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Hvisterk camminava a passo svelto e sicuro, ma sempre con un occhio dietro di sé, là dove, senza mai arrancare, cercavo di stargli al seguito.

Era una giornata di fioco sole e le nuvole macchiavano il cielo di flaccide e sfocate ombre.
Fresco era il vento sui nostri volti scoperti, mentre l'erba del sentiero era morbida, cosa che permetteva ai miei piedi di non soffrire la lunga scalata sulla collinetta isolata.

"Kattegat sembra così piccola da quassù," commentò il ragazzo, osservando l'orizzonte con una mano a proteggergli gli occhi: "quasi non ci appartenesse."

Mi fermai al suo fianco, osservandolo brevemente prima di scostare il mio sguardo.
Eravamo in alto - non troppo, ma abbastanza da sentire il cambiamento del clima sulla mia pelle - e Hvisterk aveva ragione: di Kattegat restavano solo lontane righe di fumo e puntini stinti.

Solo un ricordo.

"Non possono vederti."

Hvisterk mi guardava con un sorriso furfante dipinto sul volto.
Si teneva a distanza, come un'abile predatore che osserva la danzante vittima indifesa: nei suoi occhi, leggevo una brama che andava oltre al semplice sapore del sangue.

"Se avessi saputo che era tua intenzione trascinarmi in cima ad una collina non avrei mai accettato," commentai, riprendendo a camminare. "Continuo a non capire perché mi sto fidando di un vichingo."

"Forse perché sai di poterlo fare."

Lo fulminai con lo sguardo e Hvisterk sorrise, seguendo i miei passi.
Il mio vestito veniva smosso dal leggero vento e, in determinati momenti, il tessuto si scontrava con le cosce vicine del ragazzo.

La sua mano destra era lì, né sentivo il calore sulla mia pelle, e le mie dita fremevano di disappunto di quella piccola tortura.
La sentivo, la provavo, ed era così vicina che, se solo avessi voluto, l'avrei potuta stringere con tutte le mie forze, ma poi restavo ferma, impotente e nel silenzio.

I piccoli errori sono ciò che rendono buone idee terribili catastrofi.

"Questo posto dovrebbe andare bene."

Hvisterk tolse la sacca delle spalle e ne posò il contenuto su un masso. Eravamo sulla deriva di un'ampia pianura, una su cui il sole sembrava aver dedicato un dolce bacio soave e in cui la natura, malamente colpita dalle tempeste, cercava di risvegliarsi.

Presto sarebbe giunta la primavera.

"Mangiare carne e pane? Era questo il tuo scopo?"

"Ho anche il vino," puntualizzò lui, mostrandomi la bottiglia con un sorrisetto sagace.
Lo avrei ucciso, davvero.

"Lascia."
Gliela rubai dalle mani e mi sedetti al suo fianco, prendendo un lungo sorso: detestavo il vino, l'avevo sempre fatto, ma, con tutta l'amarezza che avevo provato in quei giorni, persino quell'orrendo sapore pareva una delicata sinfonia sulla mia lingua.

Le cose erano cambiate - troppo, troppo cambiate - ed io temevo di aver smarrito l'ago della mia bussola. Nei momenti peggiori, mi sentivo completamente sola.

"È sorprendente come le cose cambino in fretta."

Sollevai lo sguardo, sorpresa da quella interruzione.
Il volto caldo del vichingo non era in grado di sciogliere il suo sorriso spento: non aveva toccato cibo, non aveva bevuto e, soprattutto, non aveva ancora parlato di Ivar.
Iniziavo a chiedermi se non stessi ignorando qualcosa.

"Come hai detto?"

"Era ciò a cui stavi pensando, giusto? Come le cose stiano cambiate in fretta." Si tradì con un sorriso. "Non mi riesce mai con nessuno, in realtà – capire le persone – ma con te è bello tentare: certe volte, mi sembra di poter sfiorare la verità."

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