«Mi sembravi una persona come tante. Poi però, in mezzo a tutto questo caos sei arrivata, ti ho vista. Non sei come le altre. E nel mio silenzio più assordante sei stata l'unica in grado di urlare e fare un gran casino.»
Riscossa da una piacevole sensazione di tepore e benessere mai provato negli ultimi anni, apro lentamente le palpebre. Qualcosa nel mio modo di dormire non va, me ne rendo conto solo quando sento di essere avvinghiata ad un corpo estraneo massiccio.
La mia guancia è premuta sul suo petto. Il tessuto del maglione è morbido, ha un odore buonissimo a riscaldarmi la pelle. La gamba lievemente piegata sulla sua vita, il braccio sul fianco ad incastrarlo nel mio esile corpo. Comoda seppur contorta nella posa, sussulto interiormente.
Non oso muovermi. Non oso neanche più respirare. Qualcosa mi dice di non farlo, di non staccarmi. Di non lasciare la presa spezzando così la magia.
Forse sto sognando, sussurro a me stessa stringendo gli occhi per aggrapparmi allo stato di dormiveglia prima che sia tutto finito.
Ma ogni dubbio, si dissipa quando sento la sua mano sulla testa. Mi sta accarezzando i capelli. Lo fa lentamente.
Questo suo gesto, mi mozza il fiato.
No, non sto sognando.
«Sei l'improvviso in mezzo alla calma. L'imprevisto in mezzo all'ordine.»
Non posso più stare ferma. Devo muovermi. Ordino alla mia mano di staccarsi dal suo fianco. Risale sul suo petto piano, senza indugio o fretta, fermandosi sul collo dove ascolto i suoi battiti fino a raggiungere la sua guancia.
Trattiene il respiro, entrando in apnea.
Finalmente trovo il coraggio. Stringo lievemente la presa affondando le dita sulla sua nuca abbassandogli così il viso.
Sollevo il mio e i suoi occhi. Dio, occhi come i suoi non ne ho mai incontrati. Arrestano i miei battiti, il respiro e poi me lo ridonano in modo più intenso. Come le onde che continuano ad abbattersi contro gli scogli.
«Sei sveglia?»
«A quanto pare, adesso si», rispondo a bassa voce.
Mi piacerebbe sentire ancora le sue parole, i suoi pensieri, quelli che non lascia uscire forse per paura di spaventarmi.
Capisco dalla sua domanda che cosa fare e mi stacco rimanendo stesa su un fianco, dandogli così il suo spazio. Quello che gli ho sottratto durante il sonno, del tutto inconsapevole delle mie azioni.
Dovrei sentirmi in imbarazzo, non lo sono poi così tanto. In fondo, sono stata proprio io ad obbligarlo ad abbracciarmi, a dormire. Ma, a quanto pare mi ha solo cullata fino adesso.
«Avevo dimenticato di avvertirti. Mi muovo troppo nel sonno. A volte parlo persino.»
Chiude per qualche istante gli occhi forse concentrandosi. «No, niente discorsi nel sonno, ti sei solo girata e aggrappata come un koala.»
Sorrido. «Già. Potevi svegliarmi.»
Scrolla la testa. «Mi hai minacciato e io ho seguito il tuo ordine. Non mi sono mosso.»
Arrossisco. «Ho avuto una pessima reazione, mi dispiace.»
La sua mano scivola sul materasso avvicinandosi timida alla mia. «No, eri agitata. Non volevo turbarti ulteriormente non facendomi trovare a letto.»
«Sto invadendo i tuoi spazi...»
Provo ad alzarmi a metà busto ma la sua mano mi ferma. «È bello avere qualcuno in casa. Ammetto di non essere abituato ancora a condividere i miei spazi in questo modo ma... non mi dispiace la tua presenza nel mio letto, sotto le lenzuola.»
Sento le guance infiammarsi. «Non abituarti. È solo un caso. Hai un letto comodo», ammetto. «Non sono solita dormire ovunque e con chiunque quindi ritieniti...»
Mi avvicina. I miei muscoli si tendono. «Fortunato?» alza il labbro. «A quanto pare il mio letto è comodo e io ti sto simpatico, altrimenti non avresti mai e poi mai dormito abbracciata e così serena insieme a me.»
Sporgendosi aggiunge: «devo ricordarmi però che non hai mai fatto niente con nessuno. Quindi che deve essere anche per te una novità questa. Anche se crei certi video...»
Rido spingendolo affettuosamente. «Devi per forza ricordarmelo?»
Annuisce divertito. «Mi sembra ovvio.»
Ride poi torna serio. «Posso chiederti...»
«Come mai sono ancora vergine?» mi alzo a metà busto appoggiando la schiena alla testiera del letto, tirando la coperta e lisciandola con i palmi. Gioco con una ciocca poi con un pelucco invisibile. «Non sono pudica. Non ho mai trovato il momento», dico incupendomi.
Si fa attento. «Tutto qua?»
«No», ammetto. «Ho aspettato perché non era tra le mie priorità. Non era qualcosa da prendere alla leggerezza. Ho trovato una persona che ha rispettato il mio volere, i miei tempi. Solo che quando ero più che certa... le cose sono andate per il verso sbagliato. Per me è sempre stato un argomento privato, intimo e particolare. Non mi sono mai vergognata nel dire di non avere mai avuto esperienza a letto perché ho preferito aspettare e fare altro. Potrò anche apparire all'antica ma non è così, visto che ho messo la mia verginità all'asta per pagare un debito non mio.»
Parlo senza riflettere. Gesticolo ampiamente.
«E ti penti della scelta che hai preso?»
«Di aspettare?»
«Si, ti penti di avere aspettato e di dovere cedere qualcosa di così importante per te a qualcuno che accumula vittorie o...»
«Pentita no. Magari succederà con qualcuno che non sia vecchio o maniaco e possibilmente mi piacerà pure. Però ammetto di avere un po' di paura.»
«Non devi farlo per forza», sfiora le mie dita giocandoci. «Hai un lavoro... più di uno...»
«Già. Ma se non riuscirò a raggiungere la somma entro il mese che mi hanno concesso, mi toccherà controllare la lista dei pretendenti.»
Arriccio il naso e le sue dita lo sfiorano. «Posso offrirmi volontario?»
Ride quando gli mollo una cuscinata. «Tu devi stare al tuo posto caro MisterX dei miei stivali!»
Mi afferra senza darmi un preavviso. Strillo trovandomi tra le sue braccia. Mi tiene stretta da dietro.
«Adesso dormi, è ancora notte e non hai chiuso occhio se non per circa un'ora.»
Mi metto comoda. «Vale anche per te.»
«Si», sussurra e sporgendosi spegne la luce. «Ps: mi piace tenerti tra le braccia ma odio quando mi allontani. E per la cronaca potrei offendermi per non avere considerato anche me tra i pretendenti.»
«Lo terrò a mente. Dovrei considerarti un pretendente o un amico?»
«Uno e l'altro? Anche se ancora non siamo amici.»
«Ma stiamo dormendo insieme», rispondo divertita per metterlo in difficoltà.
«Fa finta che questo sia per ottenere punti amicizia.»
Trova sempre la soluzione e la risposta a tutto. È incredibile.
Il silenzio riempie la stanza. Massaggio la sua mano. «Trav...»
«Uhm?»
«Non sei un mostro. Sei un ragazzo meraviglioso. Tienilo a mente.»
«Grazie», mormora lusingato.
«E per la cronaca, sto dormendo insieme a te perché prima o poi saremo amici.»
Sento il suo sorriso sulla nuca e migliaia di volt mi si scaricano lungo la spina dorsale. Ansimo schiudendo la bocca e mordo il labbro per trattenere il gemito.
«E io che pensavo dormissi con me perché in fondo ti sto simpatico», risponde con sarcasmo. «Ricorda: nessuno ha mai dormito nel mio letto. Nessuno ha mai invaso così tanto la mia vita. Stai infestando tutto.»
«Perché ti sto anch'io simpatica», sorrido tenendo gli occhi chiusi.
«No, perché hai sfasciato il mio mondo.»
«Lo prendo come un complimento.»
«Lo è. Adesso dormi, piccola creatura sdraiata nel mio letto.»
Lentamente, guidata dal silenzio in camera, dai rumori provenienti dall'esterno e dalla pace che rigenera ogni mio senso, scivolo in un sonno tranquillo. Sento le ossa appesantirsi come piombo e mi perdo in un sonno senza sogni.
Ma, ancora una volta, qualcosa mi fa sussultare strappandomi via dalla tranquillità.
Spalanco gli occhi massaggiandomi una tempia.
Sento come un respiro strozzato e accendo la luce. Abbagliata dalla luce, passo il palmo accanto, credendo di essere rimasta di nuovo sola. Non è così. Travis c'è ancora.
Mi volto e lo vedo. Tiene gli occhi chiusi e stretti, la mascella contratta in una smorfia di dolore. Trema come un ramo colpito dal vento. Il suo petto viene scosso dall'affanno e ansima continuando a sussurrare qualcosa muovendosi come se dovesse parare una serie di colpi.
Intuendo quello che sta succedendo, con cautela, mi avvicino a lui posando le mani sulle sue braccia per tenerlo fermo mentre si agita con più forza.
Guardo intorno smarrita. Apro il cassetto dalla sua parte cercando un tranquillante, qualcosa, ma non c'è niente.
In preda ad un forte senso di paura che si mescola a quello di protezione, lo abbraccio stringendolo al petto.
Quando il suo viso affonda sul mio seno, coperto dal maglione, sento bruciarmi la pelle, tanto è caldo il suo respiro affannato.
«Sssh, va tutto bene.»
Accarezzo la sua schiena mentre mi si aggrappa addosso con una forza inimmaginabile. Sento proprio la pressione del suo corpo sottoposto a chissà quale tortura.
«Trav, va tutto bene. Sssh, è solo un brutto sogno», sussurro provando a staccarlo. La sua presa inizia a farmi male.
«No... non farlo!» urla forte balzando a metà busto sudato e affannato, mollando la presa dal mio corpo.
Si volta trovandomi spaventata e spaesata come una conchiglia lasciata in giardino.
Scuote la testa mettendo la faccia tra le mani. Noto il sudore colargli dalla fronte e i palmi tremare visibilmente.
«Volevi capire perché non posso...» cerca aria. Il viso rosso a causa dell'affanno.
«Ecco perché non dormo!» ringhia prendendo ulteriormente fiato.
Mi avvicino a lui nonostante sia ancora sconvolta. Le mani avanti come se avessi una tigre con le fauci piene di sangue pronta ad azzannarmi.
«Era solo un incubo. Non è successo niente.» Provo a calmarlo.
La sua testa oscilla. «Vedo come mi guardi. Ti ho fatto male», passa le mani tra i capelli scrollandole rabbiosamente. «Cazzo!» urla stringendo i pugni.
«Trav, non è niente. Hai solo stretto la presa quando ti ho abbracciato. Non mi fa neanche male.» In realtà, mento. Lo faccio per non sconvolgerlo. So di avere un grosso livido sulla spalla e sul braccio.
«Stai mentendo!»
Sussulto. «No, davvero. Non è niente.»
«Ti sbagli», urla. «Invece è tutto!» sbraita alzandosi dal letto. Si volta. «È tutto!» ripete con occhi rossi.
A grandi falcate raggiunge la porta. Spalancandola come se dovesse scardinarla, esce dalla stanza e una volta fuori, in corridoio, la sbatte alle sue spalle.
Il tonfo mi fa sobbalzare. Lo stomaco si contrae così tanto che dalla mia bocca esce un respiro strozzato.
Rimango stordita. Non mi capacito. Sento freddo nelle ossa, dentro il cuore, nella mente dove iniziano ad apparire le prime paranoie, i primi sensi di colpa.
Sentendomi una perfetta estranea e, in parte colpevole per quanto è appena accaduto, porto le gambe al petto.
Inspiro ed espiro a piccole boccate mentre l'aria attorno sembra essersi caricata di gas diventando irrespirabile, opprimente.
In silenzio, rallento il rumore del mio respiro che si mescola a quello del mio cuore in tumulto.
Che cosa destabilizza così tanto Travis da renderlo così scostante? Perché è così spaventato?
Scendo dal letto. Traballo. Le mie gambe per poco non cedono alla pressione. Ho bisogno di un bicchiere d'acqua e di calmarmi. Ho bisogno di capire cosa sta succedendo.
Ciò che ho appena visto è stato difficile da descrivere. Percepivo il suo dolore, intenso e ancora vivido. Come se lo provassi insieme a lui.
Deve essere stato un incidente orribile quello che ha vissuto se non riesce ad uscirne.
Sguscio fuori dalla stanza camminando piano, con il passo malfermo e appesantito da un orribile senso di tristezza, verso la cucina.
Poco prima di svoltare a destra però, sento qualcosa. Tendo l'orecchio mettendomi in allerta.
Segue un rumore assordante. Un frastuono, un ringhio e poi l'affanno. Quello di un attacco di panico.
Mi avvicino alla porta del bagno. La mano sulla maniglia. Prendo coraggio spingendola lentamente, facendola scorrere. Sbircio all'interno e lo vedo sotto la pallida luce dei fari.
Il mio stomaco si contorce, il cuore si ferma.
Ha tolto la maschera. Stringe i palmi sul lavandino così tanto da avere le nocche e i polpastrelli bianchi. Respirando a fatica, come un fumatore accanito ad una maratona. È così in preda al panico da non riuscire a capacitarsi. Così tanto affannato e agitato da potere svenire da un momento all'altro.
Tossisce pesantemente tirando il colletto del maglione prima di sfilarlo via a forza, quasi strappandolo per liberarsene come se questo fosse un peso intollerabile, un qualcosa di ardente sulla pelle imperlata di sudore.
Lo getta incurante e irritato in un angolo guardando davanti a sé, mentre continua a respirare pesantemente. Annaspa persino. Trema. Scuote la testa più e più volte, picchia il pugno sulla superficie di ceramica del lavandino con una forza tale da farmi sussultare. Tappo la bocca indietreggiando, appiattendomi alla parete che mi sorregge.
Travis, ignaro della mia presenza, apre il getto dell'acqua freddo bagnandosi il viso deturpato dalle cicatrici profonde guardandosi allo specchio con disprezzo, prima di assestare un pugno sullo specchio, spezzando così la sua immagine riflessa.
Assistendo ad una simile scena, non resisto. Mi fa stare male vederlo così. Ricordo quando a Dan arrivava uno dei suoi attacchi di panico e non riusciva neanche a muoversi. Ricordo cosa mi diceva di provare tutte le volte mentre se ne stava pietrificato, incapace di riprendere il pieno controllo.
Apro del tutto la porta. Sentendo il rumore, in seguito al mio gesto improvviso, sussulta e in breve, come un animale ferito e spaventato, dandomi le spalle indossa nuovamente la maschera. Rimane però a petto nudo.
Ed io non posso non guardare quei segni a solcare bruscamente la sua pelle liscia. Le sue spalle, sono piene di segni. Una lunga cicatrice gli sfiora la spina dorsale.
«Esci da qui!» urla annaspando.
Chiudo piano la porta avanzando senza paura ma in punta di piedi.
«Ti prego, esci da qui!» cantilena tra i denti emettendo un verso stridulo e strozzato.
Non gli do ascolto avvicinandomi ancora. «Ho detto... esci fuori!»
Apro e richiudo la bocca. Abbassandomi come se mi trovassi in una zona piena di bombe, sollevo meccanicamente il maglione da terra sistemandolo sul ripiano piastrellato dove si trova il lavandino e uno specchio a parete rettangolare.
«Guardami», parlo con un tono di voce calmo. «Sono io.»
Le sue spalle sussultano al suono basso della mia voce. Nega come se stesse sognando e non volesse illudersi. Posa il palmo sul petto piegandosi lievemente in due boccheggiando.
Mi avvicino ancora. Il piede preme su una scheggia facendola scricchiolare.
«NO!» urla di un'ottava facendomi sussultare. «Bambi, vattene immediatamente da qui!»
«Stai solo avendo un attacco di panico.»
Cerco di evitare le schegge di vetro dovute al bicchiere scagliato a terra e agli altri oggetti di ceramica. Ci sono persino i resti di una candela profumata, quella dentro il barattolo.
«E tu devi uscire dal bagno. Fallo! Vattene!»
«Trev, guardami», lo prego.
Respira sempre più a fatica e mi sento stordita dalla sua reazione così ostinata, dal suo tenermi lontana, come se potessi rompermi in mille pezzi.
Decisa a non dargliela vinta, poso una mano sulla sua spalla stringendo la presa. Non si volta. Si irrigidisce maggiormente stringendo i pugni in vita poco prima di picchiarli contro le piastrelle.
Indietreggio allarmata. Su due piedi penso ad un'altra soluzione. Mi siedo sul bordo del lavandino. Nell'unico rettangolo rimasto libero dai cocci, facendo attenzione a non tagliarmi. Guardo per sbaglio lo specchio lesionato e rabbrividisco.
Da questo punto, lui non è poi così distante. Afferro la sua mano facendolo girare verso di me.
I suoi occhi sono apparentemente accecati. Non vede niente. Da questo comprendo quanto lontano si è spinto raggiungendo quel posto buio carico e impregnato delle sue più profonde paure.
«Avvicinati. Non avere paura di farmi male», lo incito.
Strizza la palpebre anche se a distanza l'una dall'altra. Dalla sua bocca esce un rumore strozzato. Un rantolo grottesco.
«Bi, allontanati da me», si ingobbisce tossendo. «Fallo!»
Strattonandolo lo avvicino ulteriormente. Apro le cosce sistemandolo nel mezzo, incastrandolo, braccandolo di proposito. Afferrando la sua mano sfilo subito il guanto portandola al petto.
«Bambi...»
Notando che non si calma, sfilo via la maglietta rimanendo in reggiseno riprovando. «Lo senti? È il mio cuore. Come batte? Trev, concentrati e dimmi come batte», uso un tono autoritario.
Stringe gli occhi e le labbra serrando i denti fino a farli stridere. «Cazzo!» scrolla la testa. «No!»
«Concentrati. So che ci riesci. Dimmi come batte. Ascoltalo... ascoltami.»
Premo maggiormente il suo palmo sul mio petto. Lui ci prova questa volta ascoltando la mia supplica. «È... forte», si agita.
«Ok. Adesso...» poso la sua mano sotto il collo premendo le dita nel punto esatto in cui si sente il battito. «Adesso, quanto batte?»
«Forte. È ancora forte», ansima.
Porto la mano sulla mia guancia. Non mi curo delle cicatrici presenti sul sorso, simili ad ustioni, baciandogli il palmo. «Lo senti?»
Conferma. «Si.»
«Guardami.»
Lo fa. «Segui i miei battiti, il mio respiro, il mio calore, la mia voce», porto nuovamente il palmo sul mio petto. Inspiro ad espiro come d'esempio e lui ci prova. Fatica ma ci prova.
Frustrato scuote la testa. «Non funziona...»
Abbasso i suoi palmi sui miei fianchi. «Trev, ho bisogno di te. Tienimi o cadrò in mezzo ai cocci e mi farò male», provo.
Guarda subito a terra stringendo le dita in riflesso.
Afferro il suo viso facendolo sussultare, lamentare. «Inspira ed espira insieme a me, con me. Non lasciarmi cadere», scivolo ulteriormente verso di lui. Mi trattiene.
«Così, respira piano e non lasciarmi andare.»
Passo il palmo sulla spalla segnata da una lunga cicatrice. Lo avvicino. «Bravo, continua così, respira piano.»
Lentamente riprende a respirare. In breve allenta la presa sui miei fianchi. Scivolo davanti dopo avere perso l'equilibrio e usa la forza. Inarco la schiena quando la mia vita va a scontrarsi alla sua.
Prendo ancora il suo viso tenendolo fermo. Lui appoggia le labbra morbide sulla mia fronte. Lo abbraccio in riflesso e ricambia, cercando conforto.
«Grazie.»
«Sssh», provo a togliergli la maschera ma si scansa. «No, lasciala. Non sono pronto. Stai già vedendo tutto questo scempio...»
Sfioro la spalla, il petto intaccato da piccoli segni simili a schegge conficcate nella carne, il collo e poi ancora il viso avvicinandolo. «Non mi importa. È solo pelle. Sta già guarendo.»
«Importa a me!»
Decido di non provocarlo ulteriormente. Percepisco il suo disagio. Inoltre, so che potrei ottenere l'effetto opposto con questo atteggiamento. «Va meglio?» chiedo in modo dolce.
Annuisce abbassando le spalle. «Si, ma non del tutto.»
Respira ancora come se avesse corso per ore. Stringo la presa sul suo viso. «Guardami», sussurro ma con un tono autoritario.
Inizialmente è sfuggente poi i suoi occhi risalgono lungo il mio corpo regalandomi una scossa fredda simile ad acqua che scorre sulla mia pelle sensibile.
«Ti guardo», mormora abbassando il viso.
Le mie dita accarezzano la sua pelle. Avvicino il suo viso così tanto da costringerlo a trattenere il respiro. Poso le mie labbra sulla cicatrice.
Questa, parte dalla guancia nascondendosi sotto la maschera. Il mio bacio raggiunge lo stesso la sua pelle. Freme costringendo se stesso a non ritrarsi, a stare fermo.
Sentendo freddo, indosso nuovamente il maglione. Guardo la sua mano. Sotto il guanto che ho tolto, nascondeva altre bruciature. Queste però terminano con dei segni simili a tagli. Rigiro la mano osservando il polso e lui si ritrae. Improvvisamente a disagio, guarda tutto il disordine creato come se si accorgesse soltanto adesso di dove ci troviamo e di ciò che ha fatto.
«È imbarazzante», ammette.
Scendo dal ripiano. I miei piedi rischiano di scivolare o toccare le schegge di vetro. «Dobbiamo disinfettare questa», indico la mano con cui ha colpito lo specchio e le pareti. «Hai della garza e del disinfettante da qualche parte?»
Indica il cassetto del mobile alto accanto al ripiano del lavandino.
Aprendolo recupero quello che serve. «Andiamo», tenendo tutto stretto al petto gli porgo la mia mano.
Inizialmente non si muove. Notando la mia tranquillità, come un bambino, accetta lasciando che lo porti in soggiorno.
Poso tutto sul divano accendendo la lampada posta sul piccolo mobile accanto al bracciolo. La luce ferisce i miei occhi. Ci metto un paio di secondi ad adattarmi.
Mi siedo accanto a lui portando in grembo la mano. La disinfetto e non batte ciglio. Fissa solo il livido con distacco. Come se l'arto non fosse il suo. Come se meritasse un simile dolore. Lo sta incanalando dentro punendosi.
«Per fortuna non ci sono schegge», rigiro la garza per bene.
«Come fai?»
«A fare cosa?»
«Ad essere così calma dopo che...»
Poso il palmo sul suo viso accarezzandogli la guancia. «Hai solo avuto un attacco di panico.»
Nega. «No, tu hai mantenuto la calma. Tu...»
«Il mio amico ne soffre praticamente da sempre. Una volta per calmarsi ha picchiato un pugno tanto forte contro il vetro della finestra da mandarlo in frantumi. È sempre stato forte di corporatura ma debole dentro. Adesso fa il buttafuori e il cuoco nei suoi locali. Non è la prima volta che ne vedo uno. Hai avuto un brutto momento, tutto qua. Capita a tutti.»
«Anche tu ne soffri?»
Trova conferma nei miei occhi. «A volte mi sveglio e non riesco a muovermi così urlo, urlo forte. Sono bloccata. Questo perché la mia mente torna velocemente alla realtà mentre il mio corpo è ancora nel sonno. È terribile, un po' come avere gli incubi. Ma con il tempo ci fai l'abitudine e inizi a reagire.»
Alza il mio viso. «Non volevo mostrare questo lato di me.»
«Per questo allontani le persone?»
«Non voglio avere un attacco di panico mentre sono fuori e spaventare la gente più di quanto non faccia già o mentre provo a riposarmi. Non voglio fare male a qualcuno. Non dormo mai di notte e non sopporto mostrare tutto questo...»
Guardo la sua mano. «Non sopporti neanche la vista del sangue. Ecco perché ti sei definito un vampiro. Perché non riesci a dormire», sussurro.
«Capisco se vuoi andare...»
«Trav, hai solo avuto un attacco di panico. Adesso è passato. Vuoi un pizzicotto?»
Sul sopracciglio gli si forma una ruga. «Come fai...» boccheggia tremando.
Mi sporgo tenendo fermo il suo viso. «Quando hai un attacco di panico, tutto sembra restringersi e trascinarti indietro. Ma non è possibile tornare indietro. Tu sei qui, adesso. Sei qui. Non sei indietro ma sei nel presente. Se dovesse succedere ancora, ripeti: "io sono qui. Esisto!"»
Si irrigidisce. «Come hai detto?»
Staccandosi corre in cucina a prendere un bicchiere d'acqua. Lo tracanna in poche sorsate versandosene un altro. Si appoggia poi contro il frigo alzando il viso, chiudendo gli occhi.
Inspira ed espira piano trasmettendomi la sua angoscia. Deve essere stato difficile per lui. Deve avere subito chissà quale trauma. Non dovrebbe essere così solo.
Mi avvicino e si scansa. Notando la mia reazione, sentendosi in colpa, mi tira a sé abbracciandomi, tenendomi così stretta da farmi sentire un tutt'uno con il suo corpo da gigante. Mi sento così piccola tra le sue braccia.
«Sei la prima che ha visto tutto questo», sussurra sulla mia spalla.
Mi reggo malamente sulle punte dei piedi. «Non lo dirò a nessuno. Te lo prometto.»
«Bene, perché altrimenti dovrò ucciderti», dapprima mi guarda in modo inquietante poi sul suo volto torna il bel tempo. Le nuvole si scansano lasciando spuntare il sole.
Sciogliendo l'abbraccio provo a trascinarlo in camera. Ha bisogno di dormire e io di stendermi un momento.
Mi blocca. «Devo pulire. Potresti farti del male qualora avessi bisogno del bagno. Inoltre ho bisogno di un caffè.»
«Pensa al caffè. Del bagno mi occupo io.»
Recupero una scopa e una paletta che si trovano disposte su un carrellino con un cestino, trascinandolo verso il bagno inizio a togliere dal pavimento i cocci di vetro.
Alzo lo sguardo osservando lo specchio. Travis ha proprio colpito il centro e così forte da creparlo quasi del tutto, fino a staccarne un paio di pezzi.
Lo sfioro con le dita. È così che deve sentirsi. Una scheggia di vetro in grado di riflettere la sua vita. Quella che gli è stata strappata via con violenza.
Getto i resti dentro il sacchetto.
«Non dovevi...»
«L'ho fatto per tenermi impegnata. Neanche io riesco a dormire bene ultimamente. È pronto il caffè?»
Guarda lo specchio con ribrezzo. Stringe a pugno la mano coperta dalla garza. «Si», sussurra sparendo.
Raggiungo la cucina ma lui non c'è. Ha lasciato la tazza fumante per me sul bancone. Prendendola mi sposto in camera dove si sta rivestendo.
Dentro l'armadio noto tanti maglioni tutti di colore scuro. Non c'è più nessun colore nella sua vita. Un po' come nella mia.
Mi siedo sotto la coperta sorseggiando il caffè. Ci ha messo dentro un po' di cannella. Soffio sulla tazza annusando il tipico odore dolciastro che sale dal liquido.
Vedendo che sta per uscire dalla stanza mi affretto a fermarlo. «No», la voce mi esce stridula.
Poso la tazza sul comodino e alzandomi malamente dal letto, rischiando di cadere, lo raggiungo in due semplici falcate afferrandogli il polso nuovamente coperto dal guanto. «È ancora buio.»
«Bi, io non posso dormire. Hai visto anche tu quello che mi succede.»
«Non dobbiamo per forza dormire. Parliamo.»
Valuta la mia proposta. «Hai fame?»
«Non cambiare discorso. Vuoi venire a letto...» mordo il labbro. «Hai capito...» balbetto arrossendo.
Posa l'indice sulla mia guancia ormai in fiamme. «Prendo degli snack e poi vengo a letto con te», esclama roco. «Rimettiti a letto. Non voglio che prendi altro freddo.»
Si sta riferendo a prima. «Va bene», sussurro lasciando a rilento la sua mano. Indietreggio rimanendo costantemente inchiodata ai suoi occhi.
Assicurandosi che io sia sotto le coperte, esce dalla stanza.
Guardo intorno sentendomi meno a disagio di quanto dovrei essere. Sono in casa di un uomo. Sto dormendo nel suo letto. Non sono mai stata tanto invasiva nella vita degli altri. Mi sono sempre mantenuta a distanza. Ma con lui, non ci riesco. Bramo quasi la sua vicinanza perché mi piace come mi fa sentire.
Torna dopo qualche minuto con un vassoio pieno che sistema al centro, creando una barriera tra di noi.
Appoggiata alla testiera, porto le gambe al petto giocando con la carta di una pralina. «Hai delle domande», interrompo il silenzio.
«Perché ti sei spogliata?»
«Era l'unico modo. Non avresti percepito niente con la mano sul tessuto. Pelle contro pelle invece... era più diretto come contatto.»
Rigira una confezione di reese's tra le dita. «L'avevi già fatto prima per il tuo amico e sapevi che avrebbe funzionato?»
Lecco le labbra. «Spogliarmi per recuperarlo dalla nube tossica di un attacco di panico? No. Però conosco quello che serve per aiutarlo. Con te è stato diverso e prima che tu lo chieda, non lo farei per nessun altro. Togliermi la maglietta intendo.»
Riflette sulla mia risposta. «Ti ho costretto a...»
«No. Non mi hai costretta. Sono stata io. Non sentirti in colpa per questo. Inoltre, hai avuto conferma su cosa indossavo sotto oggi.»
Sorride finalmente. Questo mi fa rilassare. Mastica lentamente e notandomi attenta ad ogni suo movimento mi tappa gli occhi. «Smettila!» mi rimprovera.
Spingo via la sua mano. «Davvero io non capisco di cosa hai paura. Non sei come pensi di apparire. E questa...» indico la maschera. «Non serve.»
Dilata le narici. «Serve se ci sono dei bambini intorno e tu devi seguire la fila. Devi vedere come mi indicano nascondendosi dietro le gambe dei genitori quasi divertiti.»
Inarco un sopracciglio. «Perché non vuoi credermi? Per loro sei un Avengers!»
Ride scrollando la testa. «No, per loro sono un mostro. Arrivati a casa combineranno una marachella e quel genitore distratto dirà loro che se continueranno a fare i cattivi arriverò io per punirli, di notte. O peggio: che mi troveranno sotto il letto.»
Sbuffo. «Sei di coccio. In quanto a fantasia poi... chi è adesso che legge troppi libri?»
Gratta la tempia. «È un dato di fatto, Bi.»
Non lo accetto. «No, non lo è.» Sospiro guardando l'ora. «Non lo è per me.»
Si accorge del mio gesto. «Non tornerai più, vero?»
Mi sporgo. «Ci vuole ben altro per non farmi tornare e a spaventarmi. Ho visto cose peggiori di una maschera e qualche cicatrice in via di guarigione.»
Il suo respiro spezzato dal mio gesto mi solletica la pelle. Sfioro di proposito le sue labbra. «Poi sei il mio capo, ricordi?»
Alza il labbro e le mie ginocchia tremano. La sua mano mi accarezza il viso, i capelli, la spalla. «Hai impegni per oggi?»
«Molti. È domenica quindi non essendoci il lavoro, dovrò raggiungere zia Marin, passare con lei quasi tutto il giorno.»
Ascolta attento ogni mia parola osservando ogni espressione. «E poi?»
«Mi stai chiedendo di uscire?»
«Non la metterei così. Sai che...»
«Odi gli spazi ristretti e pieni di gente. Lo so.»
Sembra incupirsi. «Presumo che allora ci vedremo la prossima settimana.»
Spalanco gli occhi. Così tanto tempo da passare lontana da lui. Se prima il pensiero mi rincuorava adesso mi turba.
«Dove ti piacerebbe andare?» Chiede.
«Ora come ora a fare una passeggiata, magari al cinema. Comportarmi da persona normale.»
Riflette su. «Non posso accompagnarti...»
«Il film delle undici. Il cinema è quasi vuoto a quell'ora.»
Apre la bocca. «Ma, in giro...»
«Il cinema e poi pizza a casa mia?»
Alza il labbro. «Ok, ma la pizza e il cinema lo offro io.»
Provo a dissentire. «Perché sei costretta ad uscire di notte e, vedilo come un appuntamento.»
Faccio una smorfia. «Non indosserò abiti striminziti per compiacerla, MisterX», brontolo.
Sorride appoggiando la testa sulla mia pancia. «Mi basterà sapere che intimo indossi, B», replica divertito.
«Trev», spalanco la bocca fingendomi sconvolta.
Alza il viso. «Passo a prenderti per le dieci», sporgendosi mi sfiora la gola.
Un gesto spontaneo il suo ma che mi riversa addosso una valanga di emozioni forti, ingestibili al momento.
Scivolo via dal letto sentendo il mio corpo formicolare. «Ok, adesso però devo tornare a casa o sarò di nuovo in ritardo.»
Si alza anche lui. «Ok, ma non darmi buca con una scusa o sarò costretto a presentarmi a tua zia come il tuo protettore.»
Non mi sento offesa perché so che si sta riferendo alle parole di zia Marin sull'essere caduta in un brutto giro. In questo caso però, facendo video sensuali, il mio 'protettore' non è lui, ma Emerson.
«Ne ho già uno», gli faccio la linguaccia. «È ha le tette.»
Ride passando la mano sul viso. «Ok, la situazione sta degenerando. Ti accompagno a casa.»
«Ho bisogno di camminare. Di prendere aria.»
«Ti lascio alla fermata della metro, quella vicino al tuo quartiere.»
Mi sta guardando di proposito come un cucciolo indifeso.
Che stronzo manipolatore!
«Ok, ma offro io la colazione. Tranquillo, è un locale dove non è possibile sostare e farò veloce.»
Ci riflette. «Nessuno mi ha mai offerto la colazione. Intendo nessuna donna.»
Sorrido alzando le spalle. «C'è sempre una prima volta. Andiamo, protettore dei miei stivali!»
Ride e in corridoio mi circonda le spalle con un braccio. Un gesto che mi fa sentire al sicuro.
Mi stupisce come in pochissimo tempo siamo giunti ad un punto di non ritorno. C'è una strana sintonia tra di noi. Non mi dispiace il modo in cui mi fa sentire. E non intendo fragile o esposta. Io mi sento forte quando gli sto accanto. Così forte da sapere esattamente cosa voglio e cosa fare.
In auto la temperatura sembra però cambiare. Lui taciturno e io con la testa piena di pensieri.
«Non ti sto abbandonando», gli ripeto quando ci fermiamo a poca distanza dalla caffetteria. Nascosto sotto la visiera del cappello annuisce. «Non reagirò come ieri, promesso.»
Noto l'ombra di un sorriso timido e mi rilasso.
Esco dall'auto prendendo la colazione nell'unico locale che conosco dove non è possibile sostare. Qui ci vengono tutti i lavoratori, le persone che non hanno il tempo di sedersi e sognare.
La caffetteria è un rettangolo. Enorme e lungo il bancone con le vetrine ambo i lati, piene di squisitezze da portar via. Dietro, le macchine per il caffè, per il frappé, le brocche piene. Le pareti sono colorate allegramente e il pavimento è semplice, a scacchi. L'aria odora di chicchi appena tostati e cacao.
Quando torno in auto, ferma nel parcheggio a pochi passi dalla caffetteria e a pochi metri di distanza dal mio quartiere, trovo Travis pensieroso.
Gli porgo il bicchiere mostrando il contenuto dentro la busta di carta. I suoi occhi però sono dritti e fissi nei miei. Sta cercando di sussurrarmi qualcosa. Sta cercando di trasmettermi un messaggio nascosto dalle sue iridi così diverse.
«Sono davvero dispiaciuto per prima...»
Avvicino il muffin ai mirtilli alle sue labbra. «Un morso?»
«Sono serio!» replica scansandosi.
«Anch'io quando dico che va tutto bene.»
Rotea la testa alzando gli occhi, sospirando pesantemente. «Chi è che adesso mantiene la calma?»
«Uno dei due deve pur farlo», mostro i denti in un sorriso stupido poi gli passo di nuovo il bicchiere di caffè che afferra bevendone un sorso.
«Conosci i miei gusti in fatto di caffè e muffin. Adesso chi è la stalker?»
Rido. «Ho tirato ad indovinare. Non mi piace scegliere quando ho davanti troppe cose buone perché prenderei tutto, morendo felicemente per overdose da zuccheri.»
Spezzo il muffin al fondente mangiucchiando come un uccellino guardando la strada davanti.
Travis si mette comodo sul sedile. Pulisce l'angolo della bocca. «È la prima volta che faccio colazione in pubblico», abbassa il viso quando delle auto si fermano e da queste scendono delle persone.
Lo sollevo con due dita. «La tua auto ha i vetri oscurati. Nessuno ti vede e a nessuno importa davvero chi sei o cosa hai fatto. Prima o poi te ne accorgerai e capirai di avere perso tempo. Qual è la cosa che più ti manca fare di giorno?»
Stringe la carta del muffin tra le dita. «Sono tante le cose che non faccio più, Bi.»
«Dimmene una»
«Nuotare? Andare a fare la spesa? Prendere il giornale o un caffè? Sono cose apparentemente monotone ma che quando te ne privi, vedi come speciali.»
La sua tristezza mi lacera il cuore. Avvicinandomi poso la testa sulla sua spalla. «Sai cosa manca a me?» parlo piano. «Potermi alzare dopo avere dormito bene e a lungo e non avere più la paura di avere dimenticato qualcosa, un pagamento o un appuntamento di lavoro. Il sentirmi serena e priva di peso.»
«Vedrai che riuscirai a pagare quel dannato ospedale e riavrai in mano la tua vita», dice con una certa sicurezza. «Lo meriti.»
Sospiro. «Devo andare», piagnucolo.
«Lo so», sussurra dispiaciuto.
«Ci vediamo stasera», torno allegra per non demoralizzarlo.
Apro la portiera. Il cielo sembra incerto. Nuvole bianche si ammassano verso quelle grigie temporalesche. Fuori c'è parecchio freddo. Annuso l'aria e abbassandomi lo saluto ancora. «Non pensarci troppo.»
Saluta alzando la mano.
Mi incammino verso la fine del parcheggio.
«Non hai dimenticato qualcosa?»
Mi volto lentamente. Vederlo fuori dall'auto, in attesa, mi sprigiona dentro una forte sensazione di benessere. Lo sta facendo per me, mi dico.
Torno verso di lui camminando in fretta, con un sorriso che pende da una guancia all'altra. «No, non credo», dico tenendo i palmi dentro le tasche del cappotto.
Guarda ovunque lievemente agitato. «Ah no?» tira su con il naso a causa del freddo. Strizza lievemente l'occhio.
Sorrido avanzando ancora verso di lui. «No», faccio la vaga.
Abbassa velocemente il viso dandomi un bacio sulla fronte. «Adesso puoi andare», ghigna.
Lo spingo lievemente con un sorriso timido. «Terrò a mente che sei pericoloso MisterX», indietreggio. «A dopo!»
Voltandomi supero il breve tratto di strada imboccando il viale trovandomi nel mio quartiere colorato di arancio, giallo e rosso grazie alle foglie secche che scricchiolano piacevolmente sotto le suole degli stivali, mentre cammino godendomi la passeggiata all'alba di un giorno apparentemente normale.
Anche se non lo ammetto, sono già in fermento per l'appuntamento. Ma, prima di toccherà affrontare zia Marin.
Con questo pensiero, torno a casa sfoggiando un sorriso radioso.♥️
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...