Capitolo 22

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Due minuti. Ci sono voluti due minuti per riportare in vita Jane. Due minuti per far ricominciare a battere il suo cuore regolarmente. Due minuti potrebbero non sembrare molti: il tempo che si impiega a mandare un messaggio, leggere un articolo di giornale o bere un caffè. Ma ho avuto la sensazione che il tempo si fosse fermato, che il mondo avesse smesso di girare solo per aspettare che Jane tornasse tra noi, così da non lasciarla indietro. Non appena ha chiuso gli occhi e ho sentito il bip continuo del suo cuore, un infermiere mi ha preso per un braccio facendomi uscire dalla stanza. Ero talmente disorientato e sotto shock che non ho opposto resistenza. Ho poggiato la schiena al muro del corridoio e sono scivolato a terra portandomi le ginocchia al petto. Perché ora? Perché doveva succedere proprio ora? Non ho avuto il tempo di dirle che ho cambiato idea, che sono disposto a provarci, che non importa se oggi mi vuole e tra una settimana non mi vorrà più. Tornerei da lei tutte le volte, anche solo per un giorno, un'ora, un minuto. Un minuto mi ci è voluto per riprendermi dal mio stato di trance e provare a rientrare nella stanza. Ma neanche il tempo di aprire la porta, che l'infermiere che mi aveva fatto uscire, si è fiondato verso di me mettendosi davanti all'entrata.

"Mi dispiace ma i medici sono molto impegnati ora. La minima distrazione potrebbe gravare sulla salute di sua sorella" mi dice poggiandomi una mano sulla spalla.

"Ma devo sapere come sta" dico cercando di guardarlo, accorgendomi però di non vederlo nitidamente per colpa delle lacrime che mi stanno rigando il viso e appannando gli occhi.

"Se la caverà. I medici sono molto bravi ma non devono essere disturbati. Se vuole può rimanere qui fuori, ma mi deve promettere che non proverà ad entrare, altrimenti sarò costretto a farla stare nella sala d'attesa come gli altri familiari" mi propone accennando un sorriso.

"Okay, ma appena sa qualcosa me lo deve dire" lo supplico cercando di calmare le lacrime. Annuisce dandomi una pacca sulla spalla per poi allontanarsi. Io ritorno a sedermi per terra con le ginocchia al petto e comincio a massaggiarmi la testa, come se quel movimento potesse mettere ordine alla confusione nella mia mente. Un altro minuto e ho visto uno dei dottori uscire dalla stanza. Mi sono alzato di scatto e in un secondo mi sono piazzato davanti a lui.

"Come sta?" gli ho chiesto prima che potesse dire qualunque cosa.

"E' andato tutto come speravamo. Il battito è tornato regolare e ora la paziente sta riposando. Le serve un po' di tempo per riprendersi, dopodiché potrà vederla" mi rassicura rivolgendomi un sorriso cordiale. "Sua sorella è una donna forte" è così strano che si rivolgano a me come se fossi suo fratello. Comunque sì, Jane è la donna più forte che io abbia mai conosciuto. Il medico si congeda con un cenno del capo e io comincio a meditare su cosa fare. Odio il fatto di non poterla vedere, di non poterla rassicurare e farle capire che io ci sono, che non ho intenzione di andare via stavolta. Decido però di dare ascolto al medico, di lasciarle il tempo di riposare e non appena mi daranno il via libera andrò da lei. Così vado verso la fine del corridoio, dove c'è la porta della sala d'attesa. Voglio aggiornare Laurel, farle sapere che va tutto bene, che Jane è una forza della natura. Guardo tra la gente alla ricerca dei suoi capelli biondi. Ad un tratto vedo una testa bionda intenta a parlare con un'altra ragazza. Mi dirigo verso di lei e non appena mi vede, corre nella mia direzione.

"Come sta?" mi fissa con i suoi enormi occhi azzurri, un po' arrossati per colpa delle troppe lacrime.

"E' andato tutto bene, ora sta riposando ma il medico ci farà sapere quando potremo vederla" le sorrido per rassicurarla. Lei annuisce ed espira profondamente, come se il peso che non le permetteva di respirare si fosse improvvisamente dissolto. Dopodiché mi ricordo della presenza della ragazza con cui Laurel stava parlando prima che io arrivassi, e che l'aveva seguita quando mi era venuta incontro. Vedendomi incuriosito da quella presenza, schiarisce i miei pensieri affermando "Harry, ti presento Lily, la sorella di Jane" Non sapevo che avesse una sorella. Non si assomigliano molto, lei non ha i tratti ispanici e la pelle leggermente olivastra come quella di Jane. L'unica cosa che hanno in comune sono i capelli rossi. Anche se i suoi presumo siano rossi naturali perché non sono di un rosso acceso come quelli di Jane. Mentre io sono assorto nelle mie considerazioni riguardanti la somiglianza tra le due sorelle, Lily mi porge la mano presentandosi.

"Piacere di conoscerti Harry, Jane non mi aveva detto che avessimo un altro fratello" ride alludendo alla bugia detta per farmi entrare in pronto soccorso. Rido insieme a lei e le stringo la mano, notando un'altra somiglianza tra le due: il sarcasmo, la prima cosa che mi aveva colpito appena avevo conosciuto Jane.

[...]

"Ehi Harry, svegliati" mi dice una voce svegliandomi di soprassalto. "Scusa non ti volevo spaventare, volevo solo avvisarti che il medico ci ha detto che possiamo vedere Jane" mi sorride Lily. Annuisco cercando di ricompormi e di alzarmi in piedi. Lancio un'occhiata verso l'orologio sulla parete. Sono passate due ore da quando sono tornato in sala d'attesa a parlare con Laurel.

"Io l'ho già salutata, ma c'è Laurel dentro con lei. Ora devo scappare al lavoro, tanto so che è in buone mani" mi spiega prima di rivolgermi un altro sorriso.

"Vado subito, ci penso io a lei" confermo accennando un sorriso. Lei mi fa un cenno con il capo in segno di saluto e scompare attraverso il corridoio che porta all'uscita. Mi affretto a raggiungere la porta del pronto soccorso e, una volta dentro, vado verso la stanza 6.

"Non azzardarti mai più a farmi prendere uno spavento del genere" sento dire da Laurel non appena entro nella stanza.

"Come se l'avessi programmato" le risponde Jane con una voce sottile e fioca. Mi appoggio allo stipite della porta e le guardo mentre bisticciano. Sembrano più sorelle loro due che Lily e Jane. Laurel mi dà le spalle e non si accorge della mia presenza, mentre Jane se ne accorge dopo qualche minuto. Smette di parlare e iniziamo a guardarci negli occhi. Se ci fosse una definizione di 'uno sguardo vale più di mille parole', ci sarebbe una foto di questo esatto momento sul dizionario. Non so quanto siamo rimasti a fissarci senza dire una parola, ma sicuramente il tempo necessario da far rendere conto a Laurel di star parlando da sola.

"Okay piccioncini, ho capito, me ne vado. Vi lascio da soli" ridacchia facendo l'occhiolino a Jane prima di andarsene.

"Ehilà, quanto tempo!" scherza rivolgendomi un piccolo sorriso. Rido avvicinandomi al suo letto e sedendomi sulla sedia che fino a poco fa era occupata da Laurel.

"Tu vuoi farmi diventare matto" le dico prendendole una mano e cominciando ad accarezzarne il dorso.

"Lo so, stare con me non è facile" fa un accenno di sorriso distogliendo lo sguardo dalla mia direzione.

"In effetti è così" le dico prima di afferrarle il mento e farle girare il viso verso il mio. "Ma non saprei come vivere senza di te" Rimaniamo a guardarci negli occhi un altro po' finché non mi avvicino alle sue labbra. "Ti amo e, mi dispiace dirtelo, ma non ti libererai mai più di me" sussurro senza interrompere il contatto visivo. Lei mi sorride portando una mano sulla mia nuca e spingendo le mie labbra contro le sue. Il nostro bacio è pieno di sentimenti e di emozioni non confessate, ma che finalmente abbiamo avuto il coraggio di ammettere. Forse un bacio fin troppo intenso per la situazione in cui ci troviamo e per lo stato in cui si trova Jane dopo l'inferno che ha appena passato. Così siamo costretti a staccarci con riluttanza, mentre entrambi cerchiamo di regolarizzare i nostri respiri.

"Così rischi di farmi tornare la tachicardia" ridacchia passando un pollice sul mio labbro inferiore.

"No, ti prego. Basta ospedali per ora" dico sistemandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio. La sua espressione cambia, diventando improvvisamente seria.

"Harry, sei davvero sicuro della tua scelta? Non fraintendermi, non è che io non voglia stare con te, ma sei pronto ad affrontare tutto questo?" mi dice indicando la flebo attaccata al suo braccio. "Sarà sempre così. Non c'è una cura per cui ci saranno sempre alti e bassi, e..." la interrompo mettendo l'indice sulle sue labbra.

"Basta così, non mi allontanerai un'altra volta. So a cosa vado incontro e non mi importa quanto sarà difficile, lo affronteremo insieme. Per cui smettila di..." questa volta è lei a zittire me parlando sopra la mia voce.

"Ti amo" afferma sorridendo e portando una mano sulla mia guancia.

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