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Con il passare del tempo, capisci che ci sono persone che vuoi tenere accanto perché hanno assunto una loro importanza nei tuoi giorni, nei tuoi momenti, nei tuoi pensieri.
Capisci tante cose quando non sei abituata a ricevere tanto amore.
Capisci per chi vale la pena lottare. Per cosa vale la pena sognare.
«Noi due che continuano a cercarci, a stare insieme. Per me questa è una grossa novità. Ho continuato a stuzzicarti, a chiamarti, ad incontrarti e così, ho intrapreso la strada sbagliata. Mi sono perso con te. Ho annullato tutti i miei obbiettivi. E, voglio dirti che ogni sensazione provata insieme, non l'ho mai sentita prima nella mia vita.
Ti sembrerà strano sentire questo. Lo so. Forse attorno al mio cuore c'è un guscio duro e resistente. Ma, ci sono cose che hai fatto per me che sono state in grado di creare delle crepe. Sei riuscita ad insinuarti dentro queste penetrando a fondo, in un luogo a cui nessuno ha accesso. E, nonostante io abbia sempre pensato di non essere capace a dimostrare amore, con te è stato diverso. Forse ne sono capace, ma allo stesso tempo mi terrorizza con quanta facilità riesci a raggiungermi, a tirarmi fuori.»
Travis mi accarezza la testa. Devo essermi appisolata mentre scherzavamo.
«Non parliamo molto di noi, del nostro passato, ma trascorrendo il tempo insieme, anche se di notte, io sento di essermi in qualche agganciato alla tua vita. Mi sto tenendo stretto. Perché lo so che con te non ho bisogno di parole. Mi sembra persino surreale che tu in qualche modo mi dedichi un po' del tuo tempo.
Sai, a volte mi piacerebbe svuotare la testa. Sentirmi sempre leggero e non ad intermittenza. Comportarmi come ogni altra persona. Meritarmi la tua presenza nella mia vita. Ma non ci riesco. Eppure... inizio a sentirti ovunque. Dentro, fuori. Nelle ossa, sulla pelle. Ti sento nelle labbra, nei sorrisi che nascondi. Ti sento nel colore delle tue gote quando ti imbarazzi e in quello dei tuoi occhi quando ti emozioni. Ti sento nel tuo tono di voce, nelle mani che devono sempre aggrapparsi per sostenersi a questo presente. Ti sento praticamente come quando ti ritrovi sotto il sole e un raggio ti riscalda il viso. Tu sei come quel raggio, sei come quel calore, quella scossa che mi smuove dentro tutto. Mi metti sottosopra la testa e in subbuglio il cuore. Mi fai sentire una persona nuova quando dentro di me è tutto vecchio come un tempo. Ti sento come un brivido e non riesco a scrollarti via perché altrimenti dovrei strapparmi la pelle.»
Continua mettendosi comodo. Ma, sento la sua voce diversa.
«Ma so che non posso rilassarmi del tutto. Perché ho la costante abitudine di chiudere il mondo fuori e di tenermi ben nascosto, al sicuro. In fondo, ho vissuto così negli ultimi anni. E adesso, mi sembra persino assurdo smettere.»
Segue un lungo silenzio. L'aria si carica di una strana tensione. E dentro di me, nasce l'inquietudine.
«Se non ne parlo mai con nessuno è perché mi fa sentire debole. Mi spinge ad avere paura la sensazione di potere crollare da un momento all'altro solo per avere aperto bocca e lasciato uscire il passato. Mi terrorizza vedere ogni singolo coccio di me, di ciò che sono, sparpagliarsi in un soffio di vento. Succede quando ci ripenso. Quando la notte provo a chiudere gli occhi e rivivo costantemente lo stesso incubo.»
La sua mano ferma la carezza. Trattengo il fiato aspettandomi una svolta in questo frangente. «È successo cinque anni fa. Da allora la mia vita è cambiata radicalmente e io... ho dovuto reinventare tutto.»
Il suo respiro cambia. Si agita sotto il mio peso quasi volesse strappare via da se stesso quelle immagini distruttive, quei pensieri nascosti dentro ogni cicatrice. «Cinque anni fa ho dovuto ricostruire tutto dalle fondamenta. Un po' come stai facendo tu con questa casa. Per la cronaca: stai facendo un ottimo lavoro.»
«Grazie», mormoro sbadigliando, nascondendo il viso tra il collo e la sua spalla. Il palmo, continua ad accarezzarmi lentamente la schiena.
Non sembra dispiaciuto del mio intervento, di essere ascoltato. Non nasconde però l'agitazione nel raccontare qualcosa che lo fa stare ancora male. Sento che non è pronto e mi preoccupa una sua brusca reazione, ragione per cui non pongo alcuna domanda. Lascio che sfoghi quei pensieri a lungo tenuti dentro. Lascio che mi renda partecipe. Che mi faccia conoscere un po' del suo passato, di ciò che lo ha temprato.
«È stato difficile per me affrontare tutto. Un giorno sei da una parte e l'altro... è stato davvero terribile svegliarsi e vedere ogni singola cosa nella mia vita pronta a sfaldarsi e poi di colpo a distruggersi. Ma ho preso delle decisioni. In fondo è fatta di questa la vita. Ne prendi una e poi ci convivi per il resto dei tuoi giorni. Perché non puoi tornare indietro, non puoi cambiare il corso degli eventi. Non puoi semplicemente premere un tasto e cambiare le cose. Quindi, mi sono rimboccato le maniche pur tenendo dentro quello che mi faceva stare male. Passo dopo passo sono arrivato a questo...»
Alzo la testa, il braccio sul suo petto nudo mentre le dita della mano sinistra giocano con la sua pelle liscia. Appoggio sopra il mio braccio pure il mento. «Hai affrontato tutto da solo? La tua famiglia non ti ha sostenuto?»
La smorfia sul suo viso e il cambiamento nei suoi occhi attraversati da una scintilla: è già una risposta. «Mi sono allontanato dalla mia famiglia nell'immediato. Nessun contatto. Non volevo avere più niente a che fare con loro. In fondo, li ritenevo in parte responsabili di ogni mia sventura. Così, ho cambiato città, vita, persino cognome. Per loro io... sono solo sparito», fissa davanti a sé.
«Non hai mai voluto rivederli? Non senti mai la loro mancanza?» chiedo quasi spaventata. Mi sento come al centro esatto di un campo minato. Mi muovo lentamente e senza fare mosse avventate, con l'ansia addosso di potere sbagliare.
«No. Ho chiuso con loro.»
«Qual è il tuo cognome?»
Sollevo le gambe oscillando i piedi. «Non ti sei mai presentato», lo rimprovero smorzando un po' della tensione creata. «Mi hai semplicemente detto il tuo nome e tutti ti chiamano "signore".»
Solleva gli angoli della bocca. «Davvero?» gratta la tempia come se avesse appena ricordato di avere perso qualcosa di importante. «Mi hai proprio fritto il cervello», sporgendosi riempie un bicchiere di vino.
«Attendo pazientemente», togliendogli il bicchiere bevo al posto suo un sorso del vino rosso scelto tra le tante bottiglie. È corposo, con un retrogusto dolce. Scarto poi un cioccolatino.
«Piacere sono Travis Williams.»
Stringo la sua mano. «Bambi Stevens.»
Sorride. «Hai un bel nome. Conosci la ragione di questa scelta singolare?» caccia in bocca un gianduiotto. Osservo le sue labbra muoversi lentamente. Ha sempre quel modo delicato di mangiare. Gusta ogni cosa come se fosse l'ultima. Ripenso alle sue parole. Ha avuto fame. Ha avuto sete e tanta rabbia. Non oso immaginare il suo passato. Non oso pensare al dolore affrontato e mai del tutto superato.
«Oh si. Mia madre era fissata con il cartone della Disney, letteralmente. Alla fine proprio come Bambi, sono rimasta sola e senza mamma», replico d'impulso. «Forse se lo sentiva che un giorno, molto tempo prima della vecchiaia, se ne sarebbe andata. Hashtag "breve storia triste".»
Ripenso a lei incupendomi. «Quasi non ricordo più i suoi occhi, la sua voce, il suo odore. Se chiudo gli occhi non sento forte come prima la sensazione provocata dal suo abbraccio», sospiro. «È frustrante sentire solo... il freddo dentro le ossa. Un'assenza che non potrai mai e poi mai sostituire con niente e nessuno.»
«Ti manca?»
«Si e mi fa paura non ricordare più quei dettagli per poterla rendere viva in questo presente, dove la sua assenza si fa sentire come l'amputazione di una gamba proprio quando eri pronto a conquistare l'oro nella staffetta.»
Mi porge una pralina al liquore. «Ti manca anche tuo padre?»
«Già. Non avevo chissà quale rapporto con loro. Sono sempre stata solitaria, in parte problematica e all'epoca parecchio viziata visto che non ho mai avuto fratelli o sorelle. Lavoravano tanto, ma sapevo di trovarli quando tornavo a casa o quando per me era un brutto momento. Adesso invece...» alzo le spalle. «Di te, che mi dici?»
«Sono rimasto solo molto tempo prima che tutto questo accadesse. Diciamo che per me non è stata una grossa novità. Dopo l'incidente in qualche modo ho colto la balla al balzo allontanandomi completamente da ognuno di loro. Con mio fratello è finita molti anni prima e non rimpiango assolutamente la scelta fatta. Ho tagliato quella radice che mi legava ad un albero alla quale non sentivo di appartenere.»
Beve un altro lungo sorso di vino. «Ho piantato nuovi semi e adesso mi sto godendo i frutti», si sdraia con le braccia dietro la nuca. «Quindi ti rispondo di no. Non mi mancano neanche un po'. Essermi allontanato da loro mi ha ridonato il respiro. Erano come una trappola mortale per la mia vita.»
Gioco con il bordo della sua vestaglia inumidendo le labbra. «Hai mai pensato di avere una famiglia tutta tua?»
«Molte volte», replica annuendo. Sul suo viso passa un lampo lasciando un'ombra. Noto la ruga che gli si forma sotto l'occhio. «Poi ho smesso di sperare o illudermi. Insomma... data la mia condizione penso sia ormai un pensiero, niente di più.»
Non sono d'accordo e non lo nascondo. «La tua condizione? Ne parli come se fosse un qualcosa di terminale, di orribile o una malattia impossibile da curare.»
Passa le mani sul viso alzandosi a metà busto. Parlare di questo argomento deve metterlo a disagio o in difficoltà.
«Mi hai visto?» Indicandosi alza un po' il tono di voce.
Non mi serve riflettere per rispondere. «Si e davanti a me c'è un bellissimo ed intelligentissimo uomo.»
La sua testa oscilla. Mostra il suo disappunto in un unico gesto. «Un mostro vorrai dire», ringhia tra i denti. Beve un sorso d'acqua sentendo la gola secca.
Sospiro. «Trav...»
«Faresti mai un figlio con me? Verresti mai a letto con me? Costruiresti mai una famiglia con questo?» si indica con disgusto. «Io non credo proprio. Nessuno si avvicinerebbe mai così tanto a me. Nessuno vorrebbe mai condividere una vita con un fenomeno da baraccone.»
«Si», sussurro immediata.
Non sente neanche la mia risposta. Alzandosi dal materasso, cammina avanti e indietro più che nervoso, riflettendo sulla questione. «Bi, io non chiederei mai a qualcuno di prendersi carico di un qualcosa di così...» apre le braccia per indicare la parola "enorme" che non lascia uscire, preme poi il pugno contro il pilastro appoggiandovi la fronte. «Non chiederei mai a nessuno di sacrificare la propria vita per stare con me. Nessuno riuscirebbe a reggere il peso della mia condizione perché con il tempo sarei solo un peso. Neanche tu ci riusciresti.»
Mi sento scottata dalle sue parole che mi raggiungono come lapilli di un fuoco non del tutto spento. Mi alzo avvicinandomi a lui cautamente. «Non puoi esserne certo. Non puoi dire questo. Tu... non puoi saperlo», poso il palmo sulla sua spalla per avvisarlo del mio tocco e poi lo abbraccio da dietro. «Non puoi decidere anche per gli altri e non puoi continuare a vivere nell'ombra perché non sei un mostro. Non lo sei. Sei un uomo meraviglioso, spontaneo. Hai una cicatrice sul viso e tante nel cuore, ma sei una persona.»
Aspira aria. Le sue spalle hanno un sussulto. «Ma è questo quello che continuerò a fare e tu ti stancherai di me», alza il tono sfogando la sua frustrazione più grande.
Indietreggio di poco sobbalzando. Solo adesso comprendo di avere toccato una ferita che, non si rimarginerà mai dal suo cuore. Ho premuto forte su un tasto dolente. Ma nonostante ciò, mi fa sentire distante e mi ferisce questo suo pensiero di cui anche io ne faccio parte. «Smettila di trattarmi come ogni altra persona!» urlo a mia volta spingendolo. Va a sbattere contro il pilastro ma non reagisce. «Non devi dirmi quello che devo o non devo fare. Non devi trattarmi come se fossi un'estranea perché non te lo permetto. Sono qui perché voglio esserci. Sono qui perché sei importante per me. Sono qui perché...» mi fermo boccheggiando. Sto parlando in fretta. «Sai una cosa, tu non capirai mai quello che vedo io perché sei troppo appannato da quello che vedi tu.»
Detto ciò esco dalla porta sul retro della cucina sbattendola.
Attaccata alla carne mi rimane una strana delusione. Mi stringo forte al mio corpo che, passo dopo passo, diventa sempre più freddo, sempre più triste.
Nel profondo del mio cuore, conosco la ragione, il motivo di una simile sensazione.
Io che nella vita non ho mai avuto fame d'affetto, adesso ne percepisco il bisogno. E mi basterebbe riceverne un pugno, una briciola, anche solo per qualche minuto. Mi piacerebbe non essere allontanata o sgridata. Mi piacerebbe riceverne così tanto in così poco da potermi sentire grata, completa, asfissiata. Tanto da potere dire: basta, sono sazia così.
E mentre mi fermo mi viene solo voglia di mettermi a piangere perché sento il bisogno di essere amata. Ho voglia di essere capita anch'io. Ho voglia di nuove carezze, di fragili promesse, di sorrisi nascosti dietro l'imbarazzo. Ho voglia di sentire questo cuore scosso, in subbuglio.
Furente, abbracciandomi, mentre il freddo pervade ogni fibra del mio corpo, mi incammino addentrandomi nel labirinto. L'unico posto in cui posso andare.
La calma è inquietante. Lascio uscire il fiato e sotto la luce della luna ormai prossima a svanire, raggiungo prima la fontana sedendomi sul bordo a sfiorare il pelo dell'acqua cristallina e gelata, poi decido di avvicinarmi al roseto. L'odore dolciastro colpisce le mie narici peggio di un pugno ma lo respiro inebriandomi di qualcosa di diverso dal sentore, dalla puzza di tristezza. Sfioro una della rose che, all'ombra non ha sfumature. Mi pungo e porto il dito in bocca sentendo il sapore del sangue, quello del dolore.
In questo momento vorrei che le parole non si impigliassero nei pensieri rendendo la mia mente un posto caotico e instabile. Vorrei che tutto mi scivolasse addosso come pioggia. Invece no, sta tutto lì, è tutto dentro di me in un cumulo di detriti che continuano a fare male.
Certe persone dovrebbero chiudere la bocca e aprire il proprio cuore. Non dovrebbero illudere. Non dovrebbero deludere.
In questo momento vorrei che le parole svanissero dalla mia mente lasciando solo un vuoto, il silenzio. Vorrei che quelle parole non distruggessero ancora il mio cuore.
«Sapevo che saresti venuta qui. Ti piace occupare i miei spazi, riempirli con la tua flebile presenza. Ti piace lasciarci sopra la tua impronta permanente.»
Me ne sto impalata e impigliata in un risentimento che non riesco a mostrargli ma che c'è e sento bruciare nelle vene. Rimango di spalle ad implodere. Perché è difficile confessare il proprio dolore. È difficile mostrare la delusione alla persona che ti ha colpito al cuore.
Non rispondo al suo tono provocatorio e non mi lascio spaventare quando si avvicina. Prova ad abbracciarmi da dietro credendo di potere risolvere tutto in questo modo ma mi scanso da lui.
Ci rimane male, incassa però il colpo in silenzio anche se non desiste. Riprova e mi scanso ancora uscendo dal roseto. Pesto i piedi nudi sulle foglie che si attaccano alle piante e al terreno morbido.
«Vuoi comportarti così?»
Mi volto adirata, pronta a ferirlo. «Si. Non hai detto che sei un mostro?»
Fa una smorfia apparentemente confuso. «Non capisco perché ti stai...»
«Mi sto comportando come pensi che si comporterà chiunque vedendoti in giro o tanto vicino da spaventarsi. Mi scanso, non ti guardo negli occhi, ti disprezzo, ti giudico, ti odio senza conoscerti. Non è questo quello che vuoi anche da me?»
Contrae la mascella. «Bambi... io...» prova a giustificare il suo comportamento.
«No!» urlo di un'ottava fermandolo. Non può urlarmi contro e poi chiedere scusa facendo finta che sia tutto come prima. Non può accendere una miccia e non aspettarsi dell'esplosione. Una volta tanto, deve beccarsi le conseguenze e soprattutto, deve smettere di allontanarmi.
«Perché mi escludi dalla tua vita? Non sono all'altezza? Non sono abbastanza matura? Io non ti basto?»
Fa respiri innaturalmente lenti. «Perché sono abituato ad escludere i sentimenti, a sostituirli con qualcosa di diverso. È facile allontanare le persone. Perché provare qualcosa di così forte per qualcuno, significa abbattere quei muri che ognuno di noi costruisce per proteggersi, significa essere deboli.»
«Quindi non te ne frega niente di me. Mi stai dicendo che hai solo voluto provare qualcosa di nuovo perché ti stavi annoiando e che non ha funzionato. Bene, buono a sapersi!»
«Ti sbagli!» replica stridulo facendo un passo in avanti come un robot.
Lo guardo contrariata. «Allora spiegami.»
«Non è vero che non me ne frega niente. A me frega di tutto. Ci sono sono persone che quando dicono di non tenerci è perché hanno tanto da perdere.»
«Viva la coerenza», replico brusca.
«E di te invece che mi dici?»
Guardo i suoi occhi e per la prima volta, non riesco a sostenerli. Per più di un secondo non riesco a reggere il peso che mi lanciano addosso. Sono lucidi, privi di ogni traccia di tenebra. Sono occhi limpidi come il cielo d'estate. In pochi istanti, mi sento spaesata, come se fossi rimasta tanto a lungo immersa nell'oscurità da sentirmi abbagliata di fronte a tanta luce.
«Io non ho scelto tra te e gli altri. Non ho scelto tra te e la paura. Non ho scelto tra te e me stessa. Io non ho pensato a nessun altro a parte te che sei arrivato e hai distrutto tutto il mio mondo.»
«Bambi io non ti voglio tenere lontana da me ma...»
«Non mentire. Tu vuoi questo da me sin dal primo istante. Perché hai una paura fottuta di aprire gli occhi e renderti conto che c'è davvero qualcuno che ci tiene a te, che ti capisce, che non vorrebbe vederti diverso, che rispetta i tuoi limiti, le tue manie accettandoti per quello che sei», urlo gesticolando con la voglia di spingerlo, di picchiare i pugni contro il suo petto. «Tu hai paura perché per cinque anni hai vissuto nella tua cazzo di bolla lontano dalla gente, dalla tua famiglia, persino lontano da te stesso. Ti sei costruito un'immagine che non ti appartiene, hai recitato un ruolo che non è mai stato il tuo. E con il tempo, sei diventato quello di cui hai sempre avuto paura.»
Scrollo le lacrime che escono involontarie dagli occhi, mentre dentro urlo a me stessa di non mostrarmi fragile, così esposta a lui. Di non dimostrargli quanto mi abbia fatto stare male. «Complimenti, hai rovinato tutto. Tornatene alla tua vita meravigliosa, perfetta e solitaria. Torna a comportarti come la bestia che credi di essere.»
Detto ciò torno dentro. Cerco tutte le mie cose raccogliendole e infilandole dentro la borsa frettolosamente, agitata al pensiero di vederlo arrivare e crollare ancora davanti a lui come un instabile castello di sabbia. Mi tremano così tanto le mani, da non riuscire ad abbottonate i jeans, ad infilare malamente il maglione. Lego i capelli per non averli sul viso e poi guardandomi spaesata intorno, decido di allontanarmi da questo posto più in fretta che posso, senza neanche voltarmi indietro.
«Bambi»
Travis mi raggiunge come una furia. Si blocca quando mi trova pronta a lasciarlo. «Dove... vai?» stringe i pugni in vita facendo fatica ad articolare bene le parole.
«A casa mia. Ecco dove. Qui non lo sono. Qui sono solo una stupida che rischia di stare male per un coglione.»
Nega con un colpo secco della testa e stringendo i pugni in vita si avvicina a passo spedito come un animale pronto all'attacco. Indietreggio di proposito pur non essendo spaventata dal suo atteggiamento e il mio comportamento lo ferisce. Proprio quello che volevo, mi dico soddisfatta.
«Stai davvero andando via?»
«No, avevo solo voglia di rivestirmi e dirti che andavo via. Certo che me ne sto andando!» sbraito guardandolo furiosa.
«Possiamo parlare come due adulti?»
Indossa i jeans a sua volta togliendosi la vestaglia. Cerca il maglione e si riveste davanti a me.
Lo guardo come se mi avesse appena dato un pugno. «Adesso vuoi fare l'adulto? Indossi una maschera come un bambino e ti nascondi dal sole per paura di affrontare la vita, il mondo e le persone. Vuoi davvero parlare da adulto?»
Dilata le narici. Il sangue gli arriva dritto al cervello, lo vedo. Oscilla da un piede all'altro. «Si, voglio parlare da adulto con te. Porto una maschera perché sono sfregiato in maniera irreversibile e non esco di giorno perché i miei occhi sono sensibili alla luce e perché susciterei il disgusto da parte della gente. Altro da chiarire?» Risponde a tono in modo arrogante.
«No, io ho concluso.»
Mi avvio alla porta e mi sbarra subito la strada. «Vuoi davvero litigare?»
Sembra essersi reso conto solo adesso della gravità della situazione. Noto il cambiamento nel suo sguardo ma questo non mi ferma.
Lascio cadere a terra la borsa. «Si, voglio litigare perché sei convinto che di te non mi frega un bel niente. Non hai neanche capito che ho detto si...» tappo la bocca prendendo fiato per calmarmi. «Prima ho risposto si e per te non ha avuto valore!», strillo. «Io non ho valore», singhiozzo ricomponendomi nell'immediato. «Sono solo una che paghi per un po' di compagnia. Ti accorgi di tutto: della gente che ti guarda di nascosto, della paura che credi di provocare, ma non ti sei reso conto che ho detto si ad ogni tua domanda...»
Corruga la fronte. «Che cosa c'entra adesso questo? Che cosa significa?»
«Che sei così distratto da non renderti conto che c'è chi si è persa nei tuoi occhi sensibili alla luce, nel tuo viso sfregiato e nei tuoi modi... non te ne accorgi. Come non ti sei accorto che alla tua domanda: faresti mai un bambino con me? Ho risposto si. Alla domanda: verresti mai a letto con me? Ho risposto si. Alla domanda: costruiresti un futuro con questo, indicandoti, ho risposto si. Perché la mia risposta è si. Io ti sceglierei, sempre. Costruirei qualcosa con te. Ma tu non sceglierai mai me. Metterai prima sempre e solo te stesso.»
Sollevo la tracolla. Ancora una volta mi ferma. «Non andare», lo dice con un fremito. Gira lievemente il viso poi mi guarda. «Non andare via. Non lasciarmi.»
Scivola a terra aggrappandosi alle mie ginocchia. «Per favore.»
Il mio cuore ha uno spasmo. «Trav, alzati. Non è il momento di scherzare.»
Nega stringendo la presa. «Te lo sto chiedendo in ginocchio. Non... andare.»
Mi sento mancare. Mi abbasso trovandomi davanti a lui, stordita dalla sua reazione. Sfioro il ciuffo che ha sulla fronte e lui mi guarda da sotto le ciglia che sono umide mentre le sue orbite sono arrossate e piene di piccole vene in evidenza a rendere le iridi dai colori sgargianti.
Apro e richiudo la bocca dalla quale non esce alcun suono.
«Lo so che sono un disastro ma... non lasciarmi.»
Gonfio il petto. «Ti rendi conto che non stiamo insieme?»
«Per me si. Da quella notte. Mi hai detto si, ricordi?»
«Non siamo una coppia e non puoi pensare che io voglia lasciarti. Me ne sto solo andando a casa mia.»
Scrolla ripetutamente la testa come se non volesse sentire le mie parole che dure si abbattono sulla sua scorza resistente ad ogni genere di colpo o urto. «No, tu rimani qui con me. È ancora il mio compleanno e posso esprimere un desiderio. Allora voglio che rimani qui con me.»
Chiudo gli occhi. Mi fa stare male sentire il suo tono disperato e stridulo.
Preme la fronte sulla mia. «Facciamo pace», sussurra affondando le dita tra i miei capelli.
Il suo calore, il suo odore, il silenzio intorno, il profumo delle candele ancora accese, tutto mi avvolge impedendomi di essere cattiva e spietata con lui.
«Mi impegnerò. Un passo alla volta», mi guarda provando a convincermi. Mi prega silenziosamente facendo del mio cuore un mucchio di cenere.
«Trav, io non voglio che tu cambi», esclamo rialzandomi, spezzando la magia.
«Lo so. L'ho capito. Voglio farlo per me stesso. Sono un casino.»
Mordo il labbro e lui mi circonda la schiena con le braccia facendomi indietreggiare. «Non so chiedere scusa ma sappi che non volevo...» ci pensa su non trovando le parole. Agisce cogliendomi di sorpresa. Le sue labbra si posano forti sulle mie.
Inizialmente non mi muovo ma quando insiste non reggo il confronto e mi aggrappo a lui ricambiando. Le gambe mi tremano così tanto da rischiare di cadere.
Prima che io possa cambiare idea mi spoglia con foga. Sento le sue mani dappertutto e questo mi provoca affanno, palpitazioni.
Recupera la vestaglia facendomela indossare. Crea un fiocco stretto in vita avvicinandomi ancora a sé. «Dormi con me. Si, è una proposta. No, non è indecente. E si, dormirai in intimo e pure io. Sentirai che sono eccitato. E Dio solo sa quanto lo sono ormai da parecchio.»
Mi scappa un sorriso e rilassa le spalle. Sfila i pantaloni infilandosi dentro il letto. Mi tira a sé con uno strattone delicato e mi ritrovo faccia a faccia con lui. «Riprendiamo da dove ci siamo fermati. Ok?»
Mi sistemo comoda. «Ok.»
«Vuoi una famiglia?» Chiede ponderando bene le parole.
«Non ne ho avuta una. Si.»
«Figli? Quanti?»
«Due... tre... con un buon compromesso anche quattro.»
Si rilassa avvicinandomi. «Villa o casetta?»
«Casetta, appartamento che importa? L'importante è stare bene, stare insieme a qualcuno.»
Mi distrae il suo modo così convincente di calmarmi. Mi distrae la sua voce, la sua calma, la sua capacità di tenere a freno la rabbia tramutandola in qualcosa di diverso.
Sorride. «Mi ami?»
«Si»
Avvampo immediatamente. Il cuore sussulta poi palpita rapidamente. Tappo la bocca sgranando gli occhi e lui sorride raggiante. Sto per replicare, invece mi bacia. «È valida solo la prima risposta», ansima.
«Hai usato un vecchio trucco, non vale!»
Affonda il viso sul collo sfiorandolo con le labbra. «Non hai esitato. Conoscendoti è la tua risposta definitiva e sincera.»
Provo a stringere le gambe ma le divarica con un gesto deciso, muovendosi piano, facendo crescere in me l'eccitazione.
Gemo e sorride imbambolandosi.
Abbassa il viso. «Mi ami?» chiedo affannata.
«Si»
Arrossisce avendo la mia stessa reazione. «Cazzo!»
Ansimo e spingendolo via riprendo finalmente fiato. «La prendo come una risposta positiva nonché sincera.»
Anche lui fa la stessa cosa, riprende fiato guardando il tetto. La mano a massaggiarmi la schiena mentre io fisso le fiamme del camino portando le ginocchia al petto.
Prendo la sua mano sfilandogli il guanto e liberandosi dalla presa l'affonda in mezzo alla mia chioma tenuta legata dall'elastico, avvicinandomi.
Mi stendo su di lui facendolo tremare. Ci guardiamo intensamente rimanendo per pochi attimi fermi, in bilico. Mi abbasso muovendo i fianchi scontrandomi con il cavallo dei suoi boxer rigonfio.
Mugola strizzandomi le natiche. Inarco la schiena e mi fa strusciare su di sé carico di voglia.
A pochi centimetri, faccia a faccia, continuiamo con questo gioco. Prova a fermarmi ma continuo e geme. Sento pulsare il mio corpo e ansimo rischiando di perdere il controllo. Con un movimento fulmineo mi schiaccia sotto il suo peso. «Mettiamoci a dormire», mormora baciandomi il petto, sotto il mento e le labbra. «Va bene?» Chiede complice.
Accenno un breve si stendendomi su un fianco. Lui mi abbraccia subito da dietro. Quando mi si preme addosso, sento che è eccitato.
«Ti avevo avvisato», sussurra.
«Ho avuto la prova che il tuo amico funziona bene», dico accaldata.
Sorride sulla mia nuca. «Si, funziona.»
I minuti passano. Non sostenendo il silenzio mi volto. «Travis, io non riuscirò a dormire.»
Sembra preoccupato. «Vuoi fare qualcosa?» Chiede guardandosi intorno.
«Si, una passeggiata.»
Guarda fuori dalla finestra. I suoi occhi si perdono anche se per pochi istanti. «È quasi l'alba», dice storcendo le labbra.
Mi alzo. «Andrò da sola visto che tu non hai il coraggio.»
Indosso di nuovo gli indumenti, infilo le scarpe malamente avviandomi all'entrata, stringendomi nel cappotto. Chiudo la porta alle mie spalle camminando verso il cancello prendendo piccoli respiri.
Sento lo scatto alle mie spalle, i suoi passi e la mano sul braccio. Prova a fermarmi. Voltandomi mi accorgo della sua espressione. Mi sta guardando furente, con rimprovero. «Non sono ancora pronto», sussurra e le sue parole volano nel cielo in una nuvola di calore.
«È da cinque anni che vivi nel buio perché non ti senti pronto. Forse è arrivato il momento di muovere qualche passo verso l'alba. Abbiamo circa due ore e nessuno ti vedrà. Te lo prometto.»
Ci riflette su stringendosi sotto il cappotto. Guarda la casa, il cielo, poi me. «Un'ora», soffia.
«Me la farò bastare. Andiamo!»
Mi ferma. «Non ho la maschera.»
Per un attimo sono attraversata dalla voglia di dirgli di non prenderla. Poi però mi rendo conto che già per lui deve essere difficile. «Vado a recuperarla io. Tu intanto rimani a congelarti qui.»
Trattiene un sorriso ma lo vedo che non arriva dal cuore. Corro in casa, cerco la maschera e quando torno fuori lui sta camminando avanti e indietro nervosamente.
«Ok, hai la maschera e adesso possiamo andare», sblocco lo schermo del telefono.
«Che stai facendo?» chiede incuriosito.
«Cronometro. Un'ora hai detto. Inizia a correre», lo provoco uscendo dal cancello avanzando a piccoli passi, poi saltello per adattarmi al freddo che investe le mie guance.
Il cielo è ancora coperto da un manto di colore scuro con qualche nuvola solitaria che si scioglie grazie al venticello che arriva spazzandole via, trasformandole in strisce di colore pronte a mescolarsi al rosa, all'azzurro in lontananza.
Travis cammina accanto continuando a guardare ovunque. «Non c'è nessuno, rilassati», lo rimprovero perché inizia a rendere nervosa anche me.
Sospira. «Bi, per me non è facile. Mi sto sentendo... nudo.»
Mordo le labbra per non ridere. Percependo forte il suo disagio, la sua voglia di scappare e trovare un rifugio, mi fermo davanti a lui. «Andrà bene. Te lo prometto!» lo guardo con gli occhi dolci.
Schiude le labbra emettendo un breve verso poi sbuffa spingendomi e da questo comprendo la sua risposta.
Raggiungiamo il ponte, la parte adibita ai pedoni, ai corridori. Non c'è ancora nessuno e sorrido nel notare l'espressione di Travis che sembra proprio un bambino uscito per la prima volta dal suo fortino.
Ammira incantato l'acqua sotto i nostri piedi, la vista della città in lontananza. Chiude gli occhi e poi riaprendoli riempie i polmoni d'aria.
«Puoi farmi una foto? Ho sempre desiderato averne una», dico lasciandogli il mio telefono, mettendomi in posa.
Travis scatta le foto poi si avvicina per mostrarmele. Sono molti gli scatti. Senza perdere tempo, allungo il braccio. «Che ne dici di scattarne una insieme?»
«Non la metterai da nessuna parte», minaccia mentre premo ripetutamente il dito sul tasto per scattare una sequenza di foto diverse con ogni sua espressione.
Sorrido davanti all'obiettivo poi mi volto. «Brontoli troppo. Hai visto?» indico attorno dove la calma è pazzesca, rilassante. «È tutto nostro!» urlo.
Spalanca la bocca poi i suoi occhi catturano qualcosa in lontananza e si incupisce guardando ovunque come un animale braccato.
Una coppia di ragazzi, alcuni corridori. «Torniamo indietro», dice brusco.
Lo fermo. «Trav, guardami!»
Strizza le palpebre sotto un attacco di panico. Respira a fatica. «No, andiamo.»
Stringo i palmi sulle sue braccia. «Guardami», dico con molta calma.
Lo fa e leggo la disperazione nel suo viso. Mi avvicino. «Va tutto bene», sussurro. «Ci sono io qui con te.»
Prova a scappare e lo blocco. Uso tutta la mia forza che, ha un certo effetto sulla sua mole. «Ti prego», piagnucola nascondendo il viso dietro il colletto del cappotto.
Mi alzo sulle punte dei piedi togliendogli la maschera. Il suo fiato si spezza quando la allontano da lui infilandola dentro la tasca del mio cappotto. «Non succederà niente. Fidati di me», stringo le mani sul suo viso. Trema sotto il mio tocco respirando pesantemente. «Va tutto bene.»
I corridori sono sempre più vicini. Ci guardano ma continuano la loro corsa indisturbati. La coppia invece, si ferma a pochi metri.
«Bi, dobbiamo...»
Non termina la frase perché premo le mie labbra sulle sue. Mi stringo forte a lui facendogli sentire che ci sono, che non lo lascerò esposto, che lo proteggerò. Emette un verso flebile poi ricambia il bacio. Mi aggrappo a lui mentre i raggi del sole raggiungono il ponte riscaldano tutto, colorando il grigio, spazzando via il freddo dentro le ossa a causa della paura.
Quando mi stacco, i suoi occhi si concentrano sulle mie labbra incurvate in un sorriso dolce. «Hai visto?» gli accarezzo la cicatrice. «A nessuno importa. È tutto dentro la tua testa. Le tue paure sono dovute al fatto che nessuno ti ha mai dimostrato che non c'è niente da temere.»
Lentamente il suo petto torna a muoversi regolarmente. Con la coda dell'occhio noto altre persone tra cui una donna anziana particolarmente curiosa e lenta con il suo carrello.
Mi avvicino ancora a lui. «Ti ricordi che cosa ti ho detto quella notte?»
Si concentra per non entrare di nuovo nel panico. «Di non farti cadere.»
Annuisco sfiorandogli le labbra. «Travis, non farmi cadere proprio adesso.»
Boccheggia battendo ripetutamente le palpebre poi mi abbraccia tenendomi stretta a sé, nascondendo il viso sulla mia spalla mentre le mie piccole braccia tentano di nasconderlo.
«Come fai?»
«Ho imparato che bisogna superare le proprie paure. Io ho paura di cadere, farmi male e non rialzarmi. Ho paura di perdere le persone. Ma, sto imparando a rimanere in equilibrio anche mentre tutto intorno a me si muove. Sto imparando a lasciarmi andare, a non avere paura di tenere così tanto a qualcuno.»
Inspira. Sento il suo fiato sul collo, sotto l'orecchio nel punto in cui i miei battiti si sentono maggiormente e in modo vivido.
«Una come te che mi salva continuamente dal fondo in cui sono intrappolato, dove altro la trovo?
Sei straordinariamente forte e potente, come quei fiori che per natura riescono a crescere in mezzo all'asfalto. Tu sei una di quelle che se io sono dentro un luogo oscuro te ne stai lì sotto con me ad incoraggiarmi ad accendere la luce. Tu mi salvi, Bi. Sei forte e sei speciale. Sei straordinaria», sussurra.
Strofino la sua schiena con il palmo freddo. «No, sono solo Bambi», dopo avergli restituito la maschera, stringendo la sua mano, gli faccio cenno di ritornare alla villa.
E in questo momento mi sento serena. Non capita spesso di sentirsi bene. A volte non ce ne accorgiamo nemmeno. Siamo impreparati alla spensieratezza, alla gioia, alla felicità perché siamo sbadati, perché siamo abituati a vivere in perenne attesa di un nuovo dolore.

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