-Ciao!
Il bambino, seduto per terra, continuava a piangere con il viso nascosto tra le ginocchia.
-Perché piangi? - gli domandò la bambina.
-Perché...la mia mamma...mi ha detto...che non posso...stare con lei...perché...è impegnata...e mi sento solo! - rispose lui singhiozzando.
La bambina gli si sedette accanto.
-Sai, anche la mia mamma e il mio papà hanno sempre tanto da fare, ma quando sono da sola mi diverto in altri modi! Non hai amici con cui giocare?
Il bambino continuò a piangere senza darle risposta. Allora la bambina iniziò a frugare nelle tasche della sua giacchetta.
-Se mi prometti che smetterai di piangere, ti do una di queste!
Il bambino, con la coda dell'occhio,
vide cosa aveva tra le mani: erano delle strane palline tutte colorate.
-Che cosa sono? - le domandò stropicciandosi gli occhi.
-Sono caramelle! - gli rispose la bambina con un grande sorriso stampato sulle labbra.
-...non so cosa siano...
-Si mangiano: assaggiane una! - gli disse la bambina porgendogliele con entusiasmo.
Titubante ma molto incuriosito, il bambino ne prese una e la mangiò.
-Ma...è...buonissima! - esclamò sbalordito.
-Tieni, te le regalo! - gli disse la bambina sistemandole nel sacchetto da cui le aveva tirate fuori e mettendoglielo tra le mani - Io ne ho altre a casa, ma mi raccomando! Non mangiarle tutte in sola volta: potrebbero farti male alla pancia! Una volta ho mangiato quasi tutto il sacchetto e sono stata male per due giorni!
Al bambino si illuminarono gli occhi: lui era così povero che non aveva mai ricevuto un regalo e soprattutto non sapeva cosa fosse una caramella prima di allora.
-Ti piacciono? - gli domandò la bambina, stringendosi le gambe al petto.
Il bambino annuì, continuando a gustarsi la caramella.
-Vedi? Ora non stai più piangendo! Adesso alzati e andiamo a giocare insieme!
I due bambini si alzarono e iniziarono a correre finché non raggiunsero un posto bellissimo, pieno di luce, con un prato pieno di fiori e uno stagno. Il bambino non pensava che potesse esistere al mondo un posto così meraviglioso e splendente.
-È... è stupendo! - disse guardandosi intorno.
-Visto? Se non fossi arrivata io, saresti rimasto lì a piangere e non avresti mai visto questo posto così bello! - gli rispose la bambina, spalancando le braccia e sprizzando gioia e allegria da tutti i pori.
La bambina ad un tratto si paralizzó, come se le sue orecchie avessero percepito qualcosa.
-Lo senti questo suono? - disse a bassa voce e guardandosi intorno, come se stesse cercando qualcosa.
Il bambino la guardò confuso, cercando di capire cosa, quella strana e alquanto bizzarra bambina, stesse cercando in mezzo al prato. Improvvisamente la vide lanciarsi per terra, come se avesse afferrato al volo qualcosa.
-Presa! - esclamò contenta, sollevando in aria le mani giunte.
-Che cosa hai preso? - le domandò incuriosito.
La bambina si mise seduta, cercando di sistemarsi la gonna.
-Guarda!- gli disse aprendo le mani.
-Che cos'è quella schifezza?
-Non è una schifezza - rise la bambina divertita - È una ranocchia!
-Una ranocchia?
-Si...è un piccolo animaletto che vive vicino agli stagni ed ha una lingua lunghissima per acchiappare gli insetti, di cui si nutre!
-È disgustosa!
-Io invece trovo che sia molto carina! - rispose la bambina accarezzando delicatamente il piccolo animaletto verde - La mia mamma mi ha raccontato la favola di una principessa che baciò un ranocchio e che si trasformò in un bellissimo principe che si innamorò di lei!
Il bambino la guardó ancora più confuso e attonito mentre lei, lentamente, avvicinava la ranocchia alle labbra.
-Che schifo! Non vorrai mica baciarla per davvero? - le domandò disgustato.
-Voglio proprio vedere se è vero...
Così le piccole labbra della bambina sfiorarono il corpo viscido della ranocchia e il bambino emise una smorfia e un verso di disgusto.
-Uffa! - disse la bambina visibilmente delusa - non è successo nulla...niente principe azzurro!
Si alzò e si diresse saltellando verso il piccolo stagno, liberando poi la ranocchia dentro l'acqua.
Nonostante la piccola delusione, la bambina si voltò e fece un grande sorriso.
-Vediamo se ci sono delle farfalle...qui è pieno di fiori, sicuramente ce ne saranno molte in giro! - disse iniziando subito a guardarsi intorno.
Anche il bambino fece la stessa cosa finché la bambina ne vide una gialla, posata su un fiore. Evitando di fare movimenti bruschi, si draió sull'erba e appoggiando il viso tra le mani, iniziò ad osservarla con attenzione. Il bambino la raggiunse e silenziosamente fece la stessa cosa, finché un piccolo colpo di vento non fece prendere il volo all'insetto.
-Ti va di salire su quell'albero? - gli propose la bambina, mettendosi seduta.
-Va bene! - esclamò lui, inseguendola, divertito: quella strana ed eccentrica bambina, con la sua allegria ed energia, era riuscita a scacciare la tristezza che lo aveva incupito. Raggiunsero il tronco dell'albero e con estrema agilità, la bambina iniziò a scalarlo, come se lo avesse fatto mille volte. Impacciatamente, il bambino cercò di copiare i movimenti della bambina, giungendo al ramo su cui si stava posando lei. Mise il piede in fallo e prima che potesse cadere giù, la bambina lo afferrò prontamente per la mano.
-Forza! Tirati su! Io non ti lascio! - lo incitó.
Per la prima volta, il bambino si rese conto che non riusciva a distinguere interamente il volto di quella bambina, che sembrava essere interamente circondata dai raggi del sole. L'unica dettaglio che riusciva a vedere era il suo bellissimo sorriso.
-Reggiti forte! - gli disse ancora mentre lo tirava verso di sé, finché lui non raggiunse il ramo.
Dopo averla ringraziata, entrambi si misero seduti a contemplare il bellissimo panorama. Il bambino osservò con la coda degli occhi la bambina, che canticchiava allegramente mentre dondolava le gambe nel vuoto e guardava il paesaggio. Improvvisamente, avvertì una piacevole sensazione, come se l'avesse già conosciuta da qualche parte, ma chissà dove.
-Io...io ti ringrazio! - iniziò a dirle un po' imbarazzato - Se non fosse stato per te, non avrei mai visto questo posto bellissimo e...sarei rimasto lì a piangere...da solo...
-È normale essere tristi ogni tanto! - gli rispose lei allegramente - L'importante è non lasciarsi abbattere e sorridere...il mio papà me lo dice sempre!
Lentamente, i tratti del volto della bambina iniziarono ad apparire sempre più nitidi e chiari: riuscì a intravedere i suoi capelli castani, raccolti con due piccole trecce e i suoi occhi grandi e luminosi, oltre al suo grande sorriso.
-Io mi chiamo Levi... - le disse guardandola come se avesse davanti un miracolo.
La bambina lo guardò felice e gli sorrise dolcemente.
-Io invece mi chiamo Zoe!Levi aprì lentamente gli occhi e cercó di inquadrare ciò che lo circondava. Si trovava in una stanza ed era notte, dato che era tutto buio. Cercó di sollevarsi sui gomiti ma avvertì una forte e dolorosa fitta all'addome. Spostò la coperta e si accorse che era a torso nudo, con delle bende che fasciavano la zona in cui provava dolore. Adesso gli tornarono in mente i ricordi della battaglia, dei Giganti e di come so era procurato quella ferita. Deve aver perso i sensi, visto che il suo vice aveva deciso di entrare a Nedley: tutto ormai diveniva più chiaro. Sospiró e ripoggió la testa sul cuscino.
Ripensó al sogno che aveva appena fatto, suscitandogli una miriade di sentimenti che non riusciva a decifrare.
-Hange... - sussurrò nostalgico, cercando di immaginare il volto della donna nel buio.
Come sarebbe stato bello, se si fossero conosciuti da bambini anche se nella realtà, forse, le cose sarebbero state diverse: Hange era una creatura di luce, che proveniva dalla superficie, mentre lui proveniva dalle tenebre della Città Sotterranea. Lei proveniva dall'alto, vicino al cielo e al sole, mentre lui dal buio, nelle viscere della terra. È stato grazie al suo ingresso nel Corpo di Ricerca, che si conobbero: lui era un ragazzo schivo e taciturno che se ne stava sempre da solo o con i suoi amici Isabel e Furlan. Era emarginato da tutti i colleghi, risentiti dal fatto che un pericoloso criminale fosse diventato uno di loro. Poi un giorno arrivò lei, come un raggio di sole che filtra dalle nuvole dopo una lunga tempesta, sprigionando entusiasmo da tutti i pori e complimentandosi con lui per la sua bravura e agilità in battaglia. Nessuno dei suoi colleghi l'aveva fatto prima di allora. Giorno dopo giorno, Hange si era avvicinata a lui e ai suoi amici, con la stessa delicatezza e discrezione con la quale si cerca di avvicinare un gattino ferito. Lei ed Erwin Smith lo avevano salvato dall'oscurità della Città Sotterranea e riportato alla luce: Erwin lo fece conducendolo in superficie, cancellando le sue colpe nei confronti della legge e dandogli un nuovo scopo nella vita; Hange, invece, curando giorno dopo giorno il suo cuore ferito, grazie ai suoi piccoli gesti, i suoi occhi carichi di vita, il suo sorriso e il suo eccentrico entusiasmo. Lei l'ha sempre trattato come un essere umano e non come una marionetta dalla furia omicida, da utilizzare al momento giusto come arma segreta. Fino a poco tempo fa, non era riuscito a capire quanto fosse stato fortunato ad averla incontrata nella sua vita. L'aveva sempre trattata con sufficienza e palese imbarazzo per via di quegli atteggiamenti spesso decisamente estroversi ed esuberanti, come non le importasse un accidente di ciò che pensavano gli altri. E forse proprio per questo lei, quel giorno, ebbe il coraggio di avvicinarsi a lui nonostante stesse nascondendo un pugnale dietro la schiena, pronto a colpirla nel caso in cui fosse andata lì solo per attaccare briga, come facevano gli altri.
Anche in quel sogno, Hange lo aveva salvato proprio come nella realtà, ridandogli una nuova prospettiva di vita, molto più bella e luminosa. Si rese conto che le mancava davvero da morire. Doveva rimettersi in sesto al più presto e riprendere la spedizione. Doveva trovare una nuova tattica per accellerare il rastrellamento del territorio e uccidere rapidamente tutti i Giganti rimasti. E soprattutto doveva assolutamente tornare tra le braccia di Hange, per espiare tutte quelle volte in cui era stato freddo e distaccato con lei, perché era solo un orgoglioso idiota che non capiva nulla.
Si passò una mano sul viso, ricordando con imbarazzo quella parte del sogno in cui lei aveva baciato la rana. Non sapeva se esserne divertito oppure disgustato, perché sarebbe stato proprio tipico di Hange fare una cosa simile.
-Certo che non si è trasformata, stupida Quattrocchi! Ce l'avevi proprio accanto, quell'idiota del principe azzurro!
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Offri il tuo cuore - A Levihan Story.
FanfictionAmmetto di essere in ritardo ma, come molti, sono rimasta estremamente colpita dal personaggio di Hanji/Hange Zoe dell'anime e manga di Hajime Isayama noto come "Attacco dei Giganti" . Ovviamente ho letto molte storie che fantasticavano di una ipot...