Il Risveglio

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Levi aprì lentamente gli occhi. I raggi del sole filtravano timidamente dalle tende della finestra. Un altro giorno era appena iniziato.
-Di nuovo...
Si fece forza e si mise seduto a bordo letto. Si guardò i piedi e cominciò a muoverne le dita. Tutto sembrava essere al suo posto.
Appoggiato accanto al comodino, c'era un bastone da passeggio in legno, nero e con il pomolo in metallo finemente intarsiato. Si allungò per afferrarlo e lentamente si mise in piedi. Ormai non provava alcun dolore anche se l'articolazione del ginocchio sinistro era irrimediabilmente compromessa e non gli consentiva più di camminare come una volta.
Lentamente, di diresse verso il bagno. Si fermò davanti al lavandino e posò il bastone accanto al muro. Ogni gesto, ormai, era divenuto meccanico.
Afferrò il bordo del lavandino e si sostenne per evitare di perdere l'equilibrio. Sollevò lo sguardo e si guardò allo specchio. Una grande e profonda cicatrice, che partiva dalla fronte e scendeva sull'occhio occhio destro ormai del tutto cieco, squarciava il suo viso fino alle labbra e il mento. Un'altra, un po' più piccola, era sulla guancia destra.
Il suo sguardo era spento, vuoto, privo di quella particolare luce della vita che caratterizzava i vivi. Con la punta delle dita, sfiorò la cicatrice più grande in tutta la sua lunghezza scendendo giù fino all'anello che portava sempre al collo. Quella cicatrice e quell'anello, da cui non si era mai separato, erano tutto ciò che gli era rimasto del suo amore perduto per sempre, Hange. Erano trascorsi tre lunghissimi e interminabili anni e non aveva mai smesso di pensare a lei. Mai. Nemmeno per un istante. Riusciva ancora a vedere il suo viso, il suo sorriso, i suoi bellissimi occhi, come se lei fosse un fantasma che sfuttuava incessantemente accanto lui. Del resto, anche lui era diventato un fantasma di sé stesso, una pallida ombra dell'uomo che era un tempo. Improvvisamente, nella sua mente, riecheggiò il suono della risata inconfondibile e contagiosa della donna. Deglutí, provando un forte nodo alla gola. Sembrava così vicina, così reale, come se lei fosse davvero presente in casa, da qualche parte; come se potesse correre da lei, stringerla forte a sé e raccontarle dell'orribile incubo dal quale si era svegliato. Ma non poteva. Purtroppo, tutto quello che aveva vissuto, non era stato solo un incubo.
La realtà era ben altra. Tutto quello che vedeva, sentiva e provava era solo un crudele e sadico gioco della sua mente ormai spezzata a causa delle innumerevoli sofferenze che la vita gli aveva imposto e quest'ultima gli aveva inferto il colpo di grazia. Una mente così diabolica, che non mancava di ricordargli il momento il cui Hange decise di sacrificare la sua vita.
"Offri il tuo cuore", riuscì a dirle in quegli istanti di caos più totale. Avrebbe voluto aver avuto la forza di fermarla e impedirle di compiere quel sacrificio. Avrebbe voluto aver avuto la forza quella volta in cui lei gli aveva salvato la vita, nella foresta, di mettere da parte il senso del dovere e di fuggire assieme a lei. Avrebbe voluto aver avuto il coraggio di smettere di essere un soldato e di essere invece un uomo.
Ogni volta che riemergevano quei ricordi, si sentiva soccombere in un turbinio di sensazioni negative che gli corrodevano l'animo come un cancro inarrestabile. Si sentiva un vigliacco e un debole. Vigliacco per non aver avuto la forza di prendere il posto della sua donna; debole, perché il suo corpo aveva perso l'incredibile potere su cui aveva sempre fatto affidamento. Un potere che lo aveva abbandonato proprio nel momento del bisogno. Un potere che non gli aveva permesso di salvare sua moglie che aveva visto schiantarsi a terra, avvolta dalle fiamme, dopo aver abbattuto dei Giganti Colossali per consentire loro di salvare il mondo. Un potere, che alla fine, si era rivelato totalmente inutile.
Furibondo e disgustato dalla sua immagine riflessa, scagliò un possente pugno con ciò che gli rimaneva della mano destra contro lo specchio, frantumandolo in mille pezzi.
-Merda!
Alcune schegge si erano infilate nella mano che, a poco a poco, stava iniziando a sanguinare. Maldestramente, prese un l'asciugamano e la avvolse in esso. Riafferrò il bastone e si diresse in salotto, andando a sedersi su una delle sedie intorno al tavolo. Sulla parete c'erano appese delle foto in cui erano ritratti Armin ed Annie; alcune in cui erano presenti anche Connie, Jean, Pieck, Reiner, Gabi, Falco e Onyankopon; e infine una dove c'era lui, seduto su una poltrona, con Gabi e Falco, sorridenti, in piedi ai due lati. Si soffermò a guardare quella foto: i due, ormai quindicenni, a causa dei Colossali, avevano perso le loro famiglie e vivevano a casa di Reiner che in quegli anni non aveva mai smesso di prendersi cura di loro. Nonostante ciò, erano quasi sempre a casa di Armin e Levi e cercavano in ogni modo di allietare le giornate di quest'ultimo quando non dovevano andare a scuola. Essere dei guerrieri cadetti, per loro, era ormai un lontano ricordo e Gabi, soprattutto, si era particolarmente affezionata a quell'uomo che, durante l'ultima battaglia, l'aveva protetta come una figlia. Armin aveva lasciato loro persino le chiavi dell'appartamento in modo che potessero entrare quando volevano e verificare che l'uomo stesse bene, ora che era partito per Paradis assieme ad Annie e a tutti gli altri.
Ad un tratto, dalla porta d'ingresso, udì il rumore di chiave che gira all'interno della serratura .
-Shhhh, smettila! Stai facendo troppo rumore, potresti svegliarlo!
-Se parli a voce così alta potresti svegliarlo tu, invece!
Levi storse gli occhi al cielo e sospirò: erano proprio le voci di Gabi e Falco. Parli del diavolo e spuntano le corna, pensò.
Aperta la porta, i due iniziarono a guardarsi intorno. La sala era semi buia. Sembrava che non ci fosse nessuno quando poi Levi rivelò la sua presenza, facendoli trasalire.
-Mocciosi, dovete fare sempre tutto questo baccano? - disse loro.
-Ah, sei sveglio allora! - esclamò Gabi, allegramente, mentre Falco chiudeva la porta.
La ragazza stringeva tra le mani un mazzolino di fiori.
-C'è troppo buio in questa stanza - borbottò subito Falco, andando a raccogliere le tende della finestra.
-Oggi è davvero una splendida giornata! - disse poi Gabi mentre i raggi del sole iniziarono a illuminare quasi con prepotenza tutta la stanza.
Prese il vaso che era posato sul tavolo, andò in cucina, gettò i fiori vecchi, lo riempì con acqua pulita, sistemò i fiori freschi e lo riportò sul tavolo in salone. Gabi era diventata una fanciulla bella e aggraziata, anche se aveva mantenuto la stessa sfrontatezza e vivacità di quando era solo una bambina.
-Non dovevate andare a scuola? - chiese Levi, rimanendo seduto, col volto chino, a fissare il vuoto.
-Il nostro insegnante sta poco bene - spiegò Falco mentre finiva di drappeggiare le tende - Siamo andati a scuola e il Preside ci ha detto di ritornare lunedì.
-Capisco... - disse Levi.
-Così possiamo stare molto più tempo insieme! - sorrise Gabi, avvicinandosi a lui per dargli un rapidissimo e affettuoso bacio sulla guancia come faceva sempre ma si fermò non appena vide la mano destra dell'uomo avvolta in un asciugamano sporco di sangue.
-Santo cielo! Che cosa è successo? - esclamò allarmata.
Falco accorse subito da lei che, delicatamente, stava sfilando l'asciugamano dalla mano di Levi che non accennava a muoversi di un solo millimetro. Si accorse che, per terra, c'erano alcune gocce di sangue. Le seguí e lo condussero al bagno. Vide lo specchio ridotto in frantumi ma ancora appeso al muro, sopra al lavandino. Affranto, trasse un profondo respiro e sospirò, scuotendo il capo.
-Falco! Porta la cassetta medica - gli chiese Gabi, ad alta voce.
Senza rispondere, aprí uno dei cassetti dell'armadietto del bagno e prese la scatola, ritornando da loro.
-Che cosa è successo in bagno? Lo specchio è rotto - disse posando la scatola sul tavolo, vicino a Gabi.
Levi sbuffò e abbassò lo sguardo.
-C'era una zanzara... - rispose.
-Accidenti! - esclamò Gabi, sconcertata, mentre prendeva una pinza dalla scatola - E c'era bisogno di spaccare tutto? A volte, sei davvero esagerato.
Falco fissò l'uomo mentre Gabi, delicatamente, gli stava estraendo i minuscoli frammenti di specchio conficcatisi nella mano: non credette alla risposta che aveva dato ma non disse nulla. Rassegnato, prese una scopa e andò a pulire il bagno.
-Oggi è proprio di pessimo umore - borbottò tra sè mentre raccoglieva la sporcizia con una paletta.
Nel frattempo, Gabi finí di estrarre i frammenti. Prese poi la boccetta di tintura di iodio e con delle bende pulite iniziò a tamponare le ferite. Sul viso di Levi non c'era il benché minimo segno di dolore. Infine, con altre bende pulite, gli fasciò la mano.
-Ecco fatto! - esultò.
Levi, finalmente, si girò verso di lei e la guardò. Sospirò e si sollevò in piedi, aiutandosi con il bastone. Poi le scompigliò i capelli: era un piccolo gesto affettuoso che spesso concedeva ai due ragazzi.
-Preparo del tè - disse, ma Gabi lo fermò subito.
-Non devi sforzare la mano! Resta seduto, ci penso io! - disse premurosamente la ragazza, mettendosi in piedi.
-Ehi, Falco! Smetti di fare quello che stavi facendo e prepara il tè - disse Levi ad alta voce, tornando a sedersi.
Gabi fece il broncio e incrociò le braccia.
-Vorresti dire che non sono brava a fare il tè? - chiese con tono quasi minaccioso.
-Ancora non ho intenzione di avvelenarmi. Quando lo farò, stai pur certa che ti avviserò - rispose Levi guardandola dritta negli occhi.
-Sei davvero scortese! - brontolò lei, offesa.
-Dai, Gabi! Non te la prendere! - ridacchiò Falco, mentre iniziava a riempire la teiera con l'acqua - Levi stava solo scherzando, non è vero?
-Affatto - disse lui.
Gabi sbuffò e prese le tazze dalla credenza.
-Avrei dovuto conficcarti altri vetri su quella mano! - brontolò mentre le sistemava sul tavolo.
-Fa pure, tanto ormai non provo più alcun dolore.
A quella frase di Levi, Falco sollevò gli occhi al cielo e sbuffò: era chiaro che Levi era di cattivo umore ma non sopportava vedere i due bisticciare per delle assurdità. Lui era un uomo molto ostinato ma Gabi lo era quasi quanto lui e quando i due bisticciavano avrebbe voluto rompersi la testa contro uno spigolo.
-Piantatela, voi due! - esclamò il ragazzo dopo aver acceso il fornello - Oggi è una splendida giornata! Quindi ci faremo una lunga passeggiata verso il centro per schiarire un po' le idee...farà bene a entrambi...
E così fecero, dopo aver fatto colazione. Levi si vestì in modo sobrio ma ricercato come il suo solito. Anche se non aveva imparato ad apprezzare la moda marleiana, era riuscito a trovare qualche abito che rispecchiva i suoi gusti.
Grazie alla sedia a rotelle, Gabi e Falco lo portarono nella piazza più grande della città che, dopo la Marcia dei Colossali, era stata in parte ricostruita dai sopravvissuti. Ora si viveva tutti insieme, pacificamente, senza distinzioni tra eldiani e non. Mentre Falco guidava la sedia a rotelle, Gabi andò a comprare un giornale per Levi che amava tenersi aggiornato su ciò che accadeva nel mondo. In prima pagina, c'era la notizia che "gli ambasciatori" erano stati accolti positivamente dalla Regina di Paradis. L'articolo era accompagnato da una foto di Armin e di tutti gli altri.
-Meno male! - esclamò Falco, sollevato, dopo aver dato una sbirciata dall'alto mentre Levi leggeva con attenzione.
-Spero solo che ritornino presto - commentò Gabi che passeggiava accanto a lui - Reiner mi manca tanto...e anche Pieck...
Levi non disse nulla, continuando a sfogliare il giornale e a farsi portare in giro dai ragazzi.
Giunsero nei pressi del lungomare, dove la gente era solita passeggiare come un tempo. Anche questo era stato ricostruito cercando di mantenere l'architettura precedente. Soffiava una brezza davvero piacevole. Levi abbassò il giornale e si godè quel venticello che scompigliava leggermente i suoi capelli ancora nerissimi.
-Fermati - disse a Falco - Ho voglia di fare due passi.
Si fece dare il bastone da passeggio e si sollevò in piedi. Si avvicinò verso il parapetto e si mise a scrutare l'orizzonte. Il sole faceva scintillare il mare come se fosse ricoperto di diamanti.
Anche Gabi e Falco si fermarono a contemplare quel bellissimo paesaggio, nonostante lui avesse occhi solo per lei. Gabi, sentendosi osservata, si voltò verso di lui e arrossì. Poi gli sorrise e gli si avvicinò. Gli diede un bacio sulla guancia e Falco, felice, la cinse a sé dalle spalle con un braccio. Dopo la guerra, Gabi aveva finalmente compreso che i suoi sentimenti, per Falco, non erano di semplice amicizia ma che ne era innamorata, anche se era un po' troppo orgogliosa per ammetterlo.
Il rumore delle onde del mare sui frangiflutti era accompagnato dal verso gracchiante dei gabbiani. Improvvisamente, una forte folata di vento fece volare il grazioso cappellino di Gabi e, mentre Falco ridacchiava divertito, lei corse a riprenderlo.
Nel frattempo, Levi si passò una mano tra i capelli e sospirò. Se solo Hange fosse lì, pensò. Ancora ricordava il suo viso, il suo sorriso e i suoi splendidi occhi quando vide per la prima volta il mare. Era così bella che ricordò che, in quell'istante, gli mancò il respiro e provò l'ennesima dolorosa stretta al cuore.
Gabi si chinò per afferrare il suo cappellino ma un'altra mano lo fece per lei. Il viso della ragazza si illuminò di meraviglia non appena riconobbe il volto di Armin che, subito, le fece cenno di stare in silenzio. Annie di inchinò vicino ad Erwin che fissava impietrito la sagoma del padre che era di spalle a fissare il mare. Il suo piccolo cuore batteva come un tamburo.
-Vai pure - gli sussurrò Annie, con sorprendente dolcezza - Non aver paura...
-Io non ho paura - rispose Erwin, timorisamente, ma senza distogliere lo sguardo dal padre.
Il piccolo trasse un profondo respiro e, stringendo a sé il suo coniglietto per farsi coraggio, si avvicinò lentamente all'uomo che ignorava totalmente ciò che stava accadendo dietro alle sue spalle.
Falco stava guardando il suo orologio da taschino quando vide un bambino avvicinarsi a Levi. Iniziò a cercare Gabi e la vide, alle sue spalle, assieme ad Armin ed Annie che gli intimavano di non emettere alcun suono.
Levi trasse un profondo respiro e sospirò, tristemente.
-Ehi, mocciosi, cos'è tutto questo sil...
Non appena si voltò, vide alla sua destra un bambino che lo fissava. Indossava una maglia bianca con colletto blu da marinaio e dei pantaloncini dello stesso colore. Non appena si soffermò sui suoi occhi, Levi avvertì un fortissimo mal di testa. Quegli occhi, quella forma, quell'espressione. Non era la prima volta che li aveva visti. Ma dove? Quando? Si accorse che stringeva al petto uno curioso coniglietto di peluche. Un dettaglio che gli rievocò uno strano ricordo. Il volto di un bambino, molto piccolo, seduto sulla sua gamba che mangiucchiava l'orecchio di quel coniglietto.
-Ciao...papà...
Gli occhi di Levi si spalancarono di colpo. Non era possibile. La testa gli stava letteralmente esplodendo. Il dolore era lancinante. Cosa stava accadendo? Perché? Perché quel bambino lo aveva chiamato così?
Vedendo l'espressione confusa dell'uomo, il viso del bambino si fece triste. Poi, dopo qualche secondo di tentennamento, si sfilò dal collo una catenina.
-La mamma...la mamma mi ha detto di darti questo...
Si avvicinò a lui e gli porse la collana. Appesa ad essa c'era un anello d'oro.
Levi, con espressione corrucciata, lo afferrò con la mano sinistra. Poi, con l'indice e il pollice, prese il gioiello e iniziò a osservarlo con attenzione. Non era un semplice anello. Al suo interno c'erano delle incisioni ma non riusciva a leggerle a causa del troppo sole che lo stava abbagliando. Abbassò la testa e iniziò a leggere. Era incisa una data e il suo nome. In quella data notò un dettaglio non trascurabile: erano il giorno e il mese di nascita di Hange. Nuovamente, un altro ricordo invase con prepotenza la sua mente: una magnifica sera in spiaggia; lui che le infilava l'anello al dito; lei, sorridente, aveva sul capo il velo da sposa ricamato da Eveline. Eveline. Ricordò la ragazza. La vide porgere tra le braccia di Hange un neonato. Riusciva a distinguerne solo i capelli neri. Hange avvicinò il viso a quello del bambino e lo riempì di baci.
-Amore della mamma!
Il mal di testa cessò.
-Erwin...
Dopo aver pronunciato quel nome, dai suoi occhi spalancati scivolò via una lacrima lungo tutta la guancia. Finalmente aveva ricordato. Finalmente, dopo anni di oblio, era riuscito a ritrovare i ricordi perduti.
Abbassò lo sguardo e vide il bimbo che lo guardava con gli occhi lucidi. Gli stessi, identici, bellissimi occhi di Hange.
-Erwin... - disse di nuovo, con un nodo in gola, riconoscendo il volto del figlio che aveva perduto.
-Papà...- rispose il bimbo con la voce di chi sta per scoppiare a piangere.
Levi si piegò sulle ginocchia. Il bastone da passeggio cadde per terra ed Erwin, piangendo, corse subito tra le sue braccia, affondando il visino nell'incavo del collo. Levi strinse forte a sé quel corpicino delicato e tutti i ricordi, gradualmente, gli riaffiorono come se si fosse risvegliato da un lunghissimo coma.
Gabi, commossa, si avvicinò a Falco che, sbigottito e in silenzio, aveva osservato tutta la scena e intrecciò la mano alla sua. Anche Armin, felice con non mai, sfilò il fazzoletto dal taschino del panciotto e si asciugò le lacrime di commozione. Annie, anche lei commossa, appoggiò il viso al suo braccio e lui la abbracciò.
-Adesso sono in pace, Annie - le disse senza distogliere lo sguardo da Levi ed Erwin.
Levi afferrò con entrambe le mani il visetto del figlio, senza smettere per un istante di accarezzarlo con le dita. Erwin guardò il volto del padre, segnato da quelle orribili cicatrici che gli deturpavano il viso. Non gli importava che non era più l'uomo delle fotografie. Non gli importava che non riusciva più a camminare e che aveva perso alcune dita. Lui, era sempre il suo papà. Lo aveva ritrovato e questo gli bastava.
-Papà, basta piangere, adesso! - singhiozzò timidamente, con un lieve rossore sulle guance.
Levi sogghignò non appena sentì la sua inconfondibile pronuncia della esse.
-Stai piangendo anche tu...Cosino! - gli rispose asciugandogli le lacrime con i pollici.
Sulle labbra di Erwin apparve un dolcissimo sorriso: non aveva dimenticato che il suo papà lo chiamava in quel singolare modo.
-Lo so...ma non riesco a smettere - disse riaffondando il viso nel suo petto.
Levi lo strinse nuovamente a sé, pregando che il tempo si fermasse. Non riusciva a descrivere la gioia che stava provando in quel momento. Tuttavia, non sapeva cosa dirgli se non implorare il suo perdono per averlo lasciato solo per tanti anni, per essere stato così debole da dimenticarsi di lui, il frutto del suo infinito amore per Hange.
-Erwin...io...- balbettò ma Erwin lo fermò subito, posando la manina sulle sue labbra.
Poi, come sempre, Erwin gli afferrò il viso con entrambe le mani e, con gli occhi ancora carichi di lacrime, lo guardò dritto nei suoi.
-Torniamo a casa, papà.
Erwin era solo un bambino ma riuscì a percepire che l'anima del padre era profondamente ancora ferita, come il suo viso. Non voleva chiedergli cosa fosse successo, del resto ci aveva pensato Armin a raccontargli quel che poteva. Adesso voleva solo vivere ogni singolo istante assieme al suo papà. Se la sua mamma gli aveva ricucito le ferite del corpo, lui ci avrebbe pensato con quelle dell'animo. Ciò che è stato non aveva più importanza.
Levi guardò suo figlio in quei grandi occhi azzurri in cui riusciva a scorgere il suo riflesso. Commosso dal miracolo che era appena avvenuto sotto i suoi occhi, rimise al collo del figlio la catenina con l'anello di Hange. Trasse un profondo respiro e gli sfiorò le umide e morbide guance. Gli sorrise e poi lo strinse nuovamente tra le braccia.
-Si, figlio mio - gli sussurrò all'orecchio - torniamo a casa.

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