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Ivar dormiva placidamente su una pelliccia di orso. Era ubriaco e col petto nudo, segno che doveva aver passato una nottata indimenticabile ma, tenendo conto della ragazza al suo fianco - per di più diversa da quella che gli avevo visto vicino l'ultima volta - il risveglio non sarebbe stato piacevole.

Alzai gli occhi, cercando di non affogare nel risentimento mentre, con tutta la mia più cara bontà, alzavo il canestro d'acqua gelida e glielo rovesciavo addosso, costringendo entrambi a svegliarsi.

La ragazza, sconvolta, urlò qualcosa e mi guardò male.

"Non capisco,"  ammisi, rigida: "sai, sono solo una schiava cristiana."
La mora sbuffò irritata, ma, prima che potesse lanciarsi contro di me, la voce di Ivar la bloccò, diventando un tenero agnello al suo fianco.
Lo baciò, amabile, e, recuperati i suoi vestiti e datomi una spallata, se ne andò.

Finalmente eravamo soli.

"Hai un aspetto orribile," dissi, ed era la verità.
Gli occhi di Ivar erano cerchiati di nero e la pelle stinta. Quando si mise a sedere, sembrava sul punto di vomitare.

"Ho bevuto tutta la notte," ricordò, tenendosi la testa: "e mangiato. Tanto."
"Tutto qui?" Chiesi, ironica.

Ivar mi squadrò malamente, sospirando. "Niente di ciò che hai visto è reale, Thora. Posso avere dell'acqua?"

Non mi mossi di un soffio e questo lo fece irritare, cosa abbastanza scontata visto il suo ritrovato caratteraccio.
"Thora?"

"Ricordi? Sono la schiava di Hvisterk, ora: dato che ci tieni tanto a mantenere le apparenze, meglio non dimenticarlo."
"Mi stai davvero incolpando per ciò che ho fatto? Credevo fosse palese la situazione."

"Sembra di no," ribattei, aspra. Con nervosismo, gli versai un bicchier d'acqua e glielo porsi, brusca. "Potresti spiegare."

Ivar prese il bicchiere ma non bevve, troppo teso. Aveva notato che ero arrabbiata ma non ne capiva sino in fondo i motivi, essendo certo di essere dalla parte della ragione.
Con Ivar era sempre così difficile parlare.
Prima dovevi arrabbiarti, litigare e sbraitare e, quando si sentiva ad un passo dal perdere tutto, solo allora iniziava a ragionare.
Certe volte era così snervante.

"Duna è il quarto figlio di un regno appena nato. Credeva che non sarebbe mai diventato re, ma così è stato, ed ora dispone di un esercito e un regno che non sa come sfruttare. Per questo motivo, sta cercando una guida e crede di averla trovata in me: figlio di un grande re e il più giovane fra tanti fratelli, insospettabilmente al comando. Ha conquistato Kattegat per farsi notare ai miei occhi, sapendo che non avrei mai concesso la mia presenza ad uno straniero senza valore, e mi ha donato il regno per lo stesso motivo: vuole costruire un'alleanza."

"Un'alleanza?" Domandai, perplessa. "Così, improvvisamente? Non credi che sia sospetto che Duna sia diventato re così giovane? Quattro fratelli morti senza motivo?"

"Ho avuto i tuoi stessi dubbi," informò, certo: "Il primo è morto in giovane età, il secondo in battaglia e il terzo avvelenato da un nemico."

"Avvelenato da un nemico? Ivar, sei troppo intelligente per credere a tali sciocchezze."
Duna era così palesemente insolito da rendere quella storia quasi ridicola, così come il fatto che Ivar avesse ceduto tanto in fretta.
Era insensato.

"È stato Duna ad avvelenarlo," concordò Ivar, sorprendendomi. "Non lo ha ammesso, ma ne sono convinto."
"Come? E gli credi comunque?"

Il ragazzo bevve un sorso d'acqua. "Mi ha consegnato Kattegat, ora è mia di diritto. Potrebbe schierarsi contro di me, ma sa bene che non sarebbe in grado di sconfiggermi."

"Ha sconfitto Lagherta," ricordai, aspra.
"L'ha colta di sorpresa," fece notare: "e, comunque, non l'ha uccisa."

Mi ritenevo comunque diffidente su ogni fronte. Se fosse stato per me, avrei ucciso Duna sul momento, bandendo tutto il suo esercito.
Ivar capì la mia tensione e si ammorbidì, accarezzandomi la schiena.

"Ti ucciderai preoccupandoti così tanto," disse, amorevole: "ho la situazione sotto controllo, Thora: finché Duna sarà al mio fianco, io fingerò di essere suo amico, e, se si ribellerà, ho le forze necessarie per difendermi. Questa volta non perderò il mio regno."
"Se è ciò che credi," sussurrai, pensosa: "Dovresti parlarne anche con Hvisterk."

"Hvisterk?" Chiese, sorpreso. "State legando, vedo."
"È gentile con me," ammisi, non preoccupandomi: "mi ha ospitato nella sua stanza questa notte."
"Non sarà più necessario," mi bloccò Ivar, ribollente di gelosia: "riprenderai il tuo ruolo come mia serva da questo istante. Nessuno se ne preoccuperà."
"Hai detto che non ti fidi ancora," ricordai, confusa.
Ivar non mi guardava, completamente assorto dal suo malumore.
Probabilmente, nella sua mente, stavano scorrendo le immagini di me e Hvisterk nello stesso letto.
Nella sua posizione, certo non poteva permettersi di essere arrabbiato.

"Posso proteggerti, Thora: o forse non lo credi possibile?"
I suoi occhi erano blu di rabbia ma io non cedetti, stringendo le labbra per non ritrovarmi ad urlargli contro. Però mi allontanai, togliendo la sua mano dal mio corpo.

"Le tue promesse non sono così solide come credevo, Ivar."
Pensavo di essere arrabbiata, ma quelle parole uscirono con la sola tristezza.
Ero ferita, non potevo negarlo, però speravo di non renderlo tanto palese: non volevo mostrarmi così fragile.

"Thora," mi chiamò lui, cercando di avvicinarsi. Mi era difficile anche solo guardarlo. "Thora, te l'ho detto: ciò che hai visto era solo finzione. Duna vuole essermi amico ma anche io devo mostrarmi al meglio, e questo prevede comportarsi-"
"Comportarsi da buon vichingo," finii per lui, tirando un sorriso: "sarai il re ma sei comunque in prova e mostrarti con una cristiana peggiorerebbe la situazione. Lo so, lo capisco."
"Però non lo accetti," concluse.

Scossi il viso, desolata.
Ivar porse una mano verso di me, accarezzandomi il volto con delicatezza. I suoi occhi erano tornati gli stessi dei giorni passati - mi guardavano nello stesso modo, eppure io mi sentivo diversa.
Non riuscivo a stargli vicina.

"Non è cambiato nulla, Thora, non per me. E manterrò le mie promesse."
Erano davvero belle parole. Altre parole.

"Lo spero," dissi, allontanando la sua mano e alzandomi. "Per ora, resterò la serva di Hvisterk e andrà bene così. Tu pensa al tuo regno."
"Parli come se mi stessi dicendo addio," notò lui, e ne era spezzato.

Io non trovai parole.
Mi sporsi verso di lui, prendendo il suo bel volto fra le mani e premetti le mie labbra sulle sue. Sapeva di vino, ed era normale, ma qualcosa stonava nell'insieme: il tradimento.

"Io ti aspetto," dissi, allontanandomi da lui: "ma tu mettici poco a tornare."
Lui mi guardò spento, cercando di stringermi a sé senza successo.

"Thora!" Esclamò, cercando le sue stampelle per rialzarsi.
"Mi hai portato fino a qui, cerca di non rendere tutto inutile," ricordai, uscendo dalla stanza.

Lui lanciò a terra il bicchiere, furente quando gli chiusi la porta davanti, separandoci definitivamente.
Lo sentii urlare il mio nome, pregarmi ancora ed ancora, ma io rimasi ferma.
Quella era la mia punizione.

Angolo

Direi poor ivar ma se lo è meritato🤔

Thora è molto ferita e questo l'ha portata ad allontanarsi, chissà cosa accadrà ora :/

Voi chi pensate abbia ragione: Ivar o thora?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
A presto,
Giulia

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