Mi ero decisa a non aspettarlo sveglia, ma fallii. Passò la sera, passò la notte, ed Ivar non era ancora tornato: ero ormai sul punto di disperarmi – e rivelarmi – quando, finalmente, la porta della stanza si aprì, rivelando la sua figura ricurva.
Balzai seduta come una molla ma, non appena compresa la realtà, l'entusiasmo svanì dal mio cuore, lasciando solo l'angoscia. Ivar non era solo – ed era davvero ubriaco: ma non importava, in realtà, viste le due serve che lo sorreggevano per ogni lato, aiutandolo a restare in piedi. Una di loro aveva già l'abito slacciato, mentre ad una si notava il seno scoperto e umido ciondolare sotto la mano del ragazzo.
Lasciarono Ivar sul letto, proprio accanto a me, e vi si strusciarono contro. In tutto quel lungo momento, Ivar fece finta di non vedermi e di non sapermi presente. Lo vidi strappare i vestiti di quelle ragazze; lo scoprì divertito mentre loro fecero lo stesso con lui, baciandogli il collo. Di tanto in tanto, nella confusione, le sue mani arrivavano a sfiorare le mie gambe poco distanti e, all'ennesimo errore, non lo sopportai più. Scesi dal letto e afferrai la mia vestaglia, pronta ad uscire. Non era solo vergogna quella che provavo, ma una feroce e dilaniante voglia di stringere il bel volto del pagano e sbatterlo ripetutamente contro la ringhiera del letto. Lo detestai, lo detestai amaramente, e detestai anche me, che mi perdevo dietro quei sentimenti inutili provati per un omuncolo altrettanto vano.
Ne avevo la prova proprio lì, davanti ai miei occhi: Ivar era identico a tutti gli altri uomini che avevo disprezzato e allontanato nella mia vita. Fragile nell'onore, incapace di sopportare una donna che dimostrasse un briciolo di forza in più.
Era ridicolo.«Lei non resta?»
Una delle due serve si era accorta di me e, quasi del tutta svestita, si era voltata verso di me, confusa. Infastidita da quel richiamo, strinsi le labbra, notando che, finalmente, Ivar si era voltato verso di me e mi guardava come se fossi un moscerino fastidioso davanti ai suoi occhi. Pensava davvero di potermi ingannare con così poco? Che finissi per credere che si fosse dimenticato di me?«Oh, lei fa quello che vuole. Thora è superiore.» Rise malignamente e baciò il petto di una delle schiave. Quel commento ebbe lo stesso effetto di alcool su fuoco vivo: come una furia, tornai da loro e spinsi via le ragazze, facendole cadere a terra.
«Via!» Urlai, e i miei occhi erano ancora in quelli di Ivar. Le due, malamente trattenute, provarono a ribellarsi, avvinghiandosi alle gambe del ragazzo. Ma lui guardava me, e lo faceva per davvero, focalizzato con anima e corpo. Non era più una semplice sfida, c'era qualcosa di più.
«Fuori,» disse, infine, e, finalmente, le due sparirono dalla mia vista. Presi un lungo respiro e iniziai a contare, cercando di prendere il tempo per non fare ciò che la mia mente mi urlava contro. Però, alla fine, non fu sufficiente: lo schiaffeggiai.
Fu un tuono sordo e secco, e quel rumore scorse come fuoco lungo il mio corpo, portandovi pura energia. Ero infervorata, ero ferita ed ero confusa: in realtà, ero così tante cose che nemmeno io mi rendevo davvero conto di cosa provassi. Dicevo di detestare Ivar – e lo detestavo davvero: lui non era una bella persona, e mi aveva rapita. Come perdonargli un tale gesto? Come dimenticare?
Ma poi non peggiorava mai, non superava quella soglia che mi avrebbe concesso la piena forza di respingerlo, di non pensarlo. E l'altra parte, quella che rimaneva incantata da quello spirito velenoso, cresceva, cresceva e cresceva ancora. Ivar rappresentava quella persona che mai avrei dovuto incontrare, perché talmente sbagliata da risultare quasi indispensabile. Era l'apice, era l'orrore e la passione – era antinomia, la chiave mancante nell'intricato gioco dei miei pensieri.
Sapevo che non andava bene, sapevo che – forse – non sarebbe mai migliorata, ma quelle voci non smettevano di urlare. Lo volevo morto. Lo volevo mio.
Era un conflitto che trovava un'unica soluzione ma, quella volta, fu Ivar a decidere.Piombò come una saetta e mi afferrò i polsi, costringendomi verso di lui. Mi lasciai trasportare e mi lasciai prendere il viso, non opponendomi a ciò che avvenne dopo.
Ivar mi baciò con così tanta foga che gli caddi sopra, e passai sopra alle sue mani che vagavano oltre a quella sottile barriera dei vestiti, perché anche le mie facevano lo stesso. Quasi desideravo graffiarlo, tanto era il volere di quel momento; avrei voluto staccargli la pelle e lacerarlo, solo per fargli capire ciò che stavo provando. Ma era inutile, perché era palese che per Ivar fosse lo stesso.
Lui mi strinse il mento e mi morse le labbra, succhiandole ancora per non permettermi di andare via. Mestamente, avvertii la mia mano sfiorare il suo petto caldo, ormai privo della casacca. Gliel'avevo strappata via, non potendo spingermi oltre, e avevo piantato le unghie sulla sua schiena, avvicinandolo a me. Nella mia vita, non mi ero mai sentita tanto forte, non mi ero mai sentita tanto libera come in quel momento, quello in cui avevo scoperto che Ivar mi desiderava, e che mi desiderava tanto.
Faceva quasi paura.Tenevo fra le mani una persona, la stessa a cui avevo dato il mio primo ed unico bacio, e questa era la stessa a cui stavo – velatamente – concedendo di rovinarmi la vita.
Faceva paura.Scoprii di non farcela più quando, con sufficiente evidenza, avvertii parte del corpo di Ivar chiedere di più.
«Basta.»Posai le mani sul suo petto e lo spinsi via, cercando di riprendere il mio spazio, per quanto possibile visto che Ivar ancora mi teneva i fianchi. Come separato dal seno materno, era disorientato e tentennante, assolutamente sconvolto da quell'abbandono.
E lo ero anche io – sconvolta – continuando a ripensare ciò che mi ero lasciata far fare: Ivar mi aveva sottratto il mio primo bacio, ed io non mi ero opposta. Anzi.«Thora,» chiamò lui, quasi preoccupato. Forse tentò di avvicinarsi, ma io sgusciai via, rintanandomi nell'angolo più lontano del letto. Sospirai, cauta, e mi strinsi le gambe al petto.
Uno, due, tre. Dovevo calmarmi.
Quattro, cinque, sei. La testa era ancora attaccata al mio collo.
Le mie labbra mi dolevano, ma il desiderio era ancora maggiore.«Questa sarà l'ultima volta,» esclamai, seria: «non voglio più vedere altre donne nella mia stanza. Non le voglio sole, non le voglio vedere con te.»
Ivar sostenne il mio sguardo con serietà, comprendendo la pesantezza del momento. Se mi avesse tradito, non lo avrei mai perdonato. Quindi, strusciò verso di me, abbastanza calmo da farmi capire che mi stava dando il tempo di poterlo allontanare. Piano, mi accarezzò la guancia. «Non ci saranno altre.»
Mi fidai, mi vergognai e, anche, mi calmai. Allontanai la sua mano dal mio volto e la rimisi lontana, ridefinendo i nostri spazi.
«Credo...credo di voler riposare.»
«Vuoi che me ne vada?»
Scossi il viso: no, non lo volevo.
Con calma, mi sistemai sotto le coperte, e Ivar restò tornò nella sua metà, continuando a guardarmi da lontano, senza toccarmi. Prima del buio, mi concessi un ultimo tuffo nei suoi occhi.
Blu, tormentati, belli.
Qualcosa in cui era impossibile non perdersi. Ed io vi stavo annegando.Angolo
Nuovo capitolo🔥🔥
Thora e Ivar si sono baciati ma questo è solo l'inizio, vedremo!Detto ciò, cosa ne pensate del capitolo? Aggiorniamo presto?
Fatemi sapere!A presto,
Giulia
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The favourite
Historical FictionWessex, fine 800. Thora è la giovane favorita del principe Alfred, futuro re della regione. È una semplice serva, ma con una mente spigolosa e pungente, tipica dei furfanti dei sobborghi. Lei è la ragazza che sa usare una spada, quella che in chies...