87. Rapimento

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87.

Regalarle Messalina era stato un passo strategico, per Rúnhr, voleva addolcire Núha. C'era una cosa, su cui erano sempre in conflitto.

Una sera, 'impacchettati' in camera, in tre sul materasso, coccolando Messalina, Rúnhr disse "Quando ci sposiamo?"

Era teso, lei non voleva saperne, impossibile conoscere quanto sarebbe durata la sua vita. I suoi medici insistevano nel dirle che non aveva futuro. Prima o poi sarebbe arrivato il momento. Quindi lei non voleva legarlo, né rimanere incinta.

Fu una gran discussione, poi lui disse "Va bene, ho capito. Però fra non molto hai l'appuntamento con il professor Perugini, a Tobir. Perché non ne parliamo con lui?"

"Va bene, testone, verrai con me e parlerai con lui, ma non farti illusioni."

Perugini era un italiano, la massima autorità, in quel periodo, per l'Hodgkin.
L'ospedale aveva fissato per lei l'appuntamento di controllo, già prima che scappasse di casa.
Tobir era una città lontana e la visita da lui era carissima. Núha aveva messo da parte centesimo su centesimo.

Il giorno prima della data fissata, ricevette una telefonata.
"Buongiorno signorina Maver, sono la segretaria del dottor Perugini. Devo spostare il suo appuntamento in altra sede. Invece che nello studio privato, dovrà recarsi alla clinica universitaria di Tobir."

Il giorno dopo fu ricevuta da Perugini. Lui guardò gli esami recentissimi, che le aveva richiesto. La visitò, la interrogò, controllò le cartelle cliniche.
Prima che lui desse il responso, lei gli spiegò che voleva Rúnhr presente, perché premeva per sposarla.
Lo fecero entrare.

"Allora eccoci qua, ora vi spiego tutto" disse il professore. "Mi devo scusare di avervi fatto fare un poco di strada in più. Ma ho avuto delle difficoltà.

Allora, mi dica, Núha, lei è una contestatrice, una di quelle ribelli, figlie dei fiori?"

Lei non capiva la domanda "Assolutamente no, professore. Non capisco cosa c'entri con la mia malattia.
Ma forse intende che quello stile di vita, avrebbe potuto essere la causa, che ha compromesso la mia salute?
No, non mi drogo e non mi sarei mai drogata. E non sono una fanatica del libero amore. Non ci tengo a prendere un sacco di malattie."

"Bene, le spiego.
Il suo appuntamento era fissato da tempo e i suoi genitori lo sapevano.
Mi hanno telefonato, raccontando che lei era una strana, una ribelle e mi hanno 'intimato', di bloccarla qui, non lasciarla andare, se non erano già qui, anche loro.

Volevano venire al mio studio, oggi, e portarla via di forza. Mi hanno raccontato un sacco di schifezze su di lei. Dicendo che dovevano toglierla dalla strada e che era una drogata. 'Ordinandomi' di collaborare con loro, in questo rapimento.

Era surreale.
In un primo momento li ho mandati al diavolo, ma mi hanno tormentato. Quindi ho finto condiscendenza e ho spostato qui il suo appuntamento.

E ora, che vi vedo in faccia, capisco di avere fatto bene."
Il professore volle sapere cosa era accaduto. Fu accontentato. Era molto soddisfatto.

"In questo momento, i suoi sono là in agguato, vicino al mio studio, lo sa?
Pazzesco. Mai capitata una roba del genere.
Hanno rischiato di avvilirla pericolosamente. Purtroppo non tutti superano il totale sfinimento dopo l'operazione. E se sono trattati come lei, addio voglia di combattere.

Comunque, mi ha chiesto di sapere cosa l'aspetta.

La sicurezza matematica di non soccombere alla malattia arriva solo dopo 7 anni.
Ma lei ha superato l'operazione. Non ha avuto alcun aiuto, nemmeno di antibiotici e vitamine, perché si è ritenuto che giovassero al male e non a lei.

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