19

3.4K 162 21
                                    

Non ho mai saputo gestire bene le relazioni. In qualche modo mi sono sempre adattata ad ogni situazione per evitare conflitti, fraintendimenti, lacrime o odio. Ho sempre cercato una scappatoia. Ho sempre tentato di non legarmi troppo per non dovere soffrire.
Adesso però mi sembra tutto diverso. Non mi spaventa affrontare le persone. Non mi spaventa dire la mia. Non mi spaventa essere davvero me stessa, con i miei innumerevoli difetti, con i miei pregi. Non mi spaventa affrontare il presente. Non mi spaventa sorridere, stare bene, sentirmi a mio agio con qualcuno. Tutto questo perché sul mio intricato cammino ho trovato una persona speciale che mi sta chiedendo di essere solo me stessa, di non continuare ad adattarmi a tutto, di vivere e stare bene.
Rigiro i pancake sulla padella poi le uova nell'altra. Riempio due tazze di caffè. In una spruzzo un po' di panna con sopra del cacao, nell'altra creo semplicemente una schiuma. Metto sul vassoio la colazione portandola nell'altra stanza. La camera in cui sta dormendo come un sasso, ormai da diverse ore, Travis.
Poso il vassoio sul comodino. Mi infilo sotto la coperta appoggiando il mento sul suo petto nudo. Lo osservo sfiorandogli il viso.
Oggi mi sembra di vederlo per la prima volta. Ha tanto l'aria di essere sereno, a suo agio. Così tanto da trasmettere anche a me, del tutto inconsapevolmente, un senso di pace interiore più che piacevole.
Sentendo il mio tocco delicato e freddo, apre gli occhi di scatto. Fa una smorfia poi sbadiglia stendendosi come un gatto sotto il mio peso. «Hmmm», si lamenta. «Che ore sono? Perché non dormi?»
Continuo a guardarlo con un sorriso e lui si imbambola come se avesse visto chissà quale opera grandiosa. Il suo palmo sulla mia guancia ad accarezzarla lentamente.
Mi piace come mi guarda, come spezza quel velo di tensione raggiungendo corde dentro di me che nessuno aveva mai toccato. Mi piace come mi fa sentire, così libera, così spensierata e capace a tutto. Quel brivido, la scintilla, i segni che mi lascia con uno sguardo. Non rinuncerei ad una di queste cose perché mi fa sentire davvero viva.
Guarda la sveglia sul comodino. «Cazzo!» si lamenta posando i palmi sul viso. «Non mi sono mai sentito così riposato e rilassato in cinque anni.»
Vedendomi ancora imbambolata mi circonda la schiena con le braccia. «Non dovevi dormire insieme a me fino a dopodomani?» Chiede con un tono di finto rimprovero.
Poso un bacio sul suo addome, un altro sul petto, sotto il collo. Sento il suo corpo tendersi sotto i miei baci a tempestargli la pelle. Una sensazione che risveglia dentro di me una parte dormiente, che non credevo di avere. Mi fermo sotto l'orecchio, sulla piccola cicatrice schioccandogli un bacio che gli provoca una forte scossa. Il suo corpo si tende. Dalla sua bocca lascia scappare un sospiro. Le sue dita risalgono lungo la mia spina dorsale. «Ho una proposta.»
Lo guardo con sospetto e lui ghigna.
«Per proposta che cosa intendi? Niente matrimonio a Las Vegas, niente anello, niente chiavi extra della tua cassaforte segreta, niente di niente!»
Ride tirandomi a sé. «È un filtro?»
«È un ordine!» minaccio.
Continua a sorridere in quel modo bellissimo e terribilmente dolce. Nascondo il viso rosso tra la spalla e il suo collo. Perché deve farmi questo effetto? Perché devo sentirmi come una ragazzina invaghita?
«Niente più sorprese.»
Mi fa scivolare sotto il suo peso. «Stavo solo per proporre un altro giorno da passare qui dentro.»
«Prima o poi ci toccherà tornare nel mondo reale, degli adulti», accarezzo il suo petto.
Mi solleva la testa per il mento. «Non oggi, non domani.»
«Che hai in mente?»
Alza il labbro e strillo quando tira la coperta sulle nostre teste iniziando a mordermi, a farmi il solletico. «Trav!»
«Si, mi mancava questo rimprovero», sorride baciandomi il collo in un modo così sensuale da farmi gemere abbastanza forte da farlo eccitare.
Lo abbraccio. «Smettila!»
Mi annusa. «Odori di pancake», assottiglia gli occhi.
Rido guardandolo sotto la coperta, abbassandogli la testa per rubargli un bacio. «Perché c'è la colazione sul comodino.»
«Perché non lo hai detto subito?» Scatta a metà busto facendomi ridere. Sistema nel mezzo il vassoio assaggiando tutto voracemente.
Rimango a guardarlo con la forchetta in bocca che lui tira fuori passandomi un pezzo di pancake spezzato direttamente con le mani. Non mi tiro indietro.
Porto le sue dita sulle labbra e quando ne metto uno in bocca lui smette per pochi istanti di respirare.
Soffia accaldato. «Se fai così oggi non usciremo proprio da questa stanza e non so cosa mi farà trattenere ancora. Quindi se non vuoi che ti salti addosso, non provocarmi», dice piano.
Mi alzo. «Invece devi alzarti e portarmi a casa.»
Fa una smorfia. «Non ancora.»
Mordo il labbro. «Quando?»
«Facciamo qualcosa insieme prima», cambia argomento.
Mi incammino verso il soggiorno turbata dal suo comportamento. Sono così distratta da non accorgermi che mi sta seguendo. Me ne accorgo solo quando vengo afferrata per le ginocchia e sollevata. Emetto un breve urlo ritrovandomi sulla sua spalla. I miei piedi oscillano nel tentativo di liberarmi. Rido forte cascando sul divano dove mi fa scivolare e mi bracca, le mani ai lati della mia testa. «Ti porterò a casa e starò con te. Va meglio così?»
«Non verrai con me a fare la spesa?»
Contrae la mandibola. «Possiamo contrattare.»
«Ovvero?»
«Ti aspetterò in auto.»
Nego. «O vieni con me o rimani a casa MisterX, decidi ma fallo in fretta perché ho davvero tante cose da fare oggi.»
Soppesa il mio sguardo. Lo sfido. Lui non sembra cedere. «Ti accompagno a casa.»
Ci rimango abbastanza male ma non lo dimostro e tornando in camera recupero gli indumenti per vestirmi. In bagno, sciacquo il viso mettendo un paio di jeans neri e una felpa grigia.
Di nuovo in camera trovo Travis che sta mettendo in ordine il letto. Tolgo il cuscino aiutandolo in silenzio.
«Bi, ne abbiamo parlato. Hai visto anche tu che il trovarmi in mezzo alla gente mi fa andare nel panico. L'altra volta è stato bello, lo ammetto, ma non mi sento ancora a mio agio.»
«Ok», mormoro lisciando il lenzuolo senza guardarlo in faccia.
Sbuffa facendo lo stesso. Quando abbiamo finito porto il vassoio in cucina. Lui non mi segue. Va a rintanarsi nel suo ufficio dopo avere detto qualcosa tra i denti.
Lavo le tazze mettendo in ordine il ripiano.
Dopo avere finito mi guardo un po' intorno.
Travis esce dal suo ufficio. Non ha una bella espressione stampata in faccia. Ha persino indossato la maschera. Questo la dice lunga sul suo malumore. Ed è colpa mia, della mia pretesa che lui non può assecondare.
«Possiamo affrontare l'argomento?»
«Non c'è niente da affrontare. Tu non vuoi mostrarti con me, mi sembra semplice.»
Strabuzza gli occhi. Si sente deriso. «Che cosa?»
«Si, sono io il problema. Non vado bene per te. Ti vergogni di me.»
«Stai delirando», gesticola.
Nego. «No, sto dicendo la verità solo che almeno io ho il coraggio di ammetterlo.»
Mi ferma quando provo a superarlo. «Bi, dici sul serio?»
«Travis devi smetterla con questa storia dell'essere un mostro. Per me non lo sei. Non ti accorgi di come ti guardo?
Adesso me ne torno a casa. Non voglio che mi accompagni. Ho bisogno di stare un po' da sola.»
È assurdo il modo in cui riesce a farmi cambiare umore così in fretta. Ha il potere di cambiare il mio stato emotivo. Ha il potere di farmi impazzire, di farmi sentire nel torto. Ha il potere di distruggermi. E come il sole, in breve mi ritrovo coperta dalle nuvole.
«Ok», incassa in silenzio mettendosi da parte per lasciarmi passare, per lasciarmi andare via.
Recupero il borsone uscendo dalla porta senza neanche salutarlo. Lo sento solo imprecare quando sono fuori dall'appartamento, ma non mi volto, non torno indietro. Non posso obbligarlo a fare qualcosa che non sente di voler fare.
Non prendo l'ascensore scendendo ogni singolo gradino prendendo sempre più consapevolezza del fatto che staremo così: nascosti dal mondo, lontani l'uno dall'altra di giorno e vicini di notte.
Ma io non voglio un amore diviso a metà. Non voglio una relazione impossibile con un uomo difficile. Voglio provare un sentimento folle, in grado di spezzarmi le ossa e poi ricomporle una ad una con un sussurro, un bacio, un abbraccio. Voglio qualcuno che completi i miei vuoti, i miei silenzi. Che mi cammini accanto.
Sospiro e spingendo il portone mi ritrovo fuori dal palazzo. Non oso neanche guardare in alto e perdermi. Me ne sto con i piedi ben piantati al suolo, lo sguardo basso. Cammino sul marciapiede umido stringendomi sotto il cappotto, tenendo dentro un senso estremo di tristezza che si impossessa lentamente di me. Lascio entrare il freddo sentendomi impotente.
Io e lui continuiamo a fare un passo indietro dopo averne fatti cinquanta in avanti. Ma quel passo indietro significa tutto, perché va a distruggere quello che abbiamo costruito.
Non prendo la metro, non chiamo un taxi. Ho solo voglia di perdermi in un posto che non conosco ancora bene ma in cui vivo da anni. Ho bisogno di non sentirmi così triste per lui. Perché è questo ciò che mi fa stare male. Il non saperlo aiutare. Il non poterlo aiutare. Mi fa rabbia. Mi fa sentire impotente. Mi fa pensare che ci sono troppo ingiustizie in questo mondo, tutte contro chi non lo merita.
Penso ad una soluzione, ma stanca e di pessimo umore, l'unica cosa che riesco a fare, è chiamare Emerson.
«Tesoro, sai che ore sono?» sbraita un po' troppo ad alta voce ma priva di rabbia, con un pizzico di curiosità. Parla proprio come se l'avessi colta di sorpresa insieme all'amante.
«Mi dispiace disturbarti. Avevo solo bisogno di sentire un giudizio esterno. Di qualcuno che non è di parte.»
La sento muoversi probabilmente in mezzo alle coperte. Percepisco il lamento di qualcuno che le chiede di stare ferma, forse del suo ragazzo. «Ok, ora hai tutta la mia attenzione», dice con energia. «Che succede?»
Mi fermo davanti alle strisce per pochi istanti prima di vedere scattare il verde.
«Che cosa fai quando un uomo non riesce a liberarsi del suo passato?»
Esita. «Riguarda una sua ex?»
«Qualcosa del genere.»
Emerson non sa un bel niente di Travis. MisterX, il nickname che conosce tramite i miei racconti, per lei è sinonimo di cattivo ragazzo quindi di eccitante.
«Per esperienza, non è mai una buona idea. Ma ci sono casi e casi.»
«Casi umani?»
Ride. «Tu lo ami!»
«No...»
«Bugiarda! Tu lo ami e hai paura di dovere competere con il suo passato, ma non ti accorgi di essere il suo presente. Magari si sente solo impotente perché vorrebbe darti il mondo ma non ci riesce. Non essere dura con lui. Dagli il tempo di adattarsi. Non deve essere facile.»
Mordo il labbro. «Quindi mi stai dicendo...»
«Che devi rischiare, avere il coraggio di provare da sola quello che invece dovreste provare in due. Credimi, non devi rinunciare a niente per paura. Io l'ho fatto e adesso ho imparato bene la lezione. Ho solo avuto fortuna.»
Sospiro. «Mi sento confusa.»
«Vuoi che pranziamo insieme?»
«No, no. Ho tante cose da fare e non voglio rovinare il tuo momento. Anzi, torna da lui. Grazie, davvero.»
«Bi, dimmi che ti succede? Lo sento che non sei tu oggi. C'è qualcosa che non va», sembra preoccupata per me.
Gratto la fronte. «Non ne ho idea. A volte con lui mi sento nel bel mezzo di una guerra. Ci sono invece altri momenti così tranquilli in grado di stordirmi. E mi confonde. Perché non riesce a liberarsi del passato. Lo trascina dietro e non vive del tutto. Non capisce che per me...» soffio dal naso.
Emerson ride. «Ecco, finalmente inizi a capirlo. Lo ami, Bi. Lo ami così tanto da prenderti carico del suo dolore. Ma dovete imparare a condividere non ad accumulare. Non sei una spugna e lui non è un contenitore.»
Sospiro pesantemente. «Ok, adesso devo andare. Grazie per il consiglio e scusami se ho disturbato.»
«Nessun disturbo tesoro. Quando vuoi io sono qui. Adesso torno a letto. Ciao Bi e fa attenzione!»
«Sempre», riaggancio.
Mi fermo a prendere un caffè con un po' di panna poi mi sposto al parco raggiungendo il laghetto dove tiro delle molliche di pane alle anatre e ai colombi.
Quando mi rendo conto del tempo trascorso a giocare, a evitare la realtà, batto le mani per pulirle dalla farina allontanandomi dal parco. Mentre cammino osservando le meravigliose vetrine, ricevo un volantino ritrovandomi a visitare una galleria dove ammiro dei quadri spettacolari ma sistemati di proposito al contrario. Infine, torno a casa.
Per strada, non c'è nessuno. Sul portico neanche. È tutto silenzioso. Immobile. Non so se sentirmi sollevata o se provare delusione. Non so esattamente che cosa si aspetta il mio cuore. Forse una svolta, un passo avanti. Ma so già di illudermi.
Apro la porta posando i depliant della mostra sul tavolo. Mi volto e caccio un urlo abbastanza forte da atterrirmi, tappandomi subito la bocca faccio un passo indietro. «Dio, mi hai spaventata.»
Dan si alza dalla poltrona. Massaggio il petto. «Ho usato la chiave nascosta al solito posto», dice in tono neutro evitando di guardarmi negli occhi passando il dorso della mano sotto il naso. «Sono arrivato da poco.»
«Si, ok.»
Tolgo il cappotto posando il borsone sul divano riprendendomi dallo spavento.
Mi volto e si è fatto vicino. Non l'ho neanche sentito spostarsi dal punto in cui l'ho trovato. Ultimamente è strano.
Sul suo viso oscurato dalla delusione, un grosso livido in evidenza, violaceo e color vino sul naso, uno sul labbro superiore nella parte laterale. Tengo a freno la mano che vorrebbe tanto sfiorare quei segni. Rendermi davvero conto di ciò che è successo solo poche ore prima mentre ero in stato di incoscienza.
«Mi concedi due minuti?»
Lo chiede ancora usando lo stesso tono. Si comporta con un autocontrollo che non credo di avergli mai visto. Ha la fronte lucida. Sembra avere la febbre.
«Ti senti bene?»
Tira su con il naso. «Si. Allora?»
«Sei già entrato in casa mia, non vedo come posso cacciarti fuori visto che non ho neanche la forza.»
Mentalmente mi riprometto di cambiare il posto in cui lascio la chiave di scorta e forse anche le serrature.
In realtà non so bene perché sto pensando a questo genere di cose quando davanti a me ho solo l'amico di una vita. Forse mi fa paura una sua brusca reazione o una crisi che potrebbe sfociare in qualcosa di orribile. Mi abbraccio. Dan se ne accorge e contrae la mascella. Oscilla da un piede all'altro come se stesse pesando le parole da usare. «Bi, quel mostro...»
«Non è un mostro!» urlo. Non riesco proprio a trattenermi. Mi dà fastidio. «Cristo, siamo ancora alle elementari? È una persona, proprio come me e te.»
Trasalisce. «Hai visto come mi ha ridotto?» alza il tono indicandosi. «Non oso immaginare quello che farebbe durante un combattimento. Che cazzo di lavoro fa, la guardia per qualche uomo potente?»
Tengo le dita sulla radice del naso, tra gli occhi. «È il mio capo.»
Spalanca gli occhi. «Lui... è lui il tuo capo?» indica fuori dalla porta per nessuna ragione.
Annuisco. «Si. È lui il mio capo. Quello che mi paga profumatamente per ricostruire la sua villa e per non vendere ad un maniaco la mia verginità.»
Passa la mano sulla nuca. «Che cosa ci faceva con te esattamente?»
«Ho avuto un attacco di panico. Mi ha chiamato in quel frangente ed è venuto a prendermi.»
Serra forte la mascella. Sta trattenendo la furia. Lo vedo. Non riesce proprio a stare fermo. Perché si comporta così?
«Quando?»
«Ieri.»
«Ieri quando?»
«Dopo che abbiamo discusso.»
Non riesce a guardarmi. Si volta fissando il soggiorno. «Se è solo il tuo capo com'è che ha reagito così male? Perché sa tutto di me, di noi?»
«Noi? Dan, io e te siamo amici o forse lo eravamo visto come mi stai trattando in questo ultimo periodo. Ammetto però che la colpa è sempre stata mia. Ma non ho mai visto malizia in quello che ho fatto per te. Mi riferisco ai gesti, alle ore passate insieme. Per me non c'era un doppio fine. Per te al contrario è sempre stato così. Avrei dovuto tenerti a debita distanza da me.»
«Ho fatto una domanda», stringe i pugni in vita. Trattiene ancora tutto. Non ascolta neanche o forse sta solo cercando di evitare di vedere ciò che al contrario è palese.
«Lui sa quello che deve sapere su di me e non conosco la ragione del suo comportamento nei tuoi confronti. Deve essergli scattato qualcosa quando ti ha visto. Non sono dentro la sua testa e non voglio neanche mettermi dalla parte di uno di voi, questo che sia chiaro. Mi dispiace se ti ha fatto male ma lo hai attaccato tu e non potevi di certo aspettarti che non avrebbe reagito.»
«Mi ha sorpreso parecchio. Di solito non reagiscono i tipi così come lui.»
Inarco un sopracciglio mentre riflette su quello che sta dicendo. «I tipi come lui?» chiedo subito spiegazioni facendomi attenta.
«Ingessato, con un autista. Hai visto che auto ha? Bi, noi non ci mescoleremo mai a quelli come lui. Non saremo mai all'altezza di ogni loro aspettativa. Tu e lui, non starete mai insieme perché lui avrà sempre pretese su di te. Ti trasformerà in qualcosa che non vuoi essere e finirai con l'annullare te stessa.»
Indietreggio da lui scuotendo la testa. «Ma ti senti? Mescolarsi a persone come lui...» lo guardo come se mi avesse appena dato un pugno in faccia. «Dan, io e lui non siamo come io e te. Smettila di paragonare tutto, di immaginare situazioni assurde. Travis è una persona come me e come te. Ha i soldi perché lavora tanto, perché sfrutta il suo potenziale e mi ha offerto un posto alla villa anziché continuare a lavorare dentro un locale con dei maniaci.»
Si sente offeso. Non lo nasconde neanche. «Con dei maniaci?»
Annuisco. «Patrick non lo è? I ragazzi che lo frequentano non lo sono?»
«Quindi secondo il tuo ragionamento lo sono anch'io! Grazie tante, Bi.»
«Non mi scuserò per quello che ho detto. Sai benissimo quello che ha fatto Patrick a me e a chissà quante altre ragazze. Tu hai una sola colpa, non averlo licenziato.»
Il suo viso diventa paonazzo. «Ma guardati...» inizia indicandomi con un tono acido. «Ti stai già ambientando al nuovo mondo», soffia dal naso rabbioso. «Ti credi in diritto di accusare, di puntare il dito solo perché adesso sei circondata da gente che conta. Non è vero?»
«Io non ho mai smesso di essere me stessa», mi difendo.
«Ed è qui che ti sbagli. Che ne hai fatto della ragazza che faceva sempre tutto di fretta, che rispettava la sua famiglia, la sua gente, la sua casa e non disprezzava ogni tipo di lavoro? Bi, non ti riconosco più.»
Si fa vicino e mi si rizza la pelle. Percepisco un pericolo e lo spingo. «Si cresce, Dan. Io sono cresciuta prima di tutti gli altri e tu questo lo sai benissimo. Hai vissuto con me ogni fase e io ho vissuto con te ogni tuo problema. Non ti ho mai abbandonato. Abbiamo solo avuto qualche screzio ma niente di così difficile da aggiustare. Adesso mi piombi in casa per giudicarmi, per dirmi cosa devo o non devo fare. Quello che è cambiato da quando sono volata via da sotto l'ala protettiva, sei proprio tu.»
Mi si avvicina ancora. Indietreggio ritrovandomi contro l'isola della cucina. Il ripiano freddo premuto contro la pelle mentre lui mi bracca. Gli arti superiori ai lati dei miei fianchi e il viso a pochi centimetri dal mio. Emana un calore strano ma allo stesso tempo sembra sentire freddo.
«Non lo sopporti. Non sopporti che io stia in qualche modo riuscendo a costruirmi un futuro senza il tuo aiuto», mi afferra per il mento tenendo fermo il mio viso.
Dilata le narici stringendo la mandibola. «Stai solo vivendo la bella vita che hai sempre voluto avere ma con un uomo sbagliato», ringhia.
Giro lievemente il viso provando a strapparmi dalla faccia la sua presa che inizia a farmi male. «Perché tu sei quello giusto, non è vero?»
Stringe maggiormente. Sento i suoi polpastrelli affondare sulla mia pelle, creare dei solchi. «Sono sempre stato io», dice. «Non te ne sei mai accorta perché ti lasci abbagliare dai tipi loschi. Un po' come il tuo caro e defunto Nic. Non un messaggio, non una lettera, è sparito nel nulla. Poi qualcuno ti ha inviato una lettera e il tuo piccolo mondo fantastico è crollato dentro una tomba. Non te lo hanno neanche fatto vedere per l'ultima volta, non è vero?»
Provo a spingerlo tenendo a bada l'angoscia nel rivivere quei momenti che, in una sequenza di flashback mi si parano davanti. «Dan, allenta la presa», dico con i pugni contro il suo petto. «Mi stai facendo male. Allenta la presa!»
Si avvicina maggiormente, intenzionato a farmi male psicologicamente. Perché lui lo sa, ha visto e vissuto il mio dolore. Sa esattamente su cosa fare leva. «Lo hai già dimenticato a quanto pare. Questo fa di te una cattiva ragazza piccola Bambi. Com'è che mi dicevi quando dormivamo abbracciati e stretti? Ah, già: 'Mi ha abbandonata. Mi ha mentito. Mi ha raccontato un mucchio di bugie'. E com'è che mi dicevi mentre ti consolavo? 'Dan, tu sei l'unico di cui...»
Credo di essere io ad averlo spinto dopo avere urlato a causa del dolore al viso, ma non è così. Dan va a sbattere contro lo schienale del divano.
Batto le palpebre trovando Travis davanti a lui. Minaccioso e concentrato. Pronto a farlo fuori. Sento il suo respiro appesantito dalla rabbia aleggiare intorno.
«Eccolo! L'eroe del giorno. Parlavano proprio di te», ride Dan indicandolo. Si rivolge a me. «Tu urli e lui corre in tuo soccorso. Tu chiedi e lui dà. Lui chiede e tu ricambi con gli interessi, non è vero?» torna a farsi serio. «Non ti accorgi neanche che ti segue. Che è sempre dove sei tu. Che sa tutto di te. Che cosa gli hai promesso?»
Travis rimane fermo, concentrato. Calcola ogni suo movimento. Non smette un secondo di osservarlo. Sembra tenerlo nel mirino. Dan invece ha gli occhi fissi su di me e quel sorriso che mi spaventa.
Di colpo mi è tutto più chiaro. La nebbia si dirada e comprendo. Ricevo come un colpo secco alla nuca. Prendo consapevolezza del fatto che Dan ha ricominciato. È caduto di nuovo in basso. Poso la mano sul braccio di Travis. Lui si volta immediatamente a guardarmi. «Sto bene. Dobbiamo solo farlo calmare.»
Sgrana impercettibilmente le palpebre come per dirmi: 'ne sei sicura?'
«Farmi calmare?» Dan esplode avvicinandosi ancora. Travis mi spinge dietro di sé, le spalle ampie a farmi da barriera e non riesco a vedere. Mi sposto a destra. Dan si ferma a pochi centimetri dalla sua faccia. «Che c'è, non dici niente oggi? Non hai imparato altre parole?» urla provando a spingerlo ma Travis non si muove di un millimetro, sembra fatto di marmo. «Oggi non rispondi alle provocazioni?» urla mollandogli uno schiaffo.
Travis lo guarda come si guarda un verme che prima o poi verrà schiacciato. Provo a fermarlo ma solleva il braccio dandomi un comando ben preciso. Il cuore mi batte così tanto da sentirlo quasi fuori dalla gabbia toracica.
«Che c'è, ti sei rammollito o la vista di Bambi che assiste a tutto questo ti impedisce di reagire? Andiamo, sappiamo entrambi che muori dalla voglia. Colpiscimi!»
Dan continua a provocarlo. Il viso livido, le spalle tese e pronte all'attacco.
Trattengo il fiato ormai da diversi minuti aspettandomi il peggio. Conosco Dan quando è in questa fase, sotto l'effetto di chissà quale schifo di sostanza.
Indietreggio trovando sostegno sul ripiano dopo appoggio la mano per tenermi in equilibrio mentre il mondo attorno sembra muoversi. «Dan, smettila», piagnucolo. Mi fa stare male vederlo di nuovo così. Sono stata tanto stupita da non rendermene conto.
«Smetterla? Non ho ancora iniziato», mi urla addosso provando a raggiungermi.
Ancora una volta Travis gli sbarra la strada. «Cosa vuoi che faccia?» mi chiede a fatica. Freme.
Dan spalanca gli occhi, la bocca, prova ad attaccarlo ma lui, con una sola mossa, gli circonda il collo con un braccio. Non riesco a raggiungerlo in tempo. Vedo la bava uscire dalla bocca di Dan mentre prova a ringhiare qualcosa dimenandosi nervosamente, infine i suoi occhi abbassarsi. Travis attende uno, due secondi e lo lascia cadere a terra guardandolo con disprezzo.
Ho un momento di lucidità e mi fiondo sul pavimento, in ginocchio accanto a Dan, inerme. Poso una mano sul suo petto e accorgendomi che respira ancora rilasso le spalle.
Guardo Travis. Dovrei essere arrabbiata con lui ma non posso. È arrivato in perfetto orario. «Dovrò imparare questa mossa», dico chiedendogli silenziosamente di trascinare Dan sul divano.
«Lascialo li», replica in tono piatto.
«Trav, non possiamo lasciarlo sul pavimento.»
«È lì che si troverà quando una dose lo manderà al tappeto.»
Mi incupisco tremando visibilmente. Se ne accorge drizzando la schiena. «È già successo, non è vero?»
Non rispondo. A fatica trascino Dan sul divano. Lui corre ad aiutarmi. Non appena lo lascia cadere sul divano, sistemo due cuscini dietro la sua testa tirando su la manica del maglione. Controllo per bene che non ci siano buchi o segni poi alzo le palpebre controllando le pupille. Sono dilatate.
Mi siedo sul pavimento le mani in testa. La scuoto ripetutamente scoppiando in lacrime. Travis mi tira via dall'angolo ristretto, abbracciandomi. Mi nascondo contro il suo petto caldo. «È colpa mia...» sussulto senza fiato. «Non l'ho più controllato e lui... lui si è lasciato andare.»
Mi solleva il viso. Mi fa male e accorgendosene allenta la presa. «Non è colpa tua.»
Guardo Dan. «Invece si...»
«Bi, guardami!» gira il mio viso. «Lui è il solo che può uscirne. Non è colpa tua. È la sua mente che non è forte.»
Nego. «È colpa mia», singhiozzo forte.
Mi stringe a se baciandomi la testa. «Da quanto lo aiuti?»
«Circa dieci anni», tiro su con il naso.
I suoi occhi mostrano stupore. «Ti sei presa carico di lui per...»
Annuisco velocemente. «Io lo so che non comprendi quello che provo per lui ma... è la mia famiglia. Io non posso perdere anche lui.»
«Ma non puoi tenerlo continuamente d'occhio. Non sei sua madre o il suo supervisore. Non sei neanche la sua ragazza.»
Sciolgo l'abbraccio avvicinandomi a Dan. Sfioro la sua guancia calda continuando a piangere. «Ha iniziato ad una festa dicendo che era 'per gioco', 'per provare qualcosa di diverso'. Quella stessa notte è venuto da me, non riusciva a stare fermo, rideva abbastanza forte da svegliare l'intero vicinato, diceva quello che pensava, faceva chiasso come un bambino dispettoso. Allarmata l'ho portato in ospedale dove gli hanno fatto una sorta di lavanda, insomma lo hanno ripulito e gli hanno consigliato di andare in comunità, a delle sedute settimanali. Lui però doveva prendersi cura di sua madre e allora si è impegnato. Quando poi lei è morta è successo di nuovo... ma ancora una volta ne è uscito», gli sistemo una coperta addosso. «Poi ha iniziato a frequentare una brutta compagnia. Lo obbligavano a fare cose pericolose mentre erano strafatti.»
Travis si siede sul tavolo basso accanto a me. «Che cosa è successo?»
«Si è indebitato, ha litigato con la persona sbagliata e io...» strizzo le palpebre. «Io l'ho trovato sul ciglio della strada, l'hanno pestato a sangue. Non dimenticherò mai la paura provata nel trasportarlo in ospedale mentre non respirava. Lui... non respirava quasi più.» Nascondo il viso tra le braccia incrociate sul divano accanto a Dan.
Travis mi massaggia la schiena confortandomi. «Non eri sola...»
«No, con me c'era Nic quando mi ha chiamato chiedendomi aiuto. Essendo l'unico adulto si è preso carico di tutto. Lo ha aiutato a ripulirsi e da quel momento io...»
«Ti sei presa carico di ogni sua azione tenendolo d'occhio. Sei andata persino a lavorare da lui proprio per questo, non è vero?»
Tiro sul con il naso asciugando le lacrime. «Potevo scegliere altri lavori giornalieri. Ma ho preferito stare con lui perché la sera il locale era sempre pieno di quella roba. E lui... lui non ha mai ceduto. Voleva dimostrarmi che ogni mio sacrificio non era stato vano.»
Travis si fa pensieroso. Non lascia trasparire i suoi reali pensieri in merito alla vicenda. «Quindi lui lo sapeva», afferma.
«Si, non abbiamo mai avuto segreti. Lui lo sapeva e per non farmi sentire troppo il peso della scelta che ho dovuto fare, forse anche per ringraziarmi, mi ha sempre aiutata.»
Guardo un punto del pavimento. «Poi però io ho perso il lavoro. Lui non è riuscito a fare niente e una delle sue colonne è crollata.»
Rimaniamo in silenzio. Sfioro la mano di Dan e scostandogli i capelli bacio la sua fronte. «Non permetterò a quella roba di distruggerlo un'altra volta.»
«Posso essere sincero?»
«Sempre.»
«Quando sente di poterti perdere lui ricade nel circolo fino a riportarti da lui. Pensaci bene. È egoista!»
Apro e richiudo la bocca. Non avevo mai avuto un simile pensiero. Non avevo ancora dubitato del mio amico.
«Tu credi che lui...» guardo Dan.
«Bi, credo sia giunto il momento per lui di ammettere di avere un problema. Deve ripulirsi da solo.»
Il pensiero mi fa rabbrividire e intristire ma so che ha ragione. Dan ha sempre avuto me e nel corso del tempo si è adagiato alle mie spalle con il peso delle sue azioni. Adesso che ho iniziato a seguire un percorso diverso, lui si è trovato solo e si è smarrito perché non ha saputo accettare il cambiamento. Allora ha deciso di farmi sentire in colpa, di farmi preoccupare per prendermi cura di lui. Per tornare da lui.
Lui mi ama perché vede in me un porto sicuro. Ecco perché non ha mai cercato relazioni stabili ma solo storielle di qualche notte. Adesso mi è tutto più chiaro. Si è adagiato ad un amore platonico. Si è convinto dell'esistenza di un noi. Sta ancora mandando un messaggio in modo sbagliato. Ma io non posso più aiutarlo. Non posso permettere un'altra volta che ricada nell'illusione. Non posso annullarmi per permettergli di stare bene. Non posso essere braccata, infelice.
«Come ho fatto a non capirlo?»
Travis scivola accanto a me. «Quando vuoi bene ad una persona non calcoli il male che può farti. Non te ne rendi conto fino a quando non ti pugnala per l'ennesima volta al cuore.»
Sento il petto stringere e stringere. Non respiro. Vedo tutto appannato. Un senso forte di nausea si fa strada dentro di me e sono costretta a scappare in bagno. Chiudo la porta a chiave arrivando in tempo sul water. Vomito aria, delusione. Tiro fuori il dolore tenuto dentro in questi anni così difficili a fare da sorella, da amica, da mamma, da tutto. Tossisco tirando lo sciacquone poi mi appoggio all'angolo, la testa contro le piastrelle fredde.
Travis bussa alla porta. «Vuoi aprirmi o devo scassinare ancora questa porta?»
Provo ad alzarmi e arrancando giro la chiave permettendogli di entrare.
Mi fermo davanti allo specchio osservando i segni della presa ferrea di Dan sul mio viso. Disgustata apro il getto dell'acqua del lavandino sciacquandomi la faccia nella speranza di potere eliminare tutto. Recupero poi lo spazzolino lavando i denti.
Travis si appoggia allo stipite massaggiandosi una tempia.
«Per quanto dormirà?»
«Un'ora, due... avendo assunto qualcosa direi anche tre. Non saprei. Potrebbe anche svegliarsi a breve.»
Mi reggo sulle braccia tenendo i palmi stretti intorno al bordo del lavandino. Inspiro ed espiro.
Travis si avvicina. Scosta i capelli di lato massaggiandomi le spalle. «Respira lentamente o ti sentirai di nuovo male.»
«Perché sei venuto?»
Sembra riflettere solamente adesso a questo. «Volevo scusarmi. Tu sei stata davvero dolce con me e io... a causa della paranoia ho avuto una brusca reazione.»
«Invece hai dovuto assistere ad un momento orribile.»
Esco dal bagno tornando in cucina. Mi siedo ancora una volta per terra, accanto a Dan. Travis invece cammina da una parte all'altra con le mani dentro le tasche della tuta che indossa. Di tanto in tanto scosta la tenda guardando fuori.
«Prima o poi glielo dirai?»
Porto una ciocca dietro l'orecchio. «Dirgli che cosa?»
«Di noi...»
Per la prima volta non tento di negare l'evidenza. Tra di noi c'è qualcosa. «Credo lo sappia già. Ma non lo accetterà mai.»
«Gli dirai che ti ho regalato le chiavi di casa per venire a stare da me?»
Rifletto solo ora a questo. Senza rispondere corro in camera aprendo l'ultimo cassetto. Dentro, al centro dello spazio vuoto, trovo una scatolina.
Percepisco la presenza di Travis sulla soglia ma me ne sto inginocchiata a fissare l'unico oggetto presente. Sollevo la scatolina di velluto blu elettrico. La apro come se fosse una scatola di fiammiferi e sorrido. «Continui a sorprendermi», dico incredula.
Travis mi raggiunge togliendo il bracciale dal cuscino intorno a cui si trova insieme alla chiave e lo allaccia al mio polso. «Volevo che avessi qualcosa di mio sempre con te. Ho viaggiato parecchio e quando visiti determinati posti ti rendi conto della fortuna che hai ogni giorno davanti e che lasci sfuggire. Io non voglio lasciarti andare ma so di non poterti trattenere quindi, spero sia di tuo gradimento. E spero che quando lo indosserai sorriderai.»
È la prima volta che mi parla spontaneamente di qualcosa fatto nel passato. Sfioro il braccialetto. Una catenina d'argento con un unico Swarovski al centro a forma di stella. «Ricordi quello che ho detto?»
Afferro il suo viso e sporgendomi premo forte le labbra sulle sue. «Sei vistosa come la stella più bella...»
«Ma terribilmente solitaria e triste», ripete insieme a me, bocca contro bocca.
Mi stacco con le guance accaldate e l'emozione accumulata nel petto. «Ma io non riuscirò mai a ricambiare tutto questo», mi sento in difetto.
«Hai già fatto tanto per me senza neanche accorgertene.»
Dandomi un bacio sulla tempia, si alza. «Pensaci bene alla mia proposta. Non sentirti obbligata. Per una volta decidi ma fallo con il cuore», si sposta in soggiorno strizzandomi l'occhio.
Rimango sola a fissare il bracciale, la chiave. Chiudo la scatolina posandola sul comodino e raggiungo il soggiorno.
Trovo Dan sveglio, seduto davanti a Travis. Faccia a faccia. Non parlano, continuano solo a guardarsi male a non nascondere l'astio.
«Vi lascio soli», mi si avvicina dandomi un bacio premuto sulla tempia.
Lo guardo uscire. Prendo una bottiglia d'acqua passandola a Dan. Deve essere assetato. Mi siedo accanto composta.
«Devi ripulirti», inizio senza giri di parole.
Beve un sorso d'acqua. «Lo so. È successo solo...»
Gli schiocco un'occhiata brutale. «No, non mentire.»
Deglutisce passando il palmo sulla fronte leggermente sudata. Muove nervosamente la gamba. «Mi dispiace.»
«Non è vero», guardo il camino spento davanti a me. Le lacrime scivolano via. «Dan, tu ti sei fatto del male per potere stare con me. Sei malato», singhiozzo e prova ad abbracciarmi.
Mi scanso. «Devi farti curare. Promettimelo!»
Stringe le mie mani baciandole. «Mi dispiace», ripete. «Il pensiero di perderti mi...»
«Ma tu non mi perderai mai. Ci sono sempre stata, nonostante tutto. Perché mi hai fatto questo?»
Picchio i palmi sul suo petto. Li tiene ancora fermi. «Sei sempre stata l'unica costante», dice con gli occhi lucidi.
Mi avvicino a lui accarezzandogli il viso. «Promettimi che da oggi cambierà tutto. Promettimi che crescerai davvero.»
«Ci sarai?»
«Si, ma non come vuoi tu. Ci sarò come dico io.»
«Mi accompagnerai alle sedute?»
Annuisco. «Ma non ti terrò più d'occhio. Dovrai affrontarlo perché solo tu puoi uscirne.»
Abbassa gli occhi. «Ti amo, Bi.»
«È per questo che devi lasciarmi andare.»
Singhiozzo con il cuore scosso dal dolore.
«Sei innamorata di lui», stringe le labbra abbracciandomi. «Ti rende felice», sussurra. «Ti protegge», continua.
Afferro il suo viso. «Io ti vorrò sempre bene. Sei la mia famiglia, ricordi?»
Preme le labbra sulla mia fronte sfiora poi i segni sul mio viso. «Perdonami», piagnucola.
Lo abbraccio. «Sssh, andrà tutto bene. Vedrai che starai meglio.»
«Come fai a saperlo?»
«Ti conosco e tu non ti fai mettere i piedi in testa da nessuno. Neanche dalla merda che ti fai vendere. Non ti fa stare bene. Ti fa fare del male a chi ami. Dan, devi allontanarti dal locale per un po'.»
Riflette sulle mie parole avvicinandomi ancora a sé, cercando un minimo contatto per non sentirmi così distante. «Mi dispiace. Smetterò. Mi ripulirò. Farò tutto quanto, te lo prometto.»
«Bene, perché rivoglio il mio amico pronto a prepararmi le ali di pollo piccanti, a regalarmi un sorriso, a farmi sentire a mio agio.»
Gli scappa un sorriso tra le lacrime e io lo stringo forte tenendo a freno le mie, la mia voglia di mettermi a urlare. «Sabato?»
«Ti darò l'indirizzo dove portarmi il pranzo», rispondo.
Annuisce stringendomi ancora a sé. «Grazie, Bi.» Mi asciuga una lacrima. «Guarirò, tornerò in me e ti renderò orgoglioso di me.»
«Non ne dubito», strofino la mano sulla sua testa e lui mi avvicina premendo le labbra sulla mia tempia. «Spero un giorno tu possa perdonarmi.»
«L'ho già fatto.»
Sussulta e annuendo scioglie l'abbraccio. Il suo telefono squilla. Controlla e alzandosi cerca il giubbotto. «Devo andare. Uno dei camerieri si è fatto male.»
«Ok.»
Ci avviamo all'entrata. Travis se ne sta seduto sul portico. Notando la porta aperta si alza. Dan lo guarda ancora male fermandosi davanti a lui a qualche passo di distanza. «Non mi vai a genio ma le regali un sorriso e per questa ragione proverò a fare una piccola eccezione», ci ripensa. «Anzi no, guardati le spalle perché se la fai soffrire ti ammazzo.»
Travis non replica, lanciandomi uno sguardo entra in casa.
Rimasta sola sul portico con Dan, gli aggiusto il ciuffo sulla sua fronte. «Fammi sapere quando inizi con le sedute.»
Annuisce. «Perdonami», ripete baciandomi la fronte.
Lo guardo andare via con una strana pressione addosso. Poco prima di vederlo salire in auto, urlo il suo nome correndo da lui. Lo abbraccio poi staccandomi lo spingo rabbiosa. «Ti voglio bene, ma non farmi mai più tutto questo. Mai più!»
Torno in casa sbattendo la porta alle spalle e presa dallo sconforto, scoppio in lacrime come una bambina.
Travis si avvicina cauto prima di avvicinarmi a sé e confortarmi.

♥️

Come proiettile nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora