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Le mani di Hvisterk si muovevano delicate fra steli di rose non ancora nate e timide foglie appena sbocciate

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Le mani di Hvisterk si muovevano delicate fra steli di rose non ancora nate e timide foglie appena sbocciate.
Ne aveva fatto una cinta robusta e pungente, più una corona di spine che un vero accessorio di delicata bellezza: da lontano, osservavo la sua pelle distruggersi sotto la resistenza della natura.

Stava sanguinando ma, se erano di dolore quelle piccole lacrime scarlatte, certo lui non lo dimostrava. Sorrise e mi guardò, tranciando con uno sguardo la tensione nascosta nell'aria.

Il sole ora colpiva il suo capo ed un leggero colorito rosato tingeva le sue gote, risplendendo di vita.

"Cosa?" Chiese, notando che lo stavo già fissando.
Io alzai gli occhi, tornando con il naso per aria: abbandonate tutte le carinerie e la buona educazione, avevo trovato la mia pace nello stare stesa nell'erba fresca.
Era ormai giorno inoltrato e, insolitamente, per quanto fossi così – totalmente scoperti e agli occhi di tutti – la tristezza non sembrava avermi ancora raggiunta.

Ero lontana, distante dalla vita e tutto ciò che questa poteva comportare.
Mi sentivo bene.

"Io non ho detto nulla," ribattei.
Lo sentii trattenere un sorriso e, poco dopo, la punta rigida di un rametto mi punse ferocemente il collo.

"Hvisterk!" Lo sgridai, saltando per aria per lo spavento: "è forse fango quello che ti scorre fra un orecchio e l'altro?"

"Sei un po' troppo rigida, cristiana," mi derise lui, gettando via la sua arma e tornando a fabbricare con i suoi arnesi: "inizio a credere che sia vero ciò che si dice di voi. Non conoscete divertimento."

Erano tante le storie.
Sembrava che pagani e cristiani avessero, d'un tratto, rubato il peggio l'uno dall'altro e deciso di metterlo in rima e canzone, solo per il gusto di screditare l'altro.
Un cristiano nasceva e cresceva con l'esatta visione di un essere rozzo, viscido e violento che avrebbe dovuto chiamare nemico: scoprendoli davanti ai miei occhi, però, ero stata costretta a ricredermi.

Tutti gli uomini sono uguali, che sia nel loro meglio, così come nel peggio.
E non esiste origine, casta o denaro che possa cambiare questa legge.

"Mi continui a guardare come se fosse la prima volta che vedi un uomo," constatò Hvisterk, quasi sbuffando: "che succede in quella testa malvagia questa volta?"

"Pensavo che nessuno mi ha mai detto perché dovrei odiarvi. Sai, come cristiana e voi come pagani," rivelai, senza trattenere nulla: "semplicemente, dovrei farlo, ma non esiste spiegazione."

"È mai esistita una reale ragione per odiare qualcuno che nemmeno si conosce?" Ribatté. "È semplice, Thora: cristiani e pagani si devono odiare perché, altrimenti, saremmo così annoiati da renderci conto di quanto siamo sbagliati. La guerra è solo una distrazione."

Una distrazione.
Come quella di Duna – un re malvagio – che era riuscito a spodestare i suoi stessi fratelli e poi era stato distrutto da una mente ancora più crudele. Il popolo era mutato insieme al suo regno, quasi senza chiedersi perché: in fondo, ad unirli, restava sempre una cosa: un nemico comune.

Politica.

Strinsi le labbra, contrita da quella realtà, e mi stesi ancora, martoriando il fiocco legato intorno alla mia vita.
Hvisterk non mi lasciò andare e, dopo pochi istanti, si posò al mio fianco, lasciando le braccia morbide lungo i fianchi: guardavamo il cielo, lo stesso punto, e, per un medesimo di istante, sentii che i suoi pensieri si stavano confondendo con i miei.

Un uccello bianco tagliò in due l'orizzonte.

"Perché non vieni con me?"

Lui tradì un sorriso. "Oh, sono certo che il tuo amico Alfred sarebbe felice di avere un vichingo al suo cospetto."

"Tu non sei come gli altri." Mi voltai verso di lui, trovando i suoi occhi già su di me: "non sei come gli altri."

Ci mise un istante per rispondere. "Solo perché non passo tutto il mio tempo bevendo, cospirando e uccidendo non significa che sia meno vichingo di chiunque altro laggiù."

"E allora perché fingi?" Insinuai, quasi violenta. "Perché ti mostri per ciò che non sei, perché indossi queste vesti davanti a me? Premuroso, attento, umano."

"Perché non esiste una sola faccia di questa storia, perché io posso scegliere chi essere e ho deciso di essere questo per te."

Sembrava arrabbiato ma non lo era – forse colpito, ferito, strano. Non lo avevo mai visto così, quasi feroce: i suoi occhi guardavano dritti nei miei, quasi potessero leggermi l'anima.
Lo sentivo.

Per te. Per me.
Quanto tempo era passato da quando qualcuno aveva fatto qualcosa per me?

"Hvisterk-" sussurrai, ma ero pressoché senza voce.

"Sei abbastanza intelligente per capire cosa io provi per te," mi interruppe, gelido: "ed io altrettanto capace di rendermi conto che non accadrà mai nulla."

Avevo smesso di ascoltarlo da tempo.
Ciò che diceva, il valore delle parole che nascondeva quella ferocia nei suoi occhi, non aveva alcun valore per me.
In quel momento, nella mia mente, esisteva un'unica immagine: quella di un qualcosa che, sino ad allora, avevo finto di vedere, ma che ora non potevo piò ignorare.
Qualcuno che c'era per me.

Perciò, presi il suo volto fra le mie mani e posai le mie labbra sulle sue, ormai così rovinate da anni di silenzio forzato. In quel momento, pensai che fosse sbagliato: io, la schiava cristiana del re bambino, mi azzardavo al tradimento.
Stavo baciando il fratello nell'ombra: lui, che era peggio che intoccabile, ora si perdeva sulle mie labbra.

"Scusa," chiesi, allontanandomi piano da lui. Le sue iridi erano oro acquoso dentro i suoi occhi: "non avrei dovuto."

Lui sospirò, cercando di calmarsi. Poi, finse un sorriso. "Questa montagna può sopportare un altro segreto."

Non riuscivo a leggere il suo sguardo: se fosse ferito; se, invece, avesse davvero capito cosa stessi cercando di urlare fra le strette labbra del mio silenzio. "Dovremo tornare, almeno prima che tuo fratello decida di ucciderci."

"Credo che per quello abbia già collezionato abbastanza motivazioni nel corso degli anni," mi derise.
Io, alzando gli occhi, cercai di rimettermi in piedi, ma subito Hvisterk mi riprese a sé con entrambe le mani, baciandomi ancora.

La sua pelle profumava di erba e neve, se solo questo avesse avuto senso. Tirandomi a sé, fu come se il nodo intorno al mio petto venisse, improvvisamente, strappato via. Ero scoperta, alla deriva, libera.

Hvisterk mi morse il labbro.

"Scusa," sussurrò, guardandomi furfante: "sono pur sempre un vichingo."

Dopo un attimo di smarrimento, sorrisi, spingendolo via e rimettendomi in piedi per prima. Non dimenticai di porgergli la mano. "Muoviti, principe. Dobbiamo tornare a casa."

Angolo

Nuovo capitolo!!

Fan di Hvisterk, ci siete ancora???
Devo dire che questo bacio ve l'ho fatto sudare, ma ora cosa accadrà??

Infondo lo stesso Hvisterk vuole che Thora se ne vada: la seguirà? In tal caso, certo Ivar non ne sarebbe molto felice😂

La ship è salpata o ci sono ancora le mie #ivarstans?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto❤️

A presto,
Giulia

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