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Ivar mi cingeva i fianchi, impedendomi di sfuggire dal caldo abbraccio del suo corpo.

Il ragazzo aveva scelto di pranzare nella sala del trono, adibendo un unico tavolo per noi ed Hvisterk, anch'esso, ovviamente, considerato un sovrano al suo pari.
Circondati da serve cristiane scampate alle prigioni, dovetti fare i miei conti con il mio passato.

Joanne mi aveva chiesto di scappare.
Abbassando lo sguardo, non potei non notare la mia mano intrecciata a quella del ragazzo, proprio sul mio ventre.
Ero seduta sulle sue gambe e la mia schiena batteva contro il petto, apprezzandone il calore.
Ivar mangiava tranquillo da un piatto per due, preoccupandosi di lasciarmi i pezzi di carne più teneri.

«Non mangi?» Mi domandò, notando che non mi ero ancora mossa da quando ci eravamo seduti a tavola: «è buono.»
«Ho poco appetito,» ammisi, ma era una finzione. In realtà, mi sentivo a disagio: tutti i presenti ci guardavano, studiandoci come insoliti scherzi della natura.
Persino Hvisterk continuava a sorridere sotto ai baffi, notando quanto fossi impacciata.
Certo il trono non sembrava il posto giusto per una come me.

«Sembra che la tua ragazza non ami essere al centro dell'attenzione, fratello,» notò il ragazzo, divertito. «Hai paura di tornare nelle cucine, Thora?»
Strinsi le labbra, affatto felice di quella osservazione.

«Hvisterk, dovresti mozzarti la lingua piuttosto che sprecare il tuo fiato in commenti tanto inutili,» lo punì Ivar, notando il mio imbarazzo.
Il fratello scosse le spalle, fingendo una resa.

«Thora mi piace,» ammise, forse sincero: «ma dovrà abituarsi agli sguardi, se tornerà con noi a Kattegat.»
«Kattegat? Il vostro regno?» Chiesi, confusa: Ivar voleva tornare?

Sentii la sua mano accarezzarmi la coscia, cercando di tranquillizzarmi. «Dobbiamo ancora decidere. Te ne avrei parlato.»
Cieca davanti alle sue parole, annuii, provando a mangiare un pezzo di carne.

«Comunque,» continuò Ivar, accantonando il discorso: «ci sono notizie da Bjorn e Ubbe? Devono aver saputo dell'attacco a York.»
«Niente da essere degno di essere ascoltato,» confidò Hvisterk: «Bjorn è in Egitto, ora, e pare che vi voglia restare. Ubbe sarà da qualche parte a coltivare granturco.»
«Che talento sprecato,» commentò Ivar, prendendo un sorso di vino: «nostro padre ne sarebbe umiliato.»

«I nostri fratelli fanno ciò che credono sia più giusto per loro,» ribatté l'altro: «in fondo, abbiamo tutti dei punti deboli.»
E, parlando, Hvisterk puntò i suoi occhi su di me. «Non credi, Thora?»

Confusa, corrucciai la fronte, non sapendo bene che dire. «A cosa ti riferisci?»
«Come? Non lo sai ancora?» Chiese Hvisterk, fingendosi stupito: «quindi non avete ancora consumato?»

Il corpo di Ivar si irrigidì all'istante, e, come in uno spettacolo dell'orrore, vidi i suoi occhi inscurirsi. Posò il bicchiere sul tavolo e si sporse verso Hvisterk, sfidandolo senza timore.
Se solo fosse possibile, Ivar lo avrebbe ucciso all'istante.

«Credevo di essere stato chiaro sui tuoi interventi inutili,» ricordò, imponendosi fermezza.
«Inutili?» Domandò Hvisterk, colpito: «eppure, quella schiava con cui hai condiviso il letto sembrava piuttosto sicura di ciò che ha visto. O, non ha visto.»

Ero sinceramente incredula quando capii di cosa stavano parlando.
Sigurd era morto con quell'argomento sulle labbra, facendo ben capire quanto fosse dolente ad Ivar.
La sua virilità.
Sembrava che tutti fossero convinti che Ivar, per la sua disabilità, fosse impotente, ed ora ne scoprivo la ragione: una schiava aveva parlato.

«E ora quella schiava è morta,» sottolineò Ivar, iniziando ad alterarsi: «lei e le insulse bugie sono bruciate davanti ai miei occhi.»
«Oh, ma certo,» sospirò Hvisterk, teso: «sei stato tu ad ucciderla.»

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