Ritorno Al Quartier Generale

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I giorni trascorsero inesorabilmente ed era ormai giunto il momento, per Hange ed i ragazzi, di far ritorno al Quartier Generale. Nei giorni passati, Hange si era allenata duramente per molte ore, per cercare di recuperare la sua forma fisica e poi, grazie agli intrugli del dottor Mann, era riuscita anche a perdere totalmente la montata lattea. Doveva rientrare alla base, come se nulla le fosse accaduto e riprendere subito il suo lavoro.
Quel giorno, non riusciva a staccarsi dal piccolo Erwin che col tempo era diventato più reattivo e meno dormiglione.
-Allora, chi è l'amore della mamma? Chi è l'amore della mamma?
Il bimbo la guardó con i suoi occhietti cerulei e le fece un sorriso dolcissimo.
-Ma certo che sei, tu l'amore della mamma! - esclamò Hange allegramente con la vocina affettuosa e giocosa, riempiendolo di baci.
Ad Armin faceva sempre tanta tenerezza vederla coccolare e giocare così con il suo bambino e sapeva che l'allontanamento dal figlio le avrebbe procurato una sofferenza indescrivibile. Hange era una donna che esprimeva le sue emozioni soprattutto con gli occhi e ormai riusciva a capire quando era felice, pensierosa, preoccupata oppure profondamente addolorata. Quella notte sarebbe stata una tragedia emotiva per tutti quanti e gli si stava stringendo il cuore per la tristezza. Se solo avesse potuto esprimere un desiderio, sarebbe stato quello di far sì che tutte le persone potessero vivere una vita normale, senza Giganti, senza Mura, senza guerra, senza tristezza e senza paura. Anche Sasha e Connie erano preoccupati per il futuro stato emotivo della donna e cercavano di preparare i bagagli facendo finta di non esserlo. Tutti si erano affezionati ad Erwin, Eveline e al piccolo Klaus e li addolorava l'idea che non avrebbero più potuto vivere con loro, tutti insieme, come una grande famiglia.
Ormai era notte, quando gli uomini del signor Flegel condussero i cavalli e il carro nei pressi dell'abitazione,  visto che erano stati nascosti in dei magazzi destinati alle merci, per tutto quel tempo. Connie e Armin controllarono che non mancasse nulla dell'attrezzatura che avevano lasciato sopra e iniziarono a caricare i bagagli. Hange, con addosso la sua uniforme e il mantello invernale con lo stemma delle ali della libertà, era seduta in salotto, con il piccolo Erwin tra le braccia, in silenzio tombale, e attendeva che i ragazzi finissero di sistemare tutto quanto. Il bimbo aveva finito di mangiare da poco e stava iniziando a prendere sonno, beato, tra le braccia della sua mamma che lo stringevano amorevolmente al petto.
Sasha, intenta a sistemare i cavalli, aveva le lacrime agli occhi.
-Sasha...per favore... - le sussurró Connie, affranto nel vederla così.
-Lo so, Connie, ma non ci riesco! - gli rispose la ragazza posando pesantemente la fronte sul lato della sella del cavallo, mentre le lacrime iniziarono a scivolare sulle sue guance.
-Sasha, dobbiamo essere forti! - le disse avvicinandosi a lei, con voce rassicurante, posandole una mano sulla spalla, per consolarla.
-Lo so...ma è tutto così triste e ingiusto!
La ragazza, cercando di contenere i singhiozzi, si voltò verso di lui e lo abbracciò, lasciandolo di sasso. Anche lui era profondamente rattristato. Anche lui avrebbe voluto piangere, ma doveva essere forte: lo doveva fare per Hange e soprattutto per Sasha, che in quel periodo si era tanto affezionata a Erwin e Klaus. Così, con le braccia tremanti per l'emozione, la strinse forte a sé, in un lungo abbraccio.
-Sasha, non devi piangere - le sussurró con dolcezza - Ci sono io con te! Ti prego...non piangere...
Armin, uscendo da casa con un bagaglio tra le mani, lì vide abbracciati e sorrise, con leggero imbarazzo. Anche se non lo avrebbero mai ammesso, era convinto che i due provassero l'uno per l'altra un sentimento che andava oltre la mera l'amicizia, nonostante i continui ed inutili battibecchi. L'idea che l'amicizia e l'amore riuscivano a trionfare in qualsiasi condizione, gli scaldava il cuore e lo inondava di speranza. Improvvisamente, come un lampo nel buio, apparve nella sua mente il volto di Annie: non vedeva l'ora di andare a parlare con lei, anche se la ragazza, rinchiusa in quel bozzolo infrangibile, non gli avrebbe mai potuto rispondere. Eppure, il solo stare con lei lo rendeva felice, sereno ed era un sentimento che non riusciva a provare con nessun'altra ragazza.
Connie porse un fazzoletto a Sasha, con cui iniziò ad asciugarsi le lacrime e a soffiarsi il naso per cercare di ritrovare la compostezza. Poi, dopo un lungo sospiro, il ragazzo riprese a caricare i bagagli sul carro, assieme ad Armin, senza scambiarsi nemmeno una parola. Dopo aver caricato l'ultimo zaino, i tre ragazzi rientrarono in casa.
-Hange, è ora! - disse Connie con un nodo in gola.
La donna, sentendosi nominare, sollevò lo sguardo verso di loro ed accennò un sorriso.
-Bravi, ragazzi! - rispose dolcemente.
-È il momento di andar via? - domandò loro Eveline, facendo capolino dalla cucina.
-Si, dobbiamo andare! - le rispose Armin cercando di mantenere la voce ferma - Ma torneremo subito a trovarvi!
-Già, non ti liberai facilmente di noi! - le disse subito Connie.
La ragazza, commossa, dopo essersi asciugata le mani con il grembiule, si avvicinò a loro e li abbracciò, uno ad uno.
-Vi aspetteremo con impazienza! - disse loro emozionata.
-Grazie di tutto... - le sussurrò Sasha, tentando di trattenere le lacrime, anche se il suo stato d'animo venne tradito dalla voce tremante.
All'improvviso, Hange si alzò in piedi.
-Ragazzi, andate pure...io...vi raggiungo subito!
Dopo aver salutato Eveline per l'ultima volta, i ragazzi uscirono da casa: Connie e Armin montarono in sella ai loro cavalli mentre Sasha prese posto alla guida del carro.
Hange era ancora in piedi, immobile, come se le sue gambe fossero cementate al pavimento. I suoi occhi non riuscivano a staccarsi dal viso piccolo Erwin. Delicamente, gli accarezzò i capelli e gli diede un lungo bacio sulla fronte, aspirando il dolce profumo che emanava dalla morbida pelle.
Eveline la guardava, asciugandosi le lacrime con le dita delle mani.
-Eve...non piangere...rendi tutto più difficile! - le disse Hange sospirando.
-Scusami...è solo che...posso capire quello che stai provando...
La voce della ragazza era tremante per la commozione.
-Lo sai, Hange...lo amerò come se fosse mio...
-Ti chiedo un favore... - la interruppe Hange, con una voce così flebile da sembrare il sussurrò di un fantasma.
-Tutto quello che vuoi!
-Desidero che tu scriva, sui quaderni che ho lasciato nella sua stanza, tutto quello che fa, ogni giorno...ogni avvenimento...qualsiasi cosa...ogni dettaglio! Un giorno, quando tutto sarà finito, li leggerà il suo papà...ed io...per cercare di recuperare tutto quello che siamo stati costretti a perdere! - le confidò con voce tremante per la commozione mentre sfiorava le guance del figlio con la punta delle dita.
-Certo! - le rispose la ragazza, non riuscendo più a trattenersi e soffiandosi il naso.
-Adesso devo andare...purtroppo non so quando potrò essere libera per venire a trovarvi...ma verrò tutti i giorni, anche di notte, finché sarò qui...non ti preoccupare se sentirai degli strani rumori provenire dal tetto o dall'ingresso! Inoltre sarete sorvegliati a debita distanza, giorno e notte, dagli uomini della mia banda, quindi sarete sempre al sicuro! - le disse Hange sorridendo, cercando di sdrammatizzare la situazione.
Eveline annuì e le sorrise. Hange le si avvicinò e le accarezzò il viso dolcemente. La ragazza le afferrò la mano e gliela baciò.
-Ti sono davvero grata, Hange...per tutto quanto! Sei la mia salvatrice...la nostra salvatrice!
Hange le sorrise e con le dita le asciugò le lacrime che continuavano ad uscire dai suoi grandi occhi verdi.
-Basta piangere! Non è un funerale! Domani appena potrò sarò di nuovo qui, anche se per poco tempo! - le disse con tono fermo ma allegro.
La ragazza le sorrise e annuì, stringendole ancora la mano al viso. Hange fece un lungo respiro, le lasciò la mano e si avvicinò all'ingresso della porta, tenendo sempre tra le braccia il suo bambino. Guardò fuori e vide che i ragazzi erano già pronti. Il suo cavallo era stato sellato e Armin ne teneva le redini.
-Fa freddo...- notò dopo aver visto uscire la nuvoletta di vapore dalla sua bocca.
Sollevò suo figlio alle labbra e lo baciò ancora. Poi si voltò verso Eveline, che era proprio dietro di lei, in attesa che Hange le desse il bambino: la guardò e deglutì. Mentre le porgeva il figlio, con le braccia tremanti, gli occhi le si spalancarono, realizzando che da quel momento in poi, non avrebbe più vissuto la quotidianità di suo figlio. Non avrebbe più potuto stringere a sé il suo corpicino tutte le volte che voleva, sentire il suo profumo, vedere il suo faccino, i suoi sorrisi. Non avrebbe più sentito i suoi versi, il suo pianto e non avrebbe più potuto baciarlo e coccolarlo. Mentre lo posava tra le braccia della ragazza, gli occhi le si gonfiarono di lacrime e avvertì un dolore indescrivibile al petto, come se le stessero strappando il cuore e l'anima. Maldestramente, una goccia delle sue lacrime cadde proprio sulla guancia del piccolo Erwin, che emise solo un piccolo verso, senza svegliarsi, fortunatamente. Se avesse iniziato a piangere, sarebbe stato ancora più difficile e doloroso. Non appena fu tra le braccia sicure di Eveline, Hange si chiuse la bocca con una mano, per trattenere i singhiozzi e, raccolto l'ultimo briciolo di lucidità, si voltò dirigendosi a passo svelto verso il suo cavallo. Afferrò le redini da Armin e montó in sella con un balzo. Si passò una mano sul voltò, cercando di ritrovare la forza e la compostezza.
-Andiamo! - esclamò facendo partire il suo cavallo, facendo strada.
I ragazzi, visibilmente turbati, non proferirono parola e la seguirono. Eveline, stringendo tra le braccia il piccolo Erwin, li salutò con una mano, seguendoli con lo sguardo finché non furono lontani dalla sua visuale e rientrò poi in casa.
Hange, con andatura eretta, cavalcava in testa al gruppo, a denti stretti, per il dolore che provava. Armin e Connie, dietro di lei, si scambiarono un'occhiata, profondamente addolorati per la situazione. Nessuno ebbe il coraggio di proferir  parola durante il tragitto, perché sapevano che niente avrebbe potuto consolare il cuore spezzato della donna.
Giunti davanti al cancello d'ingresso del Quartier Generale, furono accolti da alcuni uomini della Gendarmeria, sorpresi nel venderli rientrare senza nessun preavviso.
-Ben ritornata, Comandante! - la salutò un ragazzo con il pugno al petto.
-Grazie...- rispose Hange, fermando il cavallo.
Alzò lo sguardo e sì soffermó ad osservare l'edificio, in cui aveva vissuto e lavorato per tanto tempo, poi smontó da cavallo. Armin fece lo stesso e le si avvicinò per afferrare le redini del suo cavallo. Per un attimo, si scambiarono un'occhiata: lo sguardo di Hange sembrava spento, vuoto, senza vita, come quello di un cadavere.
-Penseremo noi a tutto! - le disse guardandola negli occhi.
-Grazie...- gli sussurró la donna con un filo di voce.
Così, lentamente e con apparente sicurezza, sotto gli occhi dei ragazzi, Hange salì le scale della porta d'ingresso, andando poi a percorrere la via che l'avrebbe condotta ai suoi alloggi. Giunta davanti alla porta d'ingresso alle sue stanze, inserì la chiave dentro la serratura e l'aprì. Tutto era rimasto come lo aveva lasciato: la pila di quaderni sul tavolo, accanto al microscopio; le penne, le matite e i calamai accanto agli ultimi libri che stava studiando; le sedie; la libreria. Uno ad uno, ossevava gli oggetti che erano lì dentro, provando una strana sensazione: le sembrava tutto surreale, che tutto quello che aveva vissuto fosse stato soltanto una visione o un sogno. Un bellissimo sogno, da cui non voleva risvegliarsi. Accese la lampada ad olio che era posata sul tavolo, si tolse il mantello e lo posò su una sedia. Poi entrò nella camera da letto, anch'essa in ordine, come l'aveva lasciata. Lo sguardo le cadde sul letto e di nuovo gli occhi le si riempirono di lacrime. Non era stato un sogno quello che aveva vissuto: proprio lì, lei e Levi assieme al loro fortissimo sentimento di amore, avevano concepito il loro bambino. Il loro bellissimo e dolcissimo bambino. Non era una illusione, ma era la realtà. La bellissima e allo stesso tempo triste e struggente realtà. Emotivamente distrutta vi si gettò su a piangere, soffocando i singhiozzi e il dolore nel cuscino. Non aveva immaginato che la separazione da suo figlio le avrebbe procurato così tanta sofferenza. Si sentiva incompleta, smarrita, confusa: una miriade di sensazioni che non provava ormai da anni, da quando erano morti i suoi genitori.
-Levi...
Quanto avrebbe voluto che l'uomo fosse lì, proprio in quel momento, a stringerla tra le braccia, l'unico posto posto in cui si sentiva al riparo da ogni male. Il pensiero di lui e del piccolo Erwin, a poco a poco, iniziarono a darle forza e coraggio. Doveva avere la forza di riprendere  subito il suo lavoro, la sua missione: tutta quella storia assurda dei Giganti doveva finire e lo poteva fare solo lei, assieme alla Squadra di Ricerca, assieme a Levi e ai ragazzi. Prima avrebbe iniziato e prima sarebbe finita.
Decisa, si alzò in piedi ed entrò in bagno, fermandosi davanti allo specchio del lavandino. Si tolse gli occhiali e la benda e rimase a guardare il suo volto, con il suo occhio opacizzato e la cicatrice che lo incorniciava. Una strana luce apparve nei suoi occhi . Non c'era più tempo da perdere. Non c'era più tempo per piangere. Doveva riprendere in mano la situazione, le redini del comando, e accelerare le ricerche per far sì che tutto abbia fine. A qualsiasi costo. Si, il Demone era tornato.

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