(parte 66)

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Arrivai a Londra decisamente sfinita, e cercai di scacciare Zayn dai miei pensieri, per una volta.
Il giorno seguente, dopo la scuola, tornai a casa e mi sentii completamente vuota. Lui non si era fatto più sentire dopo che ero ripartita da Bradford, non mi aveva inviato neanche uno stupido messaggio. E io decisi di aspettare che fosse lui a fare il primo passo; in fondo non era neanche venuto a salutarmi, prima della partenza. Gli avevo chiesto di rinunciare al suo lavoro, è vero, ma onestamente credevo che sarebbe riuscito a fare questo e altro per me. Evidentemente mi sbagliavo.
«E’ da ieri che ti vedo strana» sussurrò mia madre ad un tratto durante il pranzo, «è successo qualcosa con Zayn?»
Alzai gli occhi al cielo, lei mi conosceva meglio di chiunque altro. Era come se fossi un libro aperto davanti a mia madre.
Annuii silenziosamente continuando a muovere la forchetta sul piatto, senza toccare cibo.
«Ed è tanto grave, questa cosa?» insistette.
«Non lo so» risposi, confusa.
«Ma state ancora insieme, giusto?» chiese.
«Non lo so» ripetei, senza neanche alzare lo sguardo su di lei.
«Cosa significa che non lo sai?» esclamò, sorpresa.
«Il fatto è che» feci una pausa mordendomi il labbro, «nonostante ripeto a me stessa che va tutto bene, in realtà non va tutto bene. Questa relazione a distanza mi sta uccidendo, vorrei che lui fosse qui, vorrei poter andare a trovarlo ogni volta che ne ho voglia come facevo un tempo, e..»
«Ma sua madre sta male, lo sai» ribatté lei.
«Certo, ed è giusto che lui sia lì ad aiutare la sua famiglia» annuii, «però è comunque difficile per me, ancora di più se penso che lavora in un pub ogni sera fino alle tre di notte..»
«Questo non me lo avevi detto» sbarrò gli occhi.
«Il punto è che io faccio di tutto per lui, per stargli dietro» mormorai, «ma lui non fa neanche un passo verso di me»
«Io credo che voi dobbiate parlare» disse, alzando le spalle.
«Come faccio?» alzai le braccia in aria mostrandole il telefono, «non mi chiama, non mi manda messaggi, lui è convinto di avere ragione!»
«Mettete da parte quel maledetto orgoglio» mi consigliò.
«Io l’ho messo da parte tante volte» sbottai alzandomi da tavola, «questa volta tocca a lui»

PUNTO DI VISTA DI ZAYN.

La casa era spenta e silenziosa senza di lei. Nei weekend, quando Jess arrivava, erano tutti più.. contenti. Io soprattutto, ovviamente. E adesso che lei non c’era era strano, soprattutto dopo il modo in cui ci eravamo salutati. Non avrei mai pensato che sarebbe arrivata al punto di spiarmi mentre ero a lavoro. Non c’era fiducia, lei non si fidava di me, e questo mi faceva terribilmente incazzare. 
Era pieno pomeriggio ed erano tutti in ospedale. Io non avevo più intenzione di andarci, per il momento. Avevo ricominciato a comportarmi da stronzo insensibile e iniziai e pensare di esserlo diventato davvero. Presi un posacenere, inforcai i miei occhiali da sole e mi sedetti sul dondolo del giardino sul retro con le gambe incrociate. Avvicinai la sigaretta alle labbra per accenderla, con un lieve venticello in faccia. Solo in questo modo riuscivo a rilassarmi. Inspirai lentamente e poi aprii leggermente la bocca per far uscire una nuvoletta di fumo. 
«Ehi, dj Malik» una vocina stridula interruppe i miei pensieri.
Mi voltai leggermente e vidi Ashley salutarmi fuori dal cancello. Merda, non avevo per niente voglia di vederla. Mi alzai e trascinai i piedi fin da lei e la feci entrare.
«Dj Malik?» accennai un sorriso, facendo uscire altro fumo dalle labbra.
«Bill dice che stai facendo progressi» esclamò riferendosi al proprietario del locale, «ieri sera sei stato grande»
«Mi fa piacere» mormorai senza entusiasmo, continuando ad inspirare.
«Tutto bene, dj Malik?» chiese, osservandomi attentamente.
«Tutto alla grande» risposi ironicamente, per poi fare una smorfia.
«Problemi con la tua ragazza?» domandò.
Non mi andava di parlare di Jess con lei, «le solite cose» 
«Capisco» annuì, posizionandosi in piedi di fronte a me.
Rimasi in silenzio e continuai a immergermi nel fumo.
«Mi fai fare un tiro?» chiese.
Non dissi nulla per un po’ poi mi tirai fuori la sigaretta dalla bocca e gliela passai.
Lei la portò sulle sue labbra, come se volesse ricordare il sapore delle mie.
Cazzo, la situazione si stava facendo imbarazzante e non potei fare a meno di pensare a Jess. Non stavo facendo niente di male, no? Solo quattro chiacchiere con una vecchia ‘amica’. 
«Zayn?» un’altra voce femminile mi vece sussultare. Era Waliyha, stava rientrando in casa insieme a Safaa e aveva una severa espressione dipinta sul viso.
Ashley fece un passo indietro e mi restituì la sigaretta, quasi come se fosse imbarazzata.
Sapeva bene che le mie sorelle non la sopportavano.
«Beh, allora io vado» fece, «ero solo venuta a dirti che stasera il tuo turno è un’ora dopo, alle undici»
«Va bene, grazie» risposi distrattamente, buttando a terra la sigaretta e pestandola col piede.
«Ci vediamo, dj Malik» sorrise e poi filò via.
Feci una smorfia e poi mi voltai verso Waliyha che mi stava letteralmente fulminando.
«Dj Malik?» ripeté, disgustata.
«Stavamo solo parlando» borbottai.
«Invece di parlare con quella troia, potresti chiamare la tua ragazza che non senti da due giorni» ribatté lei.
«Ti ricordo che c’è una bambina affianco a te» indicai Safaa, «e comunque non devi dirmi tu cosa fare»
«Non mi scandalizzo» sbuffò la piccola, «lo so anch’io che Ashley è una troia»
Waliyha spalancò la bocca e non poté fare a meno di scoppiare a ridere.

PUNTO DI VISTA DI JESS.

Passò un altro giorno, e Zayn continuava a non farsi sentire. Mi stavo innervosendo completamente. Lui voleva fare quello che voleva, giusto? Ebbene, lo avrei fatto anch’io. Quando mia madre mi aveva detto che stando con Zayn avevo messo da parte me stessa, non le avevo dato retta. Ma ora mi ero resa conto che aveva ragione. I miei voti scolastici da quando stavo con lui erano calati, non avevo hobby e neanche amici veri. E la colpa di tutto questo era soltanto mia, mi ero trascurata concentrandomi troppo su questa relazione.
Quella mattina, a scuola, mi iscrissi ad un corso di fotografia e di lettura. Andai in biblioteca e studiai un po’ insieme a dei compagni di scuola.
«Jess!» sentii Niall chiamarmi nel corridoio.
«Ehilà» gli sorrisi, recuperando alcuni libri dal mio armadietto.
«Non ti ho vista in classe prima» disse.
«Sono un po’ impegnata con dei corsi extra» alzai le spalle.
«Wow, ti stai dando da fare» ridacchiò, «è tornata Jess la secchiona?»
«Assolutamente no» scossi la testa e gli sorrisi di nuovo.
«Sei di buon umore?» chiese, quasi come se fosse sorpreso.
«In realtà no, per niente» risposi, «ma sto cercando di andare avanti e non deprimermi continuamente»
«Così si fa» mi diede una pacca sulla spalla, «ci vediamo dopo?»
Annuii, «a dopo» e poi lui filò via. Stranamente non mi aveva fatto nessuna domanda su Zayn, e lo ringraziai mentalmente per questo. Ero contenta che ora non ci fosse più una lotta fra loro.

Nel pomeriggio cercai di tenere la mente occupata con i compiti, ma era inutile. Qualsiasi cosa facessi, non riuscivo a smettere di pensare a lui. E odiavo questa situazione, non era mai successo che io e Zayn non ci sentissimo per tutto quel tempo. Tranne quando ci eravamo lasciati. Perché quel bastardo mi aveva rubato il cuore? Odiavo il fatto di essere così dipendente da lui.
Come se non bastasse l’occhio mi cadde sulla cornice che avevo poggiato sulla scrivania dove stavo studiando. C’era stampata la foto che io e Zayn ci eravamo scattati, il giorno che ci siamo messi insieme. Era tutto così bello e semplice, all’epoca. Lui viveva ancora a Londra, in quel piccolo appartamentino in periferia che mi mancava da impazzire. Era sempre stata la nostra tana, il nostro rifugio, avevo un sacco di ricordi in quell’appartamento. Lì io e Zayn avevamo fatto l’amore per la prima volta, lì passavamo i nostri pomeriggi a ridere e scherzare, e il fatto che ora fosse in vendita mi faceva star male.

La mattina dopo, quando mi svegliai, la prima cosa che feci fu afferrare il telefono dal comodino. Quando trovai un nuovo messaggio sullo schermo mi si illuminarono gli occhi e il cuore prese a battere più forte. Lo aprii, ma non era di Zayn. Era Niall che mi chiedeva un’informazione di scuola. Di scatto lo lanciai a terra e affondai la faccia sul cuscino, scoppiando in un pianto isterico.
Mi mancava il suo ‘buongiorno’ ogni mattina, mi mancava sentire la sua voce roca al telefono ogni sera prima di andare a letto, e soprattutto mi mancava vederlo e stringermi tra le sue braccia.
Dopo la scuola informai mia madre di quello che stavo per fare e così salii su un pullman.
Destinazione: Bradford.

Arrivai due ore dopo e con passo deciso mi avviai verso casa Malik, che ormai sentivo un po’ anche come casa mia. 
«Jess!» strillò Safaa quando mi vide alla porta, «che ci fai qui? È già sabato e non me ne sono accorta?»
Sorrisi e la abbracciai, «no, ma ho alcune cose da chiarire con quell’idiota di tuo fratello»
«Ok, è in camera sua» rispose facendomi entrare. La casa era, come al solito, vuota.
Camminai timidamente verso la stanza di Zayn e poi bussai con tono deciso.
«Safaa, che vuoi?» borbottò lui dall’altra parte della porta.
Senza aggiungere nulla, la aprii e rimasi a guardarlo per qualche secondo.
Lui aveva gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta, ovviamente sorpreso di vedermi lì.
«Che.. che ci fai qui?» ebbe un colpetto di tosse. Zayn Malik che balbetta, non capita spesso.
«Indovina? Mi sono ricordata di avere un ragazzo» risposi chiudendo la porta, «ma non posso dire lo stesso di te, sei sparito e non ti sei fatto sentire per quattro giorni!»
«Neanche tu ti sei fatta sentire» ribatté, mettendo le braccia conserte e alzandosi dal letto.
Era senza maglietta e indossava quei pantaloncini da calcetto che tanto adoravo. Era bellissimo, ma cercai comunque di non distrarmi.
«Perché avrei dovuto?» replicai, «mi hai trattato di merda lo scorso weekend»
«E tu sei venuta a spiarmi mentre lavoravo, te lo ricordi o no?» si avvicinò ancora.
«Ti ho già chiesto scusa per quello» alzai gli occhi al cielo. 
«Mi hai chiesto di rinunciare al lavoro e non l’ho fatto, e tanto per chiarire non posso ancora farlo» sussurrò, «quindi se sei venuta qui per questo..»
«Io sono venuta fin qui solo per vederti» dissi, «e come al solito, sono sempre io a mettere da parte l’orgoglio e tornare da te»
«Anche se non ti ho chiamata, non significa che io non ti abbia pensata in questi giorni» rispose.
«Non mi interessa, Zayn!» alzai il tono di voce, «io volevo sentirti, avevo bisogno di te, e tu non c’eri»
Si inumidì le labbra e poi fece un altro passo verso di me. Fece scivolare le mani sui miei fianchi e rabbrividii al suo contatto.
«Sono stanco di discutere con te» sussurrò avvicinando il suo viso al mio, «forse dobbiamo soltanto ammettere che siamo due stupidi che non riescono a stare lontani»
Il mio cuore sembrava stesse per esplodere dal petto, sentire il suo respiro caldo sul mio viso mi stava mandando in fibrillazione. Era come se non stessi capendo più niente, poi lui socchiuse gli occhi e sfiorò le mie labbra con le sue. Ma che diavolo stava succedendo? Ero arrabbiatissima con lui, ma per qualche assurdo motivo lasciai che mi baciasse mentre mille farfalle invadevano il mio stomaco. Le sue labbra erano una specie di droga per me, così come ogni suo bacio. Fece scivolare la sua lingua all’interno e lo baciai con più passione. Continuammo così per un po’, poi fu come risvegliarsi da un ipnosi. Portai le mani contro il suo petto nudo e lo allontanai in fretta, «che stai facendo?»
«Che ho fatto?» mostrò un sorrisetto innocente – e maledettamente tenero – da cane bastonato.
«Sto parlando di cose serie, non puoi interrompermi con un bacio» lo rimproverai, confusa.
«Sai come si dice, non c’è niente che un bel bacio non possa guarire» ridacchiò, cercando di sdrammatizzare.
«Forse non ti rendi conto di quello che ti sto dicendo» lo rimproverai.
«Dai, perché vuoi continuare a litigare?» sbuffò, come un bimbo in punizione.
«Perché io, a differenza tua, prendo le cose molto seriamente» ribattei.
«Senti, va a prendere la tua valigia poi ne parliamo con calma» disse, sedendosi a letto.
«Non c’è nessuna valigia» dissi, «non sono qui per restare»
Alzò lo sguardo su di me e mi guardò sorpreso, «che significa questo?»
«Sono venuta soltanto per parlare con te, tra poco torno a Londra» abbassai lo sguardo.
Lui fece una smorfia e si limitò a portarsi le braccia dietro la nuca.
«Questa sera ho un corso di fotografia» confessai, ad un tratto.
«Davvero?» chiese, «e da quando ce l’hai?»
«Da qualche giorno, lo sapresti se mi avessi chiamata» sfeci una smorfia, «sai, ho iniziato a pensare un po’ più a me stessa»
Lui si morse il labbro, sembrava quasi.. triste.
«Oh..» fu tutto ciò che uscì dalla sua bocca.
«Già, oh» ripetei, ancora immobile in mezzo alla stanza.
«Hai altro da dirmi?» fece, adesso invece sembrava scocciato.
«No» scossi la testa, «ho finito»
Si alzò in piedi e mi venne incontro, di nuovo.
«Non mi stai lasciando, vero?» chiese.
«Io voglio solo farti capire che non posso continuare così, se non fosse stato per me, chissà quando ci saremmo rivisti.. tu avresti continuato a non chiamarmi per il tuo stupido orgoglio e io avrei passato altri giorni a star male per te! Ho bisogno che ci aiutiamo reciprocamente Zayn, perché è questo che si fa in una relazione»
«Mi dispiace, sono un coglione..» si portò una mano davanti al viso.
«Sì, lo sei» annuii, «so che anche io ho le mie colpe, proprio per questo ho bisogno di pensare, ed è meglio se stiamo lontani per un po’..»
«E’ già tanto tempo che siamo lontani» sbuffò.
«Non avrei mai pensato di dirlo ma ho davvero bisogno di un po’ di tempo per me stessa» insistetti, «ho trascurato la mia vita per così tanto, e adesso vorrei rimediare..»
«Mi dispiace che tu abbia sacrificato la tua felicità per la mia» sussurrò. Si sentiva tremendamente in colpa, si vedeva. E mi dispiaceva vederlo così, ma finalmente si era reso conto di quello che provavo.
«I miei sentimenti per te non cambiano» mormorai, accarezzandogli la guancia ruvida e rabbrividii al contatto con la sua – adorabile - barbetta.
«Quindi mi stai chiedendo una specie di pausa di riflessione?» chiese con voce tremolante. Era spaventato.
Non sapevo come rispondere a questa domanda, «adesso devo andare..»
Fece una smorfia, e girò la faccia dall’altra parte. 
Mi avvicinai alla porta e, prima di andarmene, rimasi un altro po’ a guardarlo. Lui aveva ancora lo sguardo nel vuoto, le vene sul collo ben in vista, e i muscoli del corpo contratti. Sembrava un cucciolo abbandonato, era triste, lo vedevo. Ma, nonostante una voce dentro me mi diceva di restare con lui e ignorare tutti i suoi sbagli, un’altra mi consigliava di ripartire immediatamente per Londra.
E, stavolta, io ascoltai la seconda.
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