Capitolo 4

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Passaro secondi, o forse minuti da quell'affermazione. Sentivo l'ansia divorarmi dentro, e più passava il tempo, più mi sembrava di sprofondarci dentro.
Mi chiesi come poteva sapere che non abitavo qui vicino, perché da come sorrideva era chiaro che lo sapesse.
Avrei voluto chiederglielo, ma ancora una volta mi precedette.

«È stata la tua amica a dirmi dove abiti.» disse divertito mentre si passava una mano tra i capelli e la sua postura si rilassava contro il sedile dell'auto.

«Non ho nessuno a cui chiamare, e in ogni caso non mi sembra corretto.» spiegai sospirando. «Ma posso anche tornare sola, non è di certo la prima volta.» continuai mentre lo guardai negli occhi.

Certo che aveva degli occhi proprio belli, sembrava avere due gemme incastonate dentro. Di un verde così bello, e quando anche lui incrociò il mio sguardo, vidi il riflesso della luna che illuminava i suoi occhi.
Credo di non aver mai visto occhi più belli prima d'ora, e questo mi fece un po' paura.

In quel momento sentivo il cuore iniziare a battare più velocemente, e mi sentii come se fosse cambiato qualcosa dentro di me. Non riuscii a capire come potessero due occhi farmi questo effetto così strano e mai provato in vita mia.

Lui continuò a fissarmi, vedevo che cercava di esaminare qualcosa di me, anche se aveva l'aria un po' disinteressata, ma nonostante ciò, non cercò mai di allontanare il suo sguardo da me.

Giocava con gli anelli delle sue dita, che notai solo adesso. Ne aveva tanti, e li faceva scontrare tra di loro. Quello era l'unico suono che spezzava il nostro silenzio.

Portai i miei occhi nuovamente sui suoi e mi accorsi che ancora mi stavano guardando. Provai imbarazzo stavolta, feci un lungo respiro. Mi sentivo in un certo senso come se fossi ipnotizzata dai suoi occhi, perché non riuscivo a distogliere lo sguardo da essi.

Lui si leccò le labbra rosee e leggermente carnose, e lì distolsi subito lo sguardo facendo finta di non averlo visto. Ma lo feci così velocemente che lo notò e smise di far scontrare i suoi anelli.

«Non voglio responsabilità. Quindi se non hai nessuno a cui chiamare, dovrai restare qui con me fino a domattina.» ribadì con voce roca che quasi mi vennero i brividi.

Responsabilità? Avevo vent'anni, sapevo badare a me stessa. E poi nemmeno lo conoscevo.

«Grazie mille per l'interesse, ma davvero non preoccuparti.» affermai forzando un sorriso, anche se in realtà stavo iniziando ad innervosirmi per come mi aveva parlato.

Continuava a fissarmi, era molto divertito e non capii il perché. L'unica cosa che sapevo era solo che mi aveva trattata come una bambina, e nemmeno mi conosceva.

«Non ho nessun interesse.» rispose amaramente, però aveva ancora quel sorrisetto furbo.

Detto sinceramente non mi interessava se avesse interesse o meno per la mia incolumità. L'unica cosa che mi interessava era che doveva farsi gli affari suoi. Avevo apprezzato il fatto che si era offerto di darmi un passaggio e tutto, però avevo voglia di tornare a casa, e se l'unico modo era quello di tornarci sola e a piedi, pazienza, non avevo nessuno a cui chiedere un passaggio. Ma lui non si poteva permettere di dirmi che ero responsabilità sua, perché ero abbastanza grande e vaccinata. Non avevo bisogno di nessuno, tantomeno di lui.

«Bene, allora grazie e arrivederci.» dissi mentre scendevo dall'auto ed iniziai ad incamminarmi.

Sentivo il suo sguardo su di me, ma continuai a camminare senza voltarmi. E dopo nemmeno aver fatto tre metri dall'auto, presi una storta e mi ritrovai con il sedere per terra.
Gemetti dal dolore, e portando una mano alla caviglia dolorante, mi accorsi che si era anche rotto il tacco. Ci mancava solo questa, pensai.

Vidi Harry scendere dall'auto e avvicinarsi a me. Per un secondo mi osservò con un cipiglio in viso, ma subito dopo cercò di aiutarmi porgendomi una mano.
Senza pensarci due volte l'afferrai e piano piano iniziai a sollevarmi senza fare peso sul piede che faceva male. Lui mise il mio braccio attorno al suo collo, e con il suo circondò il mio bacino. A quel contatto iniziai a sentire i brividi percorrerermi tutta la schiena. La sua presa era forte, possente ma non troppo, per evitare di farmi male. Il mio sguardo cadde nel suo, che mi osservava con le labbra socchiuse, mentre tornavamo sulla sua auto.

Aprì lo sportello e mi mise a sedere. Si accovacciò all'altezza della mia caviglia, scrutandola, probabilmente per vedere quanto era grave. La sfiorò ed io sussultai dal dolore, mordendomi un labbro.

«Ti fa male?» chiese portando il suo sguardo sulle mie gambe un po' scoperte dal mio vestitino. Ci era molto vicino con il viso, e trattenni per qualche secondo il respiro per l'agitazione che avevo in corpo.

Appena i suoi occhi si sollevarono sui miei, sentii il mio cuore battere all'impazzata. Annuii alla sua domanda, non trovando forse il coraggio di parlare.

Si alzò in un batter d'occhio e lo vidi andare dietro l'auto, aprendo il portabagagli e richiudendolo subito, per poi ritornare da me.
Aveva una maglia nera in mano, probabilmente era sua.

Lo vidi nuovamente accovacciarsi all'altezza delle mie gambe, senza guardarle stavolta. Forse si era accorto del mio precedente imbarazzo. Mi sfilò i tacchi e li appoggiò sul cruscotto, in seguito fasciò la mia caviglia con la sua maglia, provocandomi un gemito di dolore.

Appena finì mi diede un'ultima occhiata e si sfilò il suo cappotto nero appoggiandolo alle mie spalle.
Lo ringraziai timidamente e lui abbassò nuovamente lo sguardo sulle mie gambe. Mi sentii talmente a disagio che senza pensarci due volte abbassai di più il vestitino.

Odiavo quando la gente fissava il mio corpo, perché mi faceva sentire a disagio. Ecco il motivo per il quale odiavo i vestitini e non li mettevo spesso. Preferivo un jeans e una felpa enorme, per nascondere tutto.

Harry mi rivolse un mezzo sorriso, sembrava essere molto divertito, ma non disse nulla a riguardo, e gliene fui grata.
Tornò a bordo dell'auto, lato guida, e ci fu molto silenzio.

Io iniziai a fissare le mie mani, non avendo il coraggio di guardarlo.
Ripensai di nuovo a quella caduta, avevo fatto la figura della stupida e per di più mi ero fatta anche molto male. Questo perché non ero abituata ad indossare tacchi, anche se non erano molto alti.

«Lo sai che adesso dovrai restare qui fino a domattina, vero?» la sua voce roca spezzò il silenzio.

Mi voltai verso di lui e iniziai ad osservarlo. Aveva la testa appoggiata sul palmo della mano, e mi guardava. Aveva l'aria annoiata, o forse era solo stanco.

Sospirai. «Lo so.» risposi rassegnata.

L'unica cosa positiva era quella che l'indomani non lavoravo, cercai di consolarmi pensando questo.

I suoi occhi curiosi erano ancora su di me. Non si volevano voltare. E come i suoi, anche i miei occhi non volevano staccarsi dal sul sguardo.

E così, restammo a guardarci per molto tempo, forse minuti, forse ore, finché mi addormentai. E anche nel mio sogno, apparsero due occhi verdi e un sorriso mozzafiato.

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