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Quel giorno decisi che avrei parlato con Ivar: non che avessi bisogno di qualcosa – o, comunque, bisogno di lui in generale – ma sentivo che, per migliorare la portata dei miei dubbi, niente avrebbe giovato come una visita al principe di Kattegat.

C'era una decisione che pendeva nella mia mente e, così come un ago appeso ad un filo d'argento, la mia scelta non restava ferma, orientandosi così come la portava il vento.
In certi momenti, davo quasi per scontato che vivere anche un altro minuto in quel luogo di sventura sarebbe stata non solo la fine, ma la mia stessa rovina ma, subito dopo, ripensavo a ciò che era stato e le idee si confondevano ancora.

Il vero problema era che Ivar esisteva ovunque – nei miei pensieri, nei miei sogni – ma mai nella realtà. Iniziavo a credere che fosse pura immaginazione.

Quando aprii la porta della sua stanza, confusa dal sentire rumori dall'interno nonostante i colpi di richiamo, ciò che vidi fu sufficiente per farmi ricredere.

Freydis aveva la sua boccuccia socchiusa, così sorpresa nel vedermi spuntare al suo cospetto, mentre, così dolcemente, teneva le sue braccia ancorate al collo di Ivar - ora a petto nudo e disteso felicemente sul letto.

Quando mi vide, quasi sconvolta e di nuovo reale davanti a lui, un brivido di concretezza fece sfiorire il suo sorriso. "Thora?"

"Non era mia intenzione disturbarvi," fiatai, ancora sconcertata: "scus-"
Me ne volevo andare ancor prima di avere il dispiacere di capire: era passato un singolo giorno dalla dichiarazione di Freydis di conquistare il cuore del ragazzo ed era già fra le sue lenzuola.
Doveva essere davvero irresistibile.

"Il nostro re aveva un forte dolore," spiegò la docile ragazza: "gli stavo sistemando i cuscini, così da migliorare il suo riposo."
Lei sorrise, candida, e, dando riprova alle sue parole, pigiò le dita sul cuscino morbido, sistemando il capo di Ivar, totalmente inerme. "Va meglio, mio signore?"

Questo manco rispose, incapace di tale sforzo.
Freydis, guardandomi velocemente, piegò il viso, squadrandomi con vorace attenzione. "Sei qui per qualche motivo?"

Se solo avessi avuto un coltello a portata di mano.

"Sì," ammisi, così: "sono qui per parlare con Ivar: dobbiamo chiarire alcune questioni."
"Il re è molto debole al momento," ribatté Freydis, sulla difensiva: "se hai dei problemi legati alla tua situaz-"

"Dovresti chiudere la bocca."

La bionda impallidì, subendo quella mia interruzione con pungente dispiacere: a quanto pareva, non si aspettava che io contrattaccassi.

Questo è il vero problema delle persone sicure di sé, quelle che credono di essere migliori: dimenticano di essere persone, e quindi umanamente attaccabili.
Nessuno è davvero al sicuro, mai.

"Come hai detto?" Balbettò, colpita.
Io strinsi le labbra, e, veloce, mi avvicinai a lei e la presi per il polso, allontanandola dal letto e da Ivar. "Il nostro re è così debole da non riuscire nemmeno a parlare per sé? Da non sopportare una conversazione con una schiava? Se basta una semplice caduta a renderlo tanto indifeso come potrebbe il suo popolo fidarsi di lui? Un re debole è inutile."

La lasciai andare, schifata anche solo da quel semplice contatto.
Era vero - Freydis mi disgustava, sia come persona che come intenzioni: sapevo che, di esseri come lei, era colma qualsiasi realtà, ma questo non significava che avrei dovuto tollerarla tanto facilmente.
La mia mente era già sufficientemente piegata e, con tutte le mie forze, avrei scacciato qualsiasi peso ritenuto inutile dalla mia vita, anche se questo avesse significato tranciargli la gola.

"Io.." bisbigliò lei, ma si perse nel vento.
Finalmente, qualcuno sembrò risvegliarsi.

"Freydis, lasciaci soli."

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