Finale alternativoUn forte boato. Urla alte. Terrore. Il buio.
Ecco come si spezza una vita. In un attimo tutto si spegne, tutto si trasforma, tutto cambia. È come un battito di ali, un battito di ciglia, un interruttore che spegne ogni cosa. Non senti dolore. Solo quell'impatto in grado di stordirti prima ancora di averne la piena consapevolezza. Sei vivo. Sei morto. Niente importa se è stato qualcun altro a premere l'ingranaggio che ha fatto esplodere la bomba. Davanti alla morte sei come tutti gli altri. Non sei diverso.
Un rumore fastidioso e ripetitivo. Il suono di una macchina che prosegue incessante provocando un bip continuo mi disturba così tanto da costringermi ad aprire gli occhi.
Innervosito cerco di vedere qualcosa, mi agito quando davanti a me è tutto buio. Mi innervosisco. Vorrei tanto urlare in questo momento, liberare le orecchie dal fischio senza sosta e alleviare il dolore al petto che sento schiacciato da una bruttissima sensazione.
Batto ancora le palpebre adattandomi alla luce del neon posto sulla mia testa. Adesso ci vedo. Non sono più senza vista e davanti a me si para qualcuno.
«Ma buongiorno straniero addormentato!»
Riconosco questa voce. È inconfondibile.
Batto le palpebre mettendo a fuoco guardandola incredulo e più che stordito.
Mi sorride raggiante la ragazza che credo di conoscere perché ha infestato a quanto pare tutti i miei sogni.
Ma come ci sono finito qui?
Cerco di ricordare un momento spremendo le meningi e alla fine rivedo tutto a rallentatore. Ma non dovrei essere in un altro ospedale?
Nei dintorni non vedo guardie o miei compagni. È così confuso.
«Ti hanno detto che sembri un angelo?» Parlo per non andare nel panico. Le ossa mi fanno male. Mi lamento e infastidito dai tubi che mi circondano li strappo via come se fossero un cerotto.
La sua piccola mano dalle unghie curate e laccate di smalto rosso vinaccia, quando provo a sollevarmi a metà busto, con una certa sicurezza mi fermano.
Ha una forza straordinaria e mi colpisce il suo tocco facendomi attraversare da un lungo brivido freddo.
«Fermo, fa piano dormiglione.»
La guardo intensamente e lei lasciandomi andare si imbambola.
Sento il mio cuore battere all'impazzata. Così forte da non sentire neanche la sua voce che arriva attutita alle mie orecchie.
«Che c'è? Stai male? Stai per vomitare o...»
Nego scuotendo a rilento la testa. Continuo a fissarla e questo in qualche modo la fa agitare dentro. Evita la mia attenzione scatenandomi addosso, nel profondo, uno strano istinto: quello di stuzzicarla.
«No, da quanto sono qui?» Chiedo guardandomi intorno.
La stanza è comune, niente di particolare per un soldato. Le mura sono di un tenue verde acqua. Il letto sulla quale sono sdraiato è coperto da un lenzuolo bianco e una coperta beige chiaro morbida sopra. Al braccio una flebo, il tubo che avevo attaccato alle narici pende di lato sfiatando e sul dito ho ancora collegato il macchinario che tiene sotto controllo i battiti del mio cuore apparentemente in aumento.
«Un anno circa», risponde sistemandomi la coperta. «E a quanto pare ricordi tutto e non hai problemi a parlare.»
Deciso a non dargliela vinta mi sollevo a metà busto. Sento un dolore forte alla spalla ma non mi lamento. Ho imparato a sopportare in silenzio.
«Dovresti stare sdraiato», mi ammonisce usando un tono secco e di rimprovero.
«E tu dovresti sorridere di più», sollevo gli angoli della bocca e lei piega la testa di lato. Noto le sue pupille ingrandirsi.
«Lo faccio solo se ti sdrai. Hai sete?»
Inarco un sopracciglio. «Stiamo contrattando?»
Riempie un bicchiere con la cannuccia tenendolo a distanza da me. «Si. Allora?»
La guardo male. «Ok», sbuffo come un bambino e stringe le labbra passandomi il bicchiere.
Bevo avidamente sentendomi assetato. Chiudo un momento gli occhi poi poso il bicchiere vuoto sul comodino e mi stendo.
Lei soddisfatta mi sorride e dentro di me scatta un fuoco d'artificio che si libera nel cuore.
«Hai un po' di bava lì...» mi prende in giro indicando l'angolo del labbro.
Rido tossicchiando. «Mi sto trasformando in un animale. Vorrei mangiarti. Hai un aspetto appetitoso.»
Scuote la testa. «Attento o nessuno ti asciugherà più le labbra e la fronte quando tremerai come una foglia e suderai nel sonno.»
Mi diverte. Nel sogno era proprio così, un po' chiusa, un po' distante e spaventata ma sempre pronta a rispondere a tono. Decido di stuzzicarla per vedere fin dove può arrivare.
«E dimmi... mi hai anche fatto il bagno?» Nascondo il sorriso che vorrebbe tanto uscire.
Arrossisce visibilmente. Stringe le labbra che si increspano prima di schiudersi. «Volevi che ti toccasse la vecchia infermiera di turno pronta a metterti le mani addosso sin dal primo istante?»
Corrugo lievemente la fronte. Che significa sin dal primo istante? È stata con me per tutto questo tempo?
No, impossibile. Avrà una vita diversa. Forse il mio cervello nel sentire la sua voce avrà creato uno scenario, qualcosa di perfetto per salvarmi dalla morte cerebrale, dal sonno eterno.
Nego e per istinto, le sfioro il viso accarezzandole con due dita il rossore e le piccole lentiggini che quasi non le si notano. Ma la sua pelle è così bianca da mostrare tutto, persino i segni di insonnia, di dolore e tristezza.
Non si scansa lasciandomi fare e questo mi rincuora facendo battere frenetico il mio cuore. Il macchinario infatti rivela un'attività insolita e sono costretto a staccarmi da lei schiarendomi la gola.
«Posso farti un complimento?»
Guarda lo schermo poi la mia mano. «Dipende. Userai le solite frasi fatte e scontate?»
«Sei bella.»
Porta una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Vedo che ti sei svegliato davvero, Travis.»
Sgrano gli occhi. «Come... come fai a sapere il mio nome?»
Ha un momento di lucidità. Si stacca da me e vorrei fermarla ma si avvicina al comodino aprendo il cassetto. Fruga dentro un momento nascondendo dietro la schiena qualcosa.
Sbircio ma non vedo niente.
«Apri la mano.»
Così faccio e lei lascia cadere sul palmo la piastrina poi solleva la cartella medica posta ai piedi del letto nel contenitore apposito. «A quanto pare ti hanno riconosciuto da questa ma non c'è altro sul tuo modulo a parte che hai più o meno trent'anni e sei parecchio alto.»
Ascolto con attenzione ogni sua parola pensando ad una cosa che nel mio sogno facevamo sempre. «Posso tirare ad indovinare il tuo nome?»
Si avvicina di nuovo prima però guarda per qualche strano motivo la porta dalla quale vede passare oltre il vetro qualcuno.
«Si, sentiamo.»
Faccio finta di pensarci. «Ti chiami Bambi», sussurro.
Sgrana gli occhi indietreggiando di un passo. «Come... come fai a saperlo?» Le sembra assurdo. Le si forma sulla fronte una ruga marcata.
Sorrido sfiorandola con l'indice. «Perché sarai mia moglie», mormoro.
Batte le palpebre. «Oh non né dubito. Stai delirando?» Prova a sfiorarmi la fronte. Le affetto il polso e trema. Anch'io.
«Ti ho sognata e fidati, staremo insieme io e te.»
Inumidisce le labbra deglutendo. Appare sorpresa dalla mia reazione, incuriosita dalla mia sicurezza.
«Mi piace la tua convinzione, Travis.»
Prova ad allontanarsi. La trattengo. Lo faccio con impeto mentre il mio cuore prende a battere forte facendo impazzire lei e il macchinario.
Quando le sfioro la mano il suo corpo ha come uno scossone.
«Dove vai?» Domando agitato al pensiero di vederla svanire.
Guarda la mia mano, la stretta che non le fa di certo male visto che la sto tenendo delicatamente. «A chiamare il dottore per avvertirlo che sei sveglio. Griderà al miracolo. Non muoverti», minaccia con i suoi occhi meravigliosi staccandosi.
La lascio andare alzando le mani. «Non ti prometto niente tranne se...»
Sorride. «Che cosa vuoi in cambio?»
«Dammi un bacio», dico sfacciato.
Scuote la testa. «Dovrai accontentarti della mia parola, furbetto!»
Sorrido raggiante e si imbambola un momento rischiando di cadere mentre si avvia alla porta.
«Ci ho provato. Ma non metterci troppo. Ho aspettato abbastanza», sussurro infine.
Mi rivolge uno dei suoi sguardi in grado di strapparmi l'anima come i petali di una margherita e se ne va dalla stanza.
Rimasto solo, mi sento alquanto strano dentro. Mi sollevo di nuovo sulla schiena guardandomi un momento. Ho una fascia sulla mano, una attorno alla vita fino alla spalla.
Bambi entra in camera recuperando le sue cose lasciate sulla poltrona all'angolo della stanza.
«Sono contenta che alla fine ti sei deciso a svegliarti.»
Si avvicina con una certa sicurezza posando un bacio sulla mia guancia. Mi giro e le nostre labbra si sfiorano. Il suo fiato odora di cannella e liquirizia quando le schiude più che sorpresa. Il petto le si alza ed abbassa repentinamente.
«Verrai a trovarmi ancora?» Chiedo pur sapendo che mi lasceranno tornare a casa tra qualche ora o giorno.
Ho una casa, una villa. Rifletto mettendo insieme i pezzi per capire come bisogna agire in una situazione simile.
Mi lascia un altro bacio sulla guancia scivolando via. «Forse», sussurra uscendo velocemente dalla stanza.
Lascio uscire tutto il respiro trattenuto. Dalla porta entra un dottore dai capelli lunghi e bianchi. Gli occhiali sulla punta del naso a nascondere gli occhi vispi di un comune color caramello.
«Bentornato. Allora, come si sente signor Travis? Ci ha fatto prendere qualche spavento ma sapevamo che è un combattente nato, vero Gina?» Chiede all'infermiera ultra quarantenne di cui parlava Bambi. Lei annuisce.
«Starei decisamente meglio se qualcuno riuscisse a riportare qui quella ragazza», dico guardando la porta percependo dentro una forte mancanza, la sua.
Il dottore controlla i macchinari poi i miei riflessi. Guarda poi l'infermiera che nel frattempo mi ha staccato la flebo e insieme ridono.
«Quel peperino di ragazza ha un gran cuore signor Travis», parla confidenzialmente quest'ultima con una espressione rilassata, da mamma orgogliosa.
Il dottore pesca dalla tasca del camice il suo cercapersone che continua a squillare. «Gina, controlla le ferite poi fagli dei prelievi e proseguiamo con le analisi e le risonanze. Io devo occuparmi di un'emergenza.»
L'infermiera annuisce mettendosi subito al lavoro con le bende che taglia attentamente dopo avere recuperato gli attrezzi.
Quando toglie la benda dalla mano noto che è bruciata ma non come l'ho sognata.
«È stato fortunato, sa? Esplosioni come quella creano più morti che feriti. Qualcuno ti ha graziato. Forse eri destinato a quell'angelo di ragazza», dice controllandomi il braccio e poi la spalla e la schiena piena di cicatrici. «Hai superato tanti interventi e tante crisi.»
«Grazie», dico velocemente.
«Dovresti ringraziare anche lei sai?»
«Che cosa sa di lei? Può dirmi qualcosa?»
«Bambi è una brava ragazza. Qui in ospedale, tra i malati terminali c'è sua zia. Quella povera creatura si prende cura di lei», mi spiega con ammirazione.
«Era qui dentro per puro caso o...»
Nega. «Quando sei arrivato in ospedale quel giorno, dopo che ti hanno messo su un aereo non sapendo se saresti sopravvissuto, lei era all'entrata. Ti ha visto ridotto in quello stato e ha aspettato ore per avere tue notizie perché non ha notando nessuno ad aspettare a parte due guardie che ti hanno lasciato alle nostre cure. Poi si è occupata di te senza mai chiedere niente in cambio.»
La guardo stupito. «Si è presa cura di me per tutto questo tempo?»
L'infermiera lascia le ferite a rimarginarsi senza l'ausilio delle bende. «Si, ha fatto delle domande su di te ma nessuno sapeva niente, nessuno arrivava mai a trovarti e alla fine... diciamo che per noi era come la tua fidanzata. Non ci facevamo neanche più caso se la trovavamo in camera a leggerti qualcosa o a parlarti. Ti teneva sempre la mano. Più volte l'abbiamo trovata addormentata tra la poltrona e il letto sfinita. Ma non ha mai smesso di sperare», parla a ruota. «In qualche modo era come se si stesse aggrappando a te per non crollare. E credo che oggi l'hai resa felice.»
Sono stordito, letteralmente. Massaggio il petto sentendolo bruciare.
L'infermiera mi offre dell'acqua forse notando la mia reazione.
«Stava accanto a me per tutto il tempo?»
Annuisce. «Si. La trovavo sempre qui accanto a te. A volte studiava persino e si imbarazzava quando la beccavo con una tazza di te' caldo o una scatola di cioccolatini e un film. Persino le amiche venivano a prenderla con la forza per farla uscire», ride.
Le conosco, rifletto mentalmente.
«Le ha mai chiesto perché?»
Annuisce. «Tante volte.»
«E cosa le rispondeva?»
«Ha sempre risposto che lo faceva perché così al tuo risveglio avresti avuto qualcuno accanto pronto a dirti che sei stato miracolato e fortunato e soprattutto uno stupido.»
Sorrido raggiante. «Già, lo sono. Ma sa se dorme qui?»
Alza le spalle. «E capitato spesso, si. Non credo che abbia qualcuno a parte sua zia. L'ospedale ormai è come una casa per lei. E per noi come una figlia o una nipote. Non ci ha mai dato fastidio anzi, a quanto pare è stata davvero d'aiuto. Perché non ha mollato quando tutti le dicevano di smettere.»
La donna che ho davanti a me sembra presa dalla conversazione, così tanto da non accorgersi di ogni informazione che mi ha appena dato.
Mi rilasso mentre mi tira il sangue.
«Penso che le chiederò di sposarmi. So che non mi conosce ma... io la conosco.»
Gina muove la testa in segno di assenso. «Se non lo fai tu lo faccio io», esclama divertita.
Ridiamo.
Qualcuno bussa alla porta. Smettiamo guardando in direzione e proprio lei prima sbircia entrando poi in punta di piedi.
L'infermiera ghigna. «Vi lascio soli. Passo dopo per portarti a fare il resto delle analisi.»
Rimasti soli Bambi si avvicina tenendo il cappotto sul braccio piegato e la borsa a tracolla sulla spalla. «Sono passata a salutare», mi avverte.
«Vai via?»
Escogito mentalmente un modo per trattenerla.
«Si, devo tornare a casa e poi raccontare alle mie amiche che finalmente il bello addormentato si è deciso ad aprire gli occhi», risponde serena.
Alzo il mento. «E come sono?» Li sgrano.
«Singolari.»
Tocco immediatamente la mia faccia più che allarmato. Vado proprio nel panico davanti a lei toccandomi il viso.
Eppure quando mi sfioro la pelle non sento nessuna piega, nessuna parte piena di carne morta o solchi continui. Ricordo che nel sogno era sfigurata.
Bambi assiste alla scena senza dire niente. Mi osserva frugando dentro la sua borsa passandomi uno specchio.
«MisterX detto anche Mister Miracolo adesso. Sei anche un po' narcisista.»
Guardo il mio viso non rispondendo alla provocazione. Sulla mia faccia c'è un segno sul sopracciglio e una sola cicatrice ad attraversarmi l'occhio che, come nel sogno è quasi grigio.
«A quanto pare sono famoso», replico restituendole lo specchio.
Annuisce. «Puoi dirlo forte.»
Improvvisamente diventa triste. È come se qualcosa dentro di lei si spegnesse. Dentro di me scatta quell'istinto che lei ha avuto nei miei confronti e che io ricambio solamente adesso perché posso davvero farlo. Le sfioro la mano intrecciando le nostre dita. È assurdo vedere la mia mano incastrarsi alla perfezione alla sua. Poi, la tiro verso di me. Barcolla leggermente sedendosi sul bordo.
Le tolgo il cappotto e la borsa sistemandoli ai piedi del letto.
«Come stai? Ti sei appena incupita. Se non vuoi dirmi il motivo non farlo ma fammi sapere se posso fare qualcosa per te.»
Appare sorpresa dalla mia dolcezza e lusingata dalle mie parole, dalla mia accortezza.
Nessuno l'ha mai capita. Nessuno l'ha mai trattata come si deve. Nessuno l'ha mai fatta sentire una donna, desiderata, cercata, trovata, amata. Tutti si sono presi dei pezzi di lei strappandole via ogni felicità, lasciandole solo tristezza e dolore.
Pensa sempre di essere poco. Si sbaglia. Lei è tutto. Lei è tanto. Perché offre anche quello che non può avere per sé pur avendo paura. Ama senza controllo e lo fa con gli occhi che sono tanto lo specchio della sua anima in frantumi.
«Credo che andrà meglio», dice dopo una breve riflessione. «Non è niente, davvero. Sono solo un po' stanca. Però l'emozione nel vederti sveglio è tanta, lo ammetto.»
La guardo intensamente. «Hai sperato tanto per me?»
«Nessuno merita di soffrire come hai sofferto tu. Deve essere stato terribile. Non oso neanche immaginare», non mi guarda con compassione ma con estrema dolcezza. Così tanta da farmi tremare le vene ai polsi e principalmente il cuore.
Le sfioro la guancia in una carezza delicata. «È stato difficile e diciamo un attimo intenso. Però è stato anche bello perché ho potuto sognarti.»
Si appoggia lievemente alla mia mano come un gatto che non sa se fidarsi. «Mi racconterai quello che hai sognato su di me?»
«No, troppo lungo. Se te lo faccio vivere è meglio. Ma solo alcune parti, quelle importati.»
«Sarebbe bello ma facciamo un'altra volta.» Prova a staccarsi, a prendere le sue cose e la fermo.
Mi guarda come se fosse smarrita. «Stai male?» Chiede.
Nego. «Rimani.»
Riflette un momento. «Vuoi che resti qui? Sono una perfetta sconosciuta per te.»
Sto già rispondendo di no. «Per me non lo sei affatto, Bi.»
«Come mi hai chiamata?»
«Bi... te l'ho detto, sarai mia moglie.»
Ride. «Hai una fervida immaginazione, questo te lo riconosco, Trav. Il coma e i farmaci ti hanno proprio dato alla testa.»
Trattengo il fiato sentendomi agitato dentro. «Sei impegnata...» stringo il pugno.
«Cosa? No, non sono impegnata.»
«Nessuno? Davvero?»
«No, neanche l'ombra. Non ho avuto tempo per i ragazzi o altro. Ho solo le mie amiche.»
La guardo soddisfatto. «Bene, non mi piace avere rivali e non intendo di certo arrendermi.»
Mi guarda da sotto le ciglia. Dio, è davvero bella. «Non ti arrenderai facilmente, eh?»
«Certo che no», rispondo tranquillo e più che convinto.
Guarda l'orologio dandomi una pacca sul petto. «Devo andare.»
Poso il palmo sulla sua. «Rimani», sussurro.
Morde il labbro. «Puzzo d'ospedale», arriccia il naso.
Alzo le spalle. «Anch'io. Vorrà dire che puzzeremo insieme», rispondo facendole spazio.
In qualche modo è attratta dalla mia ostinazione e non lo nasconde. Gratta la guancia massaggiandosi un momento la fronte. «Ok», impacciata si sdraia accanto. «Fai così con tutte?»
Avvicino il viso al suo. Annuso la sua pelle. Non puzza affatto di ospedale ma di buono.
Se ne accorge e tira indietro la testa. «Ti stai accertando di cosa esattamente?»
Sorrido e le sue dita mi sfiorano le labbra.
«Hai un buon odore. Posso morderti?»
Non toglie le dita ma ridisegna i contorni lentamente. «No, parlami di te», sussurra passandosi la lingua sul labbro inferiore.
«Poi mi darai un vero bacio?»
Sorride. «Forse. Dipende da cosa mi racconterai.»
Mi metto comodo. «Vediamo...» inizio. «Sono Travis Williams adesso prima ero Travis Jones e ho vissuto in posti straordinari e difficili. Ho superato le più svariate delle situazioni. Ho visto la guerra, patito la fame, la sete perché non sempre riuscivano ad arrivarci delle scorte. Ho salvato molte vite e ne ho spente altre. Alla fine il karma è stato bastardo con me e adesso sono qui.»
La guardo. «Volevo salvare un uomo, era come me. Purtroppo lo hanno ucciso ed io ho reagito male perdendo il controllo. Ho provocato un mio compagno e lui ha messo il piede sulla bomba facendoci esplodere tutti.»
Ascolta con attenzione il mio racconto. «Che cosa farai adesso?»
«Ricostruirò la mia vita. Se te lo stai chiedendo non voglio più rivedere la mia famiglia che per inciso è potente. Ho una villa fuori città e adoro le rose, lo so, sembra stupido ma è giardinaggio e...»
Sorride posando la mano sulla cicatrice poi sulla guancia aprendo il palmo. «Sei forte e riuscirai a fare tutto quello che vuoi.»
Guardo le sue labbra. «Riuscirò anche a sposarti?»
Arrossisce. «Non ho mai avuto un ragazzo e non ho esperienza.»
Mordo il labbro tenendo a freno la mia voglia di baciarla. «Non è un problema per me. Sarò il tuo primo in tutto.»
Scuote la testa poggiandola sul mio petto. Quando lo fa la mia mano accarezza la sua schiena.
Entrambi ci blocchiamo trattenendo il fiato, guardandoci intensamente negli occhi.
«Ho visto te e nel mio sogno il presente era migliore. Non intendo rinunciare», sussurro. «E comunque grazie.»
«Per cosa?»
Accarezzo la sua pelle, le labbra. «Non mi conosci eppure ti sei presa cura di me per un anno intero senza mai perderti d'animo. Mi piacerebbe recuperare il tempo che ho perso dedicandolo a te. Fammi ricambiare...»
Abbassa un momento gli occhi giocando con il bordo del pigiama che indosso.
È stata lei a sceglierlo?
«Non ho fatto niente di speciale. Tu eri solo e non so, quando ti ho visto su quella barella io... ho avuto paura per te. Avevi qualcosa che mi ha attirata e alla fine ho aspettato. Le ore sono diventate giorni, ma non ho mai smesso perché sedermi qui accanto a te... mi ha fatto sentire meno sola», batte le palpebre per nascondere gli occhi arrossati, pieni di emozione.
La avvicino e appoggia senza paura e stanca la testa sulla mia spalla. «Ho la sensazione di conoscerti. Magari in un universo parallelo è successo. Ok, sembro matta», ridacchia arricciando un po' il naso.
Le bacio la fronte. Lo faccio senza pensarci. «No, è successo davvero. Io ti ho sognata. Conosco il tuo nome perché siamo stati insieme. Questo è un segno, non credi?»
Riflette mordendosi il labbro. Alza il viso e accorgendosi del modo in cui la guardo arrossisce. La sua mano si posa ancora sulla mia guancia e premo le labbra di nuovo sulla sua fronte.
«Si, può essere», sussurra.
«Non ti farò del male», parlo senza neanche riflettere. Forse notando come guarda la mia mano che le sfiora la pelle che sente calda come non l'ha mai avuta. Forse percependo il mio odore così diverso per il suo corpo che reagisce ad ogni mio gesto.
«Lo so. Ti si legge in faccia che sei una persona buona. E forse sarai l'unica persona al mondo che anche se mi farà male non mi distruggerà mai davvero», mormora assopendosi.
La guardo dormire e più le sfioro il viso più mi innamoro di lei.
Veniamo da due mondi diversi. È fantastico però il modo in cui i nostri corpi si attirano reciprocamente. Le nostre anime si sono riconosciute all'istante e dopo anni di distanza adesso potranno ricongiungersi. Lo sappiamo, lo abbiamo capito dal primo sguardo di essere in trappola. Di essere destinati a creare qualcosa di meraviglioso insieme. Una storia, un capitolo, una vita. Perché in fondo siamo il frutto di ciò che ci fa stare bene.
Ho un'altra occasione e non intendo lasciarmela scappare per nessuna ragione al mondo.
«Ti amo piccola peste», sussurro.
Si muove nel sonno. «Non andare», sibila respirando lentamente.
Chiudo gli occhi quando le luci si spengono. Accompagnato dal suo odore, dal suono del suo respiro, dal suo calore, mi addormento.
Al risveglio sorrido come un bambino. Non ho avuto nessun incubo, non mi sono alzato sudato o in preda al panico.
Mi giro ma lei non c'è. Sento addosso persistente il suo odore ma lei non è qui.
Sul cuscino c'è un biglietto.
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Come proiettile nel cuore
RomanceNessuno ha una vita come quella raccontata nei libri o vista nei film. C'è sempre un ostacolo da superare, un nuovo dolore da sopportare, certo, ma alla fine tutto si conclude positivamente. Per Bambi non è andata così. Non crede più nelle belle fa...