Stelle

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Sarah era nelle mie stesse condizioni... forse anche peggio. Se da un lato infatti si sentiva rilassata, in quanto ormai era scampata sia ai suoi sensi di colpa che a Dylan, dall'altro la sua mente stava per implodere per lo stress accumulato in quel periodo. Fino a quel momento era rimasta con il fiato sospeso in bilico su un filo che la divideva tra la vita e la morte. A volte si chiedeva se quella nuova vita fosse veramente ciò che voleva... Anche lei dubitò di ciò che era diventata, del fatto che se non mi avesse mai chiesto una mano avrebbe potuto continuare la sua vita senza impicci o killer che vogliono ucciderla... ma a quale prezzo? Sarebbe dovuta rimanere con la sua paura dell'acqua, ed in ogni caso, anche se non avesse conosciuto questa realtà dei sogni, Sadoc, o meglio Dylan, avrebbe potuto ucciderla comunque. Entrò nel suo appartamento, chiuse la porta e si accasciò con la schiena sulla porta. Stava affrontando la stessa mia situazione di poco tempo prima. Perchè non mi arrendo? È questo quello che pensava. Perchè semplicemente non lascio che la mia vita prosegua senza che io debba lottare? Si stava arrendendo... Nonostante Dylan avesse ormai promesso di non farle del male, in un modo o nell'altro aveva di nuovo fatto riemergere i suoi sensi di colpa. Sarah era forte, è vero, ma rimaneva pur sempre un essere umano. Ero confuso e stanco, ma sapevo che Sarah necessitava della mia presenza, dovevo stare con lei almeno per sostenerla. Mi diressi verso il suo appartamento, come lei aveva fatto con me in passato. Sarah non si era arresa con me, voleva che io reaggissi e così feci. Ora era arrivato il mio turno, dovevo aiutarla ad ogni costo. Bussai alla sua porta. Aprì, cercando di ricreare sul suo volto un sorriso. Il risultato fu soltanto una smorfia che non fece altro che confermarmi la sua stanchezza dei sensi. Non parlammo, non ci servivano le parole. Chiuse la porta dietro di noi. L'abbracciai, più forte che potevo. Ne aveva bisogno, e sotto sotto probabilmente anche io. Alla fine un abbraccio può sembrare banale, come una stretta di mano o un bacio sulla guancia, ma non è così: Dentro ad un abbraccio puoi fare di tutto. Sorridere e piangere. Rinascere e morire. Oppure fermarti a tremarci dentro. Come fosse l’ultimo. Il legame che si forma è qualcosa di unico, come se le anime di coloro che mettono in atto questo gesto potessero toccarsi e unire i propri cuori. Sarah mi strinse ancora più forte. Stava trattenendo le lacrime, voleva farmi capire di essere cresciuta e che non aveva bisogno di piangere per ogni delusione della vita. Mi fece sorridere. La guardai negli occhi e improvvisamente, come un fiume in piena che straripa per l'eccesso di acqua, inziò a piangere. Non riuscì più a trattenersi e così, lentamente piccole goccie scesero dai suoi occhi, per andare a formare figure ancestrali sulle sue guance. In quel momento mi venne in mente una frase di poeta dei fini dell'1800, Kahlil Gibran, il quale in una delle sue poesie disse: "Puoi dimenticare la persona con cui hai riso, mai quella con la quale hai pianto." Era proprio così. Non avrei mai potuto dimenticare Sarah, qualunque cosa fosse successa. Quella sera rimasi con lei per farle compagnia. Ci sdraiammo sul divano e poco dopo si addormentò, probabilmente a causa dello stress. Ero contento che almeno uno di noi due riuscisse a riposare la mente. Io nonostante ero riuscito a distrarmi per un breve lasso di tempo, non facevo altro che pensare a Dylan. Quell'uomo probabilmente stava mietendo un'altra vittima, e noi non potevamo fare nulla. Lentamente, tra quell'insieme di pensieri, riuscii anche io a prendere sonno... Vidi una bambina che stava correndo in campagna, in mezzo ad un mare di girasoli. La inseguii. Ero nel sogno di qualcuno? Ma di chi? Non mi sembrava di essere passato per la Velvet Room però... Corsi il più possibile, cercando di nascondere la stanchezza. Uscito da quell'immensa distesa di fiori, mi ritrovai di fronte ad un burrone. La bambina era di spalle e fissava quell'immenso vuoto quasi ipnotizzata. I suoni della natura circondavano quella scena come un'ernome sala per i concerti, mentre le stelle sopra di noi fungevano da tetto, illuminando il paesaggio sottostante e facendo risuonare i rumori della natura. Le cavallette avevano iniziato lo spettacolo con il loro stridulio ed erano accompagnate in sottofondo dal fruscio delle foglie degli alberi. Mi sembrò veramente di essere in prima fila per assistere ad un concerto e senza badare più alla bambina per un attimo volsi il mio sguardo alle stelle. 7 bellissimi puntini luminosi brillavano in cielo, formando la ben nota costellazione del Grande Carro. Quel cielo sembrava non avere fine... La bambina mi prese per una manica, facendomi avvicinare alla fine del burrone. Non mi aveva mostrato ancora il suo volto che era coperto da una pioggia di lunghi capelli castani. Guardò verso il basso, tirandomi di nuovo la manica della camicia, come se volesse che facessi lo stesso. Guardai in basso. Nulla. Il vuoto più assoluto. Mi sembrava quasi di aver chiuso gli occhi o di essere diventato cieco all'improvviso. Rialzai lo sguardo. La bambina fece lo stesso e si girò verso di me, spostandosi i capelli dal viso. Iniziai a piangere. Quella bambina era mia adorata sorellina, Polly. Non sapevo se stavo piangendo perchè ero felice di rivederla o perchè mi riportava la mente a tristi ricordi. Caddi sulle ginocchia, coprendomi il volto con le mani. Polly alzò la mia testa con le sue delicate manine. <Fratellone, da una parte ci sono le stelle, dall'altra il vuoto. Questo è come tu vedi il mondo. Bene e male, luce e ombre. Non trovi una soluzione ai tuoi problemi perchè pensi che ci siano solo due strade. Ricordati che c'è sempre più di un modo per risolvere tutto, sta a te aprire gli occhi e cercarlo. Ti voglio bene John, un giorno di questi torna a vedere le stelle con me> mi disse sorridendo. Mi svegliai...

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