149. Lúuf Atte

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149.

L'umore di Nùha era migliorato.
Nonostante fosse arduo, accettò, psicologicamente, di aver trascorso periodi di infelicità, senza senso, a causa dello shock di Rúnhr, per la morte di Lyoss.

Quello shock non c'entrava niente con la loro storia. Era un gatto selvatico arrivato in casa per caso. Aveva, scombussolato tutto. Ma non aveva a che fare con i sentimenti reali di Rúnhr.
Averlo visto così luminoso, non le sembrava vero. Pareva che qualcuno avesse evaporato un maleficio.

L'aveva strapazzata allegramente, senza riguardo...Vincerò!!!..aveva detto spavaldo, gli occhi luminosi piantati nei suoi.

Era andata in crisi, vero, ma si era ripresa senza troppo panico.
L'iniezione di gioia, per la bella notizia, aveva spostato i suoi pensieri, appannando la forza dell'ansia.

Era stata inondata dalla scoperta esaltante, che lui 'non aveva smesso di amarla, che non la disprezzava'.
Il grumo nero, che aveva annebbiato la loro storia, e la sua mente, per un periodo, si era disciolo con l'aiuto dello psicologo di Rúnhr.

Il loro amore era sopravvissuto.
Alla faccia di tutto quel disastro.
Seminato da Lyoss e Winna, per anni...Frutto della follia...

Sopravviveva eccome..quel sentimento. Giocava con i suoi capelli che si stavano sconvolgendo come folletti in un rally di farfalle.
La spupazzava in giro con un sorriso ebete da biscottino fragrante.
E gli uomini le sorridevano subito.
Quel vento d'amore che stava sventagliando ovunque era una bandiera da ammainare, o qualche ormone maschile le avrebbe fatto la ronda.

Si mise a parlare con delle anatre al parco e con i pulcini, per troppa euforia "Troppe notti in bianco, vero, ragazza?" Disse a una, con 18 piccolini al seguito.
Due marinai si misero a ridere, e convinti che fosse un po' sbronza, le fecero da baby sitter, finchè non fu a casa.

Cosa pretendere di più dalla vita?" esclamò allegramente.

Il senso di colpa, di essere stata una madre inutile e dannosa, e la confusione sul senso della sua vita, erano in evaporazione.

Quell'enorme fungo nero, avvelenato e pulsante, aveva fatto..Pufff!...sconfitto, insieme ai visi di Winna e Lyoss.

Urlava nella nebbia pallida della sua mente, un palloncino sibilante, sgonfiandosi dalla
loro rabbia sconfitta ....Piiiii...piiii...prrr.... sibilava, scomparendo lontano.

"Ahh....è finita, finalmente...la cattiveria si dilegua"

Durante la notte, dopo spento l'ultimo refolo d'ansia, aveva dormito e sognato, sentendo la mano di Rúnhr che le accarezzava il viso e i capelli.
Si era svegliata felice.

Si regalò una mezz'ora di svago, passeggiando lungo il bel lago, davanti a casa. Voleva rivivere l'impeto con cui lui le urlava la sua 'minaccia d'amore', la sua sfida, "Vincerò io."

Era stato così irresistibile, mentre irradiava di quello strano, folle miscuglio...
Di gioia, perché la vedeva e lo aveva perdonato..di rabbia perché gli sfuggiva..e dell'energia di un pazzo innamorato, che parte a caccia del suo amore.

Era stato eccezionale, così duro e dolce. Appiccicoso.
Avrebbe voluto volare subito da lui, ma....
Provò un poco d'ansia, e confusione, ma..

'Oggi non è giorno per i ma', pensò. 'Per oggi voglio solo portarlo con me. Così ironico, furibondo d'amore e gioioso della sua terrificante sfida.
Per la mia insopportabile, automatica reazione..ci penserò domani.
Forse questa bella notizia, calmerà anche quella.'

Si mise a ridere piano, 'com'era bello, si è illuminato nel vedermi, sentivo la sua rabbia come un grande dono e un enorme sollievo.

È stato male.. è solo stato male...Lyoss...era solo quello.

Ma adesso...cosa farò?..
Domani..domani comincio a pensarci e a cercare uno psicologo.'

Arrivò a casa. Aveva da fare, nel suo studio, cominciò a lavorare.
Era molto felice di aver visto 'ragazzo pazzo'.
Lui era guarito, questo cambiava tante cose, di nuovo, d'improvviso.

Tolse la vecchia firma, dai quadri, ci volle poco.
"Lúuff Atte", scrisse sulla tela, 'eccoti lì, mi piace..fatto'.

Non aveva scelto a caso quel nome. Voleva qualcosa che le desse gioia, ogni volta che lo pronunciava e lo vedeva, circondato dai suoi colori pimpanti.

Lei stava tentando una sfida con se stessa, e 'Lúuff Atte' era la parola d'ordine di una sfida. Era perfetto.

L'urlo.. 'Lúuff Atte' era stato il segnale per iniziare a scappare e nascondersi, quando era molto piccola. Abbastanza piccola da non avere un gran controllo verbale.

Zia Laura, nipote di nonno Giacomo, che lei chiamava Lala, lanciava l'urlo di guerra "Lúuff Atte..correte bambini, via di corsa..svelti bambini!!!

E via! ..via...via...viaaaa...tante piccole schegge, dai capelli al vento...urlanti, saltellanti come grilli...filavano, al volo, nelle buche..dietro gli alberi..sotto i cespugli. Scomparivano tutti, gli scellerati si sparpagliavano, ognuno in un posto diverso, a nascondersi.

Zia Laura cominciava a cercarli, mentre loro tentavano di depistarla, chiamando 'Lúuff Atte', per confonderla, mentre cambiavano, di nascondiglio continuamente, non visti.

A Núha, tanto piaceva quel gioco, che giocava anche da sola, in casa. Immaginando di scappare, cinguettava la sua sfida, tutti i giorni, sbucando dai letti, porte e armadi, fuggendo dal gatto, dal cane, dai maialini.

Lala era una nipote di nonno Giacomo, ma nata dall'amante di un suo fratello, che si era trasferito con lei, in una zona di mezza montagna. Era giovane e molto bella, biondissima. Parlava prevalentemente una lingua tribale, il Korlu, originario di una zona molto a nord, il Korlak, da cui provenivano.

Núha, conosceva, a malapena la propria, di lingua. Ma come tutti i piccolini, capiva d'istinto, quel che serviva.

La casa di zia Lala era piena di allegria ed ogni piccola vacanza, là, era una pausa salutare per lei, che dimenticava severità e botte di sua madre Lirl.

E anche il suo nome, perché tutti divertiti dal suo entusiasmo per quel gioco, la chiamavano 'Lúuff Atte'. D'altronde per dei ragazzini, era più facile, che rammentarsi ogni tanto come si chiamava. Loro capivano poco la sua lingua, e lei non capiva granché, né la propria, né la loro.

Ma era contenta di essere 'Lúuff Atte' mentre, tutto il giorno, correva in quelle grandi stanze piene di sole e nel frumento, più alto di lei, fra papaveri e fiordalisi.

La neo pittrice, Núha, voleva quello scoppio di gioia sui suoi quadri.
Quello voleva trasmettere. Ignorava cosa significasse, era una parola di una lingua tribale, ormai sconosciuta.
Era un gioco, era libertà ed energia scatenata, mistero.
Per loro, bambini, era il boato di una sfida, fantasiosa e scaltra.
Tanto bastava allora e oggi.

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