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Il viso attaccato al cuscino a causa delle lacrime ormai asciutte. Il sudore addosso per l'incubo avuto nel corso della notte per il breve sonnellino concessomi. Uno, abbastanza lungo da non permettermi di stare bene, di sentirmi al sicuro.
Sguscio dal letto caldo posando i piedi nudi sul pavimento di legno freddo. Un brivido mi attraversa salendo lungo la spina dorsale. La pelle si rizza come quella di un gatto pronto a soffiare, a graffiare.
Infreddolita, saltello infilandomi la vestaglia. Uscendo dalla stanza, scendo i pochi gradini di legno tenendomi al corrimano che termina con un pomello rotondo lucido, raggiungendo il soggiorno dove, accendo subito il camino.
Notando pochi ceppi corro sul retro a prenderne altri.
Quando torno in casa sono senza fiato a causa del freddo. Mi tremano così tanto le mani da non sentire neanche i polpastrelli.
Le riscaldo davanti al fuoco per una manciata di secondi prima di spostarmi dentro la stanza di zia Marin trovandola beatamente addormentata.
La osservo tenendomi a distanza da lei, dal suo sonno tranquillo che, a differenza del mio, sembra giovarle, confortarla.
Immagino la sua reazione quando saprà che intendo portarla in una clinica specializzata molto simile ad una casa di cura. Un paradiso per chi è affetto da vecchiaia o malattie terminali e intende passare il tempo che gli resta in un posto tranquillo, allontanandosi dai problemi, dai cattivi pensieri, dalle auree negative.
Appoggiata allo stipite della porta, la collana con la foto di Nic dentro il piccolo cuore che la custodisce come uno scrigno tra le dita, cerco di non pensare a come sarà quando mi abbandonerà anche lei. Quando non ci sarà più nella mia vita.
Tutti prima o poi ti lasciano. Non puoi farci niente. Semplicemente è la vita. O forse un destino avverso che sta tentando di farmi restare sola.
Non ho paura della solitudine. Ho paura di voltarmi e sentirmi vuota, priva di peso. Ho paura di non lasciare niente a nessuno, neanche un segno lieve.
Nonostante ciò, continuo a pensarci. A pensare a quello che eravamo, quello che avevamo. Continuo a pensarci perché farlo è l'unico modo che ho per riaverlo indietro, magari sentirlo vicino.
E se cerco di non pensarci, lo faccio perché l'ha chiesto il mio cuore. Troppo stanco di sentirsi vuoto. Troppo pieno di ricordi per riprendere a battere ad un ritmo sostenuto.
Stacco la spina quando non mi va di rivivere certi ricordi. Perché mi fa troppo male. Ma, se non ti lasci attraversare dal dolore e lo ignori, prima o poi ti travolgerà.
Perché le cose che hai dovuto vivere non scompaiono, rimangono lì premute sulla pelle, dentro le ossa. Infestano ogni ricordo.
Mi sono indurita. Perché l'ho perso. Lui era l'unica cosa che non volevo perdere.
Mi sono chiusa subito dopo, perché perderlo mi ha portato via tutto. Mi ha prosciugata dall'interno.
Una volta ero dolce, così tanto da sciogliermi per un complimento sincero. Ero in grado di sorridere per ore per uno sguardo complice, per un sussurro.
Adesso sono come un cubetto di ghiaccio. Non mi lascio scalfire. Non mi lascio abbagliare.
Nonostante ciò, voglio bene lo stesso. Solo, non so più come dimostrarlo, perché ho creato tra me e le persone un muro. Ho indossato una corazza.
L'ho fatto per proteggermi. Per proteggere questo cuore prosciugato e vuoto.
E non mi serve nessuno a sedersi in quel posto lasciato vuoto che appartiene solo a lui.
Voglio solo qualcuno pronto ad insegnarmi a sapere dire 'addio' senza avere più la voglia di guardarmi alle spalle.
Sentendo bussare alla porta vado ad aprire trovando davanti il fattorino di "Tasti Pinkberry".
Riconoscendomi, il ragazzo dagli occhi coloro miele e dalla frangetta attaccata alla fronte spaziosa, nasconde la sorpresa e anche un sorriso compiaciuto, porgendomi una confezione color pesca.
Sbirciando dentro vi è una scatola curata nel dettaglio e sopra una rosa.
La sua particolarità sta nel colore. Non è di un comune rosso. È un colore scuro, molto simile al nero. La annuso e il suo odore è delicato, piacevole. Non troppo dolce.
Anche il fattorino odora di buono. Di muffin, di torta al cioccolato, di dolce.
«Buona giornata», sorride lasciandomi sulla soglia come un'ebete.
Lo vedo correre in auto, quella della ditta, pronto a portare qualche altro ordine nelle vicinanze.
Chiudo la porta con una spinta del piede posando sul ripiano dell'isola, la scatola con la rosa. Apro la busta bianca tirando fuori il biglietto attaccato alla confezione.

Come proiettile nel cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora