25

2.8K 162 19
                                    

Tutto. Ci si aspetta di tutto dalla vita. Ma non si è mai preparati davvero ad ogni cosa.
Dan arresta la sua camminata tenendo le dita sui bordi dei jeans che sta cercando di tirare su, mentre Travis saetta con lo sguardo da me a lui continuamente. Non mi è difficile intuire i suoi pensieri. La sua espressione dice tutto. Contrae così tanto la mascella da farmi male anche solo a guardarlo.
«Vado a mettere una maglietta», esclama Dan con finta innocenza lasciandoci soli. Credo di avergli visto un lieve sorriso incurvare gli angoli delle labbra. Farò quattro chiacchiere con lui più tardi. Non ho intenzione di ripetere l'esperienza come con Nic.
Metto le braccia dietro la schiena come una bambina che finge di non avere commesso alcuna marachella. Anche se in realtà e così. Io non ho fatto un bel niente. Non riesco però a capire perché mi sento in colpa.
«Quando?» Chiede freddamente interrompendo ogni mio monologo mentale.
Chiudo la porta per evitare di fare entrare troppo freddo. Il clima attualmente non è propriamente dei migliori, rifletto. «È arrivato prima in uno stato pietoso. Puzzava peggio di una betoniera. Non potevo lasciarlo fuori perché attualmente ha bisogno di un nascondiglio», mordo il labbro sentendomi subito una stupida, visto che le mie parole sembrano tanto una bugia.
Travis non mi guarda neanche in faccia. La sua reazione mi preoccupa. Mi ferisce. Attendo uno, due secondi. Attimi in cui mi sento male interiormente.
«Non hai neanche avuto il coraggio di inviarmi un messaggio.»
«Per dirti che cosa esattamente? Ah, il mio amico ha bisogno di un posto dove stare per un paio di giorni, perché il pazzo che mi ha messo le mani addosso, nonché suo ex socio in affari, lo sta cercando dopo averlo massacrato di botte?»
Ascolta attentamente avviandosi nell'immediato alla porta più che arrabbiato. «Si, avresti dovuto!» alza il tono. E nella sua voce sento forte la sua ira che rischia di scatenarsi ma che invece trattiene.
«Dove stai andando?»
«Me ne sto andando. Hai già compagnia. E tu farai meglio a tenere le mani a posto!» ringhia alle mie spalle spalancando la porta. In breve esce fuori pestando i piedi sul legno vecchio del portico facendolo scricchiolare.
Mi volto e Dan e lì che assiste inerme. Non ha avuto la decenza di rimanere in camera e non impicciarsi.
Scuotendo la testa, con il cuore appesantito, seguo in fretta Travis. Sfioro il suo polso e si volta di scatto. «Sarà sempre più importante, è così?»
Non riesco a capacitarmi. Non capisco il perché di questa reazione così forte da parte sua. Mi sento solo una sciocca. «Trav, io e Dan siamo solo amici. Avrebbe fatto la stessa cosa per me se sarei piombata in casa sua sporca e infreddolita, ma soprattutto piena di botte. Non volevo mancarti di rispetto. E poi non capisco: perché avrei dovuto avvisarti? Non stiamo insieme. Non sono di tua proprietà», lo affronto.
Serra i denti voltandosi un momento, dandomi le spalle forse per prendere un respiro. Quando mi guarda sento il mondo franare sotto le suole. Una voragine si apre nel terreno e io precipito.
«No, non stiamo insieme. E il perché adesso mi sembra evidente», alza il tono. «Sono solo io il coglione che crede che tu possa anche solo... lascia perdere.»
Passo una mano sul viso. «Mi spieghi perché stai reagendo così male? Parliamone da adulti, ok?»
Nega. «Non credo sia il luogo adatto. Devo andare», voltandosi si avvia all'auto.
Lo seguo salendo sul sedile del passeggero prima che possa chiudere le portiere usando la sicura. «Tornatene dal tuo amico», dice freddamente stringendo la presa sul volante.
«Trav...»
Si volta guardandomi male. Così male da farmi sentire in colpa per qualcosa che non ho fatto con malizia. Non avrebbe fatto lo stesso per un amico o per Mitch o Nan?
Cerco di calmarmi per essere razionale, per non cedere alla rabbia. «Ok, avrei potuto avvisarti con un messaggio che non sarei andata alla villa. Ma Dan è piombato in casa mentre pranzavo e non sono riuscita a dirgli di no. Gli ho sistemato la vecchia stanza di zia Marin per non farlo dormire sul divano. Non potevo lasciarlo solo in casa. In qualche modo ho avuto paura di trovarla in cenere al mio ritorno. Sembra assurdo ma l'ho pensato. Perché Patrick non si fermerà. Dan è convinto di sì ma io non ci credo.»
Guarda ancora davanti a sé ma ascolta, assimila ogni mia parola. Quando pronuncio il nome di Dan o Patrick stringe la presa sul bordo sbiancando le nocche.
«Quanto tieni a lui da uno a dieci in questo momento?»
«Non...»
«Ricevuto», dice aprendomi la portiera. «Esci!»
Provo a parlare ma non riesco proprio a spiegarmi. Non riesco a mettere insieme le parole. Con fare disinvolto lo guardo da lontano. Dentro però cerco di richiamare l'attenzione dei suoi occhi riposti altrove. Cerco un contatto, un modo per avvicinarmi a lui che sembra tanto implodere anziché scoppiare.
«Vattene!» alza il tono.
«Non stai dicendo sul serio.»
Spalanca la portiera. «Esci fuori dall'auto!»
Il suo tono mi spaventa così tanto da fare come dice. In breve mette in modo e sgommando si allontana da me. Lo guardo andare via, rimango inerme mentre il mio cuore riceve solo uno scossone così forte da piegarmi in due.
Mi siedo sul marciapiede. Fisso l'asfalto incredula. Mi sento una stupida, per non essere riuscita a fermarlo, a dirgli quello che provo davvero. A farlo sentire parte della mia vita.
Dan si siede accanto a me. Insicuro mi circonda le spalle con un braccio. «Se sono problema, me ne vado. Non voglio creare dissapori tra voi due. Mi ha anche detto di non toccarti con un dito e fidati, non mi sembrava una minaccia a vuoto la sua. Devo staccarmi?»
Mi appoggio al suo petto. «Che cosa ho fatto di male?»
Con il mento sulla mia testa mi accarezza la spalla. «Ti sei innamorata. Mi costa dirlo ma è così.»
Arrossisco lievemente. «È così evidente?»
«Si», conferma.
«E allora perché lui non se ne accorge?» dico piagnucolando.
Dan si alza sollevandomi. «Entriamo, fa freddo qui fuori.»
Una volta dentro ignoro i sacchetti andandomi a sedere sul divano. Dan prende posto accanto a me. «Per rispondere alla tua domanda, lui non se ne accorge perché con ogni probabilità ha bisogno che gli si dicano le cose in modo diretto, senza giri di parole. Hai rifiutato i suoi tentativi?»
Annuisco sentendomi sempre più in colpa. «Perché?» Chiede quasi incredulo.
«Perché ho paura di perdere anche lui. E ho il pensiero che se non lo ammetto ad alta voce il destino non me lo porterà via.»
Dan mi osserva attentamente. «Sei dannatamente complicata quando si tratta di amore. Fattelo dire, Bi: non riesci ad avere coraggio perché sei solo spaventata. Ma facendo così non rischi di perdere lo stesso chi ami?»
Nascondo il viso tra i palmi mentre lui mi massaggia la schiena. «Va da lui», mi dice in tono piatto.
«No. Mi ha fatto capire che ha bisogno di restare da solo.»
Ascolta attento mostrando un sorriso furbo. «Che c'è?» chiedo corrugando la fronte.
«Questo dettaglio mi ricorda tanto qualcuno», mi guarda complice.
Lo spingo affettuosamente. «Stupido!»
Mi abbraccia dandomi un bacio sulla guancia. Mi aggrappo a lui tenendo il broncio. Inspira il mio profumo. «Mi sei mancata», sussurra. «Ma hai bisogno di riflettere e capire che non puoi scappare all'infinito. Una volta tanto devi prendere una decisione. Per quanto ti spaventa, devi farlo.»
Aggrotto la fronte e lui la sfiora scostandomi i capelli. «Lo ami? Non devi rispondere a me, ma a lui. Io non mi intrometterò, promesso. Ma se solo ti fa soffrire o ti tratta ancora così male sarò costretto a reagire. Nessuno tratta la mia Bi in questo modo.»
Abbozzo un sorriso. Non posso non volergli bene. Dan è stato sempre presente nella mia vita. Nel bene e nel male lui mi conosce, sa chi sono. «Grazie», mormoro con affetto.
Si stacca da me sospettoso. «Oggi hai l'aria tanto triste. Qualcosa non va?»
Abbasso gli occhi sulle dita, continuo a graffiare lo smalto. «Zia Marin questa notte ha tentato di uccidersi ingoiando delle pillole», mormoro sentendo il nodo salire un'altra volta alla gola.
Dan spalanca impercettibilmente le palpebre. Le sue pupille si dilatano. In breve il suo sorriso muta. «Che cosa? Sul serio? E adesso come sta?» balza in piedi camminando avanti e indietro nervosamente, proprio come avrei voluto tanto fare anch'io anziché crollare perché nel panico. Le mie reazioni sono sempre così prevedibili. Sono come una foglia. Basta una folata di vento e mi stacco dal ramo cadendo al suolo.
«Non sta bene, Dan. Vuole morire e io non posso lasciarglielo fare perché sono egoista. Perché non riesco ad accettare la sua volontà. Non sono pronta. Mento quando dico di esserlo ma... io non posso perderla. Non posso farcela. Non anche lei.»
Dan tiene le mani sulla testa. «Cazzo!» sembra nel panico, più di me. Zia Marin è sempre stata come una seconda mamma anche per lui. Ci ha visti crescere, litigare e poi tornare più legati di prima.
Mi alzo avvicinandomi a lui come si fa quando si ha un cucciolo ferito davanti. Poso il palmo sul suo viso. «Dan, guardami. Dove siamo?»
«A casa», balbetta.
«A casa dove?»
«A casa nostra», risponde.
«Quando?»
«Adesso», inspira ed espira calmandosi.
«Va meglio?» strofino le sue braccia.
Prima nega poi alza e abbassa la testa riprendendo il controllo. «Si, grazie. Ma lei non può andarsene.»
«Prima o poi succederà», dico rassegnata.
Va a sedersi appoggiandosi ai gomiti. «Che cosa facciamo?»
Alzo le spalle. «Non posso obbligarla. Sta già sopportando le cure e solo per me. Il minimo che possiamo fare è starle vicino. Accontentarla. Farla sentire amata. Soprattutto non obbligarla...» mi appoggio alla parete a braccia conserte.
Rimaniamo in silenzio per qualche tempo.
Guardando fuori dalla finestra mi accorgo dell'ora tarda. Il cielo è così buio, non si vedono però le stelle, solo luci in lontananza che si appannano ai miei occhi. Una lieve nebbia sta scendendo intorno come nuvola di zucchero filato.
Apro la finestra lasciando entrare un po' di freddo. Per sentire qualcosa dentro.
«Bi, chiudi. Fa freddo», Dan accende il camino saltellando per scaldarsi. Per la prima volta non ho la stessa sensazione.
Chiudo la finestra spostandomi in cucina. Apro il frigo recuperando una vaschetta di yogurt e sconsolata mi siedo sul divano a mangiarla fissando le fiamme del camino che crepita scoppiettando di tanto in tanto mandando persino qualche piccola scintilla che si perde nell'aria.
«Quel tizio ha buon gusto in fatto di snack e cibo», esclama Dan frugando dentro la busta.
Notando il mio sguardo assente la smette e aprendo il frigo recupera un vasetto di yogurt alla vaniglia sedendosi accanto a me. «Non ricordo quasi più l'ultima volta che abbiamo mangiato uno yogurt insieme.»
Tiro le ginocchia al petto cacciando in bocca una generosa cucchiaiata. «Lo stiamo facendo adesso», biascico.
«Che tipo è esattamente?»
Parlare di Travis mi sembra inopportuno. È come quel segreto che non può essere rivelato. Quella promessa che non può essere infranta. Intanto le parole sembrano uscire con naturalezza dalla mia bocca. «Intelligente, divertente, profondo, tenace... descriverlo così mi sembra riduttivo», lecco il cucchiaino.
Dan ruba un po' del mio yogurt al cioccolato. «Ti brillano gli occhi quando ne parli. Ma adesso a causa sua o forse mia sei triste. Posso fare un giro se vuoi andare da lui.»
Nego rigirando il cucchiaino dentro lo yogurt cremoso, parecchio dolce che ha insieme il sapore della sconfitta. «Non sono riuscita a dirgli di restare e lui... adesso ha solo bisogno di sbollire la rabbia», dico alzandomi. «Vado a dormire», bacio la sua tempia. «Non toccare quelle dannate buste», esclamo sulle scale.
Ride. «Buona notte! E non permettere all'orgoglio di distruggere una storia che con ogni probabilità è destinata ad essere qualcosa di importante», replica andando nella sua stanza attuale. «E comunque non lo facevo tipo da Pringles», ride quando lo riprendo.
Chiusa la porta premo forte la fronte contro la superficie liscia di legno stringendoci sopra il pugno. Sentendo il bisogno di sfogarmi con qualcuno, stesa sul letto, chiamo le mie ragazze. In questo modo ci riuniamo tutte e quattro in una videochiamata di gruppo.
Beverly schiaccia il viso sullo schermo osservandomi attentamente. «Ehi», sorride. A noi si aggiungono in breve anche Emerson e Natalie con in braccio la sua bambina che le somiglia davvero tanto.
«Per fortuna hai chiamato. Tra qualche minuto avrei urlato addosso a mio marito. A volte è così maldestro. Ciao!» sorride Natalie muovendo la mano della sua bambina che porta il ciuccio rosa e ci sta fissando tutte attentamente con gli occhietti nascosti da una frangia scura. Le sue guance sono rosee e ha un visetto dolce. È molto simile ad una bambola.
«Mi avete salvata da una chiamata da parte dei miei», dice invece Emerson legandosi i capelli. «Ciao piccola
Guardiamo tutte imbambolate la bambina. «È davvero bella», esclamo.
Annuiscono tutte per confermare.
Natalie la passa al marito dandogli degli ordini ben precisi poi si appoggia allo schienale della sedia sfinita. «Bella ma pestifera.»
Ridiamo. «Come vanno le cose?» Chiede Beverly. «Novità o progressi con MisterX
Non appena lo sento nominare mi rattristo. Il mio viso si adombra. Se ne accorgono tutte del mio cambiamento, ma cambiano in fretta argomento parlando dei video che intendono caricare.
«Scusate ma ho chiamato solo perché avevo voglia di sentirvi. Non voglio parlare proprio adesso dei miei problemi. Quando sarò meno scossa ve ne parlerò. Posso solo dirvi che è stata una brutta giornata.»
«Bene, allora visto che hai bisogno di una distrazione e io di aiuto, che ne dite di aiutarmi a scegliere come apparecchiare la lunga tavola per la cena?» Emerson ci mostra nel dettaglio ogni cosa mentre se ne sta sul tappeto a gambe incrociate, sommersa dalle scatole, dai tessuti e dai campioni da scegliere.
Una ad una esprimiamo la nostra opinione aiutandola per circa un'ora.
Dopo la videochiamata, il mio stomaco brontola. Indosso un pigiama comodo e morbido scendendo in soggiorno. Controllo che Dan stia dormendo facendo attenzione a non provocare rumori che potrebbero disturbarlo. Lo trovo beatamente sprofondato nel materasso. Sorrido anche se in modo triste ripensando a tutte quelle volte in cui non sono riuscita a tirarlo giù dal letto. Chiudo bene la porta e una volta in cucina cerco qualcosa da sgranocchiare in dispensa.
Gli occhi saettano continuamente sulle buste di carta bianca lasciate sul ripiano da Travis. La persona che mi sta dando tanto filo da torcere nell'ultimo periodo. Mordo il labbro cedendo alla tentazione, in parte anche spinta dalle parole di Dan.
Mi ha stupito. Sembra avere accantonato i sentimenti per godersi davvero la nostra amicizia seppur in un momento difficile per entrambi.
Due confezioni di insalata con salmone, semi, avocado, mandorle, frutta secca. Un sacchetto di popcorn da fare al microonde. Due tubi di Pringles, una scatola di cioccolatini con ripieno al liquore, una bottiglia di vino. Sorrido sentendomi così triste da abbracciare uno di questi oggetti come una pazza.
Sentendomi sola, con un bisogno immane di sgranocchiare qualcosa, infilo il sacchetto di popcorn dentro il microonde. Osservo l'evoluzione immaginando che tutti quei chicchi di mais pronti a scoppiettare siano i miei pensieri.
Con una ciotola piena cammino sgranocchiando nervosamente per il soggiorno. Avanti, indietro poi devio verso la cucina e torno indietro.
Nella penombra noto dei fari riflettere dentro la stanza prima del buio. I passi di qualcuno sul viale e poi due colpetti alla porta che mi fanno drizzare la schiena e sentire stranamente lo stomaco in subbuglio. Pulisco le dita oleose, piene di sale posando la ciotola sul mobile accanto alla porta che apro lievemente per sbirciare. Se ne sta appoggiato allo stipite con un braccio sulla fronte guardandomi intensamente.
Il mio cuore galoppa immediatamente. I miei occhi catturano l'immagine dei suoi pugni pieni di segni. Non ha lasciato rimarginare i precedenti rovinandoli ulteriormente.
Si morde il labbro superiore nervosamente. Un gesto che mi fa tremare dentro mentre le nostre iridi continuano a mescolarsi. Inizialmente non dice niente. Staccandosi dalla porta va a sedersi sul primo gradino del portico ed io, lo raggiungo in automatico abbracciandomi a causa del vento freddo che ormai da qualche ora soffia sparpagliando polvere, pioggia e tanto altro per strada, ovunque.
I minuti passano inesorabili. Non sostenendo oltre il suo silenzio mi alzo. «Entra in casa», dico aspettandolo all'entrata. «Fa troppo freddo qui fuori.»
Alzandosi a rilento, come se facesse fatica, mi fissa di nuovo in quel modo, più che arrabbiato. Afferro la sua mano senza preoccuparmi dei segni tirandolo con uno strattone dentro, portandolo in camera mia dove chiudo bene la porta.
Lo osservo con attenzione valutando se aprire ancora la bocca o starmene come lui in silenzio a lacerarmi le viscere.
Travis tira la sciarpa rabbiosamente togliendosi anche il cappotto che lancia sul letto iniziando a camminare avanti e indietro come un leone in gabbia. Strofina i palmi facendo schioccare le dita.
Seduta sul bordo del letto abbraccio il suo cappotto così morbido e caldo al tatto. «Sei tornato. Puoi anche dirmi il perché o quello che pensi», mi riscaldo con il tessuto appoggiandolo alla guancia, infine addosso.
«Non lo so. Sono tornato all'appartamento, ho sfogato tutto sul sacco da boxe. Ho fatto una doccia e non sostenendo il silenzio intorno tantomeno il rumore dei miei pensieri mi sono messo a guidare. Infine senza neanche accorgermene mi sono ritrovato qui e poco dopo stavo bussando alla porta sperando che dormissi», dice in stato confusionale. «Ma tu non dormi.»
«Volevi parlare?»
Si ferma voltandosi di scatto. Drizzo la schiena. «Si, voglio parlare. Ma non so se ne vale davvero la pena», dice provando a riprendersi il cappotto. Respingo il suo attacco. «Non puoi tornare e comportarti come un bambino. Affrontami!» alzo il tono provocandolo. «Dimmi quello che ti ha fatto arrabbiare e proviamo a risolvere il problema», dico frustrata.
«Risolvere?» adesso mi guarda come se lo avessi deriso. «Che cosa c'è da risolvere? Ti ho chiesto in tutti i modi di stare con me e tu hai sempre eluso la mia proposta. Ci ho passato sopra perché pensavo non ti sentissi ancora pronta ma a quanto pare era un'altra la ragione.»
Sto già negando. «Ti sei fatto un'idea sbagliata.»
Mi guarda male. «Davvero? A me non sembra. Travis ti va bene quando non sei altrove, quando non sei in giro a divertirti. Perché uno come me è solo un problema per una come te.»
«Ti sbagli!» strillo. «Tu non sei mai stato un problema per me. Da quando ti conosco ho cercato di aiutarti, di farti aprire proprio perché mi piace stare con te. Mi piace la tua presenza e mi fa impazzire quando ci provi. Perché per me è una dimostrazione enorme.»
«Ma non basta», alza il tono parlandomi a pochi centimetri. «Ti ho già detto che non voglio competere. Ma tanto tu non ti sbilanci mai perché hai paura di perdere il tuo amico», soffia dal naso provando ad uscire dalla stanza. Mi appoggio alla porta chiudendo a chiave.
«Che cosa vuoi esattamente?» Domanda con esasperazione, agitandosi interiormente.
«Non ho bisogno di niente eppure sento di avere bisogno di tutto», rispondo.
«Spiegati meglio», trema dentro.
«Io non voglio essere solo speciale per qualcuno. Io desidero qualcuno che per una volta mi metta al primo posto e non abbia paura del mio strano carattere. Desidero qualcuno con cui potere fare liberamente altrettanto. L'amore per me è esserci per intero non per metà.»
«Che cosa devo fare ancora per farti capire...»
«Si», dico d'impulso.
«Si che cosa?» Chiede spiegazioni guardandomi confuso.
«Ti voglio nella mia vita, nelle mie giornate. Ti voglio anche se non ti mostri in giro. Ti voglio perché mi fai sentire sicura di me e mi sproni, mi aiuti a crescere, a migliorarmi. Quindi si, perché sei tutto quello che voglio», parlo in fretta. «E lo so che non mi credi ma ci crederò io per entrambi. Perché ti voglio accanto a me. Perché sei importante. E non riesco a trovare altro modo per fartelo capire. Per farti capire che ho una paura fottuta di dirti che ci tengo a te perché se rendo tutto reale qualcosa andrà storto proprio come oggi, come adesso», la voce si spezza. Gli occhi bruciano, tremano, si appannano. «Ho il terrore che tu possa svanire come oggi. Mi ha fatto male e non riesco proprio a cancellare la sensazione dalla mia pelle.»
Lo spingo continuando a gesticolare. «Quindi si.»
«Ci sarà sempre lui di mezzo. Io sono solo una novità, un qualcosa di passeggero. Prima o poi ti accorgerai che sei stanca di nasconderti e allora mi lascerai, mi metterai all'angolo!»
Nego ripetutamente. «Non posso farlo...» singhiozzo.
«Perché?» mi ringhia addosso stringendo i palmi sulle mie spalle. Lo spingo in risposta al suo gesto. «Perché non puoi?»
Stringo la presa sulla sua camicia evitando i suoi occhi. «Perché come una stupita io mi sono legata a te», sussurro.
«Trova una risposta migliore», dice brusco staccando la mia presa allontanandosi.
Lo fermo. «Vuoi una risposta migliore?»
«Si. Si, Cazzo! Me la merito!» urla.
Sussulto. «Perché mi sono innamorata di te», dico senza voce.
Travis infila il cappotto non sentendo quello che gli sto dicendo. Il cuore mi batte così forte da percepire solo il fastidioso fischio alle orecchie.
Si ferma di spalle alla porta. «Spero tu riesca ad essere felice con lui...»
«Mi sono innamorata di te, non di lui. Davvero non lo capisci? Te lo sto urlando da giorni e ancora non hai capito, razza di stupido che non sei altro!» scoppio in lacrime. «Ecco, adesso vattene pure. Scappa solo perché non ti senti all'altezza. Adesso lo sai...» mi volto asciugando le lacrime, alzando gli occhi al cielo per riprendermi. Sono crollata così in fretta. Che vergogna!
Vengo girata e mi ritrovo contro il muro, le sue labbra sulle mie insistenti. Mi aggrappo a lui gemendo. Mi morde le labbra, il collo. Stringo le gambe sulla sua vita. «Non mi interessa di niente, a parte te», tra le lacrime continuo a baciarlo per trattenerlo. Lo abbraccio inspirando il suo profumo riprendendo finalmente fiato. Lui sembra fare lo stesso. Mi bacia la spalla tenendomi premuta a sé.
Mi tiro indietro solo per guardarlo in faccia. «Devi imparare a fidarti di me. A non dubitare della mia buona fede. Devi smettere di pensare che io voglia stare con altri. Non è così. Io voglio stare con te.»
Prova a baciarmi ma premo l'indice sulle sue labbra disegnandone i contorni. «Tu sei importante per me. Se sarà necessario dirlo ogni giorno io lo farò per poterlo piantare dentro questa zucca dura che hai al posto della testa», le parole mi escono dalla bocca senza preoccupazione o controllo, dettate da un cuore che continua a battere all'impazzata.
Mi spingo in su. «Nella mia vita ho tre persone. Una di queste sei tu. Quindi se ti dico che ci tengo a te, ti prego credici.»
Ansima pur mantenendo il controllo. Con il suo portamento elegante in grado di nascondere la sua vera natura.
«Potrei anche crederci, sai», dice accarezzandomi la guancia avvicinandomi ancora. «Potrei convincermi. Ma ti ripeto, io odio condividere. L'ho fatto nella mia vita passata e non voglio farlo adesso. Voglio essere egoista. Voglio persino pensare che mi appartieni, questo nel termine più umano possibile. Voglio pensare che tu sia disposta a mettere da parte ogni paura per avvicinarti di più a me, capire il mio mondo e accettarlo.»
Deglutisco. «Non dovrai condividermi perché penso di essere tua da quando mi hai guardata negli occhi e mi sono sentita a casa», sussurro.
«Sai, prima avrei tanto voluto urlarti un paio di cose. E l'avrei fatto. Avevo tutto pronto ad uscire, a raggiungerti. L'avrei fatto guardandoti dritto negli occhi, proprio come adesso. Il fatto è che non riesci mai a capire che fai un gran casino dentro di me. Non sai quante volte continuo a ripetermi di lasciarti andare però c'è una parte di me così sadica e masochista che non ci riesce. L'avrei fatto, ti avrei lasciato andare, ma una parte di me continua ad aggrapparsi ad ogni ricordo, ogni singolo momento nostro pieno di battute, risate e tenerezza che hanno illuminato la mia vita seppur brevemente ed effimeramente, facendomi sentire felice e allo stesso tempo spaventata. Non so se te ne accorgi ma ormai sei praticamente ovunque. E mi manchi. Mi manchi più di un attimo fa. Mi manchi.»
Un passo dietro l'altro scivolo sul letto trascinandolo nella caduta su di me. «Odio discutere con te», sussurro a fior di labbra facendolo mugolare.
«Mi fai incazzare», risponde veloce.
«Davvero?» mi muovo e stringe i denti.
Soffia accaldato. «Si, davvero.»
«Lo sento quanto sei arrabbiato», gli sussurro all'orecchio.
Mi morde forte un seno sopra lo strato del pigiama. «Così tanto da volerti tutta per me.»
Ricomponendoci, rimanendo per qualche istante a fissarci, ci stendiamo per parlare. «Hai avuto una brutta reazione. Potevi parlarne anziché andare via in quel modo», la mia non è una provocazione.
Gioca con il laccio del pigiama. «Con te a volte ci vogliono le maniere forti. Sei troppo chiusa, spaventata. Non sempre fai capire quello che vuoi davvero o quello che pensi. Non sempre ti apri agli altri. E nonostante tutto, rimani comunque un passo indietro, pronta a scappare.»
Fermo la sua mano intrecciando le nostre dita. Le osservo. Si incastrano perfettamente, come pezzi di un puzzle. «Ogni volta che mi affeziono a qualcuno, rimango sola. Non voglio che questo succeda anche con te», cerco di esprimermi al meglio nonostante la stanchezza. «Oggi è stata una giornata difficile. Prima zia Marin poi Dan, adesso tu... io... sono solo una persona. Non sono una colonna. Non sono un muro. Eppure tutti sembrano adagiarsi su di me con il loro peso forse aspettando che crolli per appoggiarsi subito altrove come se niente fosse. Ma non è così che voglio stare. Io voglio costruirmi la vita che non ho mai avuto. Ma il destino non sembra volere collaborare», sospiro.
Travis mi solleva il viso. «Tu sei la persona più forte che io abbia mai conosciuto. A volte mi spaventi perché riesci a superare tutto con una freddezza degna di un carnefice e, allo stesso tempo sai essere delicata e fragile. Tu mi fai provare cose che non so gestire. La gelosia, la rabbia, il senso di frustrazione. Ognuna di queste cose io... non riesco a gestirla. Perché sono rimasto per tanto tempo senza. Quindi perdonami se non è facile avere a che fare con me. Mi impegnerò, proprio come sto facendo. Ma tu non chiuderti ancora in quel modo. Non allontanarti. Parla e spiegami le cose. Puoi anche urlandomi addosso.»
Stringo le dita sulla sua camicia. «A volte mi perdo in un bicchiere d'acqua. Però quello che sento dentro non cambia.»
Preme forte le labbra sulla mia fronte e alzandosi indossa il cappotto e la sciarpa.
Lo seguo sentendomi in ansia. L'istinto mi urla di fermarlo mentre una piccola parte di me, quella della ragione mi chiede di lasciarlo libero di decidere, di non affrettare troppo le cose, di non insistere.
Arriviamo davanti la porta. Guarda la ciotola con i popcorn. «Fame nervosa?»
«Si», arrossisco.
Apre la porta senza aggiungere altro. Lo fermo chiedendogli silenziosamente di non andare. «Non mi sembra il caso con il tuo amico sdraiato nell'altra stanza», passa il palmo sulla testa. Una nuvola di condensa si sparpaglia nell'aria.
«Non dormiamo più insieme da tempo», preciso. «Una volta si, adesso no», ammetto.
Ascolta stringendo la mandibola. Non riesco a decifrare la sua espressione. So solo che è intenso il suo sguardo, diretto su di me. «Che cosa è cambiato?» sembra prendere del tempo nascondendo i palmi dentro le tasche del cappotto.
«Ho incontrato la persona con cui voglio stare», dico sentendo le guance riscaldate da un sentimento.
Sporgendosi mi bacia una tempia. Mi sembra troppo poco ma me lo faccio bastare il suo saluto. «Adesso vado», sussurra strano uscendo fuori. Guarda il cielo, la calotta di nebbia, le luci che si notano fuori fuoco. «E per favore, non dire più che non siamo amici, che non siamo niente. Perché alla fine potrei anche crederci», aggiunge brusco.
«Ok», replico senza voce reggendomi alla porta.
«Buona notte», mi saluta.
«Notte», lo guardo scendere i gradini e colpita da una forte sensazione di tristezza chiudo velocemente la porta appoggiandomi alla parete.
Fisso i popcorn per aggrapparmi a qualcosa. Staccandomi dalla parete inizio a camminare avanti e indietro per il soggiorno abbracciandomi.
Quando non resisto, apro la porta e lui è davanti a me. Inutile parlare del mio sorriso che si apre come quello di una bambina il giorno di Natale.
Senza frenare l'istinto con uno slancio mi aggrappo a lui. «Perché non me lo hai chiesto?» Chiede in affanno.
«Perché non volevo forzarti», ammetto. «Ma allo stesso tempo avevo paura di non rivederti.»
Nasconde il viso sul mio collo. Il suo fiato caldo sulla pelle mi regala un brivido. «Perché sei tornato?»
«Non me ne sono mai andato», risponde cercando le mie labbra. «Voglio che tu sappia che non mi importa di quanti sentimenti tieni dentro. La rabbia, l'odio, la tristezza, la frustrazione, il dolore... non mi importa. Voglio che tu sappia che non mi importa perché io lo so che hai sempre la forza di combattere. Voglio che tu sappia che quando ti ho vista per la prima volta non credevo di volere continuare perché avevo il timore di essere rifiutato per quello che sono diventato. Ma poi le cose si sono ingarbugliate, hanno iniziato ad incasinarsi dentro e... voglio solo che tu sappia che per me sei l'unica.»
Sorrido ancora ricambiando il suo bacio. «Resti?»
«Dove vuoi che vada?»
Lo tiro dentro e chiusa la porta lo trascino in camera. A chiudere a chiave è proprio lui. «C'è ancora il mio spazzolino, spero.»
Trattengo una risatina. «Il mio è ancora a casa tua?»
Mi avvicina tenendomi per i fianchi. «Sono rimasto perché non mi arrendo. Non l'ho mai fatto. E finché avrò una possibilità di dimostrarti che ti voglio, io andrò avanti.»
Gli getto le braccia al collo. Il suo corpo si tende. «Questo significa che ti sfiderai in un duello a chi fa pipì più lontano o...» rido quando prova a mordermi. «Non prendermi in giro. Qui non si gareggia perché non c'è nessun pretendente. Sono io il migliore in tutto. Intesi?»
Apprezzo il suo modo così dolce. Avvicino le sue labbra alle mie. «Sai come si fa pace?»
Mi lancia sul letto sbottonandosi la camicia e poco dopo toglie anche i pantaloni. «Mettendosi a letto», replica spegnendo la luce. Infilandosi sotto la coperta mi avvicina. «Sei troppo coperta», si lamenta quando mi abbraccia.
Mi volto. «Non porto niente sotto il pigiama», lo provoco.
Alza il labbro. «Sei una peste, lo sai?» emette un breve verso e sistemandomi sulle sue ginocchia, a cavalcioni, mi sfila via il pigiama. Il suo sguardo scorre lento sulla mia pelle facendomi sentire un freddo piacevole. Sorride sfiorando con le dita il seno, guardandomi con desiderio.
Afferro il suo mento. «A cosa pensi?» Chiedo togliendogli la maschera, sdraiandomi davanti a lui, sotto la coperta.
Mi accarezza una guancia. «Anche tu stai diventando la mia casa.»

♥️🎄

Come proiettile nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora