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A poche ore dalla grande battaglia, il coraggio non aveva abbandonato il cuore dei soldati ma, a loro contrario, il generale sembrava più ansioso che mai

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A poche ore dalla grande battaglia, il coraggio non aveva abbandonato il cuore dei soldati ma, a loro contrario, il generale sembrava più ansioso che mai.

Ivar sbatté il palmo della mano sul tavolo, facendo cadere a terra il bicchiere di vino.
Presa di soprassalto, mi ritrovai a pulire, mentre, molto più sfortunati, Hvisterk e altri due sottoposti dovettero subire le urla del ragazzo, probabilmente dei rimproveri. Iniziava a infastidirmi il fatto di non conoscere la loro lingua, né alcuna delle loro usanze, perché sapevo quanto quel deficit mi svantaggiasse in quella situazione. Il mondo pagano stava cercando di assorbirmi, ma le mie radici cristiane mi rispingevano, costringendomi a riflettere seguendo fili completamente diversi.
Le nostre erano strade vicine – certo – ma certo non confinanti: qualcosa ci allontanava costantemente.

Posai un nuovo bicchiere sul tavolo, versando del vino. Ivar bevve senza pensarci troppo, pulendosi le labbra con il dorso della mano. Sbottò qualcosa di stanco e crudele e, alla fine, cacciò gli altri, probabilmente ormai intollerante alla loro vista.
Di sbieco, lanciai uno sguardo ad Hvisterk, l'unico che potevo dire di conoscere, e notai questo piegare appena il capo nei miei confronti, quasi in rispetto – o, forse, in derisione. In ogni caso, non risposi.

"Ci sono problemi con l'attacco?" Domandai, non appena soli.
Ivar prese il boccale di vino e prese a bere direttamente da questo, annegando i suoi dispiaceri. "Non tutti sono d'accordo con il mio piano."

"Quale piano?"
Il ragazzo tirò le labbra, gettando a terra la brocca in uno sbuffo sonoro. "Ecbert aveva una piantina della città di York fra i suoi documenti. Sembra che ci siano dei punti ciechi nelle loro difese e che, nell'ultimo anno, siano stati richiesti diversi uomini, non ancora stanziati. Le loro difese sono deboli, Thora, così come le loro strategie, vista l'assenza di un comandate. Conquistare la città non potrebbe essere più facile, eppure non riescono fare a meno che lamentarsi."

"Non dovresti ascoltarti," suggerii, raccogliendo ancora la brocca e tenendola lontana. Ivar, veloce, mi catturò il braccio, costringendomi a guardarlo.
Era serio, attento come non mai, mentre mi contemplava dal basso con quelle sue iridi dense come notte. "Chi dovrei ascoltare, Thora?"

Sostenni il suo sguardo e mi liberai con cautela della sua presa, riacquistando un passo di distanza. "Di te, Ivar. Tu non puoi sbagliare."
Lui sorrise, ironico. "Ne sembri così sicura."
Certamente, lui non lo era.

Tesa, mi sedetti sul bordo del tavolo. "Hvisterk mi ha raccontato del vostro passato, mi ha detto di Lagherta."
Sentendo quel nome, le dita di Ivar si strinsero con ferocia intorno ai braccioli della sedia. Non solo i suoi occhi, ma anche il suo stesso corpo cambiò sotto il peso di quel nome. Odio, rancore e, soprattutto, una cieca e violenta vendetta.
"Cosa sai di Lagherta?"

Mi sforzai a non sembrare nervosa. "So che è stata la prima moglie di tuo padre e che ha ucciso tua madre, così da riconquistare il trono. So che non sarai in pace finché non la ucciderai."
"Hvisterk ti ha detto tutto," sospirò, bruciato nella gelosia: "mi chiedo quando abbia trovato questo tempo per parlarti."
"Ci siamo scontrati nei corridoi," ammisi, sottolineando nella voce il poco valore che avevo donato a quell'incontro: "ma non è questo il punto. Tu hai l'astuzia degna di un Dio, Ivar, e l'anima più forte dei colossi dei miti. Non temere di ciò che possono pensare di te gli altri, né di ciò che puoi pensare te stesso e fondati sulla verità. Tu hai tutte le capacità di essere invincibile, solo, non dare la possibilità al tuo cuore di fermarti."

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