Parigi

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Ci misi un po' per capirlo, ma ero di nuovo in un sogno (non mio). Chissà se da adesso in poi sarebbe stata una specie di routine. Magari questo "potere" non funzionava sempre, ma avrei lasciato gli esperimenti ad un altro giorno. L'ambiente in cui mi trovai era molto differente rispetto al primo sogno: ero in una piazza e davanti a me si ergeva la Torre Eiffel, perciò senza ombra di dubbio mi trovavo a Parigi. Mi guardai un po' intorno per individuare il soggetto del sogno ma sfortunatamente non riconobbi nessun volto. Una cosa però mi colpì: ero vestito da cameriere. Non so dirvi se quella divisa da lavoro ci fosse già dall'inizio o fosse apparsa solo in quel momento. Dopo poco davanti a me si materializzò un bar con dei tavolini. L'ambiente ricordava un famoso quadro di Vincent van Gogh, intitolato "Terrazza del caffè la sera". Il cielo infatti era di un blu-violaceo quasi impossibile da riprodurre nel mondo reale e in più le stelle circondavano tutto il paesaggio rendendo quella serata magica. La torre, con la sua immensità faceva sembrare le persone minuscole ed impotenti, ma comunque generò in me un senso di sicurezza, quasi come se mi trovassi nel nido familiare. Avrei voluto continuare ad ammirare quel paesaggio per ore ed ore, se non fosse che ad un certo punto fui interrotto bruscamente dalla voce roca di un omaccione: <Retourne au travail tout de suite! (Ritorna al lavoro subito!)>. Nonostante non avessi mai studiato o minimamente parlato il francese, compresi tutto ciò che l'uomo voleva dirmi, ma non mi stupii più di tanto: ero pur sempre in un sogno. Iniziai allora a servire ai tavoli, come se fosse il lavoro di una vita, quando poco dopo si presentò una coppia al bar. Erano due ragazzi molto giovani, probabilmente appena maggiorenni, ma li notai subito. Lui indossava un mantello e un berretto a punta e mi sembrò quasi di trovarmi davanti a un misto tra Robin Hood e Batman. Lei invece era di un eleganza ed una bellezza indescrivibile, quasi inumana: i suoi capelli biondi e sciolti erano di una lucentezza simili a quella della luna. Indossava una maglietta di seta azzurra, che le aderiva perfettamente al corpo con un gioco di curve e linee pari ad una statua di Canova. La minigonna invece era di un bel colore bianco latte, nè troppo corta nè troppo lunga, la giusta lunghezza che lasciava trasparire il senso di piacere e mistero che una donna ama provocare nei confronti del proprio partner. <Nous avons besoin d'une table pour deux, s'il vous plaît (Avremmo bisogno di un tavolo per due, per favore)> mi disse il ragazzo. Li feci accomodare, presi i loro ordini e, mentre stavo per tornare all'interno del bar sentii questa frase: <Sûr que vous ne voulez rien d'autre, Mary? (Sicura che non vuoi nient'altro, Mary?)> Come avevo fatto a non pensarci prima? Eppure l'avevo vista davanti casa lo stesso giorno durante la mia "allucinazione": era Mary, l'anziana che abitava sul mio stesso piano. Avevo un bellissimo rapporto con la mia vicina, lei mi trattava come se fossi suo nipote e molto spesso mi fermava per raccontarmi qualche storia riguardo alla sua vita passata. Mary era una donna molto intraprendente: subito dopo la morte improvvisa del marito infatti, si ritrovò in un paese straniero, la Francia, senza nessun aiuto e con due figli piccoli da crescere, ma riuscì comunque a cavarsela e a ritornare nella sua città natale, New York. Ancora mi stupisco di non aver pensato subito a lei appena dopo aver capito di essere a Parigi. Tornando ai tavoli notai una certa somiglianza con la ragazza, nonostante la differenza di età rispetto "all'originale". Mi ringraziarono e il ragazzo mi diede anche una mancia, alquanto inutile in quanto non reale, ma apprezzai il gesto. Non avevo un orologio, ma posso dirvi con certezza che i due giovani rimasero per molte ore seduti a parlare. Non ne ero certo ma questa sensazione fu accreditata dal fatto che ad un certo punto rimasero gli unici clienti del bar. Mi avvicinai al loro tavolo fingendo di pulire quello accanto per ascoltare la conversazione. Benchè ormai l'ostacolo della lingua straniera non fosse più un problema, Mary iniziò a parlare in inglese al suo ragazzo, probabilmente con lo scopo di insegnargli la sua lingua madre: < Secondo me dovresti smettere di lavorare in miniera, ti fa male stare a contatto con tutte quelle polveri>. Il ragazzo alzò gli occhi al cielo come se quello fosse un discorso già affrontato più volte e iniziò a parlare come meglio poteva in inglese: <Mary, abbiamo bisogno dei soldi e lo sai. Da quando siamo scappati insieme le nostre famiglie ci hanno abbandonati a noi stessi, senza alcun tipo di aiuto. Lo sai che je t'aime (ti amo) e farei qualunque cosa per te, ma non posso fare altrimenti>. Mary sentendo queste parole abbassò la testa ed iniziò a piangere, ma poco dopo rialzò il capo e disse: <Je t'aime aussi (ti amo anche io), l'importante per me è stare con te il più possibile, e magari un giorno avere una nostra famiglia ed una bella casa vicino alla Senna. I due si guardarono intensamente, poco dopo lui accennò un sorriso, asciugò le lacrime della ragazza e le diede un bacio profondo. In quel momento la sensazione di essere a casa si accentuò, mi sentivo bene, al caldo e al sicuro. Niente avrebbe potuto rovinare quell'istante... se non il "mio capo":<Vous avez nettoyé cette table pendant deux heures, bougez et revenez à l'intérieur (Hai pulito quel tavolo per due ore, muoviti e torna dentro)>. Scoraggiato lanciai un ultimo sguardo malinconico a Mary che stranamente incrociò il mio, reagendo con una strana espressione sul volto, come se mi avesse riconosciuto. Entrai nel bar e d'impovvsio mi svegliai. Quel sogno era stato così suggestivo e affascinante che mi diede la giusta carica per affrontare la giornata, se non fosse per il fatto che ciò che mi attendeva quel giorno sarebbe stato tutt'altro che "felice".

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