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«Bambi, è ora di andare.»
Mi accorgo di essermi appisolata con la testa appoggiata sulle sue ginocchia e intontita mi alzo rimanendo un momento ad occhi chiusi a godermi l'aria fresca che va a mescolarsi al suo profumo, a quello dei fiori.
Sento il suo sorriso a nascondere un certo divertimento. Non ho il tempo di rifiutare e dirgli che posso benissimo camminare con le mie gambe perché mi prende in braccio.
«Torniamo a casa. Abbiamo bisogno di un bel bagno caldo, di una profonda dormita e di un po' di cibo sostanzioso per recuperare le energie.»
Mi rannicchio grata del calore emanato dalla sua pelle. «Sarai un papà meraviglioso un giorno.»
Rimane un istante in bilico. «Lo prendo come un complimento.»
Non mi occorre guardarlo per capire che sta sorridendo. Il fatto è che non crede in se stesso perché per troppo tempo si è chiuso nella sua stessa gabbia dorata.
«Lo è.»
Ancora una volta mi appisolo per qualche minuto. Quando riapro gli occhi siamo all'appartamento. Mi sarebbe piaciuto rimanere sotto quel gazebo, ad osservare il mondo, a starmene in silenzio insieme a lui. Ma ci tocca tornare a vivere anziché sognare.
Scivolo giù dalla sua presa. Mi tiene lo stesso per le braccia mantenendomi in piedi, in parte notando che non mi reggo.
«Nan», dico portando una ciocca dietro l'orecchio quando mi accorgo che è lei ad aprirci.
Appare preoccupata. Una ruga in lungo si forma sulla fronte. «Entrate, fa freddo», replica lasciandoci passare.
Travis toglie subito il cappotto aiutandomi. Mi sento come una bambina.
«Ho cucinato il polpettone e c'è anche una teglia di patate se non lo gradite. E se vi viene voglia di dolci c'è un tortino dal cuore morbido al fondente.»
Nan slaccia il grembiule ricomponendosi. Indossa un paio di jeans e una camicia. Non sembra neanche lei.
«Passate una buona serata», mi posa una mano sulla spalla stringendola lievemente.
Ovviamente sa già tutto. Travis informa sia lei che il marito di ogni cosa. Non mi stupisce e non mi dà neanche fastidio.
«Le guardie?»
«È al sicuro, signore», risponde. «Ceni e poi si faccia una dormita, ne ha bisogno.»
Travis gratta la testa quasi in imbarazzo. «Grazie, Nan.»
«Signore. Bambi», con un cenno si congeda.
Travis chiude la porta. Tolgo le scarpe emettendo un verso di piacere muovendo le dita intorpidite sul pavimento riscaldato. Prendendomi per mano raggiungiamo la cucina. «Cena e poi bagno caldo?»
Lo tiro proprio verso il bagno. «Puzzo d'ospedale, di paura e tristezza. Ho bisogno di uno dei nostri bagni speciali per riprendermi un momento. Dopo ceneremo e sprofonderemo nel letto, promesso.»
Accarezzo il dorso delle sue mani. Ormai mi sono abituata a sentire in una il tessuto della stoffa a coprirla.
Valuta un momento la mia proposta. «Hai dimenticato una cosa.»
Aggrotto la fronte cercando di capire. «E sarebbe?»
Strillo quando mi carica in spalla. Muovo le gambe beccandomi una sonora nonché sensuale pacca sul sedere.
«La mia approvazione.»
Rido. «E chi sei precisamente?»
«Da oggi dovrai chiamarmi "papino" oppure "signore".»
Rido. «Scordalo!»
Il suo divertimento, questo suo modo di fare spirito, scioglie dentro di me anche se per qualche minuto o ora quell'ansia, il senso di impotenza.
«Sembra assurdo e disgustoso persino dirlo», ammette lasciandomi scivolare giù.
Tiro il lembo del maglione verso di me alzandomi sulle punte. «Ok, "signore"», inizio sensuale tenendo per me la risata che sale lungo la gola. «Che ne dici adesso di riempire la vasca, signore?»
Mi bacia affondando le dita tra i capelli. Stringo la presa sulle sue spalle per reggermi. La sua bocca si sposta sul collo, sull'orecchio. «Aggressiva come una gatta, mi piace.»
«Muoviti!»
Scuote la testa riempendo la vasca. Avvicinandosi fa scattare in me una serie di sensazioni che a catena mi si scaricando sul basso ventre facendomi ansimare.
Mi avvicina a sé per i fianchi. «Ho odiato quel pigiama», finalmente lo dice.
Circondo le braccia intorno al suo collo. «Avrei tanto voluto il mio body o un bel completo di seta addosso», mugolo baciandogli il petto risalendo sul collo.
«Lo indosserai per me dopo?»
«Quale vuoi vedermi addosso?»
«Quello nero di pizzo con la vestaglia di seta», replica deciso. «Anche quello rosa non è male ma oggi preferisco l'altro.»
«Intendi spogliarmi tutta adesso?» sussurro sulla sua bocca.
«Posso?» Chiede sfacciato.
«Vuoi?»
Mi sorride provando a baciarmi ma sfuggo spingendolo. Si sistema contro il ripiano a braccia conserte. Piega la testa di lato mentre mi spoglio davanti a lui lentamente, ballando e lanciandogli sguardi sensuali, provocanti.
Abbasso la spallina del reggiseno valutando al contempo la sua reazione. Appare in apnea. Ma i suoi occhi sono fissi sulle curve del mio corpo incendiato dalla forza del suo sguardo.
Sgancio il reggiseno voltandomi, dandogli le spalle, lasciandolo cadere sul pavimento. Sfilo via il resto dell'intimo sentendomi esposta e allo stesso tempo libera. Sorrido voltando lievemente il busto. Gli faccio l'occhiolino sfacciata entrando in acqua, immergendomi fino al collo. Lavo le braccia e vado giù. Quando riemergo lui mi sta ancora guardando. Non si è mosso dalla posizione anche se freme visibilmente dalla voglia di scattare verso la vasca.
Strizzo i capelli legandoli, gli faccio cenno con l'indice di avvicinarsi a me per raggiungermi in questa piccola vasca.
Sfila il maglione dalla testa con un movimento aggraziato poi i jeans ed infine, togliendosi tutto il resto senza pudore avanza con nonchalance a piedi nudi entrando nella vasca più che preparato e in allerta.
Mi sistemo un momento dalla parte opposta perché non ci andiamo perfettamente se non avvinghiati.
Travis lancia due saponette dentro l'acqua che in breve gonfiandosi e poi sciogliendosi diventano azzurre e rosa tenue sulla superficie insieme alla schiuma. Mi afferra senza aspettare o perdere altro tempo la caviglia massaggiandomi il piede.
«Posso avvicinarti?»
«Siamo sposati. Prima o poi succederà, non credi?»
Solleva il labbro all'angolo. «Solo quando toglierai definitivamente il tuo profilo su quel sito dove si mette all'asta la verginità. E quando sarai davvero pronta. La mia domanda è: posso trascinarti qui su di me senza malizia?»
Abbasso il piede. Ha iniziato un gioco pericoloso e lo sa. Sa che non mi tiro di certo indietro.
Rifletto un momento sorridendo con malizia sfiorandomi la pelle. I suoi muscoli si tendono e trattiene persino il fiato quando la mia mano scivola lungo i seni, sull'addome, sfiorando la pancia.
Mi guarda le labbra schiuse poi tra i denti e dilata le narici così come le pupille.
È tutto un susseguirsi di attimi che tolgono il fiato e fanno sentire vivi.
Si avvicina come uno squalo divaricandomi le gambe per quanto sia possibile nella vasca. Le mani viaggiano sulle mie gambe dirigendosi dietro, sulle natiche. Con uno scatto sono su di sé. L'acqua vacilla muovendosi pericolosamente verso il bordo.
Inarco la schiena ansimando. Sto già circondando il suo collo con le braccia per reggermi e mettermi comoda. Il mio petto aderisce al suo.
«Dovremmo fare attenzione», soffia accaldato.
«Si, parecchia», deglutisco sentendo il mio corpo bruciare.
Prendo la spugna iniziando a passarla sulla sua pelle. Mi segue ad ogni movimento tenendo a freno l'istinto.
«Come sarà?»
«Ammetto di averci pensato parecchio. La verità è che non ne ho idea.»
Mi fermo, la spugna sul suo petto dove il cuore gli batte frenetico. Lo sento palpitare contro lo sterno come se volesse aprirlo in due e uscire.
«Anch'io ci ho pensato», arrossisco.
Sorride soddisfatto. «Rendimi partecipe piccola peste.»
La mia testa sta già oscillando in risposta. «Non posso.»
Apre e richiude la bocca. «Perché?» stringe la mia schiena con le braccia per farmi avvicinare maggiormente a sé. «Hai qualcosa di perverso da nascondere?»
Rido. «No, mi piacerebbe solo metterlo in atto.»
«Aspetterò»
Inumidisco le labbra. «Sei troppo buono con me. Chiunque avrebbe già gettato tutto all'aria o si sarebbe stancato. Insomma l'intimità in una coppia è importante.»
Recupera una spugna nuova bagnandomi la fronte che alzo lasciando che l'acqua scorra sul mio corpo coperto dai brividi. Mi tengo sulle sue spalle stringendo leggermente le cosce.
«Ci sono tanti tipi di intimità. La nostra è quella più sensuale», mi sussurra all'orecchio. «E mi piace perché non abbiamo davvero bisogno di unirci fisicamente per amarci, cercarci, sfiorarci.»
Stringo il suo viso e prima di baciarlo gli tolgo la maschera spingendomi su di lui senza riflettere sul fatto che siamo nudi, dentro una vasca piena di acqua e bolle dalle svariate sfumature di azzurro e rosa. Non penso al fatto che potrei provocarlo troppo.
Ansima. «Io ti voglio come un uomo, ma voglio più te come un pazzo.»
Mi spingo ancora su di lui. Mi bacia rudemente mordendomi il collo costringendomi ad allungarlo e ad agitarmi su di sé.
«Quello che dici, quello che fai... io te ne sono grata. Non ti sei mai approfittato di me ed è una delle tante ragioni del perché ti amo così tanto. Perché mi hai fatto ricredere nell'amore.»
Capovolge un momento la situazione. Mi divarica le gambe premendomisi addosso. «È diverso adesso?»
Ansimo. «Si», rispondo stringendo le dita sulle sue spalle.
Ritorniamo come prima. «Hai notato la differenza?»
Annuisco. «Sei... incredibile.»
«Spero di avere risposto a tutte le tue domande inespresse sulla frase di prima. Lo faccio per te. Io ti voglio e non mi frenerebbe niente trovandoti così esposta ma so che non sei pronta. Hai appena sussultato e non voglio che mentre fai l'amore con me hai dei dubbi o persino paura.»
Sorrido abbracciandolo. Bacio la sua spalla. «Sei davvero l'uomo dei sogni, il principe azzurro, l'eroe... Trav. Grazie.»
Ci avviciniamo all'unisono e come due che non si vedono da anni ci baciamo con impeto riempendo il bagno dei nostri respiri che si mescolano alla condensa che appanna lo specchio e ogni superficie liscia presente.
«Dobbiamo uscire da qui», scosta una ciocca dal mio viso avvicinando le labbra all'orecchio. «In tutta onestà e so che rischio di cadere nel volgare e non è da me ma: ce l'ho duro, parecchio, e te lo chiedo come favore personale.»
Arrossisco. «Si, certo», batto le palpebre staccandomi da lui.
Mi passa velocemente un asciugamano sparendo dal bagno.
Il suo comportamento è alquanto strano. In qualche modo sta scappando da qualcosa che potrebbe succedere comunque. Siamo adulti e non mi sono resa neanche conto di avere trattenuto il fiato o di essermi irrigidita perché ero persa nei suoi occhi. Inoltre è stato lui a volere fare il bagno insieme e nudi. Non l'ho mica costretto.
Ah, non capisco perché mi sto facendo proprio queste paranoie quando dovrei affrontare altri problemi ben più importanti, tipo quelli che riguardano attualmente la mia salute.
Indosso l'asciugamano morbido bianco, creo un turbante dopo avere tamponato i capelli uscendo dal bagno.
Raggiungo la cucina trovandolo seduto comodamente stravaccato a pochi passi da me, sul divano. Sul tavolo basso davanti a lui due piatti pieni con la cena cucinata da Nan.
Mi avvicino abbracciandolo da dietro. Massaggio il suo petto. «Perché sei scappato?»
«Perché sei una dannata calamita per me.»
Giro intorno al divano sedendomi accanto a lui. Si è già rivestito. Indossa una tuta grigia. Sembra persino strano che lui abbia indossato un simile colore.
Nota che lo sto guardando come una stalker.
«Che c'è?»
«Hai fatto shopping?»
«Quando?»
«Online?»
Sorride. «No, non immaginare niente del genere. Questa è una delle poche tute rimaste pulite dentro l'armadio. Non mi andava di caricare Nan di mansioni oggi. Le avrebbe fatto piacere perché è molto affezionata, ma... insomma hai visto come era preoccupata.»
Caccio in bocca un pezzo di pane. «Perché non me l'hai detto? Posso farlo io il bucato e tutto il resto. Non mi si rovinano di certo le unghie o le mani.» Prendo il piatto dalla quale si sprigiona l'odore buono del cibo caldo e genuino. Ho già l'acquolina in bocca.
«Dove vai?»
Senza rispondere supero il soggiorno, lo studio in cui ci siamo conosciuti e la sala cinema a pochi passi da esso salendo le scale a chiocciola. Entro nella spettacolare stanza simile ad una sauna, apro la finestra scorrevole raggiungendo la piscina, sedendomi a pochi passi da questa sul divano di vimini sistemato sotto la tettoia di vetro, al riparo dal freddo.
Travis mi segue. «Cena all'aperto? Non è una cattiva idea.»
«Si», assaggio il polpettone. «Era da un pezzo che non ne mangiavo uno così buono. Nan è davvero brava in tutto», lecco le labbra voltandomi. «E ti vuole bene. Credo fosse in imbarazzo per come ci ha aperto la porta accogliendoci.»
Le sue dita tolgono un lieve alone dall'angolo della mia bocca. «Sai cucinare ma non ne hai il tempo. Sai ballare ma non ne hai il tempo. Sai sorridere ma non ne hai il tempo. C'è qualcosa per cui riesci a trovare un po' di tempo?»
Poso i nostri piatti sul tavolo sistemandomi a cavalcioni su di lui. «Ho trovato il tempo per cenare con te e per dirti che sei l'uomo della mia vita», avvicino il suo viso sentendo al contempo il suo corpo tendersi. «E ho del tempo per fare una cosa insieme a te e no, non si tratta della parolina magica che inizia per "s". Dopo cena vedrai.»
Tornando al mio posto mangio con gusto mugolando piacevolmente ad ogni boccone.
Travis appare accaldato ma si sforza riprendendo il controllo.
«Posso sapere almeno di cosa si tratta?»
Scendiamo al piano di sotto. Gira intorno al bancone aprendo il frigo prendendo due bottiglie d'acqua.
Lavo i piatti. «Prima mi hai chiesto di fare una cosa e la farò.»
Mi abbraccia da dietro mordendomi il lobo. Mi scanso con un sorriso per nascondergli i brividi che mi ha appena provocato questo gesto e lui mi bacia il collo lentamente.
Chiudo il getto d'acqua voltandomi. Mi solleva per i fianchi sulla superficie liscia e libera del bancone mettendosi nel mezzo. «Abbiamo finito di cenare. Stiamo per andare a dormire. Vuoi farla adesso questa cosa?»
Si avvicina e inarco la schiena. «Si», sussurro sulle sue labbra scendendo dal ripiano prima di perdere completamente la testa. E con lui: è sempre più difficile.
Raggiungo in fretta la stanza aprendo la mia valigia infilata dentro l'armadio. Indosso un completo intimo e una vestaglia scegliendo proprio il suo preferito. Scocco un'occhiata alle mie rose ancora intatte e sane dentro il vaso di cristallo. C'è persino la scatolina contenente la chiave.
Travis entra in camera dopo qualche minuto spogliandosi, infilandosi sotto la coperta che profuma tanto di ammorbidente. Il tutto con naturalezza. Quasi fosse una routine.
Recupero il portatile avvicinandomi. Sul letto, sollevo lo schermo accedendo al mio profilo. Attendo il caricamento e quando sono pronta entro sul sito dell'asta dove avevo già congelato il mio avviso.
Travis si solleva a metà busto più che curioso. Fissa ogni mio gesto, segue ogni mia azione con interesse.
Elimino ogni traccia della mia esistenza con un clic poi controllo la pagina con i video guardandone insieme a lui qualcuno postato di recente da Beverly dove è insieme al suo ragazzo.
Travis non ha ancora detto niente. Mi sorprende questo suo mutismo. Ad un certo punto prende il portatile aprendo la mia pagina e scegliendo un mio video.
«Adesso è più eccitante dice.»
«Spengo le luci, vuoi un po' di intimità...» replico con sarcasmo.
Ride circondandomi con un braccio le spalle. «Se non ricordo male, devi metterne ancora uno online.»
«Vuoi vederlo?»
Annuisce credendo che io voglia mostrarglielo sul pc. Invece chiudo il portatile, spengo la luce sul comodino dalla mia parte e salendo sul letto mi infilo sotto la coperta sistemandomi su di lui. «Ho un desiderio», sussurro sfiorandogli la cicatrice.
I suoi occhi sono lucidi, pieni di lussuria. «Esprimilo.»
Ansimo. Le sue mani stanno premendo sulle natiche.
«Dimmi a cosa pensi», sussurro.
Mi accarezza il viso. Le nostre labbra sono vicine così come i nostri corpi. Rimane imbambolato. Sulle sue guance un alone di rossore. Di colpo nei suoi occhi scoppia la meraviglia, il piacere, la bellezza.
«È proprio vero: siamo circondati da un cielo bellissimo, eppure sogniamo di vedere l'universo.»
«Che cosa significa?»
«Che abbiamo la fortuna davanti e la cerchiamo sempre altrove. Dove sei stata per tutto questo tempo? Dove? Come ho fatto a non trovarti prima?»
Strofino la punta del naso sul suo. «Sono qui. Adesso puoi rapirmi.»
Chiude un momento gli occhi. «Si, mi sento davvero completo con te.»
Schiocco un bacio che per lui è troppo breve. Capovolge la nostra comoda sistemazione facendomi ritrovare sotto il suo peso. Sollevo le ginocchia incastrandolo al mio corpo.
«Sei meraviglioso. E devi smettere di dire che sei un mostro perché non ci credo, con me non funziona. Per me sei il ragazzo che la prima sera mi ha lasciato al caldo sotto una coperta dopo avermi dato una carezza. Sei il tizio che sapendomi triste mi ha mandata in un locale per mangiare uno yogurt. Potrei continuare ma se dico che ti amo facciamo prima.»
Mi bacia dal collo in su facendomi agitare. «Ok. Adesso però mettiamoci a dormire o qualcuno qui sotto mi darà il tormento.»
Mi stendo su un fianco. Ormai è la nostra posa.
Spegne la luce lasciandoci avvolgere dal buio e silenziosamente, circonda le braccia intorno al mio ventre.
«Buona notte», mugugna dandomi un bacio sulla nuca.
«Notte amore», rispondo assopendomi.
Dopo un paio di quelli che a me sembrano solo minuti, sento il telefono squillare rumorosamente sul comodino. Dalla finestra arriva una tenue luce ma non riesco a capire se è già l'alba.
Mi sollevo cercando il bottone per accendere la luce e ad occhi chiusi, rispondo alla chiamata.
«Pronto?»
Non ho neanche voce.
«Bambi Stevens?»
Mi si rizzano i peli sulla nuca nell'udire la voce di un uomo. «Si, sono io. Con chi parlo?»
«Sono il dottor Bernard. Chiamo dalla clinica. Mi dispiace disturbarla.»
«Che cosa succede?» alzo il tono riscuotendo Travis dal suo sonno tranquillo che, a sua volta sollevandosi accende la luce passando la mano sul viso assonnato.
Porto una ciocca dietro l'orecchio rimanendo in attesa mentre dall'altra parte sento delle voci, il suono di un'ambulanza e tremo. Dentro di me si scatena l'inferno. Il mio cuore inizia ad essere scosso mentre lo stomaco subisce un colpo secco in grado di farmi piegare per non sentire la fitta di dolore.
«La signora Marin Stevens ha tentato di nuovo di farsi del male. Attualmente è incosciente. La stiamo tenendo sotto controllo. Ha la possibilità di raggiungerci per parlare?»
Sto già scendendo dal letto. «Come... ehm si...» balbetto agitata guardando intorno, non trovando niente delle mie cose. In momenti come questi vorrei ancora la mia casa, il mio ambiente. Invece mi ritrovo qui al centro di uno spazio non mio.
«È successo pochi minuti fa e abbiamo deciso di avvertirla immediatamente visto che il suo numero compare tra quello delle emergenze. Le spiegherò tutto quando ci raggiungerà.»
Travis si affianca strofinando i palmi sulle mie braccia vedendomi tremare.
«Che succede?» mima.
Poso una mano sulla cornetta. «Una chiamata dalla clinica. Zia Marin... io non so che cosa ha escogitato adesso», sussurro sconvolta.
«Si, arrivo subito. Grazie per avermi avvisata», rispondo invece al dottore riagganciando.
Porto le mani sulla testa. «Merda!»
«Che cosa ha fatto?» Chiede vestendosi.
Questa volta voglio che mi accompagni e mi sorregga. Non credo di potercela fare. Non credo di potere resistere.
«Ha tentato ancora di farsi fuori. Cristo! Io non capisco», sbotto sedendomi sul bordo del letto. «Che diavolo le passa per la testa io...»
Travis si inginocchia. «Ehi, non disperarti.»
«La fai semplice», lo guardo immediatamente dispiaciuta.
Prima che io possa chiedere scusa mi bacia. «Andiamo», mi incoraggia.
Dopo essermi cambiata, lo seguo al pian terreno del palazzo. Mi sento in bilico. Sono proprio sul punto di dare di matto.
«Posso salire con te o mi vuoi fuori da questa storia?»
Guardo davanti a me mentre viaggiamo in direzione della clinica.
«Sali con me. Non credo di potercela fare.»
Si ferma ad un semaforo. «Tu sei la donna più forte che io abbia mai conosciuto. Ti farò da spalla. Serve anche a questo un marito, non credi?»
Mi sporgo baciandogli una spalla. «Mi dispiace tanto.»
«Per cosa?»
«Ancora una volta ho rovinato tutto.»
Nega. «Che cos'è un matrimonio senza qualche piccolo impedimento?» replica con sarcasmo. «Possiamo entrare nella classifica degli sfigati tra Romeo e Giulietta, Renzo e Lucia o...»
Ci guardiamo un nano secondo scoppiando a ridere. Asciugo le lacrime uscite agli angoli degli occhi e inspirando lentamente ed espirando mi preparo alla verità sul comportamento, sul gesto impulsivo di zia Marin.
Se ha agito in questo modo è perché non sopporta più la malattia.
In qualche modo spero vivamente di non trovare Dan, visto che tra i numeri di emergenza compare anche il suo.
«Me lo aveva promesso», mormoro.
Travis non mi interrompe con le domande, in parte sperando che sia io a continuare spontaneamente rendendolo partecipe di ogni mio pensiero senza farlo sentire un perfetto estraneo.
«Mi aveva promesso che non lo avrebbe fatto più. Mi aveva giurato che non...» sbuffo trattenendo un singhiozzo che esce lo stesso. «Che cosa ha che non va questa famiglia?» scoppio in lacrime. «Perché vuole abbandonarmi?»
Travis posteggia a pochi passi dal cancello della clinica abbracciandomi. Non dice niente.
Quando mi sento meno fragile anche se non del tutto pronta, usciamo dall'auto entrando nello spazio che ormai conosco bene. Superiamo il primo piano uscendo da una porta che conduce all'ospedale. La parte nuova del posto costruita adiacente alla vecchia struttura.
Travis stringe di tanto in tanto la mia mano seguendomi senza mai guardarsi intorno. In qualche modo gli ospedali gli fanno questo effetto.
Mi fermo davanti l'ambulatorio del dottore Bernard attendendo il turno impaziente.
Cammino avanti e indietro fino a quando la porta si apre. Da questa esce un uomo provato insieme al dottore che notandomi mi fa subito entrare. Insieme a me c'è sempre Travis.
«Mi dispiace di averla spaventata», inizia stringendomi la mano.
«Che cosa ha fatto?»
Guarda Travis poi si siede sulla poltrona dietro la scrivania piccola color noce. Raccoglie le idee, forse anche le parole per rendermi partecipe della vicenda.
«La signora Stevens ha tenuto chissà come un coltello sotto il cuscino e chiedendoci di poter fare un bagno caldo da sola ha tagliato i polsi.»
Stringo gli occhi girando lievemente il viso. Molteplici ricordi si risvegliano nell'udire un simile orrore.
Travis massaggia subito il polso. Il suo viso diventa pallido ma al contrario di me, ha il coraggio di chiedere: «Adesso come sta?»
Il dottore si alza aprendo la porta, accompagnandoci dopo un lungo corridoio davanti una delle stanze piene di finestre e vetri. Su un letto, sotto lo strato di coperte c'è lei, appare così piccola, così ingobbita. I polsi fasciati, una flebo a tenerla sedata e un macchinario a contare i suoi battiti.
«Attualmente è stabile. Dalle analisi abbiamo riscontrato un avanzamento rapido della malattia. Ovviamente la signora ne è a conoscenza.»
«Non credo sia il caso di farglielo ancora presente. Sa che prima o poi dovrà morire. Insomma, potrebbe riprovarci e riuscire nell'intento», sbotto agitata.
Travis mi avvicina a sé e mi nascondo nel suo abbraccio. Ma c'è qualcosa che non va in lui. Lo sento.
«È stato un errore...»
«Che non accada più. La signora Marin disporrà di una guardia che le terra gli occhi addosso ventiquattro ore su ventiquattro. Non ascolterà nessuna delle sue pretese. Intesi?» passa alle minacce silenziose usando un tono abbastanza duro e diretto.
Il dottore deglutisce a fatica. Lo guarda con attenzione sgranando lievemente gli occhi. «Signor Jones non pensavo...»
«Mi chiamo Travis Williams adesso e le sarei grato se mantenesse il segreto professionale o sarò costretto a farla eliminare dall'albo. E mi creda, perderebbe tutto. E se proprio vuole è una minaccia. Adesso non si parla di me ma di una donna che avete lasciato quasi morire per la vostra negligenza. Questa clinica vanta parecchia fama, pensi se dovesse uscire la notizia che una paziente per due volte ha tentato di farsi fuori.»
Guardo a bocca aperta Travis che, appare arrabbiato. Non credo di averlo mai visto sotto questo aspetto. A volte dimentico quanta forza ha dentro e quanta rabbia tiene da anni usandola e sfogandola raramente. Nonostante ciò, sento lo stesso che qualcosa in lui si è come innescato.
Il dottore si ricompone schiarendosi la gola. Il viso livido. «Non volevo offenderla in alcun modo. Le assicuro che nessuno saprà mai della sua presenza in questa clinica. Adesso potete stare un po' con la signora Marin. A breve le invierò il suo infermiere e la guardia. Con permesso.»
Rimasti soli, mi appoggio con le spalle contro il vetro che funge da parete.
«Stai bene?»
Passa le mani sui capelli camminando da destra verso sinistra e viceversa un paio di volte. Lo vedo inspirare ed espirare lentamente. Gonfia il petto poi si volta. «No», ammette afflosciandosi come un palloncino bucato da una piccola spina.
Mi avvicino e quasi indietreggia facendomi bloccare.
«Dopo l'incidente...» passa l'indice sul labbro strofinandolo, tirando su con il naso. «Mi sono sentito così solo, così impotente e così... arrabbiato...» trema.
Apro e richiudo la bocca. Non riesco a fermarlo.
«Così quel giorno ho mandato tutti a casa. Mi sono recato alla villa, ho bevuto qualcosa di forte e mi sono seduto in mezzo al roseto. Nell'unico posto che preferivo perché riusciva a calmarmi.»
I miei occhi si riempiono di lacrime. I suoi sono persi altrove, colmi di dolore.
Ci si spegne un po' quando si è soli dentro.
Dal dolore provato, vissuto, incorporato nel profondo, usciamo sempre con una nuova cicatrice. Ma grazie al dolore mettiamo da parte qualcosa di prezioso come un insegnamento che, prima o poi ci tornerà utile in un momento difficile. Dal dolore non ne esci mai del tutto illeso. Ognuno di noi lo affronta a modo suo. C'è chi sorride, chi si dispera, chi piange silenziosamente, chi si chiude in se stesso. C'è chi lo affronta, chi scappa da esso.
Al dolore non ti abitui di certo. Una nuova ondata non è mai come la precedente. Quindi puoi costruire alte mura, indossare una corazza, prepararti a vivere un nuovo inferno ma, non sarà mai come il precedente.
Dal dolore impari tanto: a stare solo, a difenderti, a trattenere le lacrime, ad essere forte fuori seppur debole dentro.
Perché il dolore è un modo che ha la vita di dirti che non tutto può essere sempre rose e fiori. Che a volte bisogna accettare le spine e quei lividi, quei segni, quei tagli che esse possono causarti.
«Ma quel giorno il roseto non mi ha dato alcun conforto. Ero... sfinito. Così, ho usato un piccolo taglierino», dall'occhio gli scivola una lacrima e non ce la faccio a starmene impalata. Mi avvicino cautamente prima di abbracciarlo.
«È stata Nan a trovarmi. Non le rispondevo al telefono ed io ero sempre attento alle chiamate. Lei lo sapeva. Aveva notato che non stavo bene quel giorno.»
Stringo la presa. Travis ha vissuto un vero inferno sia dentro che fuori. Come può essere così forte da stare ancora in piedi?
«Lei e Mitch mi sono stati costantemente accanto. E sono passati mesi, infine anni. Adesso sono i genitori che non ho mai avuto. A loro devo tutto. Io gli voglio bene anche se non sempre riesco a dimostrarglielo. E contrariamente da quello che si pensa, io odio quando mi chiamano "signore". Si sentono in debito perché ho pagato loro tutto quanto, ma in realtà sono io quello ad esserlo con loro.»
Finalmente mi guarda. «Bambi, io so come ci si sente quando tutto sembra vuoto e il silenzio fa troppo rumore. So come ci si sente quando si pensa di essere braccati e senza una scelta. So come ci si sente a ferirsi per non sentire più dolore.»
Preme la fronte sulla mia. «Non era la prima volta che succedeva. Ma non lo farò più. Io non lo farò più perché ho tanto da perdere.»
Mi sfugge un sorriso misto ad un singhiozzo. Preme le labbra sulle mie baciandomi poi tutto il viso, regalandomi conforto. Ma, sono ancora sconvolta.
«Non vuoi stare qui proprio per questo. Perché ricordi quei momenti, quel giorno...»
«Già. Ti prego, non chiedermi di stare qui, non ce la faccio...»
Annuisco. «Torna a casa allora. Ti chiamo quando esco.»
«Non voglio lasciarti da sola in un momento del genere. Non voglio che pensi che io...»
«Tu stai male qui dentro e io non posso chiederti ancora di resistere. Non sopporto di vederti cosi teso e triste. Lo capisco che gli ospedali ti fanno ricordare tutto quello che hai vissuto dall'incidente. Quindi ti prego, va a casa o da qualche parte.»
Mi abbraccia maggiormente. «Sicura?»
«Ti ho detto si, ricordi?»
Abbozza un lieve sorriso. «Chiama quando hai finito e sarò subito da te.»
Provo ad entrare ma mi tira a sé baciandomi. «Andrà tutto bene.»
Non ne sono poi così sicura ma lo lascio andare perché porta dentro un peso troppo opprimente per reggerne dell'altro.
Entro nella stanza dalle pareti di un verde chiaro sedendomi su una poltrona bianca con i piedi in legno scuro accanto a zia Marin, incosciente e sotto forti farmaci a tenerla buona.
Le sfioro i polsi fasciati, le mani secche tappandomi la bocca. «L'hai fatto di nuovo», dico fissando il suo viso spento, l'espressione addormentata, immersa in un bel sogno. Spero riesca a sentire le mie parole perché sono adirata con lei.
«Mi avevi promesso che non sarebbe più successo eppure l'hai rifatto. Hai tradito la mia fiducia. Hai pensato solo a te stessa, un po' come hai sempre fatto del resto. Ricordo quando ti hanno detto che saresti stata costretta a stare seduta su una sedia a rotelle come hai reagito. Io c'ero. C'ero anche quando ti hanno detto del male che aveva iniziato a germogliarti dentro.»
Prendo un respiro. «Avevo diciassette anni quando è successo la prima volta. Ero così piccola. Ne avevo diciannove quando sei caduta di nuovo nel tuo vortice di tristezza. Ne avevo ventidue quando è successo ancora e adesso... ne ho ventisei. Sono dieci anni circa che lotto insieme a te, che non vivo come ogni altra ragazza. Sono anni che mi prendo cura di te. Ho sopportato di tutto, anche le più forti delle umiliazioni. Ho messo persino la mia verginità all'asta per salvarti. Eppure non è bastato. Perché quello che faccio non va mai bene.»
Asciugo una lacrima sentendo lo stomaco sottosopra. «Sai una cosa? Io... sono stanca. Vuoi andartene prima del tuo mese di vita? Ok, fallo pure! Io mi arrendo. Non posso più trattenerti o costringerti. Ma non puoi farlo in questo modo.»
Inumidisco le labbra strizzando le dita che tengo in grembo per non gesticolare.
«Volevo dirti che mi sono sposata. Forse lo sai perché con il tuo caro Dan, il figlio che non hai mai avuto ma che hai adottato, vi dite tutto. In fondo avevi detto che non ci saresti stata e ti sbagliavi. Ho anche scoperto che Nic non era un teppista come tu e Dan lo dipingevate. Me lo ha detto proprio lui consegnandomi una lettera dopo cinque anni di silenzio e bugie dove mi avvertiva di non fidarmi proprio del mio amico. Non mi ha scritto niente di te, forse perché non voleva offenderti nonostante quello che hai detto di lui.
Siete stati davvero cattivi con lui e spero che quando lo vedrai lì da qualche parte, gli chiederai scusa. Come chiederai scusa a tuo marito o ai miei genitori per non esserti presa davvero cura di me. Perché anche se ti sono grata della compagnia che mi hai offerto, io non ti devo niente. E non sono una piccola approfittatrice o...»
Singhiozzo. Mi volto notando Mirko, l'infermiere, se ne sta dietro la porta.
«Forse chiederai scusa anche a me o forse te ne andrai come una codarda facendoti fuori. Non mi importa. Adesso ho altro a cui pensare che preoccuparmi di una persona che non vuole vivere. E per una volta sarò davvero egoista. Spero solo di non avere niente di brutto dentro, di non avere ereditato i vostri geni maledetti.»
Mi alzo. «Tornerò il prima possibile. Ma dubito che sarai nelle condizioni di parlare. Dubito che avrai il coraggio di affrontarmi.»
Il telefono vibra dentro la tasca interrompendo il mio sfogo.
«Pronto?»
«Signora Stevens, la chiamo dall'ospedale. Dovrebbe venire per parlare dei risultati delle analisi. Sono pronti.»
«Si, arrivo subito. Grazie.»
Come un robot esco dalla clinica fermando velocemente un taxi. Dentro questo, dopo avere indicato la destinazione al tassista, un energico vecchietto tutto baffi e naso rosso, avviso Travis.
Non ho voluto aspettarlo perché devo fare questa cosa da sola. Per quanto sia dolorosa lo devo a me stessa. Posso essere forte ancora per qualche minuto, continuo a ripetermi mentre superiamo molteplici strade trafficate e vicoli apparentemente silenziosi, mentre il mondo per qualche minuto si sfuma ai miei occhi che reggono il costante peso delle lacrime, quelle amare che continuano a salire e che puntualmente ricaccio dentro deglutendo seppur a fatica.
Giunta all'ospedale mi ritrovo in una piccola stanza piena di fogli che puzza terribilmente di disinfettante. Come se avessero appena fatto le pulizie. Ogni microbo si sta letteralmente bruciando vivo, un po' come il mio cuore che nel frattempo si prepara alla notizia che con ogni probabilità sconvolgerà questa giornata iniziata già in modo brusco.
In parte mi sento sconfitta e sono arrabbiata perché non sono stata in grado di gestire al meglio le cose. Nella mia assenza, zia Marin ne ha approfittato per farsi del male e adesso dovrà combattere doppiamente per vivere i suoi ultimi momenti. Non era già abbastanza una sfida? Perché farsi male e sopravvivere ad altro dolore?
Siamo così stupidi a volte. Ci facciamo continuamente carico del dolore senza mai avere voglia di sbarazzarcene definitivamente. Perché abbiamo paura di quegli attimi che tolgono davvero il respiro, che fanno sentire incredibilmente bene dentro e fuori. Perché siamo piccoli esploratori alla ricerca continua della felicità ma siamo anche pieni di dolore che continua ad accumularsi dentro senza lasciare più lo spazio per un sorriso, per un po' di sollievo, per vivere.
«Ci rivediamo», mi saluta il dottore entrando dalla porta lasciata aperta. La chiude alle sue spalle tenendo stretta la mia cartella clinica con i risultati.
Quando si siede accanto a me, precipito nello sconforto perché penso che stia per darmi una cattiva notizia e crede che in questo modo riuscirà ad alleviare il peso della paura che sento montare addosso ad ogni breve respiro che prendo per non andare nel panico.
Apre la cartella e non oso guardare. Ricaccio ancora una volta dentro tutto quanto. Ammasso sentimenti all'angolo come oggetti vecchi che ben presto si impolvereranno.
«Ha riposato un po'?»
«Sarò sincera con lei, ho dormito poco e non perché non volevo riposare ma perché mia zia ha tentato di farsi fuori e sono corsa da lei senza pensare minimamente a quello che potrei dovere affrontare anch'io. Sa, non la biasimo per quello che ha fatto. Non credo davvero che lei sia debole ma... se non lotti, la vita non ha significato. Non ha sfumature. È terribilmente piatta.»
Mi ricompongo immediatamente. «Mi scusi, sono solo stanca e ho accumulato molte ore di stress. Mi dica solo l'esito. Lo faccia senza giri di parole, come se strappasse un cerotto.»
Trattengo il fiato sentendo il cuore sul punto di scoppiare. Non c'è altro rumore a coprirmi le orecchie. Solo un continuo "tum tum" in grado di farmi impazzire.
Il dottore si alza posando la cartella sulla scrivania. «Signorina Stevens, vada pure a casa e si goda ogni giorno a venire perché i risultati delle analisi sono negativi. Lei è sana. Le consiglio in ogni caso di passare periodicamente per le analisi visto che nella sua famiglia c'è un ramo spezzato e... di riposarsi.»
Mi sorride ed io abbasso immediatamente le spalle. Mi sembra surreale. «Non ho una malattia?»
Nega dandomi ulteriore conferma. «No, adesso si rilassi.»
Lascio uscire le lacrime e il sorriso. Notando che mi sta osservando mi ricompongo e alzandomi, non trattenendomi, lo abbraccio. «La ringrazio infinitamente.»
Mi dà una pacca sulla schiena sciogliendo l'abbraccio. «Vada a casa e si riposi. Le auguro il meglio.»
«Grazie, davvero.»
Lascio uscire il fiato e dopo avere salutato il dottore, con la cartella in mano, esco dalla stanza percorrendo il corridoio ancora del tutto incredula. Supero il reparto di neonatologia, quello di terapia intensiva trovandomi in sala d'attesa dove arresto la mia camminata verso l'uscita.
Travis se ne sta seduto con i gomiti sulle ginocchia, lo sguardo fisso davanti a sé e le mani unite sulle labbra come se stesse pregando. Accanto a lui, le mie amiche. Ci sono tutte. Deve averle contattate lui o devono essere state loro a trovare lui.
Se ne stanno in mezzo alla gente. Soprattutto lui che adesso non si protegge neanche dal loro giudizio affrettato.
Dentro di me scatta il solito istinto di proteggerlo.
Emerson gli dà subito un colpetto con il gomito e lui sussulta chiedendole che cosa succede. La mia amica mi indica prima di alzarsi e avvicinarsi in fretta rischiando di scivolare su quei trampoli che indossa anche quando fuori c'è brutto tempo.
Mi lascio abbracciare e avvolgere dal suo profumo di fresia. Non ci diciamo niente perché ci siamo già capite al volo noi due.
In breve vengo circondata anche dalle altre che, tornano a sedersi rimanendo in attesa di una mia spiegazione o breve risposta.
Travis continua a guardarmi standosene seduto. Poi si alza avanzando più che deciso. Lo ritrovo a pochi passi senza fiato. Silenziosamente mi chiede di dargli la notizia aspettandosi il peggio. Scoppio in lacrime negando e lui si concede un breve attimo di debolezza nascondendolo nell'impeto del suo lungo abbraccio.
«Non hai niente...»
«No», circondo il suo collo con le mie esili braccia alzandomi sulle punte dei piedi e lui non mi dà il tempo perché mi bacia in modo appassionato, non curandosi di chi ci sta osservando.
Le mie amiche iniziano a prenderci in giro con brevi battute ma non me ne curo continuando a baciare l'uomo della mia vita che, mi solleva lievemente continuando a muovere le labbra, a sorridere.
«Ero così preoccupato...»
«Sssh, adesso avremo tutto il tempo per organizzare il nostro presente.»
Mi morde il labbro. «Preparati perché durante l'interminabile attesa ho già scelto il nome dei nostri figli e del cane o del gatto.»
Rido. «Davvero?»
Annuisce. «Te lo dirò dopo.»
Ci stacchiamo lievemente mentre le mie amiche si avvicinano.
Mi sento circondata dall'affetto e dall'amore. Mi sento fortunata.
Travis mi tiene stretta nel suo abbraccio continuando a guardarmi con così tanto amore da non sapere come afferrarlo tutto.
«Allora... ci darete almeno lo sfizio di organizzarvi una festa di... matrimonio?» Emerson guarda l'anello soddisfatta.
«Tutto quello che volete», risponde Travis stranamente a suo agio.
Mi volto abbassando il suo viso per capire che cosa gli sta succedendo.
«Tutto per te», mima sulle mie labbra rubandomi un bacio.
«State davvero bene insieme», Natalie si emoziona sventolandosi per non mettersi a piangere. Beverly l'abbraccia e lei appoggia la testa sulla sua spalla.
«Sono contenta che stai bene. Adesso possiamo davvero festeggiare.»
«Bambi?»
Corrugo la fronte. Qualcuno mi sta chiamando e non è una persona tra di noi.

♥️♥️♥️

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