Vuoto assoluto. Non riuscivo a vedere nulla, nè i piedi nè le mani. Camminai ininterrottamente in quella "dimensione oscura" per un lasso di tempo che mi sembrò infinito. Ad un certo punto mi misi persino a correre, ma non vedevo nulla e per quanto potessi sapere, probabilmente stavo correndo in cerchio, se non sul posto. Mi fermai e decisi di riflettere. Il sogno ad una prima occhiata poteva rappresentare un'ipotetica paura del buio di Lewis, ma decisi di non saltare a delle conclusioni affrettate. Del resto, il buio poteva persino essere una specie di metafora o una chiave di lettura per la vera paura del mio condòmino. Ero completamente perso nei miei pensieri quando mi ricordai dell'ocarina. Magari avrebbe avuto un effetto diverso a seconda del sogno, così decisi di provare. Suonai una semplice melodia, composta per lo più da tre note ed improvvisamente qualcosa accadde. Stavo... cadendo? O in realtà stavo salendo!? Non ne avevo alcuna idea, mi sembrò quasi di essere all'interno di un flusso continuo di energia che mi teneva sospeso ma al contempo in movimento. <Chi sei tu?> mi chiese una voce... o era un'insieme di voci? Era tutto così confuso. Il suono mi era arrivato dal basso (o dall'alto?) con l'effetto dell'eco, perciò non riuscii a distinguere se fosse uno solo o un'insieme di voci. La sensazione che si era generata in me era quella di cadere in un pozzo dove il fondo era popolato da strane cresture. <Sono John, e tu?> chiesi. <Non sono solo qua sotto, siamo tanti, siamo nella testa del nostro padrone> mi risposero in coro, confermando il mio dubbio sul numero di voci. <Chi siete?> domandai nuovamente. <Noi siamo ciò che si nasconde nei pensieri degli esseri umani, siamo quella sensazione che scacciate via non appena vi rendete conto che siete vicino alla verità, ma non volete ammetterlo. Noi siamo voi, e voi siete noi. Il nostro proprietario si è perso, è tra di noi ormai, e non c'è nulla che possa farlo emergere da questo oblio> conclusero. Capii a cosa stavano alludendo: Lewis non aveva paura del buio, lui soffriva di depressione. <Vaga instancabile verso qualcosa che non potrà mai avere e ne è consapevole...perchè non ti arrendi anche tu? Vieni qui con noi...> aggiunsero le voci. Sapete mia zia soffriva di depressione e "grazie" a lei riuscii a studiare a pieno questa malattia, definita così in quanto tale. Badate bene, non è una malattia così rara, ed inoltre non sempre è associata ad una perdita. Sempre parlando di mia zia ad esempio, lei non aveva perso nessuno, ma qualcosa nella sua testa un giorno le disse che doveva vedere il mondo in modo diverso...le voci... Molto spesso mi domando: come mai il nostro cervello è programmato per farci sopravvivere, ma nello stesso tempo può spingerci al suicidio? Quanto sono potenti queste "voci"? Lewis era un uomo disoccupato sulla cinquantina di anni, abbastanza metodico. Usciva sempre allo stesso orario, mangiava sempre le stesse cose e odiava i rumori forti. Eppure, non ero riuscito a riconoscere in lui i sintomi della depressione. Me ne dovevo dare veramente una colpa? Probabilmente no, una laurea in psicologia non fa di te un Dio del subconscio mi dissi, ma come "persona" avrei potuto fare di più... <Come va? Come stai?> sono domande che ci facciamo ogni giorno, anche tra noi condòmini o persino tra sconosciuti. <Tutto bene grazie> ci sentiamo dire. Va veramente tutto bene? Perchè non vogliamo approfondire? Pensiamo che i nostri problemi siano più importanti? O semplicemente non siamo interessati più di tanto alla risposta? "La natura dell'uomo è di per sè malvagia" ,diceva il filosofo Hobbes... Ma è veramente così? Possibile che gli uomini di base siano superficiali, menefreghisti e opportunisti? Domande su domande iniziarono ad accumularsi nella mia mente, ma intanto io continuavo a cadere/salire. <Lewis mi senti?> urlai verso il basso nella speranza di una risposta. <Non può sentirti, lui è qui con noi, non vuole altro, qui sta bene. Presto rimarrà qui con noi, per sempre...> mi risposero le voci. Dovevo fare qualcosa, ma prima di tutto avrei dovuto cercare Lewis. Decisi di mettermi in verticale, limitando così la presa dell'attrito. Sentii il mio corpo prendere velocità e scendere sempre più in giù (o salire sempre più sù, non lo capii mai). Improvvisamente mi fermai. Ero nella situazione iniziale, tutto buio intorno a me, ma sta volta come all'inzio, mi sembrò di avere un terreno solido sotto i miei piedi. Dovevo cambiare approccio, perciò invece che correre o camminare, ciò mi serviva era entrare in empatia con Lewis. Pensai a quello che mi era successo nell'ultimo mese: ero stato scaraventato in questa nuova realtà, dove non c'era nessuno che potesse aiutarmi, che potesse sostenermi. La mia vicina Mary era morta e due settimane fà anche io ero in questo oblio... mi focalizzai su quel periodo, quella sensazione, ciò che stavo passando prima dell'aiuto di Sarah. La disperazione più totale avvolse il mio corpo, sentivo le ossa cedere, il mio corpo era stanco di vivere, e lo ero anche io. Qualcosa toccò la mia spalla, poi qualcuno mi urtò da dietro. Improvvisamente mi trovai in una "folla", l'agglomerato di pensieri che prima si trovava sopra/sotto di me. Notai in lontananza la sciarpa rossa dei Red Sox, la squadra di baseball preferita di Lewis, che quasi sembrava il faro di salvezza in una notte burrascosa nell'alto mare. Mi affrettai a raggiungere quel bagliore e quando fui vicino misi una mano sulla spalla del mio condòmino. Si girò verso di me e per un attimo rabbrividii: il suo volto era sfreggiato, irriconoscibile, quasi come se qualcosa o qualcuno lo avesse "sciolto". Le orbite non contenevano più gli occhi, ma solo solchi profondi, mentre la bocca formava una smorfia di tristezza ripiegata verso il basso, che quasi dava l'impressione di staccarsi e cadere da un momento all'altro. La sensazione che ebbi fu quella di trovarmi di fronte ad una rappresentazione moderna dell' "Urlo" di Munch. Mi feci coraggio e iniziai a parlargli: <Lewis, sono John> stavo urlando, dovevo in qualche modo superare le voci della "folla". <Non devi ascoltare queste voci, loro vogliono solo instradarti. Seguimi, io voglio darti una mano> continuai. Stava cercando di rispondermi ma dalla sua bocca uscirono solo mugolii. <Cosa? Puoi farcela, parla!> gli urlai. In un secondo, da ogni cavità del suo viso uscirono un'infinità di falene che mi tramortirono facendomi cadere e sbattere la testa... Sentivo la folla passarmi sopra, schiacciandomi senza ritegno, e Lewis mi fissava, quasi in pena per me. Lentamente svenni...

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The Dreams Traveler
FantasiaLa storia vede come protagonista John Collins, un ragazzo di New York appena laureato in psicologia. John svolge una vita solitaria ma ricca di aspettative per il futuro, quando qualcosa sconvolgerà il suo modo di pensare e di agire: egli infatti ot...