Capitolo 16

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Abigail's pov

Dopo aver ricevuto il coltello di Raegan rimasi per qualche minuto lì, a fissare quella lama che sembrava essere fatta solo di morte.
Quel coltello era un regalo fatto alla madre di Raegan da parte del padre, poco prima che lui partisse per acquisire informazioni e non tornare più. Esso raffigurava un legame davvero forte, tanto che molti del gruppo iniziarono a tatuarsi una lama su una parte del corpo che, per loro, poteva raffigurare qualcosa di importante.
I nemici del gruppo dei Lloyd, ovviamente, sapevano quanto quel maledetto oggetto fosse importante e, proprio per questo, lo usarono per cercare di porre fine alla vita di Raegan.

«E ora cosa dovrei fare?» sospirai continuando a guardare quel coltello come se mi potesse aiutare. Mille pensieri presero in ostaggio la mia mente, desiderosi di essere tramutati in realtà, come se fosse semplice.
Guardai ancora una volta quella lama e subito mi venne in mente il momento in cui la vita di Raegan ebbe una svolta terrificante, dolorosa, che la rese ciò che chiunque aveva imparato a temere. Per anni mi sentii colpevole per non essere riuscita ad avvisarla in tempo, eppure lei non mi diede mai la colpa, come se fosse in grado di scovare la realtà in un battito di ciglia, anche se il dolore e il desiderio di vendetta erano l'unica cosa che bruciava con forza dentro di lei rendendola imprevedibile, pericolosa, avvolta da quelle emozioni che giacevano come filtri sui suoi occhi, distogliendo tutto ciò che era all'esterno.
Ricordo quegli attimi con una nitidezza dolorosa, non avevo assistito in prima persona a ciò che era successo ma le registrazioni, che mio padre fece quel giorno come prova della sconfitta dei Lloyd, albergavano ancora nella mia mente.
I Lloyd erano stati colpiti dall'interno e dall'esterno, tutti i gruppi si erano rivoltati contro di loro e nessuno ha mai rivelato il perché di quell'improvviso cambio di rotta di molti capi, ma in ogni caso la madre di Raegan lottò con le unghie e con i denti prima di cedere alla vista del figlio senza vita e della sempre più vicina morte della figlia più grande, ovvero Raegan. Quest'ultima aveva compiuto da poco 18 anni e giaceva sulle ginocchia, poco distante da lei, con il viso malridotto e un coltello sulla gola pronto ad essere premuto con forza.
Quel giorno, in quel preciso momento, io correvo per i corridoi ignorando completamente la morte che mi circondava, continuavo a chiamare Raegan al telefono ma lei non rispose, non mi diede la possibilità di aiutarla, di evitare tutto quel dolore. Quando aprii la porta pregando che non fosse troppo tardi, mi ritrovai davanti una scena che mi travolse completamente, distruggendo le mie certezze, facendomi sentire come se avessi perso l'unica occasione per ripagarla, per fare del giusto, porre fine al 'Regno' malato di mio padre.
La madre di Raegan giaceva al suolo senza vita, in una pozza di sangue che si univa a quella del figlio, e poco lontana da loro c'era l'unica sopravvissuta che strisciava verso di loro fino al momento in cui li raggiunse, stringendo le loro mani, chiamando il nome del fratello e pregando la madre di svegliarsi, senza ricevere mai risposta.
Io ero lì, immobile, svuotata, sul punto di crollare al suolo; e intorno a me c'erano i continui richiami di Raegan, i suoi singhiozzi, poi il suo improvviso silenzio, lei rivolta al suolo in fin di vita, le sue mani che stringevano quelle dei suoi familiari morti. Poi le risate degli esseri presenti in quella stanza mi tirarono fuori da quel limbo, salvarla divenne il mio obiettivo, proteggerla divenne l'unico modo per espiare le mie colpe, per ripagarla, per meritare di essere ancora lì, e così feci.

Improvvisamente saltai fuori dai miei pensieri quando il coltello, evidentemente a causa della pendenza causata dalla mia presa poco dritta, uscì fuori dal contenitore e cadde sulle mie gambe rischiando anche di tagliarmi visto il modo in cui era sempre stato affilato.

«Sarà arrivato il momento?» dissi fra me e me prendendo fra le mie mani quel coltello, quasi come se fosse in grado di rispondermi.

«Al contrario della tua padrona, io non ho sempre un piano pronto per ogni evenienza.» continuai storcendo il naso quando mi accorsi che stessi parlando con un oggetto.
È questo che fa la solitudine? Ti fa parlare con qualsiasi cosa che ti capita a tiro? O era la semplice mancanza a spingermi a parlare con qualcosa che apparteneva a chi, nonostante tutto, era sempre stata al mio fianco? Insomma, era un po' strano per me non averla nelle vicinanze, e poi era un tipo che non si poteva ignorare, che bene o male fa sentire la sua mancanza anche se magari si prova odio nei suoi confronti.

«May We Meet Again» - {Addicted To You - Sequel}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora