05

4.4K 232 39
                                    

Già dal giorno dopo, le cose cambiarono ancora

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Già dal giorno dopo, le cose cambiarono ancora.
Bjorn, il fratello maggiore, aveva preparato i bagagli e, con un piccolo gruppo di uomini, aveva salpato alla volta del continente antico - l'Africa.
Il secondo, Ubbe, decise di tornare a Kattegat, che era il regno dei vichinghi, a cui comando restava Lagherta, la madre del solo Bjorn - a quanto pare, Ragnar aveva avuto ben due regine nel corso della sua vita.
E così, sotterrato Sigurd, restavano solo Hvitserk, il fratello dallo sguardo storto, ed Ivar, il mio nuovo padrone.

«Fai attenzione.»
Mi pizzicai il naso, cercando di concentrarmi sui lacci della pettorina: per quanto resistenti, avevo come l'impressione che si sarebbero potuti spezzare da un momento all'altro.
Con le prime luci dell'alba, io mi ero svegliata e avevo preso a sistemare ancora la stanza, fermandomi anche a pulire i vestiti e le scarpe del ragazzo. Era una tradizione a cui ero abituata, visto che mi occupavo delle faccende domestiche degli appartamenti di Alfred, ma, ovviamente, l'aria che tirava era ben diversa.
Alfred era un mio amico - era buono - e mai, per una volta, mi ero trovata intimorita dal suo potere: sapevo che non mi avrebbe fatto del male, né che avrebbe cercato di primeggiarmi.
Era così gentile, ed io l'avevo lasciato andare.

Non lasciarmi. Non puoi lasciarmi.
Ricordavo le sue mani stringere le mie, il modo in cui aveva afferrato il mio volto, costringendomi ad ascoltare le sue suppliche. Quella fu una delle poche volte in cui l'avevo visto piangere.
E la colpa era mia.

«A cosa stai pensando?»
Ivar mi stava guardando dal letto, ancora avvolto nelle lenzuola e con le braccia avvinghiate al cuscino. Dormire con lui si era rivelata una stancante tortura: si era divincolato, brontolava nel sonno per la difficoltà dei suoi movimenti e aveva sognato.
In realtà, erano più incubi, e, diverse volte, mi ero ritrovata ad osservarlo nei suoi spasmi e nei lamenti. Solo nel sonno, completamente indifeso, potevo scorgere quella stanchezza che avevo notato durante il nostro primo incontro.
Ivar era stanco di vivere - lo era perché sentiva l'ingiustizia di quella esistenza premere sul suo cuore ogni giorno, ribellandosi all'impegno che riservava per cercare di migliorarsi. Era intelligente, era forte ed era scaltro, eppure c'era sempre qualcosa che lo tirava giù.
Non riusciva a sopportarlo.

«Non penso a nulla,» avevo risposto: «ho lavato i tuoi vestiti: erano sudici di sangue.»

Il ragazzo si rimise seduto, faticando nel mentre, e sbatté più volte le palpebre, risvegliandosi. Più attento, notò che stavo indossando il mio vestito da serva.
«La stanza di Alfred è qui affianco,» dissi, prevedendo le sue domande: «e sono tornata.»

Avrei voluto dirgli che sapevo che aveva mentito - che non c'era nessuna guardia oltre quella porta - ma restai in silenzio, non volendo peggiorare la situazione. Ero tornata, Ivar lo sapeva, e andava bene così.

«Credo di aver bisogno anche io di un bagno,» commentò, guardandosi le mani scure per la polvere e il sangue secco.
«Faccio preparare una vasca?» Domandai.
Ivar sorrise, donandomi di una piccola smorfia furba.

The favouriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora