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Voltandomi indietro mi rendo conto di ciò che è cambiato, di come è cambiato tutto. Mi sento diversa. Nella vita si cambia, ci si rafforza e si va avanti. Si lotta, si cade, ci si rialza. Si piange, si sorride. Ci si arrabbia. Ci si innamora. Amore, odio, delusioni, è tutto in equilibrio. Togli una cosa di queste cose e tutto si travolge, ti sconvolge.
È arrivato il grande giorno, continuo a ripetermi. Un mese di sacrificio, di corse piene di affanno. Oggi riuscirò a pagare la prima rata del debito all'ospedale in cui è stata ricoverata zia Marin tempo fa.
Mi sono svegliata all'alba preparandomi con calma per questo momento. Non me ne rendo ancora conto ma sono sugli ultimi gradini che conducono alla libertà. Mi sembra irreale.
A quanto pare non è possibile fare tutto online perché ci sono un paio di incartamenti e pratiche da chiudere, per questa ragione mi tocca recarmi nell'ufficio da loro indicato che si trova dall'altra parte della città. Un viaggio di circa un'ora in una zona che non conosco e che non ho mai visto.
Quando ho chiamato per richiedere un appuntamento, la segretaria mi ha gentilmente chiesto di raggiungerli il prima possibile. Non so per quale ragione, ma non sembrava poi così arrabbiata o pronta ad intimorirmi.
Ho solo un nome e un indirizzo scritto su un post-it. Il resto mi toccherà scoprirlo quando arriverò a destinazione.
Sono già sul treno. Sono passati dieci minuti da quando sono partita e non ho ancora percepito il cambiamento da un ambiente all'altro. I vagoni sono pieni di pendolari. C'è vocio, musica. Ci sono Io ansiosa, nervosa e ancora del tutto stupita.
Sento il telefono squillare dentro la tasca. Indosso le cuffie prima di rispondere alla chiamata in arrivo.
«Pronto?»
«Bi, che impegni hai per oggi?» chiede Emerson affannata.
Corrugo la fronte. Che ci fa già sveglia? «Che diavolo stai facendo? Non dirmi quello che penso perché è alquanto strano. Comunque oggi sarò fuori per qualche ora non so quando riuscirò a rientrare.»
«Sto correndo. Sono nella mia palestra a fare esercizi. Sei maliziosa, eh? Comunque dove stai andando?»
«A saldare una parte del debito. A chiedere se possono darmi più tempo per il resto del pagamento. Mi sembra impossibile ma ci proverò.»
«Fammi sapere se rientri prima di pranzo. Ho bisogno del tuo aiuto.»
Sento la sua voce sempre più in affanno. In questo modo non rischia di sentirsi male?
«Che cosa devi fare?»
«Sto iniziando a prendere qualche appuntamento nelle varie boutique e locali per organizzare il matrimonio. Io e Brian abbiamo deciso di fare una cena prima del nostro giorno speciale e vogliamo invitare i nostri amici. Io voglio accanto a me le mie damigelle e la mia testimone...» smette di parlare attendendo impaziente.
Inizialmente non capisco, poi poso il palmo sul petto come se potesse vedermi. «Mi stai dicendo...» batto le palpebre ripetutamente guardandomi intorno.
Uno dei pendolari mi scocca un'occhiata per capire se mi sto sentendo male. 'È tutto sotto controllo', mi piacerebbe rispondere ma sono ancora nella stessa posizione.
«Allora, vuoi essere la mia testimone?»
«Si, certo che sì.»
Strilla costringendomi ad allontanare la cuffia dall'orecchio e ad abbassare il volume. «E ti accompagnerò volentieri.»
«Mi hai reso felice. Siii» strilla ancora. «Amore, mi stai tradendo o cosa?» Brian interviene divertito. «Che succede?» le domanda. «Bambi ha detto si!» Emerson lo rende subito partecipe.
«Almeno avremo una testimone normale», replica convinto. Emerson sbuffa forse spingendolo. Lui ride.
Alzo gli occhi al cielo. Poi mi rendo conto che non avrò mai un momento simile e me lo godo per come mi è stato offerto in questa giornata.
«Ciao Bambi e grazie, hai reso la mia donna felice!» urla.
«Brian ti ringrazia e ti saluta. Adesso continuo il mio allenamento prima di andare al lavoro. Se hai bisogno chiamami.»
«Si, passa una buona giornata.»
Riaggancio controllando le e-mail, i messaggi, i social che con il passare del tempo sto accantonando per dedicarmi al lavoro, alla vita, a quei momenti reali vissuti nel bene e nel male.
Dopo circa un'ora di viaggio, finalmente esco dal vagone riprendendo a respirare a pieni polmoni. L'aria all'interno stava diventando calda, carica di odori e soprattutto di puzza di formaggio di qualcuno che, ha pensato bene di aprire il contenitore con un panino pieno di fette di formaggio con i buchi che hanno causato conati di vomito e reazioni svariate all'interno del vagone.
Nascondendo il mento sotto la sciarpa salgo i numerosi gradini grigio antracite uscendo dalla metro. Mi ritrovo in una zona piena di palazzi alti rossi. Mattoni ovunque. Alberi spogli disposti in fila in una strada ampia costellata da pali ricurvi, strisce e auto posteggiate ordinatamente.
Parecchia, la calma presente in questo quartiere. Qualcuno passeggia con il cane ma qui le auto non sembrano interessate a passare.
Aiutata dalla mappa che seguo sullo schermo del telefono, proseguo per un paio di metri in direzione nord, trovando il luogo in cui dovrebbe esserci l'ufficio designato.
Alzo la testa osservando il palazzo pieno di finestre, mattoni rossi e cornici. Davanti, degli arbusti che hanno visto tempi migliori. C'è odore di frittura nell'aria e in lontananza si sente intonare il ritornello di una canzone mentre un gatto continua a miagolare appollaiato davanti una finestra socchiusa.
Salgo i gradini del palazzo fermandomi a leggere i nomi sul citofono. Quando trovo la dicitura dello studio, premo una volta sul pulsante rotondo in oro in netto contrasto con gli altri bianchi opachi.
Il portone enorme si apre con uno scatto metallico rumoroso. Mi ritrovo in un androne spazioso ma un tantino buio. Qui c'è odore di nicotina. Davanti a me una scala larga che conduce ai vari appartamenti che si dividono in due piani. Raggiungo il secondo piano avvicinandomi alla porta con l'insegna attaccata sulla destra. Le pareti sono coperte da uno strato di carta da parati beige chiaro circondati da una cornice in legno. Lampade in alternanza, portaombrelli e tappeti davanti ogni porta. Busso energicamente attendendo impalata, aspettandomi chissà che cosa.
C'è un silenzio inquietante. Non sento urla, non sento voci. È tutto troppo tranquillo.
Ad aprire la porta una segretaria. Occhi a mandorla, una frangia scura a coprirle la fronte e un sorriso dolce. «Buongiorno», mi saluta con una voce da usignolo. Indossa un tailleur elegante scuro ed è truccata lievemente sulle guance con del fard e del mascara sulle ciglia incurvate. «Lei deve essere la signorina Stevens», mi porge la mano. Le unghie sono piccole ma curate e laccate di smalto rosso.
Annuisco stringendole la mano. «Lei deve essere la signorina Lee», replico.
«Esatto, entri pure. La stavo aspettando.»
Faccio un passo avanti. Lei guarda ovunque nel corridoio, persino al piano di sotto sporgendosi lievemente dalla ringhiera poi chiude la porta.
Mi ritrovo in un ufficio spazioso, pieno di carte, cartelle, cassettoni ordinati, blocchi di fatture, giornali ammassati accanto ad una lampada su un mobile antico, gli unici due elementi non in linea con l'ambiente. E poi ancora computer e due scrivanie. Una vetrata. Il vetro di questa sembra sporco, mai pulito. C'è puzza di muffa.
«Mi scusi se ho chiamato così tardi», inizio sentendomi a disagio mente questa mi osserva ad ogni passo con attenzione. Continua a sorridere, a scrutarmi pensando a chissà che cosa.
«No, non si preoccupi. Siamo aperti ventiquattr'ore su ventiquattro. Ha fatto proprio bene a venire. Mi dispiace per il viaggio ma attualmente stiamo cambiando sede e abbiamo trovato solo questo posto disponibile», dice parlando velocemente poco prima di passarmi una busta bianca con un timbro al centro. Noto che non è stata aperta e, anche se dovrei rilassarmi, non lo faccio.
«Si, volevo chiederle se è possibile prolungare di qualche settimana il pagamento finale», la guardo speranzosa. «Oggi posso pagarle la prima metà...»
«Signorina Stevens, non so come dirglielo», inizia schiarendosi la gola.
Trattengo il fiato immaginando svariati scenari.
«Lei ha già estinto il suo debito con l'ospedale.»
Spalanco gli occhi. «Che cosa? È... impossibile», balbetto. «Io sono venuta a posta per...»
Sento il bisogno di sedermi e la donna mi indica una sedia offrendomi subito un bicchiere d'acqua che prende da un distributore.
«Grazie», la guardo tenendo in mano il bicchiere. L'acqua è giallognola per cui non la bevo. «Ma non capisco. Deve esserci un errore. Io non ho pagato ancora niente. Avevo chiesto del tempo...»
«Abbiamo ricevuto circa due giorni fa l'intera cifra. Abbiamo preparato la lettera con tutto il resoconto e stavamo per inviarla quando ha chiamato per un appuntamento. Così abbiamo pensato fosse meglio parlarle di presenza e renderla partecipe dell'accaduto.»
«Ma... non capisco. Io... io non ho pagato e stavo proprio venendo qui per chiederle un altro po' di tempo per raccogliere il resto della somma...» mi sento sempre più confusa. Continuo a farfugliare cercando dentro di me una risposta.
La donna si appoggia alla scrivania davanti a me, rischiando di fare cascare la pila di fogli ordinata. Incrocia le braccia sorridendomi. «Signorina Stevens qualcuno ha pagato la somma. Troverà tutto dentro quella busta. Per il resto, si ritenga libera da ogni vincolo.»
Scuoto la testa. «Non è uno scherzo, vero?»
Nega. «A quanto pare ha un angelo custode.»Mi sorride accompagnandomi alla porta dove mi ritrovo in breve più che stordita. «Passi una buona giornata», mi saluta accogliendo un altro cliente con il viso cereo.
Fisso la busta bianca più che incredula ma non la apro. Voglio essere da sola, a casa. In questo modo potrò avere una reazione, visto che attualmente mi sento come una pietra e sto cercando di mantenere un certo contegno.
Inspiro ed espiro infilando la busta dentro la borsetta e quando mi sento meno sconvolta, sollevo il telefono sbloccando lo schermo controllando i messaggi in arrivo.

Come proiettile nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora