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La mia missione risplendeva a pochi passi da me.
Era lì, brillante e miserabile, così vicina ma a miglia di distanza.

Gentaglia e centinaia di voci ci circondavano in una bolla ovattata – ne eravamo sommersi, pressoché affogati: il vino, le urla, le chiacchiere voraci.
In un mondo così ampio, sembrava quasi insolito pensare che tutta la mia vita dipendesse da una singola persona.

Deglutii l'amarezza e mi sistemai i capelli dietro le orecchie, cercando di calmarmi. Potevo fingere, ma i miei occhi erano frecce spartiacque fra la folla.
Hvisterk era seduto a due tavolate di distanza, indossava una pettorina in cuoio e i capelli bruni erano stati mal intrecciati. Gli altri gli parlavano, speravano nella sua attenzione, ma il ragazzo era perso in un mondo distinto.

Ero gelosa dei suoi pensieri; di quell'attenzione ormai non più riservata a me.
Cosa pensava? Quale era la spina che affliggeva il suo cuore? In questo – forse – c'era ancora un posto per me?

"Ti stai rendendo ridicola."
Ivar lasciò cadere le sue stampelle contro il tavolo, sedendosi malamente al mio fianco sulla panca. In tutta quella giornata, era stato l'unico ad osare avvicinarsi.

"Vuoi davvero parlare?"
Il moro mi dedicò un sorriso storto, piegando appena il volto. Era bello, per una volta libero da quella nuvola scura sopra la sua testa.

Ivar mi prese la mano, schiudendola con delicatezza.
Piano, perseguì il profilo di tutte le ferite che mi ero inflitta nei miei momenti peggiori. Era un tocco caldo, famigliare, quasi intimo per un pubblico così ampio.

"Quando ti arrabbi stringi i pugni," commentò, studiando i tagli rossi sul bianco della pelle: "dovresti smetterla di incolparti per ogni cosa."
Lo guardai e lui fece lo stesso nel medesimo istante, bloccandomi nell'azzurro delle sue iridi. Ciò che invidiavo di Ivar era, che fosse nel buono, nel cambiamento o nella fame, lui restava lo stesso. Fiero, coraggioso, una totale spina nel fianco.

"Potresti farmi da maestro," dissi, facendolo sorridere.
Ivar prese le mie mani nelle sue, accarezzandone la superficie con i pollici – piccoli movimenti circolari, quasi una coccola.
Aveva smesso di guardarmi negli occhi.

"Dovresti andare a parlargli."
Senza bisogno di un nome, era chiaro di chi stesse parlando.

"Lui non vuole parlare con me," gli ricordai con una punta d'asprezza.
"Così come tu non volevi tornare, eppure eccoti qui."

Era spavaldo anche nella perdita.
Ivar mi stava spingendo da Hvisterk: perché? Fra tutte, quella era la cosa meno da lui.

"Cosa nascondi?"
Ivar mi lasciò le mani, ripescando le sue stampelle e rialzandosi: "Dovrei farti la stessa domanda?
Mi lasciò sola e con l'amaro in bocca, oltre che con l'estremo desiderio di scappare per l'ennesima volta.

Non potevo farlo.
No, non potevo. Non potevo avere rimpianti, non potevo indietreggiare, non potevo avere paura.
Mentre, fra un sospiro e l'altro, i miei passi attraversavano la sala, avvertivo ogni mio difetto, ogni mio non posso. Poi, lui mi guardò e tutto perse di senso.

Dovevo.

"Scusa," dissi, prima di ogni cosa.
Hvisterk manteneva la fronte corrugata e lo sguardo fisso nei miei occhi, pressoché impassibili. Gli altri pagani seduti al suo fianco, non appena si accorsero di me e della situazione, presero a strisciare lontano, liberando velocemente l'ambiente.
Sentii freddo. Lo volevo toccare.

Infine, lui si voltò, tornando a mangiare.
Mi stava ignorando – completamente – ed io, in piedi e ferma davanti a lui, mi sentivo una completa idiota. Pensavo davvero che mi avrebbe ascoltato? Che ancora ci tenesse ad avermi intorno? Nemmeno sopportava la mia vista.

Senza quasi pensarci, i miei piedi iniziarono ad arretrare: ad ogni centimetro, aumentava la mia resa.
Stavo lasciando perdere, stavo abbandonando quella lotta che credevo ormai impossibile.

Hvisterk aveva deciso di chiudermi fuori dalla sua vita e come biasimarlo? Chi, dopo essere stato abbandonato – abbandonato senza nemmeno un addio – non lo farebbe? Chi non terrebbe le distante? Io stessa lo avevo punito in questo modo per così tanto tempo.
Mi pentivo di ogni secondo.

Bloccai i miei passi.
Così, con un brivido feroce.

Strinsi i pugni, avvertendo il sangue tramutarsi in lividi – Ivar sarebbe stato deluso da me.

"Ti ho ferito," dissi, ferrea, e vidi la mano di Hvisterk bloccarsi a mezz'aria.
Deglutii, tentando di mantenere calma.

"Ti ho ferito," ripetei, più lenta: "in ogni istante, in ogni momento in cui mi sei stato accanto, io ti ho ferito. Ero sempre preoccupata da altro, troppo interessata a odiare e lamentarmi piuttosto che notare ciò che avevo accanto, che ci fosse qualcosa di bello proprio qui, in un luogo senza speranza. Tu sei stato un amico, Hvisterk, sei stato la mia spalla, ed io ti ho ferito. Non meritavi nulla di tutto questo, non tu."

Rigirai le dita intorno al tessuto del mio abito, sfogando il mio nervosismo, e intanto guardavo verso il basso. Davanti alla verità, mi ritrovavo senza coraggio.

"Ti starò disturbando, dovrei andarm-"
"In tutto questo tempo," mi interruppe, bloccandomi con i suoi occhi scuri, cascate di lava e ghiaccio. Mi sentivo davanti ad una condanna a morte: "mi hai mai pensato?"

Mentire avrebbe salvato il mio orgoglio; dire la verità la mia anima.
In quel momento, mi ritrovai a pensare cosa davvero fosse importante per me, a cercare quella risposta che non ero mai riuscita a trovare.
Mi ero sempre messa al primo posto – io, le mie paure, i miei bisogni – lasciando il resto in balia delle mie sole necessità: ero stava avida, gelosa ed egoista sin dal primo istante, una sputasentenze mascherata da brava persona.
Fra tutto e tutti, io ero stata la mia prima rovina e, davanti ad Hvisterk, non potevo illudermi: nei suoi occhi vedevo ogni traccia dei miei sbagli.

"Sarebbe stato più semplice se non fosse stato così," ammisi, infine: "Ma sarei stata più infelice. Senza di te, lo sarei stata."

Avevo scelto la mia anima.

"Kattegat!"
La mia attenzione venne confusa dalle nuova urla: al centro della stanza, Ivar si era alzato sul suo trono scintillante, iniziando un monologo incomprensibile. Notavo solo la rabbia e la ferocia nel suo sguardo, indistinguibili fra tutti.

"Che cosa sta succedendo?" Sussurrai, confusa. "Cosa sta dicendo?"
"Dobbiamo andarcene da qui."

La mia mano venne inglobata da quella di Hvisterk, così grande a confronto: quello shock, per il primo momento, mi impedì di ribellarmi ai suoi comandi, venendo bruscamente portata via dalla folla. Però, quando sentii un coro di skull seguiti dal tintinnio di lance, un allarme vibrò nel mio petto, facendomi bloccare.

"Cosa nascondi?"
"Dovrei farti la stessa domanda?

"Che cosa stava dicendo Ivar, Hvisterk? Perché stanno urlando?"
"Thora, è meglio aspettare in un luogo più tranquillo," provò a bloccarmi il ragazzo. Mi tirò, ma io lo spinsi via, volendomi far ascoltare.

"Smettila di proteggermi!"
Hvisterk barcollò, mal tollerando quello sfogo consumato dal tempo. Forse, fra tutto, quella era la frase che meno si sarebbe aspettato di sentire.
Un punto di rottura.

"Puoi fidarti di me," soffiai, senza fiato. "Sai che puoi farlo."
Non lo sembrava, ma era una supplica tutti gli effetti; una bandiera bianca manifestata con tutta la potenza possibile. Volevo che tutto, fra noi, finisse all'istante, ma solo per poter ricominciare – mi ero smascherata, ora spettava ad Hvisterk la scelta.
Continuavo a fidarmi di quegli occhi d'ambra.

"Ivar ha dichiarato guerra," confidò, tutto d'un fiato.
Sgranai gli occhi, totalmente sconvolta. "Una guerra? Contro chi?"

Hvisterk si portò le mani ai capelli, cercando dicalmarsi. "Non lo riesci ad immaginare? Alfred sta arrivando."

-3🖤

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