11

3.5K 209 22
                                    

Judith non mi aveva mai visto di buon occhio - anzi, avrebbe dato tutto pur di vedermi scomparire dal fianco del figlio

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Judith non mi aveva mai visto di buon occhio - anzi, avrebbe dato tutto pur di vedermi scomparire dal fianco del figlio. Mi vedeva come una fastidiosa distrazione, un qualcosa che avrebbe potuto infastidire, quando le cose si sarebbero fatte serie.
In poche parole, temeva che il mio intento fosse sedure Alfred e raggiungere il trono, per quanto le mie origini me lo precludessero di principio.

Comunque, furono numerose le volte in cui avevo visto lei e il figlio litigare per me, per quanto Alfred tentasse di convincermi che non fosse nulla di grave e che lei avrebbe capito.
E in quell'ultimo giorno, quello in cui decisi di lasciarlo andare, fu la mano di Judith a spezzare il nostro addio. Quella era stata l'ennesima prova: no, non mi avrebbe mai accettato.
Ed ora aveva perso la testa, letteralmente.

"Thora."

Ivar, preoccupato dal non vedermi correre da lui, aveva deciso di raggiungermi per primo. Sfiorò la mia schiena, gentile, ma io mi spostai veloce, quasi mi fossi bruciata. Guardai il suo volto, completamente stralunata, e quasi svenni a terra.

"Quella è la principessa Judith," sospirai, sconcertata.
Lui, come se nulla fosse, guardò la testa con la fronte corrucciata. "Sì, è lei. Sembra che la famiglia di Ecbert si fosse riparata a York."

Sentendo quelle parole, numerose campanelle suonarono nella mia mente.
Alfred.

"Loro erano qui? Dove sono?"

Ivar, infastidito da quell'improvviso interessamento, fece un passo indietro, distanziandosi. "Cosa vorresti sapere in particolare, Thora?"

Strinsi le labbra, e cercai di superare il timore dell'essere una persona crudele – Ivar, in fondo, lo era stato per primo.

"Dov'è Alfred?" Domandai, gelida.
Il ragazzo strinse le labbra, distogliendo lo sguardo. Sembrava che volesse ridere ma, in realtà, bruciava come fuoco.
"Non è qui," provò a dire, gelido – non mi bastò.

Azzerai le distanze, stringendo la sua casacca con le dita e aggrappandomi a lui come se potessi sprofondare da un momento all'altro. Volevo ancorarmi a lui, volevo andarmene per sempre: nel mio  cuore, sentivo che stavo per esplodere.
Ed una lacrima traditrice scese lungo la mia guancia.

"Lo...lo hai ucciso?"
"Se lo avessi ucciso ti avrei fatto trovare il suo corpo ancor prima di scendere dal cavallo," ammise lui, diretto.

Quello fu esattamente lo schiaffo di cui avevo bisogno, quello della realtà. Con quella crudeltà, con quella fierezza, Ivar aveva messo in mostra le sue ultime carte, quelle che, per quanto possibile, avevo provato ad accantonare, dato che non ne ero mai stata la diretta vittima.
Ma Ivar era anche quello.
Era anche spietato, era anche un guerriero e, certe volte, una persona che avrei potuto detestare. Una persona che ora detestavo.

"Come puoi anche solo pensare una cosa del genere?" Chiesi, sconvolta: "mi faresti davvero una cosa simile?"
"È ciò che ho fatto," sottolineò, adocchiando Judith. "Devi dimenticarli, Thora."

Dimenticarli?

"Non serve uccidere una persona per dimenticarla!" Strillai, spingendolo via e quasi rischiando di farlo cadere, così incerto sulle sue gambe. "La morte non cancella il ricordo, Ivar, e tu dovresti saperlo meglio di tutti."
"Ma può aiutarla," sostenne lui, sbraitandomi addosso. "Ti avevo detto di non pronunciare più quel nome."
Ormai esausta, alzai gli occhi. "Tu sei pazzo."

Provai ad andarmene, ma Ivar mi fermò, afferrandomi per il polso e costringendomi a restargli vicino. "Dove pensi di andare?"

Stringeva con forza, premendo le sue unghie incrostate di sangue nella mia pelle - magari, era quello di una persona che potevo conoscere.
"Non lo so," rivelai, sincera: "mi basta che sia lontano da te."

Ivar mi strattonò, quasi sperando di vedere cadere quelle parole infelici e, feroce, mi trascinò dietro di sé, costringendomi a sedermi sulle sue gambe, una volta raggiunto il suo posto. Si chinò verso di me, liberandomi il viso dai capelli e mi sussurrò all'orecchio.
"Tu sei mia."

Mi mise un bicchiere fra le mani e strinse le sue braccia intorno ai miei fianchi, abbracciandomi in una gabbia di carne. Comunque, non provai a liberarmi: sarebbe stato stupido, tenendo conto che avrebbe potuto ordinare ai suoi uomini di catturarmi.

No, non potevo scappare, perciò mi chiusi nella mia mente, punendo Ivar con il silenzio, sapendo bene quanto potesse essere affilata quell'arma.
Ma Ivar sapeva leggere nei miei non detti.

Sapeva quanto fossi furiosa, quanto fossi ferita, e, semplicemente, lasciò scorrere, quasi potesse risolversi da sé, senza ripercussioni. Ma non sarebbe stato così, non lo sarebbe stato mai: sentivo le sue mani sfiorarmi la pelle e i brividi che provavo non erano di calore, ma di disgusto.

Non ero stata attenta, non avevo riflettuto bene, finendo per sbagliare diverse volte.

Prima di tutto, non avrei mai dovuto accettare così facilmente quell'attrazione malsana - non avrei dovuto cedere come se fosse una cosa facile da sopportare, perché non lo era. Io non conoscevo Ivar – forse sentivo di conoscerlo, ma non era così – e quel giorno ne avevo avuto la prova più evidente.
Quindi mi ritrovavo a pentirmi della mia gentilezza, dei miei tentativi di capirlo, di quel bacio. No, non avrei dovuto.

Quando andammo nella nostra stanza, poi, il peso fu ancora maggiore.
Ivar, lentamente, prese a sbottonarsi la camicia, mentre io restavo seduta sul letto e lo ignoravo, uccidendomi le mani.
Persino l'aria si era fatta più soffocante, quasi volesse darmi un vantaggio: morire per asfissia prima di morire per un cuore spezzato.

Ivar finì di sbottonarsi la camicia e, alla fine, si stancò di aspettare. Veloce per quanto poteva, mi venne di fronte e, stretto il mio mento e catturato il mio sguardo, posò con forza le sue labbra sulle mie.
C'era sangue in quel bacio, c'era voglia di possesso, ma un desiderio ben diverso da quello della prima volta, che era una semplice necessità di avere una persona accanto.
Ivar mi voleva possedere, voleva diventare la mia intera vita e che impazzissi per lui.
Un semplice affetto non gli bastava, né il suppore che potessi essere sua un giorno.
Lui voleva certezza e la voleva ora.

Io lo spinsi via.

"Ivar, no!" Urlai, arrabbiata. Come poteva non capire?
"No?" Chiese lui, incredulo. La sua mano ancora cercava di raggiungere il mio volto, di portarmi vicino. Gli mancava potermi toccare.

"Volevi accogliermi col corpo sventrato del mio migliore amico e solo perché vuoi che lo dimentichi," ricordai, aspra: "mi avresti spezzato il cuore e non ti avrei mai perdonato. Non credo di riuscirci comunque."

Dover spiegare quelle cose così basilari quasi mi fece sentire stupida ma, a quanto pare, con Ivar era necessario. Lui era un pagano, e, magari, certe dimostrazioni per loro non erano solo accettabili, ma quasi comprensibili. Lo avevo capito, ne ero stata diretta spettatrice: quelle persone avevano il veleno nel sangue.

"Vorresti che io me ne andassi?" Domandò, e la sua voce era dura come marmo.
Per quanto ne vedesse gli effetti, Ivar continuava a non capire le cause e, per questo, restava imbronciato e ferito. Ai suoi occhi, era lui la vittima incompresa della situazione.

"Lo vorrei," ammisi, senza rancore.

Lui non si mosse e continuò a guardarmi in silenzio, quasi sperando di sentire una nuova risposta, di vedermi cambiare idea. Ci sperava ciecamente, ma non fu così.
Volevo che se ne andasse, magari lontano.

"Come vuoi," concesse, infine, allontanandosi a testa bassa: "quando vorrai, io sarò qui."

Ivar continuava ad aspettare ma, questa volta, io non ero certa di voler tornare.

Angolo

Capitolo di rottura😢

Thora è (giustamente) arrabbiata con Ivar, ma ora come andranno le cose? Lui saprà aspettare come dice?
Voi sapreste perdonarlo?

Spero che il capitolo vi sia piaciuto❤️
A presto,
Giulia

The favouriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora