Memorie

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Trascorsero i giorni e Hange si dedicò con tutta sé stessa alla realizzazione della "sua" locomotiva. Quando fecero il primo collaudo, fu un vero e proprio successo e il suo entusiasmo fu incontenibile. Anche i lavori per la costruzione del Porto procedevano rapidamente tanto che i Volontari Antimarleiani riuscirono, tramite Zeke Jaeger che ancora permaneva a Marley, ad organizzare il primo l'arrivo di una nave di una delegazione di uno Stato straniero. Questo Stato fu in passato sconfitto dalla indiscutibile potenza bellica dei marleiani e continuò ad esistere solo subordinato ad essi. Ma adesso, il Regno di Hizuru, di antica stirpe orientale, era stufo della supremazia bellica ed economica di Marley e cercava un modo per sottrarsi dal suo giogo. Così, Yelena e Onyankopon annunciarono ad Hange il futuro arrivo di questa delegazione straniera e lei lo comunicò poi al Generale Zackary che, a sua volta, lo fece poi presente alla Regina Historia affinché si potesse organizzare l'incontro in modo ufficiale. Ad ogni modo, Hange era felice che si stavano muovendo i primi passi verso una nuova alleanza che poi avrebbe condotto alla pace, ma al tempo stesso, non riusciva a smettere di pensare al suo piccolo Erwin, che attendeva a Trost l'arrivo dei suoi genitori. A causa di questo nuovo avvicendamento di eventi, lei e Levi dovettero posticipare il giorno in cui avrebbero lasciato il Campo Base per affidarlo ad altri ufficiali. Non appena le palazzine abitative furono rese agibili, il Campo Base fu smantellato, pezzo per pezzo, per trasferirsi tutti nella nuova sistemazione logistica che sarebbe stata decisamente più confortevole per tutti. Come Comandante del Corpo di Ricerca, ad Hange spettarono degli alloggi più confortevoli nei quali Levi vi si intrufolava a tarda sera, come quando erano in città, per stare un pó da soli, in intimità.
Ormai erano trascorse un paio di settimane da quell'evento e Hange aveva ceduto la gestione del Porto di Paradis ad un alto ufficiale della Gendarmeria e, assieme a Levi, stava facendo ritorno a Trost, proprio come avevavo deciso, per potersi dedicare insieme al loro bambini. I ragazzi erano rimasti a Città del Porto per assicurarsi che i loro sostituti avressero assunto i loro incarichi e poi, alla fine di tutto, avrebbero fatto anche loro ritorno in città, visto che continuavano a essere i membri della Squadra del Capitano Levi.
Così, prima di proseguire il viaggio verso Trost, Hange decise di attraversare la città di Shiganshina, incuriosita nel vedere come stessero procedendo i lavori di ricostruzione. Le barriere di pietra, che Eren aveva realizzato con il suo potere dell'Indurimento per chiudere i varchi che erano stati creati dai nemici più di un anno fa, erano state aperte. Grazie alla tecnologia marleiana, erano stati scavati degli ingressi in modo da far transitare uomini, carri e cavalli, senza più ricorrere al sistema delle gru dell'Esercito. Nonostante questo piccolo ma significativo passo in avanti, la donna non proferì parola ne manifestò alcun entusiasmo. Levi, che cavalcava poco distante da lei, si era accorto che c'era qualcosa che non andava perché il suo silenzio parlava per lei. Hange, dal canto suo, con il volto impassibile, continuava a cavalcare in silenzio, eretta sul suo destriero, e con lo sguardo pensieroso rivolto in avanti.
-Ehi, Quattrocchi! Ti decidi a dirmi dove stiamo andando? - le domandò Levi, continuando a seguirla, con espressione un po' seccata.
-Non ti preoccupare! - gli rispose lei, sistemandosi i suoi occhiali protettivi con la punta delle dita - Voglio solo andare in un posto che non vedevo da tanto tempo...dobbiamo solo attraversare il secondo varco ed entrare all'interno del Wall Maria...è nella periferia di Shiganshina...sempre che non sia stata distrutta durante quella battaglia...
Levi aggrottò la fronte e continuò a cavalcare, restando sempre rispettosamente un po' dietro di lei. La città era ancora disabitata ma vi era un continuo via vai di operai che trasportavano materiali edili di ogni genere lungo le stradine, aiutandosi con delle carriole. Il Quartier Generale era stato ormai ristrutturato ed era già abitato dal personale dei vari corpi dell'esercito che coordinavano e sorvegliavano i lavori. Nonostante fosse pomeriggio inoltrato e gli operai avrebbero dovuto smettere di lavorare, si udiva ancora il loro vociare unito ai suoni secchi e metallici dei martelli, delle seghe e dei picconi.
-Di questo passo, il distretto potrà essere presto di nuovo occupato dai suoi abitanti - commentò Levi, mentre si guardava intorno.
-Già! - esclamò Hange senza alcun entusiasmo - La Regina sta mantenendo fede alla parola data...del resto...è uno dei tanti motivi per cui è molto amata dal popolo.
Per un attimo, Hange rivisse il momento il cui Historia accettò con rassegnazione di ereditare il Gigante Bestia di Zeke Jaeger, davanti alla delegazione di Hizuru. Lei, che aveva fatto e continuava a fare tanto per il suo popolo, ora era costretta ad accettare le condizioni di coloro che un tempo erano stati dei nemici per poter porre, in un futuro ancora molto lontano, fine alla guerra.
Mentre Hange continuava a pensare a quel giorno, lei e Levi attraversarono il varco a nord del distretto, trovandosi finalmente all'interno dei territori del Wall Maria. Iniziarono a percorrere la lunga strada della periferia di Shiganshina che, se percorsa fino alla fine, avrebbe condotto fino a Tros finché Hange cambiò improvvisamente strada, imboccando una piccola via che conduceva alle abitazioni periferiche più interne. Molte case erano state distrutte a seguito della battaglia contro il Gigante Bestia mentre altre, anche se un po' malandate, erano ancora in sesto. Il silenzio era imperante: si udiva solo il cinguettio degli uccelli e il fruscio del primo vento invernale che attraversava le fronde spoglie degli alberi, facendo cadere o svolazzare nell'aria alcune foglie che erano rimaste attaccate. Levi si avvolse un po' di più nel suo mantello verde, cercando di capire dove diavolo lo stesse conducendo. Dopo aver proseguito per qualche altro minuto lungo quelle viuzze, Hange tirò le briglie del cavallo e lo arrestò difronte ad una piccola abitazione, un po' più isolata dalle altre. Il giardino ormai era invaso da erbacce e tutta la casa, dalle mura ormai oscurate dall'usura del tempo, era avvolta da delle strane piante rampicanti ormai prive di foglie, cadute sicuramente per l'arrivo del primo freddo. Il tetto spiovente era crollato da un lato, mentre la porta d'ingresso sembrava essere stata sfondata. Hange osservava quell'abitazione come se davanti a sé avesse uno spettro, finché non udì la voce di Levi che la ridestò da quello strano torpore.
-Ehi, si può sapere che diavolo è questo posto? - le domandò l'uomo, guardandola con circospezione.
Hange inspirò profondamente, come per darsi coraggio. Senza rispondergli, smontò da cavallo e lo condusse, tenendolo per le briglie, verso la staccionata che circondava il giardino di quell'abitazione. Sotto lo sguardo decisamente perplesso di Levi, legò le briglie alla staccionata ed iniziò ad armeggiare con il cancello di legno, anch'esso in rovina. Mentre lei continuava con decisione a cercare di sbloccare il cancelletto, Levi smontò dal suo cavallo e, senza dire nulla, lo sistemò accanto a quello di Hange. Mentre dava qualche carezza al muso dei cavalli, sentì Hange brontolare spazientita qualche parola finchè non la vide dare un forte calcio al cancello, riuscendo a rompere i cardini e quindi ad accedere all'interno giardino. Lentamente, Hange si avvicinò all'uscio dell'abitazione. La porta si reggeva solo su un cardine e cercò di sistemarla in modo da poter accedere all'interno, senza che questa potesse caderle addosso. Contemporaneamente, Levi entrò nel giardino e notò che, una parte di esso, era circondato da molti vasi di terracotta che ormai contenevano solo del terriccio secco o qualche pianta selvatica.
Intanto, Hange era già all'interno dell'abitazione e incominciò a guardarsi intorno: era piena di polvere e ragnatele in ogni angolo. Stranamente il mobilio non era molto distrutto, proprio come in molte case che erano state abbandonate in fretta e furia dagli inquilini a causa dell'invasione dei Giganti nei territori del Wall Maria. Facendo attenzione a dove metteva i piedi, si avvicinò al tavolo di quella che un tempo era stata la cucina e, continuando a guardarsi intorno, iniziò a trascinarci i polpastrelli delle dita lungo la superficie impolverata, continuando a guardarsi intorno con espressione malinconica. Sul mobile dei fornelli erano ancora presenti delle pentole e su uno scaffale erano ancora impilati alcuni piatti. Per terra c'erano delle posate e dei pezzi di vetro che scricchiolarono sotto i loro stivali. Dalle finestre, con parte delle vetrate bucate come se fossero state colpite da sassi, iniziò a filtrare la luce del sole ormai in fase di tramonto.
-Avresti potuto scegliere un posto migliore per trascorrere la notte - brontolò Levi, cercando di mantenere la calma in mezzo a tutto quel caos.
A quel punto, lo sguardo di Hange cadde proprio sulla poltrona al lato di quella finestra. Si avvicinò e vide, con sorpresa, che per terra era riverso un libro. Si chinò sulle ginocchia e lo raccolse, iniziando a soffiarci sopra con decisione e creando così una bella nuvola di polvere. Seccato, Levi estrasse il suo fazzoletto dalla tasca della giacca e se lo mise sul naso e sulla bocca, per coprirseli.
Hange continuò a ripulire la copertina del libro, finché non riuscì a intravedere il titolo: "Elementi di Chimica". Sulle sue labbra, apparve un sorriso triste che Levi non riuscì ad ignorare.
-Questo...questo era uno dei libri preferiti di papà. Sicuramente, quel giorno...era intento a leggerlo...sarà caduto qui...quando fuggì via... - disse Hange a bassa voce, iniziando a sfogliare il libro, con espressione triste.
A quelle parole, Levi spalancò gli occhi, totalmente sbigottito. Quella non era una abitazione qualsiasi: quella era la casa dei genitori di Hange, dove lei aveva vissuto quando era bambina.
Sotto lo sguardo ancora attonito di suo marito, Hange si risollevò e posò il libro sul tavolo. Poi iniziò di nuovo a guardarsi intorno, come se si trovasse in una bottega o in una mostra di antiquariato.
-Questo era uno dei vasi preferiti di mamma...guarda! È ancora tutto intero! - esclamò meravigliata, mentre afferrava l'oggetto dall'interno della credenza.
Posò anche questo sul tavolo, proprio accanto al libro e, mentre lo ripuliva un pó dalla polvere, le ritornò in mente sua madre che, canticchiando allegramente, recideva con cura gli steli delle rose che aveva raccolto dal giardino, per poi porle proprio all'interno di quel vaso facendo attenzione a non pungersi con le spine.
Levi, quasi pietrificato, ancora non riusciva a credere che lo avesse condotto in quel posto che per lei era così intimo e speciale. Rispetto a lui che le confidò quasi tutto sulla sua vita passata, Hange era sempre stata abbottonatissima per quanto riguardava la sua infanzia ma adesso, per chissà quale motivo, aveva deciso di rivelargliela, a modo suo. Fino ad allora, non si era reso conto di quali e quanti segreti aveva celato nel profondo del cuore, come se avesse voluto proteggerli ma soprattutto come se avesse voluto proteggere sé stessa da ulteriori sofferenze. Dopo un breve sospiro, si rimise il fazzoletto in tasca e le si avvicinò pian piano, mentre lei era intenta ad aprire alcuni cassetti dei mobili per osservarne il contenuto. Le si mise accanto e, senza pronunciare una sola parola, le afferrò delicatamente la mano sinistra. Sorpresa da quel gesto, Hange si voltò verso di lui guardandolo con stupore dritto negli occhi. Levi comprese che Hange non metteva piede in quella casa da chissà quanto tempo e, per infonderle coraggio, iniziò poi ad accarezzarle dolcemente il viso, suscitando il lei un sorriso commosso.
-Sai... - iniziò lei a rivelargli, come se avesse ritrovato magicamente la voce - i miei genitori, per molto tempo, non riuscirono ad avere figli. Quando nacqui io, mia madre aveva quasi quarant'anni mentre mio padre quarantasette. Nonostante fossero due persone di scienza, considerarono la mia nascita un vero e proprio miracolo! Per questo mi diedero questo nome, Zoe, che in una lingua antica significa "vita".
A quelle parole, Levi sogghignò e pensó a quanto quel nome le si addicesse, visto che lei era diventata il suo scopo di vita. Dopo qualche istante, Hange gli lasciò la mano e si diresse verso il tavolo, dove aveva posato il libro e il vaso.
-Mio padre era uno stimato geologo ed era famoso in tutto il Regno - iniziò a raccontare mentre sfogliava il libro - Assieme alla sua squadra, scoprì numerose miniere di carbone nel Regno e di altri materiali preziosi, come l'oro. Per ricompensarlo, il re di allora gli fece dono di alcune proprietà e gli assegnò una cattedra all'Università di Stohess. Fu qui che conobbe mia madre: lei era una ricercatrice botanica e mio padre dovette corteggiarla molto per conquistare il suo cuore. Poi si sposarono e dopo molto anni, proprio nel momento in cui avevano perso ogni speranza, nacqui io e...sconvolsi letteralmente le loro vite!
-Su questo non ho dubbi...visto che...tu hai sconvolto anche la mia! - commentò Levi sarcasticamente, con espressione seria e inarcando un sopracciglio, cercando di immaginarla da bambina.
Hange ridacchiò e poi si morse il labbro inferiore, arrossendo lievemente. Chiuse nuovamente il libro e il suo sguardo si fece nuovamente pensieroso.
-Chissà se... - rifletté giocherellando con una ciocca di capelli.
A passo svelto, entrò nella stanza accanto.
-Vieni, Levi! Le scale non sono state distrutte! - esclamò iniziando a salire verso il piano superiore.
Levi, che era rimasto ancora lì, si passò una mano tra i capelli e, lentamente, entrò nella stanza accanto. Le pareti erano circondate da scaffali ancora pieni di libri e al centro vi era posizionato un divano e un paio di poltrone: di sicuro, quello era il salotto. Cercando di fare attenzione a dove metteva i piedi, iniziò a salire le scale che, ad ogni passo, emanavano dei forti scricchiolii.
Hange era entrata proprio nella stanza in cui era crollato il tetto e, al suo ingresso, degli uccellini che avevano fatto in quel posto il loro nido, fuggirono via verso il cielo. Da dietro di lei, Levi riuscì a riconoscere ciò che ne era di un letto matrimoniale e di altri mobili. A quel punto, la donna si voltò e di diresse nell'altra camera, sempre seguita da lui.
-Per fortuna il tetto della mia camera non è crollato! - esclamò con entusiasmo, dopo essersi posizionata al centro della stanza.
Levi vi fece ingresso timorosamente e rispettosamente, come se stesse varcando un luogo sacro e proibito. In quella stanza sembrava che il tempo si fosse fermato, se non fosse che era totalmente invasa dalla polvere. Il letto sembrava appena fatto e accanto ad esso, proprio vicino alla finestra, c'era una scrivania su cui erano ancora posati un paio di libri, dei quaderni e una vecchia lampada ad olio. Era presente, inoltre, un armadio a muro, un comodino accanto al letto e una piccola libreria, con altri libri sistemati al suo interno. Con fatica, Hange aprì la finestra per far entrare un po' d'aria pulita.
-Credo che mamma la sistemò dopo l'ultima volta che venni qui a trovarli ed è rimasta poi così. Mi rimproverava sempre per il mio disordine! - disse ispirando una boccata di aria fresca.
-Posso immaginare! - commentò Levi, sempre con sarcasmo, cercando in qualche modo di stemperare quell'atmosfera carica di emozioni.
-Si! - ridacchiò Hange guardando al di fuori la finestra, che dava verso il giardino e controllando che i cavalli stessero bene - Se la prendeva sempre con papà, dicendogli che avevo preso da lui, visto che...anche lui era molto disordinato!
Chiuse gli occhi e ricordò il volto di suo padre: aveva i capelli neri, folti, corti ma crespi proprio come i suoi. I suoi occhi erano sottili, a mandorla, come se avesse avuto antenati di sangue orientale e il suo sguardo, dietro gli occhiali, esprimeva serenità, allegria e anche saggezza. Le sue labbra erano sempre sorridenti, soprattutto con lei. Anche se dedicava molto tempo al suo lavoro, l'uomo non disdegnava di ritagliarsi dei momenti da dedicare interamente a sua figlia, giocando allegramente con lei e nutrendo la sua precoce sete di curiosità. Sua madre, invece, aveva i capelli castani e gli occhi grandi e gentili. Anche se la rimproverava spesso perché era una bambina molto irrequieta, Hange ricordava ancora la sua voce calma e gentile, il modo così particolare che aveva quando le leggeva delle favole e il calore dei suoi abbracci. Commossa da quei ricordi, si voltò poi verso Levi, che era in piedi a pochi passi da lei, accanto al letto, rimanendo poggiata al traverso della finestra.
-Fu mio padre a suggerirmi di arruolarmi nell'Esercito e di entrare a far parte della Squadra di Ricerca - disse dopo essersi sistemata gli occhiali - Nonostante loro non mi avessero fatto mancare nulla, io volevo sapere cosa si celava oltre le Mura e lui mi disse che solo gli Esploratori del Corpo di Ricerca erano autorizzati a varcarle. Anche se mamma era fortemente contraria, non appena compì dodici anni decisi di arruolarmi tra i cadetti. Ormai il mondo dentro le Mura non mi bastava ed io volevo sapere sempre di più...ancora e ancora e...e...e soprattutto scoprire perché i Giganti ci odiano così tanto. Avresti dovuto vedere l'espressione di mia madre quando arrivò la lettera di convocazione: andò letteralmente su tutte le furie! Lei avrebbe voluto che proseguissi gli studi in Università...che  diventassi una scienziata come lei o papà ma a me non bastava...sapevo che non mi sarebbe bastato e quindi partí.
Dopodiché, Hange allungò la mano verso la scrivania e afferrò uno dei quaderni, lasciando sul ripiano il segno rettangolare causato dalla polvere. Si voltò fuori dalla finestra e iniziò a soffiare su di esso, creando la solita caratteristica nuvoletta pulviscolare.
-Questo era uno dei miei quaderni di appunti che portai a casa, nei giorni di licenza - riprese a raccontare, mentre lo sfogliava.
Timidamente, Levi si mise accanto a lei osservando incuriosito ciò che c'era scritto su quelle pagine. Come sempre rimase colpito nel constatare, nonostante Hange fosse tremendamente disordinata, quanta cura e precisione dedicava nella compilazione dei suoi appunti. Stranamente, solo in quell'istante, si stava rendendo conto di quanto fosse bella la sua calligrafia.
-Ma qui non c'è scritto nulla sui Giganti! - constatò poi un po', stupito.
-Si...agli inizi, quando uscivamo per le spedizioni, mi dedicavo solo ad osservare e segnalare tutto ciò che non era stato classificato all'interno dei Regno, come piante, funghi o insetti - gli rispose Hange, mentre osservava un disegno di una pianta - il mio interesse per i Giganti, nacque da quel giorno...
-Quale giorno? - le chiese subito Levi, sollevando lo sguardo cercando di incrociare quello della donna.
A quel punto, quello di Hange si perse nel vuoto e le sembrò di avvertire un nodo in gola, come se le mancasse il respiro.
-Dal giorno...in cui...i Giganti...uccisero i miei genitori... - pronunciò infine con molta, molta fatica, come se ciò le procurasse dolore fisico.
Levi, sorpreso, la fissò con espressione attonita. Aveva supposto che i genitori di Hange non fossero più in vita, ma mai aveva pensato che fossero stati divorati dai Giganti.
-Quel giorno stavamo rientrando da una disastrosa spedizione fuori dalle Mura, dove persino io rimasi ferita, quando...quando ad un certo punto udimmo il suono delle campane e del fumo levarsi proprio in direzione di Shiganshina - iniziò a raccontargli la donna continuando a sfogliare quel quaderno, come se nulla fosse - Mentre un gruppo continuò a dirigersi verso Trost per portare in salvo i feriti più gravi, noi altri cavalcammo di corsa verso Shiganshina per capire cosa stesse succedendo quando, a metà strada, incontrammo un uomo del Corpo di Guarnigione che, cavalcando a rotta di collo, ci urlava di fuggire, perché i Giganti avevano creato una breccia nel distretto e si stavano quindi riversando in massa all'interno del Wall Maria. Fu una notizia a dir poco sconvolgente! All'epoca, il nostro Comandante era ancora Keith Shadis e lui ordinò di formare delle squadre per andare in aiuto alla popolazione che tentava di mettersi in salvo. Riuscimmo a formarne tre, due delle quali erano capitanate rispettivamente da Mike e da Erwin. Io seguì il mio Caposquadra, ma i miei pensieri erano rivolti solo verso i miei genitori, che abitavano proprio qui, nella periferia. Non so cosa mi passò per la testa, ma ero convinta che loro, dato che vivevano qui, erano riusciti a mettersi in salvo da qualche parte. Ma...io...io non immaginavo che mi sarei trovata davanti all'inferno e al caos...
Mentre lei continuava a raccontare, Levi non riusciva a pronunciare una sillaba.
-Quando finalmente arrivammo nei pressi di Shiganshina, era troppo tardi! I Giganti, posseduti da chissà quale frenesia, si stavano già riversando velocemente all'interno dei territori del Wall Maria. In tutti gli anni passati, durante le spedizioni, non ne avevo mai visti così tanti e... e mi chiedevo dove si fossero nascosti fino ad allora. Già in lontananza, riuscì a udire le urla disperate della gente che tentava invano di fuggire. Ricordo che ignorai gli ordini di ripiegare del mio Caposquadra e che lanciai il mio cavallo verso quella mattanza. Dovevo trovare i miei genitori. Dovevo salvarli! Io non...non potevo abbandonarli! Avevo una brutta ferita all'addome, ma il dolore era niente in confronto alla paura di non arrivare in tempo. Arrivai nei pressi di casa e smontai da cavallo urlando i loro nomi, con tutta la voce che avevo in gola. Ma nulla. La gente continuava a urlare e a fuggire terrorizzata dappertutto! Si udivano i pianti dei bambini e il tonfo pesante e inconfondibile dei passi dei Giganti che avanzavano inesorabilmente, afferrando chiunque capitasse loro a tiro e divorandoli senza pietà. Ad un tratto, tra la folla, li intravidi...i miei genitori! Stavano scappando, mano nella mano, come tutti gli altri. Urlai i loro nomi e loro mi videro. Dissi loro che ero ritornata indietro per salvarli e sui loro volti apparve una luce di speranza quando...all'improvviso...dei Giganti Anomali si lanciarono verso di loro e...iniziarono ad afferrare delle persone e tra questi...capitò mio padre. Lui diede subiti uno spintone a mia madre, prima che il Gigante afferrasse anche lei e le urlò di fuggire, di mettersi in salvo. Io...io ero letteralmente paralizzata dal terrore! Ero...ero così terrorizzata che non riuscì nemmeno a sguainare le lame. Quando sentì le urla di terrore e disperate di mia madre, fui pervasa da una...strana energia...all'epoca non sapevamo ancora come eliminarli, ma non potevo lasciar morire mio padre! Se avessi reciso la mano del Gigante, lui sarebbe stato libero e lo avrei portato in salvo ma...non feci in tempo a sguainare le lame che...che...che il Gigante fu più veloce di me e lo divorò proprio sotto i nostri occhi. Io credo...credo che, in quell'istante, con lui morì anche mia madre perché... lei...cadde sulle ginocchia...inerme...come una bambola di pezza, priva di vita. Corsi verso di lei e cercai di tirarla su...ma lei nulla! Non si muoveva. Le urlai di seguirmi, che si sarebbe salvata...ma lei nulla. Nulla! Di fronte a quel caos, lei non riuscì a muovere un solo muscolo, nemmeno quando lo stesso Gigante, che aveva divorato mio padre, si stava dirigendo verso di noi. Riuscì a sussurrarmi solo due parole: "Vivi, Zoe!"... Non dimenticherò mai quelle parole!...Mentre cercai di trascinarla via con tutte le forze che mi restavano in corpo, veloce come un fulmine, apparve Erwin e...e mi afferrò per il mantello e mi sollevò di peso, caricandomi sul suo cavallo come...come un...un sacco di patate! Gli implorai di lasciarmi andare, che quella era la mia mamma e che non potevo abbandonarla lì ma lui...lui non mi ascoltò. Lanciò subito il cavallo al galoppo e poi...poi...le urla...
Hange chiuse di colpo il quaderno e lo strinse verso il petto. Il suo volto era addolorato, ma non scendeva nemmeno una lacrima dai suoi occhi, come se le avesse versate tutte da tempo. Levi aveva gli occhi spalancati e persi nel vuoto. Era come se, in quegli istanti, avesse visto e udito tutto ciò che lei aveva vissuto quel giorno. Vedeva Hange, riversa sul cavallo di Erwin, che urlava disperatamente di tornare indietro con gli occhi grondanti di lacrime mentre l'uomo, apparentemente inflessibile, la stava conducendo al sicuro per salvarle la vita.
-Credo che persi i sensi a causa delle mie ferite perché ricordo di essermi risvegliata a Trost...nell'area riservata ai feriti...avvolta in una coperta, in uno dei capannoni adibiti a rifugio per la popolazione di Shiganshina - continuò Hange, mentre si sistemava un ciuffo di capelli dietro le orecchie - Ricordo solo un fortissimo dolore alla testa e, solo dopo pochi minuti, realizzai dove mi trovavo. Sentivo i pianti dei bambini orfani...delle donne che avevano perso i loro figli o mariti...i lamenti dei feriti. C'era chi chiedeva cibo...chi dell'acqua...chi aveva bisogno di cure...chi chiedeva quale sarebbe stato il loro destino...chi pregava! Vi era una cacofonia di suoni davvero indescrivibile! Mi alzai in piedi e iniziai a camminare tra la folla. Gli uomini della Gendarmeria e della Guarnigione cercavano di rassicurare il più possibile quella povera gente, ma io...io non riuscivo a trovare i miei compagni. Mi sembrava tutto surreale...un incubo! Un incubo dal quale non riuscivo più a svegliarmi. In quel momento, mentre udivo il pianto disperato di un povero bambino, capì che il nostro mondo era caduto. Nella mia mente apparvero i volti dei miei genitori e, in preda al panico, iniziai a cercare Erwin ma lui non c'era da nessuna parte. Come una sciocca, credetti che fosse tornato indietro a salvare i miei genitori quando...quando Mike apparve all'improvviso e si piantò di fronte a me. Mi guardò dall'alto della sua imponente statura, senza dirmi nulla per qualche secondo ma con espressione afflitta. Gli chiesi dove fosse Erwin...che dovevo tornare indietro a salvare i miei genitori...ma lui...lui afferrò le mie mani e mi consegnò una piccola cornice. La riconobbi: era la cornice che conteneva l'unico ritratto dei miei genitori, assieme a me, quando avevo cinque anni. Mi disse che era dispiaciuto e che purtroppo non ci fu nulla da fare: i Giganti erano troppi e fu impossibile affrontarli. A quel punto, mentre guardavo i visi dei miei genitori dipinti in quel ritratto...mi ritornò tutto in mente...mi apparve davanti agli occhi la loro tragica, orribile, e ingiusta morte. Avvertì il mio cuore andare in frantumi...credo...di non aver mai provato un dolore simile in tutta la mia vita e...il mio pianto di unì a quello degli altri, in quel capannone. Avrei voluto tanto dir loro qualche parola...avrei voluto tanto dir loro quanto li amavo e che ero fiera di loro...ma non ho potuto! Non mi fu concesso! Era qualcosa che...mi straziò davvero il cuore! Eppure...in preda a quella disperazione...sentì che il dolore e la tristezza iniziarono a far spazio alla rabbia e al desiderio di vendetta...un incommensurabile desiderio di vendetta! Stringendo il ritratto dei miei genitori, a quel punto, giurai sulla mia vita che li avrei uccisi tutti! Lì, in mezzo a quel caos di dolore e disperazione, giurai che avrei vendicato i miei genitori, sterminando tutti i Giganti!
Quelle parole suonarono molto strane e singolari alle orecchie di Levi: da quando la conosceva, Hange si era dimostrata sempre contraria all'uccisione indiscriminata dei Giganti eppure, un tempo, parve essere stata propensa a farlo. Abbassò lo sguardo verso il pavimento, rattristato nell'aver preso consapevolezza che, fino a quel momento, aveva saputo poco o nulla sul passato della donna che amava e che adesso era diventata sua moglie. Non riusciva ad immaginare quanto debba aver sofferto e come affrontò, da sola, come era sua abitudine, tutto quel dolore indescrivibile.
-Dopo aver recuperato le forze e stabilito un piano - riprese Hange a raccontare, interrompendo i suoi pensieri - partimmo per una spedizione all'interno del Wall Maria e...se ci penso ancora non riesco a crederci...ci ritrovammo davanti a un gruppo di Giganti tra cui c'era anche quello che aveva mangiato mio padre e mia madre. Mai e poi mai avrei dimenticato quel volto ed è...tutt'ora impresso nella mia mente! Ignorai ancora gli ordini del mio Caposquadra e misi egoisticamente a rischio la vita dei miei compagni. Era la mia occasione! Nessuno mi avrebbe fermata! Non mi importava di niente e di nessuno...nemmeno di morire! Tanto...non avevo nulla da perdere! Per cui, pervasa da chissà quale frenesia, mi scagliai sul Gigante e riuscì ad ucciderlo, recidendogli completamente la testa in un colpo solo! Ancora in preda al furore, non appena atterrai al suolo, diedi un fortissimo calcio a quella testa enorme che iniziò a rotolare come un pallone...così...per sfregio! Ma quel gesto mi fece improvvisamente riaprire gli occhi e mi sembrò come se...come se mi fossi risvegliata da un lungo sonno! Mi resi conto che quella testa era troppo leggera per essere quella di un Gigante! Fu davvero come calciare un pallone d'aria e questo mi sembrò...davvero strano e incredibile! Come poteva la testa di un Gigante essere così leggera? E soprattutto perché era così leggera? Mi tornarono in mente le parole di mio padre, quando da bambina mi spiegò che per conoscere davvero qualcosa, bisogna studiarla. Così compresi che questo concetto poteva essere applicato anche in guerra: se si studia e si conosce il nemico, si possono scoprirne i punti deboli in modo da sfruttarli a proprio vantaggio! Compresi che stavamo combattendo un nemico di cui non sapevamo un accidente di niente e questa cosa doveva cambiare! Sapevo che potevo cambiare le carte in tavola e che forse c'era una speranza! E così, da allora, iniziai a dedicarmi allo studio dei Giganti e poi...poi...sei arrivato tu e...il resto lo sai!
Hange si voltò verso Levi e gli sorrise timidamente, ricordando il giorno in cui lo vide per la prima volta e notando poi sul suo viso un'espressione amareggiata.
-Perché hai quella faccia? - gli domandò un po' preoccupata grattandosi una tempia con l'indice.
-Avrei voluto che tu non avessi vissuto mai tutto questo...Hange...io...io non avrei voluto...- le rispose Levi, sollevando lo sguardo verso il suo e guardandola intensamente con i suoi profondi occhi azzurri.
Hange gli sorrise dolcemente, intenerita dal fatto che Levi avesse voluto proteggerla anche allora, quando ancora non si conoscevano e quando lui era ancora il criminale più ricercato della Città Sotterranea.
-Ma sono contento che tu abbia finalmente avuto il desiderio di confidarti con me, portandomi in questo posto...io...ne sono...onorato! - le disse poi avvicinandosi lentamente verso di lei.
Le afferrò delicatamente il mento e avvicinò le labbra alle sue, dandole un lungo ed amorevole bacio. Felice, nell'aver affrontato il suo passato assieme all'uomo che amava, Hange gli sorrise nuovamente e posò poi la testa sulla sua spalla, abbandonandosi tra le sue forti braccia.
-Merda! Si è fatto buio! - esclamò Levi improvvisamente con la sua espressione annoiata, dopo aver constatato che il sole era tramontato da un pezzo.
-È vero! - rise istericamente Hange - Credo di aver chiacchierato un po' troppo!
-Come al solito! - sospirò Levi, ironicamente ma senza alcun cenno di rimprovero - Vieni! Dobbiamo prepararci per la notte e sistemare i cavalli.
-Possiamo dormire qua dentro, stanotte - gli suggerì lei mentre si risistemava la coda dei capelli.
-Te lo puoi scordare! - brontolò lui mentre si approntava a saltar fuori dalla finestra con il dispositivo di manovra tridimensionale.
-Oh, ma certo! Non sia mai che un granello di polvere possa soffocarti nel sonno! E comunque, se mi dai una mano, potremmo almeno sistemare il bagno, così puoi farla in santa pace e in tutta comodità - disse Hange sarcasticamente, scuotendo le spalle fingendo di essere seria.
A quel punto, sulle labbra di Levi comparve un leggero sorriso e scosse la testa, divertito.
-Muoviti! - esclamò infine, sorridendo e guardandola con la coda degli occhi, prima di lanciarsi dalla finestra.

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