84. Guerra vera

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84.

La sera tornò a casa.
Alla, mattina i suoi misero in atto una vera guerra.

La cameriera non poteva più darle da mangiare, lavare, stirare per lei, fare la sua camera. Non era accettata a tavola, né in giro per casa. Poteva stare solo in camera sua.

Non poteva usare il telefono, suo padre smise di darle anche la mancetta. Le proibì di trovarsi un altro lavoro, ma pretendeva che andasse in ufficio.

La chiusero a chiave, in camera la sera e le proibirono di frequentare Rúnhr.

Lei finse sottomissione. Andò in ufficio a lavorare e di nascosto prese le copie di ricambio delle chiavi che le servivano.
Poi, siccome doveva portare ogni due giorni, conteggi vari a un professionista, fece delle copie, proprie, di tutte le chiavi.

Per il telefono, utilizzò un telefono al piano superiore dell'appartamento, dove c'erano altri uffici. Bastava spostare una levetta, di un determinato telefono a piano terra, e la comunicazione passava di sopra. Loro non sapevano che lei lo sapeva.

Non le poterono togliere la macchina, sarebbe stato un furto, era intestata a lei. E poi doveva usarla per andare in banca e in vari posti, per la ditta.

La chiusero a chiave in camera di sera.
Non sapevano che si era fatta fare copia anche di quella chiave.
Una volta controllato che fosse nella sua stanza, chiudevano, andavano a letto e non ricontrollavano più. Quindi Núha, poi, andava e veniva a suo comodo. Silenziosamente.

L'impiegata, che la conosceva da bambina, aveva capito cosa stava succedendo e le inventava impegni esterni, per poter stare con Rúnhr, di giorno.
Ma succedeva di rado. Suo padre non c'era mai e i suoi fratelli abitavano altrove ormai, e se ne infischiavano, non sapevano niente di lei, della guerra in atto.

Arrivarono le feste. Visite dai parenti.
Incontrò zia Hanjé e Nin. Era contenta, ma non disse niente.

Ormai era quasi tutto pronto. Aveva selezionato un poco di roba da portare via, con una valigia. Ma, per non destare sospetti, poteva riempirla solo prima di partire. E ci voleva tempo e tranquillità.

Aveva un piano.
I suoi genitori erano fanatici del veglione di fine anno, partivano per la cena dell'ultimo e tornavano non prima delle 6 del 1 gennaio.

Aveva tutto il tempo.

Cercò di capire se sarebbero usciti, come il solito, quella sera.
"Entrò in salotto e disse ad entrambi. Mi hanno invitato per stasera. Torno presto"

"Non vai da nessuna parte. Noi andiamo al veglione e tu stai qui, a imparare come si fa a obbedire" disse suo padre.
"Vado da Clara"
"Ho detto di no, non farmi arrabbiare, o sono guai. Sai cosa intendo."

Da un po' di tempo, convinto della sua sottomissione, gli piaceva minacciarla in quel modo, sottintendendo 'botte' le faceva ricordare di averla già picchiata, che lo avrebbe rifatto.

Ormai si gongolava nella sua vigliaccheria.
Era così cambiato, in poco tempo si era inaridito, in una forma oscura, rabbiosa, maniacale.

Dai suoi fratelli aveva ottenuto che non sporcassero più il nome di famiglia. Che si rassegnassero al destino che lui gli aveva scelto.

Ma si erano trasformati in due parassiti inutili, esperti e capaci, solo se volevano. Ma preferivano aggirare gli ordini, non sprecarsi, per ripicca.

Tutti i brillanti progetti di Claude, si erano impantanati nell'imbecillità di una muta vendetta di quei due.
Che li soddisfava ottimamente, ma bloccava la loro trasformazione in uomini veri.
Tutto il lavoro di una vita, sarebbe scomparso con Claude, lui l'aveva capito.

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