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Scelsero di attaccare il primo giorno di primavera

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Scelsero di attaccare il primo giorno di primavera.
Lo aveva deciso Ivar – ovviamente – sorteggiando nella sua mente la risposta che tutti si domandavano da ore: quindi, mancavano solo due giorni all'invasione e lo si sentiva nell'aria.
Le serve rimaste correvano da una parte all'altra della corte, cercando di soddisfare la fame dei vichinghi e, al contempo, sfuggire dai loro desideri carnali; intanto, gli armaioli si erano messi all'opera, passando ore e ore ad appuntire asce e a pulire corazze dal sangue vecchio.

L'odore di bruciato e muffa era atroce, un odore di quelli che mai sarei riuscita a scordare nella vita: si insinuava ovunque – sui vestiti, pelle e sotto le unghie. Lo sentivo nei capelli e sulle labbra, inghiottendolo ad ogni respiro e parola mal contenuta.
Ivar, invece, sembrava rafforzarsi ogni giorno di più. Dimostrava forza, e di quella i suoi sudditi si sfamavano e gioivano, vedendo il lui un leader di cui fidarsi. Ogni sera brindavano e mangiavano in suo onore, alzando boccali di vino e rubando schiave per i loro letti.
Era tutto in onore del loro comandante, dello storpio della battaglia.

Di tanto in tanto lo guardavo crogiolarsi in quella fama e in quell'onore – li stessi che Ivar aveva cercato da tempo, sapendo di meritarselo – e lo vedevo cercarmi nella folla, vittorioso nel sapermi sempre lì, immobile nella mia prigione. Sembrava tutto in salita per il giovane pagano ma, per me, invece, quello non era altro che il precipizio prima della lunga discesa.

Hvisterk mi passò fianco, lanciando uno sguardo languido prima di passare oltre. Nemmeno provai a rispondergli, non avendo bisogno dell'ennesima conversazione con un pagano fastidioso. Però, il destino non sembrava dalla mia parte.

"Bevi." Ivar mi stava porgendo un bicchiere di vino e mi guardava con minacciosa austerità. Non avrebbe preteso un rifiuto, e infatti obbedii, bevendone un sorso. Detestavo il vino.

"I cristiani non ti hanno abituato a cene simili, immagino," disse, sedendosi al mio fianco sugli scalini che portavano al trono. Sopra di questo – là dove ergeva un tempo re Ecbert – era stato lasciato il maiale dell'arrosto. "Sono divertenti, no?"

"Uno spasso," commentai, ruvida. Ivar si voltò verso di me, inforcandomi con quello sguardo languido. Capii subito che non aveva buone intenzioni, e questo non mi fece piacere.

"Ho intenzione di ubriacarmi, questa sera:" decise, così: "mi ubriacherò e ti porterò nella mia stanza. Saremo solo noi due e vedremo cosa la mia mente malata mi costringerà a fare."
Lentamente, passò il dorso della sua mano sulla mia guancia, costringendomi a quel tocco forzato. "Potrebbe essere divertente."

Mi scostai, mal sopportando quel gesto. "Smettila, Ivar."
"Smetterla? Cosa c'è che non va?" Commentò, lurido: "non sai che le serve hanno il dovere di accontentare i loro padroni?"

Raggelata, mi voltai verso di lui, sorreggendo il suo sguardo con forza. Ero stanca, davvero esausta, di quella sfida continua che era diventata la mia vita. Ivar mi tormentava, i pagani lo faceva e anche il destino: praticamente, non sceglievo fra il meglio, ma il meno peggio. Ero senza speranza, senza futuro e, tanto valeva, diventare pazzi.
Tanto, quello, lo ero da sempre.

"Hai ragione," annunciai, così, ed Ivar rimase di sasso, visibilmente atterrito.
"Ho ragione?"

Lasciai il mio bicchiere a terra e gli presi il suo, liberandogli le mani. Poi, scivolai verso di lui, ben indossando il mio sguardo più predatore. "Sono la tua schiava, Ivar."
Scorsi con le dita lungo il suo petto, fermandomi sul colletto stretto della divisa, tirandolo appena. "Il mio compito è soddisfare i tuoi bisogni."

Non ero mai stata una donna fra gli uomini. In realtà, il rapporto di amicizia con Alfred era la cosa più intima che avessi mai avuto con un membro del sesso opposto. Non avevo mai amato, non avevo mai conosciuto il sesso. Questo, in realtà, era sufficientemente palese sul volto di Ivar, e, conoscendo il pagano, avevo scoperto anche quella passione. Ivar era bello in modo famelico, tenebroso, con quei tratti capaci di graffiarti senza nemmeno toccarti.
Tentando di avvicinarmi a lui, mi soffermai su questo, su quella minima attrazione che credevo di provare per lui, cercando di alimentarla con quanto più desiderio potessi.
Pensavo – Ivar è solo un ragazzo, Ivar è solo bello. Le sue mani non hanno ucciso, le sue mani non erano coperte di sangue. Ivar è solo un ragazzo che mi interessa, e quello non sarà altro che un bacio.
Quasi non mi resi conto che ero ormai su di lui e che la mia mano accarezzava la base del suo collo, beandomi di quella gentile delicatezza. Sfiorai il suo zigomo e mi abbassai alla curva del suo labbro.

La musica svanii. C'era, ma così distante, e anche le chiacchiere rozze dei pagani intorno ai tavoli. La mia mente era intrecciata al mio corpo ed il mio corpo era stretto fra le mani di Ivar. Lui era lì, ed era davvero bellissimo, abbastanza da farmi perdere il controllo.
Pensavo, pensavo: no, non pensavo più.

Dieci dita si strinsero intorno ai miei polsi, privandomi dell'ultimo briciolo di fuga. Ivar non era mai stato tanto attento, mai tanto nervoso di così. I suoi occhi saettavano sul mio volto e sulle mie labbra, cercando con disperazione quell'ultima spinta che portava al contatto. Il suo respiro mi sfiorò la bocca, ed assaporai un sapore nuovo sulla mia lingua.

"Thora."

Il mio nome mi riportò alla realtà.
Paralizzata, feci un passo indietro, ricomponendo i cocci del mio onore. Ivar non mi bloccò, ma continuò a seguirmi, ancora pendente dalle mie azioni. Si aspettava qualcosa di più.
Presi un lungo respiro, cercando di calmarmi, e presi anche un altro sorso di vino. Ero atrofizzata, completamente sconcertata. Ma cosa mi era preso? Cosa stavo facendo?

Ho provato a baciare Ivar e non era solo per sopravvivere. Mi sentivo una sciocca, mi sentivo una traditrice e una sporca, mai stata così bassa.
Nemmeno lo conoscevo, nemmeno sapevo chi realmente fosse, se non che mi aveva rapita e che mi reputava sua.
Quella era la mia mente malata che tornava a galla, la mia pazzia che, da folle, mi spingeva nelle mani di uno psicopatico. Era molto da me.

"Hai ancora bisogno di me?" Chiesi, in un sussurro, nascondendomi dietro i capelli.
Ivar, dopo un momento di smarrimento, provò a capire il mio tentennamento, e se ne vergognò. Non ne capii subito il motivo, il perché lo prese tanto sul personale, ma il dolore era palese sul suo volto. Si girò dall'altra parte, smettendo di fissarmi, e riprese a bere.
"Vattene."

Ma non lo feci subito. Rimasi ancora un momento ad osservare il suo volto teso e il dolore raccolto all'angolo dei suoi occhi.
Ne ero io la colpevole.
"Ti aspetto in camera," promisi, piano. Ivar sentì, ma non lo diede troppo a vedere, restando dissolto nella sua immobilità. Forse voleva che restassi, ma non avrei potuto, non in quel momento.
E, perciò, lo lasciai solo.

Angolo

Come commentare questo capitolo? Beh, dicendo che il prossimo sarà peggio 😂

Thora x Ivar: ship si o ship no?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto❤️
A presto,
Giulia

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