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Era giunta la fine del mondo. Lì, in quel momento, davanti ai miei occhi: mancavano così pochi capitoli alla fine della mia storia.
Non potevo sapere.

Al centro della sua camera da letto, Ivar se ne stava seduto sul suo giaciglio di pelliccia con tenera disinvoltura, quasi non avesse appena dato inizio ad una potenziale catastrofe.
E mi guardava, sorridendo leggermente, quasi in attesa della mia prevista reazione: come al solito, credeva di conoscermi più di chiunque altro.
Come al solito, non stava sbagliando.

"Ho navigato per mesi per poter essere qui," dissi, sforzandomi di moderare la mia furia: "sono scappata e sono sopravvissuta tutto questo tempo pur di riuscire a fermare questa guerra e tu decidi di iniziarla comunque? Hai idea di cosa accadrà? Alfred e i tuoi fratelli vinceranno Kattegat  e ti uccideranno."

Il ragazzo si dedicò del tempo per sorseggiare il suo vino.
Calmo, lo vidi asciugarsi le labbra col dorso delle mani e sospirare con finta sofferenza: si stava prendendo gioco di me.
Scossi il viso, al limite della sopportazione, e lanciai uno sguardo al terzo – e più silenzioso – ospite del nostro incontro.
Hvisterk sembrava il fantasma di sé stesso eppure, solo pochi minuti prima, le sue mani avevano urlato per lui, trascinandomi via dalla folla e dal potenziale pericolo per il mio cuore.
Cercava ancora di proteggermi e, se solo ne avessi avuto il tempo, avrei avuto il modo di accorgermene.

"Tu non dici niente?" Lo aggredii, sperando in un supporto. "Pensi che Ubbe e Bjorn saranno indulgenti sapendo che li hai traditi? Tuo fratello ti sta portando al baratro e tu lo accetti."

"Non ho mai costretto nessuno a seguirmi," si intromise Ivar, quasi offeso: "beh, nessuno tranne te."
Strinsi le labbra, irritata da quel suo umorismo così indegno del momento: perché nessuno sembrava capire? Perché – ancora – nessuno pensava di usare la testa e non la spada?
Come al solito, ragionare con un muro sarebbe stato più semplice che parlare con un uomo dall'ego ferito.

"Vorrei che non esistesse solo la guerra per voi."
Ero delusa, profondamente e dolorosamente: dal momento in cui avevo scoperto che Alfred aveva intenzione di vendicarsi di Ivar, non avevo pensato ad altro se non a cercare di fermare questo destino.
Lo sapevo – ne ero certa: Ivar poteva essere qualsiasi cosa ma, sicuramente, non immortale, e, quella volta, l'inferno avrebbe preteso il suo nome.
Non potevo lasciarlo morire.

"Ho già predisposto ogni cosa," ammise lui, e, per una volta, il suo sguardo era serio: "diversi alleati stanno arrivando con i loro eserciti, compreso quello di Duna. Probabilmente, saremo numericamente inferiori, ma la guerra si consumerà a Kattegat e nessuno sa sfruttare questo territorio quanto me."

"Pensi che Bjorn si fermerà davanti a qualche trucco tecnico? Lui non ha fatto altro che combattere per tutta la sua vita."
Il volto di Ivar si rabbuiò davanti a quella verità.
Lui era il fratello arguto, ma Bjorn quello forte e, fra due tali potenze – così diverse da loro – la vittoria era quasi spesso una questione di caso più che di talento.
Sarebbe stato un bagno di sangue e, il peggio, è che sarebbe stato fra fratelli.

Ivar puntò le sue stampelle di ferro sul pavimento, imponendosi di alzarsi. Lo vidi avvicinarsi, arrivando sin ad essere volto contro volto, e restai ferma sulle mie gambe e non distogliendo mai l'attenzione dai suoi occhi – chiari, cupi, forti, tristi.
Il mare era solo una pozza d'acqua in confronto.

"Vorrei che ti fidassi di me, almeno una volta," dissi, e fui la prima a morire di quella sincerità.
Stavo per piangere e me ne vergognavo, così palese nella mia disperazione da non riuscire nemmeno a nasconderlo. Era una spirale di continuo dolore, così soffocante da non lasciare speranza alcuna.
Quando lo scoprì – e fu subito – lo sguardo di Ivar si addolcì, quasi fosse felice di vedermi in quello stato; nel vedermi preoccupata del suo futuro. Mi accarezzò brevemente la guancia prima di tirarmi a sé, abbracciandomi contro il suo petto.
Capii che non c'era più nulla da fare quando non sentii il mio corpo opporsi a quel gesto ma, anzi, a cercarlo con estenuante disperazione: mi ancorai alla sua schiena con entrambe le mani e piansi la pesantezza che sentivo nel mio cuore.

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