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Gli occhi di Judith erano chiusi

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Gli occhi di Judith erano chiusi.
Era lì, immobile e bianca, separata per sempre dal resto del suo corpo.

La sala delle cerimonie era ormai deserta e, per quanto ne sapessi, Ivar poteva essere ovunque e da nessuna parte.
Mi chinai con rispetto, soffrendo l'odore di marcio che iniziava a levarsi dalle membra scuotiate della donna. Il sangue, ormai disperso, aveva impregnato totalmente lo scranno reale, rendendolo inutilizzabile.

Piano, quasi con timore, scostai i ciuffi castani dal suo volto, rivelando il foro lasciato al posto dell'orecchio sinistro. Era stato Ecbert a procurarglielo, una volta scoperto del tradimento della nuora. Voleva il nome dell'amante, voleva il suo sangue ma, una volta scoperta la verità - che questo era un pagano amico del grande Ragnar e futuro padre di Alfred - nessuna pena venne inflitta all'uomo. Si era convertito, un vichingo cristiano: un miracolo.
In poche parole, l'unica a soffrire di quella relazione fu Judith.
Perse la fiducia del marito, di molti sudditi e persino il rispetto per sé stessa, una volta disonorata nella piazza pubblica.
Risorgere, poi, era stata una missione durata anni.

Ci era riuscita, ma era stato Alfred la sua garanzia. Lui, il futuro re, da sempre pendente dalla bocca materna. Judith non sperava in niente di meglio.
La lasciai andare e strinsi le labbra, afflitta da quei ricordi. L'avevo detestata da sempre

"È stato Ivar a colpirla."

Presa di sprovvista, scattai in piedi, notando Hvitserk alle mie spalle. Si era dato una ripulita e aveva cambiato d'abito, migliorando la sua immagine.
Sorrideva, sfrontato, e non sembrava ubriaco.

"Per fortuna non hai visto il corpo," disse, sedendosi sugli scalini, poco lontano da me: "o lo avresti ucciso."

Non mi smuovo, ferma nella mia solidità. Ciò che volevo era sopravvivere e la paura mi avrebbe portato in errore.
Quindi, pensai.

«Perché mi stai dicendo queste cose?» Chiesi, scrupolosa. «Tuo fratello non ne sarebbe felice.» 
«Mio fratello non lo è mai,» ribatté lui, cupo. Poi, notando la mia espressione, sorrise malignamente. «Oh, pensavi di esserci riuscita? Deve essere stato un duro colpo scoprire la verità.»

Umiliata, mi strinsi a me. «Non so di cosa tu stia parlando.»
«No?» Chiese lui, sarcastico. «Eppure, mi era parso di capire che tu ci tenessi ad Ivar. Non è forse così? Devi aver pensato che per lui fosse lo stesso.»

Hvisterk era in errore.
Sì, credevo di aver un valore per Ivar ma no, questo non aveva offuscato la mia mente, non del tutto almeno.
Strinsi le labbra, tenendo a me il coraggio di cui avevo bisogno, e sostenni il suo sguardo.
Non gli assomigliava nemmeno.

«L'ho sottovalutato,» ammisi, così: «ho visto ciò che volevo vedere, ma era solo un miraggio. Mi ero illusa che Ivar fosse simile a me, che potessi capire la sua mente, e per questo ho abbassato la guardia, ma non è così. Siamo diversi e non parliamo più la stessa lingua.»

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