulante fermo vicino all'entrata del parco. Ormai lo conosco ed è piacevole scambiare con il ragazzo quattro chiacchiere quando per tutto il tempo durante la settimana non ho fatto altro che starmene zitta, a parlare con me stessa.
«Un po' presto per venire al parco, come mai sei già qui oggi?» Mi fa notare dandomi il solito, visto che ormai sa i miei gusti.
«Non riuscivo ad aspettare», sorrido infilando la banconota dentro il barattolo.
Guardando verso l'angolo della strada, noto il solito clochard steso sotto lo strato di coperte, su un materasso sottile che ormai da tempo dovrebbe essere sostituito.
«Il solito anche per lui.»
Wally il ragazzo dai capelli ricci che ho davanti tutte le mattine, annuisce incartando l'ordinazione. «Rimani un momento qui, così puoi vedere che accetta sempre la tua colazione e che io non ti frego i soldi.»
Rimango ad osservarlo mentre attraversa la strada svegliando l'uomo che guardandomi con un sorriso sdentato mi fa un breve cenno di ringraziamento rifocillandosi e riscaldandosi dopo una nottata passata sotto il gelo.
Wally, ritorna da me con la sua andatura da rapper. «Ecco fatto. Ti ringrazia.»
«Grazie a te. I tuoi croissant sono i più buoni di New York, non dimenticarlo.»
Gongola di fronte al mio complimento arrossendo lievemente. «Sei troppo buona Bambi. Persone come te sono rare al giorno d'oggi. Nessuno offrirebbe la colazione a quell'uomo mentre tu lo fai tutti i giorni, anche quando non hai denaro a sufficienza per te. Gli hai portato persino delle coperte pulite e una lettiera per il suo gatto. Sei incredibile, lasciatelo dire.»
Arrossisco nascondendo il mento sotto il colletto e la sciarpa. Non credevo lo avesse notato. «Grazie. Ci vediamo!»
Faccio solo due passi prima di tornare indietro posando dentro il barattolo altre due banconote.
Wally cerca di capire.
«Nel caso non tornassi in tempo per la colazione visto che domani è festa», indico l'uomo. Lui annuisce e poi serve altri clienti arrivati come me al parco in questa mattina fredda di dicembre.
Cammino lungo il sentiero acciottolato a mosaico bevendo la mia cioccolata calda fino a raggiungere dopo il ponte e il laghetto la mia panchina preferita dove mi siedo comoda.
Davanti a me i pezzi più importanti di una città. Non riesco a vedere da dove inizia e dove finisce. C'è solo il rumore continuo delle auto, delle persone, degli elicotteri, delle sirene. Ma non è questo a spaventarmi. No. È il sentirmi così vuota e sola dentro un posto così enorme. E non c'è fine a questa solitudine interiore.
Io lo so come ci si sente quando tenti costantemente di riempire un vuoto e in realtà senti solo sciogliersi il cuore. So come ci si sente a vivere con un pozzo scuro dentro e non avere una luce per illuminarlo. So come ci si sente quando tutto diventa una trappola mortale e quello che desideri è solo scappare fuori e respirare.
Per distrarmi e godermi davvero qualcosa, frugo dentro la borsa pescando un libro tascabile, leggendone qualche pagina mentre assaporo la colazione in tutta tranquillità.
«Se leggi ti perdi il sorgere del sole.»
Mando giù il boccone dell'ultimo pezzo di croissant alzando gli occhi dalla pagina lentamente. Per poco non mi strozzo.
Un raggio di sole sbuca superando il palazzo pieno di finestre a specchio attraversando la figura che se ne sta davanti a me.
Una tuta della Nike nera, capelli scompigliati e sudore sulla fronte. Cuffie alle orecchie che toglie continuando a fissarmi sorpreso con i suoi occhi che sanno tanto di rimpianti, di parole tenute dentro e sentimenti nascosti.
Il mio cuore inizia a battere provocando un terremoto sul mio petto. Bevo un sorso di cioccolata per scaldare la gola improvvisamente formicolante e secca.
So esattamente di non averla superata. Immagino che questo sia perché non ho più la forza per contrastare i sentimenti, per allontanare qualcuno definitivamente dalla mia vita.
Tutti facciamo degli errori. Io più di ogni altra persona. Ho fatto cose in questi mesi per cui non basterà di certo una vita di scuse a perdonarmi. Ma in fondo, l'importante è trovare il giusto modo per andare avanti. Rialzarsi nonostante i problemi, le difficoltà. Perché prima o poi arriverà qualcosa di buono e positivo, lo sento.
Si siede accanto con nonchalance, riprendendo fiato, bevendo un po' di bibita energetica che odora di arancia rossa.
Gli porgo una salvietta imbevuta e accettandola la passa sulla fronte e sul collo appallottolandola e lanciandola dentro il cestino facendo centro.
«Questo thriller mi ha davvero rapita.»
Sono arrossita. Lo sento dalle orecchie ben nascoste dai capelli e dal berretto. Ma non posso nascondere le guance, quelle sono sotto gli occhi di tutti.
Guardo il sorgere del sole per qualche istante prima di sentire le sue mani sfiorare le mie nel tentativo di togliermi il libro dal grembo.
Infila il segnalibro sulla pagina dove sono arrivata e legge la trama senza lasciare trapelare alcuna emozione. Quando ha finito passa alla prima pagina. Ne legge solo due righe. Seguo i suoi occhi perdendomi nella sua intensità così distruttiva.
«Secondo me alla fine della storia si scopre che è stato il poliziotto.»
Lo guardo male e mi sorride in modo dolce, come un bambino dispettoso.
«Che c'è?»
«Quando lo hai letto?»
«Circa tre giorni fa.»
Gli sbatto il libro sull'addome poi lo ripongo dentro la borsa. «Grazie per lo spoiler ma lo leggerò lo stesso perché ho finito la mia scorta e non sono riuscita ad andare in libreria per prenderne altri.»
Guarda davanti a sé con una gamba sull'altra e il braccio sullo schienale della panchina. Beve un sorso della bevanda ed io mi concentro sulle mie mani che tengo strette sulle ginocchia.
«Non sei riuscita neanche a scrivermi. Tranne per il giorno del mio compleanno. A proposito, grazie per il regalo. Ma tornando a noi, hai avuto parecchio da fare in questi mesi», risponde acidamente.
«Sono successe troppe cose e ho staccato per un po' la spina.»
Si piega sulle ginocchia posando la bottiglia dentro la mia borsa. Non mi disturba questo gesto, solo il suo atteggiamento improvvisamente sull'attenti.
«Hai staccato completamente tirando persino il quadro elettrico, Bi», sibila tra i denti inumidendosi le labbra. Passa poi la mano sulla testa scompigliandosi i capelli umidi.
«Ho saputo di tua zia.»
Ricevo come un colpo secco e freddo sulla nuca. Non mi scompongo. Ho imparato a reagire a questo genere di cose.
«Prima o poi sarebbe accaduto. Non era una grossa novità per me.»
Fa una smorfia voltandosi ed io invece guardo davanti a me per non perdermi. Stringo persino la presa sul bicchiere dopo avere bevuto l'ultimo goccio freddo di cioccolata.
«Mi dispiace lo stesso. Sarei venuto a trovarti.»
Alzo le spalle passando la lingua sulle labbra. In bocca ho solo il sapore amaro di quei momenti. «Il funerale è stato intimo. Non che lei avesse poi così tanti amici. Adesso però è con suo marito e i miei genitori, forse.»
«Non vai mai a trovarla», la sua non è una domanda. Non usa un tono di rimprovero quanto di accondiscendenza.
Sicuramente Emerson gli avrà riferito qualcosa per tenerlo aggiornato sulla mia vita andata letteralmente a rotoli.
Prima ho perso la possibilità di avere una famiglia tutta mia quando ero pronta a farlo, a lasciarmi andare totalmente, poi ho perso anche lei e sono rimasta sola. Mi sono ritrovata con più debiti addosso, con più spese da fare e molto stress da sedare.
«Non ho bisogno di portare dei fiori su una tomba per ricordare qualcuno.»
Continua a fissarmi come se mi fossero cresciute tre teste. Forse sono stata un po' troppo dura.
«Ma potevi anche chiamare gli amici.»
Annuisco. «Per dire che cosa?»
«Che non volevi stare da sola o che ti serviva del tempo per riprenderti del lutto. Nessuno ti avrebbe di certo obbligata...»
Lo so, è arrabbiato e ne ha tutto il diritto.
Stringo però i pugni in vita guardandolo male.
«Vuoi che ti dica che mi dispiace? Ok, sono dispiaciuta se ho perso la possibilità di crearmi una famiglia perché sono stata stupida ad affrontare un pazzo che adesso spero marcisca in galera a vita dopo che mi ha massacrato di botte. Mi dispiace se ho creduto in un ragazzo che mi ha solo frantumato il cuore facendomi credere che fosse morto e che adesso si trova esattamente dove deve stare. Mi dispiace se ho perso mia zia e non ho avvisato nessuno, ma ho dovuto organizzare ogni cosa secondo il suo volere. Per inciso: è stata una vera stronza opportunista, proprio per quello che era. E scusami se ho dovuto cercare altri lavori, abbandonare il mio alloggio, laurearmi con mesi di ritardo e traslocare in una casa che non sento mia e non ho avuto il tempo di piangere o disperarmi perché dovevo andare avanti. E scusami se non ho proprio avuto voglia di scrivere perché...»
Sbuffo gettando il bicchiere dentro il cestino con rabbia e alzandomi finalmente lo guardo davvero negli occhi tirando sulla spalla la tracolla.
«Mentre tutti andavano avanti con la loro bellissima vita fatta di amore e spensieratezza, unicorni e fiori, io mi spegnevo.»
Si alza a sua volta. «Bi io...»
«Non ti ho dimenticato. Non lo farò mai. Ma non posso darti una famiglia e non posso e non voglio renderti infelice facendoti rinunciare ad altri sogni che spero vivamente per te possano un giorno realizzarsi. Quindi scusami se ho cercato di lasciarti libero da un peso morto.»
Mi volto ricacciando dentro il nodo. Alzo gli occhi al cielo e mi ricompongo.
«Buona giornata, Trav...»
Cammino a passo spedito verso l'uscita del parco.
Ripercorro la strada che conduce nei posti più esclusivi della zona, l'angolo caotico e già pieno di gente a fare la fila persino per una tazza di caffè da tre dollari, e decido di mettermi sul vagone della metropolitana per ritrovarmi altrove.
Così, senza una ragione ben precisa, scendo i gradini spingendomi a prendere un biglietto.
Il telefono dentro la borsa squilla. Lo pesco in fretta e lo faccio ormai più per abitudine pensando che qualcuno potrebbe chiamarmi dalla clinica, ma poi penso che alla fine è già successo. Dopo il matrimonio di Emerson, quando tutto era sereno ed io ero felice, il giorno dopo hanno chiamato dandomi la notizia. Ed io non ero con lei. Non c'ero. Dovevo lavorare e avevo fatto tardi dopo la colazione per cui non ero andata a salutarla per come avevo fatto prima del matrimonio.
Mi sono sentita così in colpa quel giorno da non essere riuscita neanche a raggiungere la clinica.
Non ho saputo e potuto dirle addio. E forse è stato meglio così. In fondo, era ormai in coma da tempo. A quanto pare ha avuto una crisi e si è addormentata completamente, eternamente. Per fortuna non ha visto niente, non ha sentito dolore.
Per quanto riguarda Dan e Nic sono entrambi da qualche parte a marcire in galera. Il primo forse anche in una che ha una clinica psichiatrica.
Non ho neanche voluto sapere quello che al contrario tutti non fanno altro che chiedersi. So solo che non usciranno facilmente. Hanno fatto arrabbiare le persone sbagliate. Almeno questo mi ha dato un po' di forza e sollievo. Il resto invece si è come dissolto.
Emerson è stata brava a rappresentarmi in qualità di mio legale e per questa ragione ho deciso di restituirle tutto quello che mi aveva offerto per non avere alcun debito.
«Pronto?»
«Ehi, dove ti trovi?»
Mi guardo in giro. Il tabellone giallo pieno di palle colorate ad indicare le fermate della metro davanti a me mi fa capire che sto sbagliando di nuovo tutto quanto. Che sto scappando e non è questo il momento per una breve fuga, perché potrebbero avere bisogno di me.
Sono le amiche a tenermi legata ancora qui, altrimenti sarei già volata altrove tagliando definitivamente quel filo. Ma non voglio deluderle come ho fatto con me stessa.
«Ero al parco a fare una passeggiata. Oggi ho un giorno libero e volevo rilassarmi un momento senza prendere alcun impegno.»
«E se ti proponessi un pranzo da me? Sono sola e non mi va di mangiare in silenzio o in compagnia della tv quando Brian non c'è. Che dici? Ti va? So che stai cercando un giorno libero ormai da mesi ma ti prego...»
La immagino implorarmi di non abbandonarla.
In questi mesi mi sono lasciata trascinare continuamente dalle sue strane proposte. So la ragione e in parte gliene sono grata. Soprattutto per il fatto che non ho più postato alcun video sparendo completamente dal mondo dei social e lei non si è arrabbiata. In realtà non ha neanche battuto ciglio quando sul conto in banca si è ritrovata l'intera somma del suo lavoro. Me lo ha solo fatto pesare quando non sono riuscita ad uscire più con loro per qualche settimana per recuperare qualcosa creando locandine.
«Che c'è per pranzo?»
«Parmigiana?»
Massaggio la fronte. «Si, sarò lì per le tredici.» Non me la sento di dirle di no.
«Perfetto, ti aspetto. Bi...»
«Si?»
«Va tutto bene? Sembri strana.»
Strizzo le palpebre. «Si, va tutto a meraviglia.»
«Ok, hanno appena citofonato. Ci vediamo dopo.»
Riaggancia ed io abbasso le spalle appoggiandomi alla parete. Inspiro ed espiro poi risalgo le scale camminando lungo le stradine che ho imparato a conoscere e che ho esplorato durante i miei momenti di svago.
Qui nelle vicinanze ci sono alcuni dei miei negozi preferiti. In uno compro i cioccolatini che adora tanto Emerson poi mi fermo davanti la vetrina dei cuccioli. Osservo i gatti, sembrano così tristi...
Il telefono segna una notifica.
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...